Trecentonovanta
Гражданская Война
Сибирячка
Graždanskaja Vojna
Sibirjačka
La guerra civile
siberiana
Пятая
Часть
Pyataya Čast’
Parte Quinta
Tu non sei come
lei, però prendi la mia mano
E cammina insieme a me
Quando avrai le mani stanche tutto lascerai
Per le cose belle ti ringrazieranno
Piangeranno per gli errori tuoi
(Un mondo d'amore, Gianni Morandi)
[...]
Oh, mare nero, mare nero, mare nero
Tu
eri chiaro e trasparente come me
(La canzone del sole, Lucio Battisti)
[...]
Poi, una notte di Settembre mi
svegliai
Il vento sulla pelle
Sul mio corpo il chiarore delle
stelle
Chissà
dov’era casa mia...
(Io Vagabondo, I Nomadi)
-Riferito
a Feri Desztor-
Krasnojarsk, 17 Marzo 1844
Venticinquesimo compleanno di Feri
Desztor
Facciamo finta che sia vero quello
che vi dico
Ma
è giusto essere per forza governati?
Siamo nelle mani del peggiore stile
di vita
Nelle mani di insensati governanti
I
servi del potere si vendono per quattro soldi
(Facciamo finta che sia vero, Adriano
Celentano)
L’esercito dello zar era
stato distrutto.
La gran parte dei
cittadini borghesi di Krasnojarsk avevano riconosciuto spontaneamente Feri
Desztor come padrone della loro città, ed erano scesi in strada a ringraziarlo,
quando era tornato vincitore dalla battaglia, offrendo il loro aiuto a lui e ai
suoi soldati per medicare le ferite.
I nobili, ancora fedeli a
Romanov, erano rimasti chiusi nei loro palazzi affacciati sulla Prospettiva Mira,
sprezzanti come sempre nei confronti del popolo che acclamava quel sovversivo
ungherese come un eroe, ma per la prima volta impotenti.
Potevano disprezzare
finché volevano, ma non ribellarsi, non più.
Krasnojarsk non apparteneva più allo zar.
Erano loro, adesso, gli
emarginati.
I sudditi del nemico.
Avevano combattuto per
conservare i loro privilegi, ma i privilegi di una minoranza non valevano
quanto la libertà e la giustizia del popolo, e gl’ideali e il coraggio di Feri,
quel ragazzino di venticinque anni che da solo, senza titoli né soldi, aveva
messo insieme un esercito, erano stati
più forti.
Sì, la strada è ancora là
Un deserto mi sembrava la città
Ma
un bimbo che ne sa?
Poi, una notte di Settembre me ne
andai
Il fuoco di un cammino
Non è caldo come il sole del mattino
(Io Vagabondo, I Nomadi)
-Riferito
a Feri Desztor-
-Vai, va’ da lui! Non devi
avere paura. Ѐ un eroe. Ci ha
liberati dallo zar. Ѐ stato lui-
-Sei sicura, maman? Ha degli occhi... Bellissimi, ma
fanno così paura... E uno sguardo...
Quasi feroce. Ancora-
-Nataša, non essere
sciocca! Non ti farà niente. Lui non vuole il nostro male, non è rivolto a noi,
quello sguardo feroce.
Altrimenti non avrebbe
fatto tutto questo per noi, non credi?-
-Non l’ha fatto per noi. L’ha fatto per lei. Quella ragazza
terribile che non l’ha sposato...-
-Adesso smettila,
Natašen’ka. Quella non c’entra.
Non esiste che un uomo come lui faccia una
Rivoluzione per una sgualdrina-
-Se penso che si chiama
come me... Natal’ja-
-Quelle come lei vogliono
sempre troppo, vogliono sempre di più.
Come fa ad essere sicura
che quel Greco le voglia veramente bene?
Non è stato lui, a salvarla da Omsk- rispose Azaliya Igorevna Svetličnaja,
sprezzante.
-Tu non sei come lei. Tu sei una brava ragazza. Feri lo
capirà- concluse poi, spingendo dolcemente la figlia verso il Capitano.
Natal’ja reclinò il capo,
sconfitta.
