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Autore: ClaryMorgenstern    03/12/2012    5 recensioni
Clary la ignorò e guardò meglio la statua. Non potè che concordare con Jace su quell'obbrobrio. Le ispirava un disgusto immenso, come d'altronde i demoni che voleva rappresentare. Le unghie sembravano scintillare di sangue fresco, e gli occhi erano vacui, scolpiti senza pupilla e..
Si mossero.
[Crossover The mortal instruments   /   The infernal devices]
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Author's corner: Se avessi continuato di questo passo questo capitolo l'avreste avuto davvero per Natale lol. Chiedo scusa a chiunque gliene freghi qualcosa di questa storia, ma i buoni voti nella mia scuola non li regalano. L'unica è studiare. Tra scuola, First e vita sociale mi soprendo di trovare il tempo per riuscire a respirare. Anyway, godetevi il capitolo. Spero di pubblicare il prossimo quanto prima.

 

He went to the church, and walked about the streets, and watched the people hurrying to and for, and patted the children on the head,
and questioned beggars, and looked down into the kitchens of homes, and up to the windows, and found that everything could yield him pleasure.
He had never dreamed of any walk, that anything, could give him so much happiness.
C. Dickens

Capitolo XX; Parte prima
Never dreamed


Natale arrivò senza che nessuno se ne accorgesse.
Un giorno stavano togliendo il sedere sodo di Jace dalla prigione, e all'improvviso Charlotte, finalmente guarita e più raggiante che mai, informava loro che tra due giorni ci sarebbe stata la festa di Natale.
Clary aveva fermato la forchetta a mezz'aria. Stavano mangiando tutti insieme a cena, come al solito. E Charlotte era tutta contenta e elettrizzata per quella festa. Ogni quattro anni il Conclave organizzava una festa mista tra Nascosti e Shadowhunters, in occasione degli accordi. Clary aveva voglia di parteciparci quanto di essere investita da un treno.
Jessamine aveva battuto le mani entusiasta e cominciato a blaterare infinitamente di vestiti coordinati e festoni colorati. Clary non pensava fosse il tipo di persona che adorava feste miste. Pensava fosse un tipo da soiree o thè delle cinque.
«Io ci sto» Isabelle sembrava elettrizzata, e Clary non capì perché. Forse, si disse, voleva solo una ventata di vita. Da quando erano arrivati, erano rimasti sempre e solo a fare ricerche su ricerche. I libri non facevano per Izzy.
«Charlotte» cominciò Clary con dolcezza. «Non credo che sia...»
«Prima che tu possa declinare l'invito, Clary, è stato il console in persona a invitarvi.» Un sorriso mesto, e a Clary venne in mente che forse, dopotutto, era stato un suo suggerimento. «Non vorrete declinare un suo invito, vero? Inoltre, Alec e Isabelle vogliono partecipare»
Jace si voltò verso Alec, alzando un sopracciglio. «Ah si?»
Alec sembrava aver ingoiato qualcosa di molto amaro. «Si.» e poi, a voce così bassa che solo Clary e Jace, che erano al suo fianco, poterono sentire. «Jessamine me l'ha chiesto l'altra sera con l'inganno. Non potevo rifiutare.»
E, come a confermare le sue parole, Jessamine, dall'altro capo della tavola, scoccò un radioso sorriso ad Alec. Clary deglutì. L'Angelo la fulmini se sarà lì quando scoprirà la verità.
«Vi ha incastrati» disse Jem sorridente.
Clary si morse il labbro con forza. Sua madre, quando era piccola, l'aveva portata spesso a delle noiosissime feste nelle gallerie d'arte in cui esponeva i suoi quadri.
E lei le aveva odiate a morte. C'erano solo uomini noiosi e donne troppo occupate a vantarsi dei propri averi per dire qualcosa di interessante.
Jace prese un sorso di vino rosso. «Io passo»
Lo sguardo di Charlotte si addolcì, posandosi sul ragazzo. «Non siete obbligati» disse. «Certo che no. Ma avete bisogno di distrazione, e di un po' di divertimento.» disse. «Sarà divertente» aggiunse poi, con gli occhi da cucciolo.
