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Autore: fiammah_grace    03/12/2012    2 recensioni
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"Se solo Jill avesse saputo di essere salvata da Albert Wesker, avrebbe provato tutt’altro che gratitudine, perfettamente conscia del fatto che da un incubo, sarebbe caduta in un incubo ancora peggiore.
Il rumore della pioggia era incessante.
L’uomo dai maligni occhi rossi alzò il viso lasciando che bagnasse il suo volto.
I capelli scomposti, ritornarono indietro appesantiti dall’acqua.
Il berretto della bruna cascò dalla testa scoprendo il suo viso addormentato.
Wesker, a quel punto, avanzò nella foresta, riprendendo del tutto le sue forze e sapendo perfettamente dove andare.
Ignara, la donna seguì il suo carnefice, trasportata nei meandri del suo peggior incubo. Frastornata e agonizzante, era ancora in balia del sonno, non sapendo nemmeno di essere ancora in vita, mentre Albert Wesker già progettava come attuare la sua vendetta."
Genere: Angst, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Albert Wesker, Jill Valentine
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE

 
 
 


 
CAPITOLO 13
 
 
 


Qualunque cosa tu stessi cercando, non l’avresti mai trovata. Questo perché avevi già distrutto tutto.
 


***
 
Jill passò tutta la notte a vigilare su un accampamento. L’oscurità era padrona di quella splendida notte stellata.
Il lungo mantello scuro che aveva addosso ondeggiò quando ella si girò per dirigersi altrove.
Esso la copriva interamente fino ai piedi, lasciando delineato appena il suo corpo femminile. Il cappuccio invece celava completamente il suo capo.
La ragazza portò una mano sul viso, sfiorando appena quella maschera a forma di becco, con due scintillanti occhi rossi, che oramai rappresentava la sua nuova identità.
Jill Valentine non c’era più.
Ella era divenuta l’arma biologica perfetta, dotata di forza, intelletto, obbedienza totale.
La sua mente, rivolta al tempo in cui era prigioniera in quelle celle del laboratorio, provò quasi rimpianto, ora che poteva essere libera di camminare in quel bosco, tuttavia sottomessa al volere del suo carnefice.
Osservò l’accampamento di fronte a se. I suoi occhi si focalizzarono sulle tende rovinate e stropicciate, il focolare oramai ridotto in cenere, e le ciotole di cibo disposte casualmente sul terreno. Tutto era sporco e distrutto.
Prese un frammento di ceramica fra le mani e lo roteo fra le dita.
Era il residuo di una vita oramai spenta, racchiusa in quel coccio, ancora sporco di cibo.
Perlustrò il luogo ancora per qualche minuto, ma ben presto si rese conto che non vi era rimasto più nulla. Così si affrettò a tornare nei laboratori.
Arrivò velocemente a destinazione. Camminò come conoscendo perfettamente quel posto, mentre, chi incrociava la sua figura, la lasciava passare col preciso ordine di non intralciarla.
Il Doctor Pleague era il nuovo esperimento di Albert Wesker ed Excella Gionne, dunque loro erano i soli che avrebbero disposto per lei.
Erano circa le tre del mattino, ed ella entrò silenziosa in una stanza dalla finestra. Era nell’appartamento dell’uomo biondo vestito di scuro.
Egli le aveva appositamente lasciato la grande vetrata in salotto aperta, questo perché attendeva il ritorno della ragazza.
Adesso che lui aveva ottenuto la sua ‘alleanza’, poteva approfittare della sua forza per sbrigare quelle faccende a lui più scomode e noiose, in modo da dedicarsi ai preparati per la sua imminente partenza.
Egli in quel momento era seduto sulla scrivania davanti a un computer, intento a perfezionare un documento a quell’ora tarda della notte.
Indossava i suoi soliti occhiali neri, nonostante il buio della notte, illuminato dalla sola luce dello schermo.
Sembrava non avere alcuna intenzione di dormire, essendo ancora vestito con la sua solita tenuta in fibra di carbonio.
Alzò lo sguardo soltanto quando vide la donna mascherata sul ciglio della porta che lo osservava.
Deformò appena le labbra, per poi avvicinarsi a lei, muovendosi nelle tenebre.
“Bentornata, Jill.” disse canzonatorio, superandola e dirigendosi nel salone principale.