Con un sospiro, raccolse dal
marciapiede innevato il catino d’acqua e le bende che aveva preparato sua
madre, e si diresse con passo esitante verso quel Feri Desztor che tutti
acclamavano e da cui lei avrebbe voluto scappare.
Non che non volesse
prestare soccorso ai soldati...
Ma lui le aveva sempre fatto paura, anche se alla fine era vero, che aveva liberato la sua città.
Feri, fino a quel momento,
aveva rifiutato l'aiuto di chiunque.
Almeno in dieci gli si
erano avvicinati per medicarlo, e li aveva cacciati tutti in malo modo.
Era tra i feriti più
gravi, il Capitano, aveva un'emorragia seria alla gamba sinistra, la camicia
completamente strappata ed entrambe le braccia coperte di sangue, ma non aveva
voluto saperne di farsi soccorrere.
Aveva mandato via perfino
Hajnalka, ch'era riuscito a far arrabbiare fino a costringerla a tirargli uno
schiaffo, sebbene quel suo fratello assurdamente testardo avesse varie escoriazioni
e sangue copioso anche sul viso, ma alla fine si era rassegnata a sedersi
accanto a lui, con gli occhi azzurri ardenti d'esasperazione e disperazione.
Nočen'ka era nelle
mani di una biondina che sembrava sapere il fatto suo, una certa Tat'jana, ed
era stato un bene, perché in quanto a ferite riportate e relativa gravità viaggiava
sullo stesso livello del Capitano, e, oltre a delirare di brutto, si reggeva a
stento in piedi.
Jànos, invece, era quasi
svenuto tra le braccia di Helga, e lei aveva letteralmente aggredito a
coltellate uno dei suoi vestiti migliori, per avere bende a sufficienza per suo
marito.
Quando Jàn fosse guarito, poi, l'avrebbe minacciato
con quello stesso coltello di girare tutte le sartorie della Siberia per
rubargliene uno uguale.
Natal'ja studiò la
situazione per qualche minuto, prima di avvicinarsi a loro.
Hajnalka piangeva di
rabbia, e dopo un po' Feri le passò un braccio intorno alle spalle, nel vano
tentativo di strapparle un sorriso, o magari anche un altro schiaffo.
Lei però lo scostò
bruscamente, e lui allora cercò di spiegarle che non era colpa sua, ma le ferite
voleva assolutamente medicarsele da solo, era una questione di principio.
Altrimenti,
pensò senza dirglielo, come avrebbe fatto
a immaginare che ci fosse la sua Alja lì a curarlo?
No, davvero, non voleva
l'aiuto di nessuno.
Solo se stesso e le sue
illusioni.
Potevano bastare.
Non dire no
Lo so che ami un altro
Ma che ci posso fare
Io sono un disperato
Perché ti voglio amare
(Il tempo di morire, Lucio Battisti)
[...]
Ma
io non devo bruciarmi con una come te
(Yeeeeeeh!,
Mal and The Primitives)
Natal'ja in un certo senso
l'aveva capito, che anche quella sua ostinazione era legata a “quella terribile
ragazza che non l'aveva sposato”, e in quel momento decise di avvicinarsi.
Posò le bende e il catino,
tanto di lì a poco li avrebbe presi qualcun altro, rispettosa della scelta del
Capitano, ma volle ugualmente percorrere quei pochi sazhen' che li separavano.
Era una ragazza graziosa,
Natal'ja Il’inična Svetličnaja, assomigliava un po' ad Hajnal.
Sedici anni da compiere,
un visino candido dai lineamenti sottili e delicatissimi, pelle di cristallo,
lunghi e folti capelli nerissimi vagamente ondulati e limpidi occhi di uno
splendido azzurro turchese.
Un'altezza all'incirca sul
metro e settanta, un abito bianco di modesta fattura e una mantella di lana
dello stesso colore, ai piedi un paio di stivaletti neri dall'aria malconcia.
Graziosa, sì, di una grazia
e bellezza innata, ma anche visibilmente incerta, forse non a torto, nel suo
cammino verso Feri Desztor.
Arrivata a lui, avrebbe
potuto passare avanti, tirare dritto fingendo di essere diretta un po' più in là.