Jace alzò lo sguardo su di lei. Forse voleva guardarla con durezza e dirle che no, non sarebbe venuto alla festa neanche morto, ma lo sguardo implorante di Charlotte doveva averlo sciolto, perché si sgonfiò come un palloncino, arrendendosi. «E va bene» sbuffò. «Ma non indosserò il Frac.»
E, nonostante le profonde  lamentele da parte di Jessamine, Jace l'ebbe vinta.
 
Il ventitrè Dicembre del 1892, alle sette di sera, Clary si ritrovò a scendere un'immensa scalinata Vittoriana situata nell'istituto di Londra, con il favoloso abito di seta bianca e dorata, stivaletti color crema e un fine girocollo d'oro. Sophie le aveva raccolto con grazia i capelli sulla nuca, facendoli sembrare un delicato salice piangente di riccioli rossi. Clary li adorava.
Forse per la prima volta nella sua vita, era arrivata per prima. Jessamine li aveva costretti ad andare a prepararsi sin dalle quattro del pomeriggio, cosicché Clary era fortemente in anticipo. Si sedette su una delle poltroncine dell'ingresso e accavallò le gambe. Si guardò in giro. Campo libero. Così, prendendo un bel respiro, allentò un po' i nodi che le stringevano il corsetto. E fu immensamente grata all'aria che le entrò nei polmoni.
«Carina» mormorò una voce conosciuta, dall'oscurità. «Non deve essere troppo comodo.»
«Oh, sta zitto Will» borbottò imbarazzata.
Il ragazzo stette zitto e le si avvicinò, sempre più vicino, fino a che non arrivò che a pochi centimetri dal suo viso. Quanto a lui, indossava un semplice completo da sera bianco e nero. Ma niente era solo semplice, se lo faceva sembrare ancora più bello del normale. Gli occhi azzurri risaltavano come gemme preziose, l'unica traccia di colore, a parte le labbra rosse.  Clary si morse il labbro. Gli uomini in ghingheri erano la sua fantasia segreta. «Non capisco perché le donne si alzino i capelli» mormorò, prendendole un ricciolo tra le lunghe dita. «Trovo che i capelli sciolti siano molto meglio. Specie tra le dita»
Clary allontanò nervosamente la sua mano. «Per darvi la pena di scioglierli, mi sembra ovvio»
Lui fece un mezzo sorriso. «Ne sapete proprio una in più del diavolo, eh?»
La ragazza fece un sospiro carico di segreti, e andò nervosamente avanti e indietro per il corridoio. In quel momento, vide arrivare Jace, insieme a Izzy.
Isabelle, ovviamente, era bellissima. Indossava un abito di un intenso rosso scuro che le lasciava scoperte le spalle, l'abbondante decolté, e buona parte delle braccia, su cui risaltavano i marchi scuri che non aveva bisogno di nascondere. A contornare la scollatura, le maniche e l'orlo del vestito c'era dell'elaborato pizzo nero. Al posto di raccogliere i capelli verso l'alto, aveva fatto una lunga treccia nera in cui aveva infilato, qui e là, delle piccole rose rosse. Al collo indossava la collana che Clary le aveva visto indosso la prima volta che l'aveva vista: la grossa catena tesa sotto il peso dell'enorme rubino. Sembrava una damigella spagnola.
Ma quello che interessava a Clary non era certo Izzy. Jace, al suo fianco, indossava l'abito bianco e dorato che aveva scelto Jessamine. Quello che le faceva contrarre diversi muscoli del ventre in maniera deliziosa. Accidenti se era bello. Ed era tutto suo. Il pensiero la fece sorridere.
Il ragazzo le si avvicinò, squadrandola da capo a piede con uno sguardo lento che le fece rizzare i capelli sulla nuca. «Bel vestito» le disse sorridente.
«Anche il tuo» mormorò Clary con le guancie in fiamme.
«Ehy!» fece Isabelle seccata. «Nessuno nota quanto io stia bene?» girò la testa dall'altra parte, offesa. Incrociando le braccia al petto.