La donna lo seguì, facendo intanto il rapporto della situazione.
La sua voce risultò più meccanica del solito, essendo modulata da un microfono presente nella maschera che indossava.
“L’ ispezione è conclusa. Non è rimasto più niente.”
L’uomo annuì e si fermò al centro della stanza. Alle sue spalle, la tenda ondeggiava, illuminata appena dalla bianca luce eterea della luna.
“Siamo in partenza, lo sai? Presto saremo in Africa.”
Jill abbassò il capo. Stavano dunque davvero per dirigersi nel covo ove aveva avuto origine il progetto Uroboros.
Il biondo le si avvicinò leggiadro, come una pantera in piena caccia di notte, ove i suoi occhi erano i soli a risplendere nel buio.
Una volta di fronte a lei, osservò la ragazza, che gli arrivava circa all’altezza del petto.
Le sollevò il viso sfiorandola sotto il mento con la punta delle dita, sfilandole poi delicatamente la maschera dai bulbi rossi.
Rimase a guardarla per qualche istante, come perso in quell’immagine piena di contrasti.
Il buio, la notte, e quel lungo mantello nero, ove sotto vi era nascosta quella donna dai lineamenti delicati, pallida, meravigliosa.
Ella aveva ancora il cappuccio sulla testa, e lo guardava in modo passivo, non potendo dare liberamente sfogo alle sue emozioni.
Nel suo animo, la ragazza era esausta ed infastidita.
Cercava con tutte e forze di non cedere, di mantenere il sangue freddo, ma il suo mondo stava oramai vacillando ancora una volta.
La sostanza che le scorreva in corpo la costringeva ad una lotta continua contro se stessa.
Sapeva di dover continuare a combattere per non venirne soggiogata del tutto, ma oramai era stanca.
Voleva solo che tutto questo finisse. In tutto questo, l’uomo che era di fronte a se, era stato capace di farla crollare ancora una volta.
Wesker portò la mano libera sul capo della bionda, facendole scendere il cappuccio, accorciando in seguito la distanza che vi era fra i due.
Jill si sentì leggermente a disagio per quel contatto così intimo con lui.
Egli si perse nuovamente nei lineamenti della giovane, della quale poteva finalmente ammirare il viso, contornato dai morbidi capelli biondi.
Le scostò una ciocca, continuando a fissarla col suo viso di marmo, del tutto privo di qualsiasi espressione.
Abbassò poi il capo verso di lei, sfiorandola e facendole sentire il suo respiro sulla sua candida pelle.
Ancora alterata per le rivelazioni apprese in quei giorni, la donna lì per lì non comprese cosa egli stesse facendo.
Sentì tuttavia il suo corpo irrigidirsi, esattamente come era successo l’ultima volta.
Temette immediatamente quella situazione. Temette di risentire dentro di se quei violenti impulsi che lo volevano inspiegabilmente vicino a se.
Ogni parte del suo corpo respingeva e desiderava la vicinanza di Wesker allo stesso tempo. Tuttavia non poteva accettare colui il quale la stava trasformando in una macchina diabolica, sottomessa al suo volere. Ogni speranza avrebbe solo rappresentato una falsa illusione, lo sapeva bene.
Eppure, seppur non l’avrebbe mai ammesso, Jill desiderava essere ingannata ancora una volta da lui. Probabilmente, era proprio il momento crudele e meschino della menzogna l’unico nel quale poteva chiudere gli occhi e lasciare che si avvicinasse il principe nero dei suoi incubi. Quel momento fatale che le rendeva possibile credere ancora in tutto.
Seppur inconcepibile, quel senso di odio e di repulsione verso di lui, la dannava e la rendeva desiderosa di lui in una trappola senza via d’uscita. Un rapporto proibito dalla sua mente, ma che rendeva meraviglioso il contatto del suo respiro sulla sua pelle.
Era il P-30 a farla sentire così? Era sottomessa a lui fino a questo punto? Oppure era proprio la presenza di Wesker?
Non riusciva a spiegarsi quei sentimenti.
Ogni parte del suo corpo lo odiava e lo desiderava allo stesso tempo.
Come era possibile una realtà simile, si chiese. Tuttavia era in quel modo struggente che si articolava la tormentata relazione di Albert Wesker e Jill Valentine.