Eppure non lo fece, chissà
poi perché.
Inizialmente non parlò,
non pretese di presentarsi né di richiamare la sua attenzione.
Incrociò lo sguardo stupito
di Hajnalka, di un azzurro poco più chiaro del suo, e abbassò il suo, confusa.
Forse aveva osato troppo.
Forse, davvero, con loro
“della Rivoluzione” non c'entrava niente.
Ma non ebbe il tempo di
ritrarsi né di voltarsi, di tornare indietro.
Feri, proprio Feri la
trattenne per una mano, che le sostenne con una delicatezza ben poco da lui.
-Come ti chiami?-
Un sussurro, la sua voce.
Una carezza di ghiaccio,
il suo sguardo.
Lucentissimi occhi neri,
di uno splendore affilato come una šaška kazaka, taglienti come il suono di
quelle parole.
Eppure c’era, sia nella voce
che nello sguardo del giovane Ungherese, oltre a quella soffusa ferocia che
Natal’ja aveva indovinato anche da lontano, una qual certa dolcezza altrettanto
sconvolgente e altrettanto inspiegabile.
-Natal’ja Il’inična Svetličnaja-
Nella sua risposta, la
paura.
Perché quel nome Feri non poteva davvero ignorarlo.
-Natal’ja...-
La quindicenne siberiana
rabbrividì.
Cercò di fare un passo
indietro, ma Feri aumentò la stretta sulla sua mano.
Lei sgranò gli occhi, ma dovette
rassegnarsi.
Non poteva ancora andare via.
Occhi azzurri belli come i suoi
Linda, forse non li hai
Bella sempre, dolce come lei
Linda, forse tu non sei
Non fai come lei, no, non fai come
lei
Tu
non prendi tutto quello che vuoi
(Balla Linda, Lucio Battisti)
-Tu non sei come lei...-
Natal'ja annuì, non riuscì
a fare altro.
E del resto, perché?
Perché avrebbe dovuto essere come lei?
Non ci teneva neanche un
po', ad essere come lei.
-Natal’ja... Io sono Feri. Feri Desztor. Quel
Feri. Quello che è impazzito per la
Zirovskaja-
-Natal’ja- sorrise lei -Natal’ja Zirovskaja-
Lui sospirò, annuendo.
-È un incanto, quel nome. E anche lei è un’incantatrice-
-Dicono che sia
bellissima...- commentò lei, con una punta di curiosità.
In fondo lei la Zirovskaja
non l’aveva mai vista, ma, come tutti, ne aveva sentito parlare.
Sapeva solo ch’era bionda,
incredibilmente bionda, con dei capelli straordinariamente lunghi e due occhi
che parevano d’argento.
Bella da stordire, di
quella bellezza che infrangeva i confini del sogno, a cui certi uomini
avrebbero dedicato l’esistenza, bruciato il cuore e venduto l’anima.
Si diceva inoltre, ma
probabilmente non era vero, che anche suo cugino era innamorato di lei, e che
per questo s’era impiccato.
-Non dicono abbastanza-
-Come stai?- cambiò
argomento Natal’ja, un po’ disagio per quell’amore immenso che Feri non esitava
a raccontare a tutti, senza la minima remora.
-Lei mi ha fatto di peggio. E tu?-
Natal’ja quella domanda
non se l’aspettava.
Lei?
Lei come avrebbe dovuto
stare?
Non era appena tornata
dalla guerra, lei.
Non aveva combattuto
contro gli Zaristi, lei.
Non aveva ferite profonde
e sanguinanti come quelle di Feri e dei suoi soldati, lei.
Era quasi scontato che
stesse bene, lei.
Eppure...
Lui le aveva chiesto come stava.
Gliel’aveva chiesto lo
stesso.
-Io... Non ho nessun motivo per star male- ammise,
flebile.
Feri sorrise, ma Natal’ja
ebbe come la sensazione che non stesse sorridendo a lei.
E, sicuramente, non stava pensando a lei.
-Non sei come lei... Per fortuna. Per fortuna non tutte le
ragazze sono come lei-
Detto questo, Feri si
voltò verso Hajnalka e le tese il braccio insanguinato.