A sorpresa di tutti, Jace le prese una mano e, con gentilezza, le fece fare un piccolo giro. «Sei bellissima» le mormorò suadente.
Isabelle arrossì leggermente, ma fortunatamente solo Clary se ne accorse. «Così va meglio» commentò.
Jace aggrottò le sopracciglia, e chissà perché a Clary venne da ridere. «Dove sono Alec e Jessamine?» Chiese interrompendo il piccolo idillio.
«Dietro di te»
Alec e Jessamine stavano scendendo le scale, e a Clary venne in mente quella vecchia poesia di un poeta italiano che le avevano fatto studiare a scuola.
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale /e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. Alec, difatti, stava dando il braccio a Jessamine per aiutarla a scendere, nella perfetta posa da principe azzurro. Perché Alec era proprio così. Il ragazzo di cui tutte si sarebbero innamorate: Dolce, gentile, non troppo ciarliero, disponibile, intelligente.
Peccato che fosse innamorato.
E, come se questo di per sé non bastasse come impedimento, era innamorato di un uomo. Bella sfida, per Jessamine.
La quale, comunque, ce la stava mettendo tutta per rendersi carina per lui. Aveva i capelli raccolti verso l'alto in un elegantissimo chignon, tenuto fermo da un diadema brillante. Indossava un abito di quella che sembrava seta giapponese, di un adorabile azzurro cielo. La scollatura non era troppo ampia, ma l'abito era molto stretto sul decolté, evidenziandolo. Solo Jace, Clary e Izzy sapevano che Alec non lo avrebbe mai nemmeno degnato di uno sguardo, il decolté di Jessamine.
Alec, al suo fianco, non era da meno. Jessamine aveva fatto proprio un ottimo lavoro sui suoi abiti, per intonarli al suo. Camicia bianca, panciotto nero, giacca, cappotto e pantaloni neri: L'unico tocco di colore era il fazzoletto di seta azzurra che aveva annodato intorno al collo. A dargli il colpo di grazia, era il cilindro nero sulla testa, che si sistemava ogni dieci secondi, a disagio. Se solo il loro Magnus l'avesse visto così.
«Non siamo adorabili?» cinguettò Jessamine accostandosi a loro.
Alec era visibilmente imbarazzato fino al midollo, troppo rigido e serio. Clary immaginò che non avesse mai dovuto avere a che fare con ragazzine cotte di lui.Poverino.
«Una meraviglia» commentò Isabelle prima di voltarsi e spalancare le porte.
 
«Simon, smettila di fissarmi»
Simon distolse lo sguardo imbarazzato. «Non ti stavo fissando» mormorò guardando intensamente il soffitto della carrozza.
Isabelle gli fece un piccolo sorriso. «Si invece, ma non fa niente.»
Lui riportò gli occhi nei suoi con rammarico. «Scusa» biascicò. «Ma..sei molto..» sembrava faticare a trovare le parole. «..bella»
Alleluia. Era riuscito a dire qualcosa di sensato.
Clary distolse lo sguardo dai due, imbarazzata. Non si sarebbe mai abituata a quelle scenette melense tra Isabelle e Simon. Mai. Le facevano sempre più spesso, sia nella loro epoca che in quella. Se si piacevano così tanto, che si mettessero insieme e la facessero finita con queste sviolinate. «Dove si trova la festa?» chiese allora a Jessamine, impegnata a monopolizzare, come sempre, l'attenzione di Alec.
Lei fece un sorriso sottile. «E' una sorpresa» disse allegra.
«Sto cominciando a stancarmi delle sorprese» commentò Jace. «Mi manca la vecchia e tranquilla normalità»
«A chi lo dici» borbottò Clary.
Nella carrozza, c'erano solo loro sei. Will, Jem, Tessa, Charlotte ed Henry avevano preso l'altra in dotazione dell'istituto. Avrebbe di gran lunga preferito stare con Charlotte ed Henry. Jessamine la metteva in uno strano stato di soggezione, come se la sua presenza le fosse sempre molto sgradita. e, ogni qual volta cercava di intavolare una discussione con Alec le lanciava un'occhiataccia corrosiva quando il veleno di divoratore.