Quel criminale crudele e spietato, in nome del quale aveva rinunciato alla sua vita, diventata una lotta perpetua e maledetta, era allo stesso tempo padrone del suo cuore, e non soltanto perché la possedeva. Era anche perché, in una parte remota dentro di sé, ella desiderava essere sua.
Allo stesso tempo, sarebbe fuggita immediatamente da lui, consapevole che non era altro che una macchina assassina.
Eppure in quel momento, anch’egli sembrava desiderare quel contatto umano che probabilmente aveva rinnegato per tutta la vita.
Egli si era dunque stancato della solitudine, di quella lotta amara che gli aveva causato più pene che vittorie?
Cosa cercava ancora nelle sue ricerche, allora?
Egli era solo, completamente solo.
Qualunque cosa lo circondasse, era perduto o distrutto.
Era per questo che il cuore di Jill si lacerava al contatto con la sua pelle.
Sentiva il bisogno di Wesker di lasciare tutto, ma di non essere oramai capace di farlo, ingabbiato forse più di lei in quella realtà.
L’uomo fece scorrere il suo viso su quello della sua ‘nemica’ e le sfiorò appena le labbra.
Tuttavia non la baciò, rendendo struggente per la giovane dai capelli biondi quella vicinanza.
Lui si allungò verso il suo orecchio e prese a parlarle a bassa voce.
Ella poté sentire il suo fiato tenue sul collo, mentre muoveva le labbra quasi attaccato a lei.
“Tutto ciò che si crea, può essere distrutto.” proferì inaspettatamente, come abbandonandosi alle parole.
Si allontanò appena da lei, e inaspettatamente le mostrò, a due dita di distanza, una capsula con su scritto una serie di lettere e cifre.
“La vedi, questa?” disse, muovendo l’oggetto tra le sue dita.
Jill corrucciò le sopraciglia cercando di leggere.
‘PG67A / W…’
cosa era custodito in quel vetro?
Vide Wesker sorridere appena, con un’espressione amara, come fosse straziato dentro.
Riconobbe in lui, ancora una volta, quel viso angosciato che rifletteva i suoi turbamenti personali.
“Dopo che sono morto, trafitto dal Tyrant nei laborati Arklay, questa mi ha permesso di mantenere inalterata la mia mente. Come tutti i nostri esperimenti, eseguiti in più parti del mondo, anche il virus che ho in corpo è instabile.”
Pronunciò con disillusione, osservando egli stesso quella fiala.
Sorrise di nuovo, per poi rivolgersi verso la bionda con un tono leggermente provocatorio.
“Una dose quotidiana di questa può salvarmi, ma una dose eccessiva, invece…mi avvelenerebbe.” Pronunciò con una fastidiosa calma, trafiggendo Jill con suoi occhi.
Jill sgranò gli occhi, comprendendo di avere a un centimetro di distanza la chiave per sconfiggere Albert Wesker, la chiave per sconfiggere i suoi incubi…
Seppur impercettibile, una goccia di sudore scorse sul corpo, facendola tremare.
Perché lo stava mostrando proprio a lei?
Voleva torturarla mentalmente, facendole vedere con i suoi occhi ciò che l’avrebbe potuto uccidere, proprio perché ella era impotente per via del P-30?
Egli si avvinò di nuovo, poggiandosi sulla sua fronte.
“Morirò. Non adesso, non domani. Ma presto.”
Jill non riuscì a comprendere quelle parole. Cosa stava cercando di dirle?
Perché la stava rendendo partecipe di un segreto simile?
“Quando ciò accadrà, sarai tu a dire, a tempo debito, di trovare questa fiala ed usarla contro di me.”
Wesker sembrava impazzito.
Era come se una parte di lui desiderasse la sua stessa morte, oppure…stava cercando di provocarla?
Nulla fu più chiaro nella sua mente, che si trovò nel subbuglio più completo.
“Chris Redfield…o tu. Chi dei due sarà?” chiese lui quasi a se stesso, deformando le labbra in un ghigno.
La donna sentì tutta la frustrazione che regnava nell’animo di Wesker.
In quel momento, in cui avrebbe soltanto voluto avere la forza per sfilargli quella fiala di mano e iniettargliela nel collo, sentì invece il suo cuore straziarsi.