-Vedi tu cosa si può fare- sorrise, e fece sorridere anche lei -Io sono un disastro, e se aspetto Alja
muoio dissanguato-
-Morirai comunque, per lei- sussurrò Hajnal, e Feri scrollò le spalle.
-Ma almeno non dissanguato-
In quel momento, Natal’ja
ritenne di essere rimasta abbastanza e, accennando un lieve sorriso che Feri
non colse, perché non la stava più guardando, si voltò e se ne andò, lasciando
il Capitano a sua sorella e agli ultimi aneliti di quel sogno a cui aveva
votato l’esistenza.
In fondo, il 1848 era ancora lontano.
La sua Natal’ja sarebbe
tornata.
Prima del 1848.
Non dire una parola
Ti darò quello che vuoi
Tu non le somigli molto
Non
sei come lei
Però prendi la mia mano
E cammina insieme a me
Il tuo viso adesso è bello
Tu
sei bella come lei
(Senza Luce, Dik Dik)
Non aveva potuto fare un
granché per lui.
Forse non avrebbe nemmeno voluto.
Lei non era la sua
Natal’ja, ed era normale.
Era normale che non potesse fare niente.
La sua Natal’ja, poi, non
gli avrebbe davvero medicato le ferite.
Seduta accanto a lui,
l’avrebbe insultato fino allo sfinimento per non aver evitato quei fucili e
quelle sciabole.
Ma non si sarebbe mai
schiodata dal suo fianco, e quando anche l’ultima benda fosse stata annodata,
forse l’avrebbe abbracciato, perché anche se non era riuscito ad evitare quei
fucili e quelle sciabole lui l’aveva vinta, quella battaglia.
Avvolto dalla nuvola
dorata dei suoi capelli -che avrebbero
potuto soffocarlo seriamente, altro che fucili e sciabole zariste!- lui le
avrebbe chiesto se aveva finito di rimproverarlo.
Lei, con una certa
irriverenza scintillante negli occhi turchini, avrebbe scosso la testa, ma poi
non avrebbe detto più niente, perché in verità...
Era orgogliosa del modo in
cui lui aveva sbaragliato i contingenti zaristi.
Era orgogliosa del suo
Capitano che aveva liberato Krasnojarsk.
Forse era davvero speciale, la sua Natal’ja.
Quando Natal’ja tornò da
sua madre, non ebbe poi molto da raccontare.
-Sì, l’ha fatto per lei...
Ma forse se lo meritava-
Note
Šaška: Sciabola dei Cosacchi.
Tu non sei come lei, però
prendi la mia mano e cammina insieme a me: Senza Luce, Dik Dik.
Scrivo queste note di
volata, perché devo correre a studiare greco per domani.
Domani ho le ultime due
verifiche importanti del trimestre, e domani pomeriggio, se tutto va bene,
potrò tirare un sospiro di sollievo! ;)
Natal’ja Il’inična
Svetličnaja è una comparsa, non credo che la rivedremo.
Volevo descrivere il
ritorno di Feri dalla battaglia e il suo comportamento con le altre ragazze, le
ragazze diverse da Lys, da sua sorella e da Hell.
Natal’ja Il’inična
non è come Lys, nonostante abbia il suo stesso nome, nessuna è come Lys, ma in
un certo senso gli ha fatto bene conoscerla, parlarle, anche se solo per pochi minuti.
È una ragazza molto
discreta, inizialmente spaventata dal Capitano, ma trova il modo di aiutarlo
quasi senza accorgersene, senza farci troppo caso, perché la spiazza non poco,
Feri, con il suo modo di fare spesso incomprensibile, il suo arrabbiarsi per
niente e il suo sorridere per niente, ma quel niente per lui è tutto.
E alla fine, Feri accetta
di farsi medicare le ferite da Hajnal.
Accetta di stare meglio,
almeno per un po’.
Di Nočen’ka e Jàn, un
po’ meno testardi ma ugualmente distrutti, parleremo in uno dei prossimi
capitoli, così come della prossima “tappa” dei Forradalmi...
Ancora una volta, la Mërtvogo Doma.
A presto! ;)
Marty