Beh, era pure piuttosto logico. Lei era l'unica ragazza del futuro che potesse rubarle Alec. Il pensiero le faceva salire una risata dal profondo dell'anima, ma la bloccava appena in tempo.
Isabelle, Alec e Jace stavano parlando di un qualche congegno che Henry aveva mostrato loro un paio di giorni prima. Jessamine, pur non prendendo parte alla conversazione, pendeva dalle labbra di Alec. Così Clary si appoggiò allo schienale in pelle della carrozza, scostò la tendina e gettò un'occhiata all'esterno. Londra scorreva a ultra velocità intorno a loro, ma lei riusciva comunque a distinguere i dettagli nei coni di luce dei lampioni: Le locande ancora aperte e la folla che ne usciva o entrava, mondani in che giravano per le piazze tutti armati di cappotti pesanti e ombrelli, anche se quella sera non minacciava pioggia. I poliziotti che facevano girare i manganelli in cerchio, come Clary aveva visto fare tante volte nei cartoni animati.  Si ritrovò a pensare che a Londra qualunque cosa apparisse magica, persino il bagliore della luce a gas sulle pozzanghere per strada.
Quando la carrozza si fermò, Clary spalancò la bocca nel vedere la residenza in cui si erano fermati.
La prima cosa che le saltò all'occhio fu il giardino. Un immenso, enorme giardino che, a occhio e croce, misurava almeno trenta acri. Subito dopo notò la statua dorata in cima al monumento di marmo. Clary l'aveva studiata a una delle lezioni della Tisch. Era un monumento in onore alla regina Vittoria, ma tutte le foto che aveva visto non gli rendevano giustizia.
Poi, l'immenso palazzo.
Non era esattamente come Clary lo ricordava, ma lei l'aveva visto solo in foto, e nel XXI secolo. Di sicuro nel corso del tempo era stato modificato. Ma lo schema del palazzo era uguale: Una grande struttura poligonale perfettamente simmetrica, divisa a metà solamente dall'immensa porta d'ingresso decorata fino all'ultimo millimetro.
Si voltò verso Jessamine inarcando un sopracciglio. «Buckingham Palace?»
Lei alzò le spalle, come di scuse. «Il Conclave ha stipulato diversi contatti d'amicizia con la regina Vittoria.» disse con una voce molto saccente. Clary pensò che doveva essersi letta un po' di storia inglese, per una volta, prima di andare lì.
Jace e Alec, ai lati della carozza, scesero, aiutando le relative compagne a scendere. La differenza era che Jace l'aveva fatto con naturalezza, prendendole dolcemente una mano, accarezzandole il dorso con piccoli movimenti circolari. Come ogni volta che lui la toccava, Clary aveva sentito le scintille.
Alec sembrava, invece, un robot  programmato a comando. Braccio sinistro dietro la schiena, braccio destro teso a prendere la mano di Jessamine, sguardo quasi vitreo. Era una visione inquietante. Jace aiutò anche la sorella a scendere. Simon, per fare lo scemo, scese saltando, atterrando con leggiadria sulla strada umida senza scivolare. Questo non sarebbe mai successo da mondano. Allora sarebbe scivolato battendo il sedere, avrebbe perso gli occhiali e si sarebbe lavato tutti i vestiti nel cercarli nella neve umida.
Il che sarebbe stato un peccato, dato che per la festa c'era l'obbligo dell'abito elegante. Henry gli aveva dato uno dei suoi di un paio d'anni prima. Sembrava un abito da cerimonia, tipo matrimonio. E, nonostante fosse molto bello, Simon continuava a tormentarsi le maniche, a disagio. E Clary sapeva benissimo a cosa stava pensando, perché era la stessa cosa a cui stava pensando lei: Rivoglio i miei jeans.
Così, gli si avvicinò e gli diede di gomito. «Prova a indossare un corsetto, poi vediamo se ti lamenti»
Lui le lanciò un'occhiata spalancata. «Non so nemmeno cosa sia. Ma, dal nome, sembra scomodo.»