Seppure fosse ingenuo e incosciente credere alle sue parole, credere a quel viso affranto celato da quell’espressione glaciale, il suo corpo si mosse senza che se ne rendesse neanche conto.
Tese le sue mani verso di lui, facendo sprofondare le dita sui suoi capelli biondi. Premette poi sul suo collo, avvicinando l’uomo vestito di nero a se.  
Sentì il viso di Wesker al di sopra della sua spalla, il quale si lasciò guidare da quelle braccia, non aspettandosi neanche lui di ricevere un gesto simile da parte di lei.
In cuor suo, Jill avrebbe voluto credere che sarebbe bastato questo a farlo desistere da ogni suo piano, a farlo marciare verso altro, magari per fuggire da quella realtà e sparire per sempre.
Ma sapeva che non sarebbe mai stato così.
Sapeva che non sarebbe stato da Albert Wesker, altrimenti.
Seppur bisognoso, in una parte ancora viva dentro di sé, del calore tipico dell’affetto umano, egli aveva da sempre allontanato da se quel tipo di sentimento.
Il suo corpo rigido e statuario, rimase freddo al contatto di Jill, che fu la sola a partecipare a quel tenue abbraccio.
Wesker era lontano da qualsiasi forma di amore. Quell’aspetto della vita di un uomo non gli era mai appartenuto.
Nonostante sentisse vibrare qualcosa di diverso nel suo corpo, non riuscì a provare nulla.
Smosso, tuttavia, da quel contatto, fu bramoso di scoprire cosa guidasse quei sentimenti che non poteva comprendere.
Si sollevò dalla spalla di Jill, per sfiorarle un’ultima volta la morbida bocca.
Ella pareva voler assecondarlo, e quel desiderio pulsò anche dentro di lui.
Si limitò però solo ad avvicinarsi appena, curioso di scoprire se potesse ancora sentire qualcosa verso un altro essere umano.
Erano sentimenti sconosciuti e rinnegati, che oramai poteva sentire soltanto nel buio assoluto dei suoi pensieri.
Per questo si allontanò.
Per questo indietreggiò e fece sì che la donna si staccasse dal suo corpo.
Ogni residuo della sua umanità lo torturava, tormentandolo interiormente fino a fargli male.
Un dolore al quale non poteva dare un nome.
Per questo scacciò via, ancora una volta, quel che di umano gli era inesorabilmente rimasto, non essendo ormai più capace di provare qualcosa per qualcuno.
Un’umanità assaporata quella notte, sotto la pioggia con la stessa donna che anche adesso aveva di fronte, e stava scacciando ancora una volta. Quell’umanità intesa, meravigliosa, ma stupida, evanescente, violenta e crudele.
 Jill rimase attonita, sentendo il peso di quella situazione devastante.
Socchiuse gli occhi, mentre l’ansia cominciò ad assalirla, facendola sentire stupida ancora una volta.
Era tutto inutile. Era troppo tardi. Nulla avrebbe mai più salvato né lei, né Wesker.
Si chiuse dunque nella desolazione che albergava nel suo cuore.
Osservò distrattamente Wesker.
Egli avanzò verso la lunga vetrata che rivestiva un’intera parete in fondo alla stanza.
Lo vide portare le mani dietro la schiena, perdendosi in pensieri che lei non avrebbe mai potuto conoscere.
Abbassò il viso, risentita verso se stessa, verso la sua ingenuità che inspiegabilmente desiderava ancora comprenderlo e cambiarlo, consapevole che tutto ciò non avesse alcun senso.
Vide di nuovo la fiala che Wesker aveva fra le sue mani e strinse gli occhi.
Wesker credeva forse che per lei sarebbe stato facile ucciderlo..? Credeva forse che lei desiderasse soltanto questo..?
Era così che lui aveva creduto di torturarla?
Sì, in effetti lui era riuscito a torturarla in quel modo, ma non per quel motivo, non perché desiderava ucciderlo…
Avrebbe potuto ingannare tutti, persino se stessa, ma non il suo cuore, che impazziva alla sola idea che anche lui scomparisse per sempre dalla sua vita.
Quel gioco crudele che lui aveva con lei la feriva per questo, perché lui non avrebbe mai compreso quel concetto ampio e contraddittorio dei “sentimenti”, continuando a credere solo a quella visione del mondo che lui stesso aveva creato, circondandosi di solitudine.
Jill…desiderava mettere fine ai suoi incubi, desiderava non rivedere mai più quel viso. Ma allo stesso tempo, temeva con tutta se stessa il giorno in cui sarebbe successo davvero.
Wesker si voltò d’improvviso, attirando l’attenzione della ragazza, che tuttavia lo vide solo dirigersi a passo veloce verso la sua camera da letto.
Seguì i suoi movimenti, finché egli non sparì oltre la porta.
Mentre si inoltrava oltre la soglia, lui si voltò appena, rivolgendole il suo sguardo attraverso gli occhiali neri, che in quel contesto notturno trasmettevano un che di inquietante.
“Dormi, ne avrai bisogno.” disse, poi chiuse la porta dietro di se, lasciando la ragazza sola  nel buio dell’appartamento.
 
Jill Valentine stette in piedi a fissare il vuoto, illuminata dal bagliore bluastro della luce notturna per diverso tempo. Non seppe quanto, con esattezza.
Sentiva solo qualcosa fremere dentro di se, e questo accadeva ogni qual volta incontrava Wesker.
Solitamente era per via della sua vicinanza, che nonostante gli anni, continuava a turbare il suo l’animo, che era assai combattuto, diviso tra ragione e sentimento.
Eppure andavano in contrasto anche loro.
Non vi era nulla di razionale in quel che sentiva per lui.
Se avesse voluto descrivere quel che sentiva, non avrebbe mai trovato le parole giuste che avessero potuto includere ogni pezzo del mosaico che costituiva nel suo insieme il rapporto che viveva con lui.
Avrebbe provato soddisfazione quando sarebbe morto, oppure avrebbe pianto?
Dentro di se, sapeva che quell’uomo non meritasse alcuna lacrima.
No, non avrebbe pianto.
Albert Wesker non meritava pietà, non meritava comprensione.
Nonostante ciò, la consapevolezza di aver visto fra le sue mani quello che poteva rendere vulnerabile quell’uomo sovraumano, la sconvolse.
Non poté fare a meno di pensare che sarebbe bastato trafugarla, e tutto sarebbe finito. Wesker sarebbe morto…
Quel pensiero tuttavia la straziò. Desiderava davvero che lui morisse?
Aveva sempre inseguito Wesker, ovvio che fosse così.
Eppure, una parte di lei, avrebbe voluto non conoscere l’esistenza di quella sostanza. Avrebbe voluto continuare a rincorrerlo per sempre.
Sapeva però anche che il suo scopo era punirlo per ciò che aveva fatto, per ciò che l’Umbrella aveva compiuto.
…E invece, adesso scopriva di non essere pronta…
Strinse gli occhi.
Non doveva cedere!
Era lo scopo della sua vita, era normale che fosse nervosa.
Cercò di spiegarsi razionalmente il perché di quei turbamenti, ma l’animo delle persone può essere spesso molto irrazionale.
In quel momento, quello di Jill Valentine, era nel subbuglio più completo.
Con la morte di Wesker, la sua storia non sarebbe finita.
La lotta contro il bioterrorismo sarebbe continuata, perché ciò che si era instaurato era un ciclo continuo di rivendita delle B.O.W. sul mercato nero.
Si sarebbe dunque chiuso soltanto quel capitolo, avrebbe tolto di mezzo solo colui che l’aveva coinvolta in quella storia, ma certo non avrebbe riavuto la sua vita indietro…
In tutto questo, si domandava…era davvero pronta a chiudere quel capitolo?
Lo era! Certo che lo era! Lo doveva essere!
Lo doveva essere non solo per se stessa, ma anche per Chris, per la B.S.A.A., per tutti i suoi amici, colleghi, per Raccon City, per tutti coloro che erano stati strumentalizzati per quella folle ricerca, per i milioni di morti, per coloro che erano andati incontro a quel destino nefasto…
…per questo non poteva cedere.
Suppur il P-30 le impediva di ribellarsi, poteva comunque essere libera di accumulare quante più informazioni possibili.
Doveva prepararsi per il giorno in cui sarebbe riuscita a mettersi in contatto con Chris Redfield. Avrebbe avuto la sua occasione prima o poi, e avrebbe dovuto essere pronta.
Così decise di sfruttare quella sua occasione.