Alzò gli occhi al cielo. Quello era il suo Simon. Quello che, delle cose da ragazza, non sapeva niente. «Lascia stare, Simon.»
Isabelle arrivò all'improvviso e lo prese a braccetto, prendendolo di sorpresa. . «Jessamine mi ha appena detto che si deve entrare in coppia.» disse sorridente. Simon era leggermente intimidito «Coppia?» mormorò.
La ragazza sospirò, esasperata. «Simon, noi stavamo per andare a letto assieme. Credo che entrare a braccetto con me non ti ucciderà»
Sembrava che Simon avesse inghiottito qualcosa di molto amaro, perché deglutì diverse volte e balbettò parole sconnesse tipo Io? Te? Davvero? pazzia? Ubriachi?
Clary gli diede per l'ennesima volta di gomito, lasciando Isabelle a fargli ordine nella testa, e si avvicinò a Jace. Il ragazzo non la guardò, ma avvicinò la mano di modo che lei gli prendesse la mano. Non dissero nulla. Erano quelli, i momenti che Clary preferiva. Quelli in cui non avevano di parlare per comunicare. Nonostante all'inizio non volesse venire, era elettrizzato. E Clary sapeva perché.
Quella era la loro prima festa del Conclave in cui andavano insieme. Se si voleva escludere quella ad Alicante per festeggiare la vittoria contro Valentine. Ma, per Clary, quella non era stata una festa, ma una continua veglia: Avevano ricordato tutte le morti di quei giorni, sparato fuochi d'artificio nel cielo ancora rannuvolato, e danzato su quella piazza ancora sporca di sangue.
Delle guardie, all'ingresso, controllarono i loro nomi su una lista enorme e poi li fecero entrare. Guardandoli meglio, Clary capì che erano lupi mannari.
Attraversarono diversi saloni e corridoi, per poi sbucare nella sala da ballo. Era, a dir poco, enorme. Almeno quanto tre volte il suo vecchio appartamento a Manhattan. Fuori dalle immense finestre, una mezzaluna gettava il suo bagliore all'interno della sala. Il soffitto a volte era decorato da diversi mosaici all'italiana e sorretto da immensi pilastri decorati di blu. Tra di essi vi erano dei divanetti color rosso scuro con i contorni di seta dorata. Per dare luce a tutta la sala, diverse lampade a olio bruciavano nei quattro angoli della sala e tra i divani, con l'aiuto di un immenso lampadario che pendeva sopra le loro testa. E, infine, in un palchetto in fondo alla sala, una piccola orchestra riempiva l'atmosfera di musica. Clary non riconobbe con esattezza il brano che stavano suonando, ma le parve di averla già sentita. Non bastavano gli occhi per guardarlo, da quanto era bello. Le quasi vennero le lacrime agli occhi da quanto quella sala era meravigliosa.
Di solito, la festa di Natale dei Nephilim si svolgeva all'interno dell'istituto. Ma, come le aveva spiegato Charlotte, ogni quattro anni, in onore degli accordi, viene organizzata una festa mista tra Nephilim e l'alta società dei Nascosti. E, dato che un quarto di loro non poteva entrare nelle chiese, veniva organizzata in diverse località. L'ultima location era stata Hyde Park, opportunamente coperto per proteggere dalla neve.
Un elegante mondano in abito da sera li annunciò a uno a uno, e Jace e Clary fecero il loro ingresso nella sala da ballo.
La ragazza riconobbe qualche viso conosciuto. Charlotte ed Henry che parlavano con dei nascosti in fondo alla sala. Camille Belcourt e Magnus, a poca distanza da loro, che si stavano intrattenendo su uno dei divanetti insieme a diversa gente.  Il console Wayland, in fondo alla sala, vestito, come sempre, con un abito oltremodo elegante e serio. Sembrava ancora più grande di quel che Clary ricordasse. Al suo fianco, c'era un uomo che Clary non aveva mai visto ma che gli parve familiare.
Era alto e, neanche fosse a un funerale, tutto vestito di grigio topo.  Almeno si intonava ai capelli, grigi anch'essi, così come la carnagione. Il viso era ossuto e aquilino,con un grande naso sottile e il mento aguzzo; Clary si ritrovò a pensare che da giovane doveva essere stato proprio un bel ragazzo. Ma, allora, con quell'espressione così dura e ferrea, sembrava un boia pronto a sferrare un colpo mortale. Tessa, che si era appena unita a loro, insieme a Jem, rabbrividì leggermente. Clary si chiese se fossero entrati insieme come coppia. «Chi è?» le chiese Clary.
«Benedict Lightwood.» rispose Jem.
«Quell'uomo mi inquieta» aggiunse Tessa, distogliendo lo sguardo. Era molto bella in quel vestito rosa antico. La scollatura, decorata da piccole roselline dello stesso colore, le lasciava scoperte la pelle candida delle spalle. La parte inferiore era composta da eleganti balze che si aprivano su delle sottili scarpe rosa scuro. A chiudere il vestito sulla vita, come se il corsetto di per sé non bastasse, aveva un grande fiocco che si chiudeva sulla schiena, e a Clary ricordava una buffa coda.
Sophie le aveva raccolto i capelli in due trecce che poi aveva appuntato sulla nuca, facendole sembrare un nido d'ape. Due riccioli le sfuggivano intenzionalmente al lati del viso. A Clary quell'acconciatura non piaceva, ma doveva ammettere che le donava. Immancabile, al collo portava il suo angelo meccanico.
Jem, invece, portava un completo grigio chiaro molto semplice. A dargli un'aria mortalmente affascinante era l'elsa di una spada che spuntava dal fodero, attaccato alla cintura del ragazzo. Clary sospettò che la portasse per bellezza.
Dei camerieri passarono tra la folla, portando con sé vassoi d'argento sopra i quali stavano diversi bicchieri colmi di bevande colorate. Clary ne prese uno e lo assaggiò, senza la paura di venire trasformata in un topo. Era Champagne alle fragole, constatò. Le bollicine le solleticarono deliziosamente la gola, quando scese giù. Jace le fece una smorfia e quindi si rivolse al cameriere. «Non avete qualcosa che non sia rosa?» chiese Jace.
Il cameriere sbiancò. «Andrò a chiedere, signore.» e scappò nella direzione opposta.
«Non andrà a chiedere un cavolo.» borbottò.  «Beh, se proprio devo rimanere sobrio, almeno divertiamoci.» prese Clary per mano e la condusse sulla pista da ballo. Fece scorrere la mano destra dalla sua spalla alla sua schiena con lentezza, lasciandole una scia di calore sulla pelle. Con l'altra le strinse la mano che aveva portato in alto. I suoi occhi brillavano di uno scintillio dorato. Quindi, avvolti dalla musica classica suonata dall'orchestra, la fece volteggiare. Le mani di Jace erano forti come lo erano in battaglia, e altrettanto ferme. Ma al tempo stesso erano delicate e leggere. Era solo un ballo, un semplice ballo. I seni di Clary erano schiacciati contro il petto di Jace, cosa che non la aiutava a mantenere la concentrazione.
Era brava a ballare, Clary. Glielo aveva insegnato Luke, nel salotto di casa sua, sopra la libreria. All'inizio, per farla stare un po' più alla sua altezza, l'aveva fatta salire su una pila di libri, e Clary aveva volteggiato sulle parole e sulla carta, sentendo di quasi di volare mentre Luke la prendeva in braccio facendola girare.
Con Jace era tutt'altra storia.
Jace la stringeva con forza, premendosela tutta addosso. Le sue mani le premevano le scapole, sui fianchi stretti dal corsetto, sulle spalle, le braccia. A un certo punto non capiva dove finisse la sua pelle e cominciasse quella di lui. La sua pelle, la pelle di lui. Il suo respiro, il respiro di lui. Il suo battito, il battito di lui. Le fece quasi esplodere il cuore quando le fece fare una giravolta.
Non era come ballare con Luke.
Luke la faceva volare. Jace le fece spuntare le ali.
  
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