Non poteva rubare quella fiala per via del P-30 che le impediva di ribellarsi a lui…ma…attingere notizie non significava ribellarsi.
Ricordò che, quando era entrata in quell’appartamento, Wesker stava scrivendo qualcosa nel buio della sua stanza.
Era passata all’incirca un’ora da quando lui era andato a letto…era possibile che dormisse?
Sapeva che quella fosse una possibilità su un milione, tuttavia poteva fingere di aver sentito qualcosa, semmai l’avesse trovato sveglio.
Dunque, camminò piano nel corridoio, e delicatamente girò il pomello per affacciarsi nella sua camera.
Essa era buia, e lui non si vedeva in piedi.
Sbirciò più attentamente, cominciando ad avanzare.
Vide la sagoma dell’uomo posizionata di spalle sotto delle lenzuola di seta.
Si avvicinò cautamente, ma in quel buio era impossibile stabilire se stesse dormendo o meno.
Deglutì quando, spostando appena la tenda per far entrare un po’ di luce lunare, si accorse del suo viso addormentato.
Seppur con la sua solita espressione seria, i suoi occhi chiusi e quel volto rilassato creavano un’immagine abbastanza insolita da vedere su di lui.
I suoi capelli biondi non erano perfettamente lisciati all’indietro, e cadevano morbidi, appena un po’ scomposti, sul viso.
Senza accorgersene, Jill rimase immobile, con le mani sulla tenda e il viso verso di lui, per una buona manciata di secondi.
Non si era mai chiesta se trovasse Wesker bello.
Certo, era un uomo attraente, con un carisma innegabile nonostante tutto il marcio e la crudeltà che vi fossero dietro. Tuttavia raramente l’aveva valutato come uomo.
All’epoca della S.T.A.R.S. era rapita dal suo fascino, dalla sua risolutezza e capacità intellettiva, ed in un certo senso, era così anche adesso. Questo l’aveva fatta incantare di lui. Ma non si era mai fermata a riflettè se lei lo trovasse bello.
Sentì il viso accaldarsi inspiegabilmente, ma non volle cadere in certe trappole adolescenziali.
Doveva affrettarsi e approfittare di quell’attimo.
Così scacciò via quei pensieri e si sedette sulla sedia di fronte la scrivania ove era stato lasciato il computer portatile personale di Wesker.
Lo accese, sperando che la luce emessa dallo schermo non lo disturbasse. Si voltò, sbirciando in sua direzione, ma egli era immobile.
Doveva tuttavia agire in fretta, così accedette alla memoria del computer per risalire agli ultimi documenti che lui aveva aperto.
Sbarrò gli occhi quando lesse il nome del file più recente. Vi era scritto:
-Wesker Albert report-
Il suo cuore prese a battere, ma non indugiò. Con la calma tipica del soldato che era stato, proseguì con la ricerca, aprendo il file.
Molte date scorsero sotto i suoi occhi, e risalivano a più di vent’anni prima. Ventinove, con esattezza.
1978 …1981…1983…1988…1995…1998…
Dalle parole usate da Wesker, comprese che quel documento fosse stato scritto molto prima. Probabilmente risaliva al tempo in cui lui li aveva traditi.
Fu incuriosita di leggere su un Wesker diciottenne, ma non lo ritrovò molto diverso da come lui era effettivamente oggi.
Avrebbe voluto avere il tempo per leggere con calma, ma doveva essere capace di comprendere al volo cosa potesse esserle utile da quell’insieme di notizie.
Sbirciò appena le immagini allegate nel documento e non poté fare a meno di rabbrividire. Non solo di quelle foto, ma anche della scioltezza e la freddezza con cui egli trattasse certi argomenti.
Il cuore le salì in gola quando, facendo mente locale, riconobbe il mostro che girovagava per la villa sui monti Arkay.
Lisa Trevor…allora…anche lei.
Portò una mano sulla fronte, abituata a leggere notizie simili, ma non ancora così insensibile da rimanere indifferente. Quella povera bambina…
Ricordava ancora quel corpo deformato, le catene che l’imprigionavano, ma soprattutto…le sue urla di dolore.
Ricollegarle ora a quella bambina tenuta prigioniera l’afflisse.
La cosa che la straziò maggiormente fu ricordare cosa ella aveva esclamato vicino una tomba, prima che si lanciasse nel vuoto, ponendo così fine alla sua esistenza: “…madre…”
Era ancora tutto così nitido nella sua mente. Ogni singolo episodio, ogni singolo particolare di ciò che aveva veduto in quella villa maledetta.
Era come se tutto fosse ancora davanti ai suoi occhi.
Non poteva tuttavia perdersi nel dolore proprio adesso.
Continuò a sbirciare, ma furono troppe le notizie che attirarono la sua attenzione.
Riconobbe il caso Ashford, raccontatole da Chris e da sua sorella Claire, e a quanto pareva Wesker aveva raccolto dei dati anche sul Nemesis da lei stessa affrontato prima di riuscire a fuggire da Raccon City…nonché ritrovò anche i dettagli sulla sua stessa missione sui monti Arklay.
Si chiese se Wesker non avesse parlato anche di lei, lì, da qualche parte.
Fece scorrere più lentamente quella pagina, non sperando di trovarvi scritto qualcosa, ma si fermò quando riconobbe il suo nome e quello dei suoi colleghi S.T.A.R.S. .
Lesse qualche riga, ma si fermò.
Era già straziante di suo quel che era successo. Voleva dunque davvero sapere cosa lui avesse scritto di lei?
No…probabilmente voleva preservare il suo cuore almeno da questo…
Quel che lui aveva fatto a lei…a Barry…usandolo come un Giuda…a Chris e agli altri…
Quel ricordo fu doloroso solo rievocarlo.
Leggere come fossero stati tutti, compresa lei, soltanto delle pedine, era una consapevolezza che aveva già dentro di se.
Dunque risalì alla prima pagina, cominciando a leggere gli albori della sua carriera nell’Umbrella Corporation. Magari lì avrebbe trovato indizi utili per risalire alla natura dei virus da lui creati, da sfruttare a suo vantaggiò e contrastare il contagio.
Quell’istante però non durò a lungo.
Questo perché, all’improvviso, una mano premette energicamente sullo schermo chiudendo violentemente il computer, senza darle possibilità di far nulla.
Jill si immobilizzò all’istante comprendendo che Wesker fosse dietro di lei.
“Hai letto già troppo, Jill.” disse glaciale.
La ragazza sentì dietro di sé il suo corpo, mentre l’avvolgeva con il suo braccio sinistro appoggiato sul coperchio del computer portatile.
Ella si girò appena verso di lui, con un viso serio e inquieto.
Lui invece era duro e tenebroso, infastidito di vederla lì.
Il suo petto era nudo, lasciando vedere così il suo corpo allenato e longilineo, che in quel contesto trasmise ancora più imponenza negli occhi smarriti della giovane Jill Valentine.
Lei lo guardò cercando di presagire una sua possibile mossa, ma lui fu più veloce di lei.
Di scattò, infatti, l’afferrò per il collo del lungo mantello scuro che l’avvolgeva, e la strattono via dalla sedia.
La ragazza, travolta dalla sua forza, si rimise a stento in piedi, non potendosi divincolare in nessun modo.
Lui la trascinò senza difficoltà, schiacciandola poi contro il muro con fare minaccioso.
Strinse di più la sua mano sul tessuto, premendole sul collo, e con l’altra le girò a forza il viso verso di lui, ponendosi a due dita di distanza.
Stavolta, però, quella vicinanza non fu per nulla intrigante e suadente come lo era stato precedentemente.
Jill sentì la paura prendere il sopravvento, non riuscendo nemmeno a guardare quegli occhi rossi furenti.
“Ci divertiamo, mia cara, a scherzare col fuoco. Oh, Jill, sei fastidiosamente ingenua quando ti comporti così.”
Rise lui crudelmente, soffocando la ragazza con la sua presa.
“Obbiettivamente mi hai preso di sorpresa stavolta. Eri stata fortunata a trovarmi addormentato. Ma la fortuna consiste in un attimo, e a te non sarebbe mai bastato. Una cosa posso dirtela, però: non avresti trovato nulla di tuo interesse. Tutto ciò che vuoi sapere, è soltanto qui…” disse picchiettando con l’indice sulla sua fronte.
A quel punto, la strattonò di nuovo e la buttò con violenza sul materasso.
Jill si ritrovò libera dalla sua presa, ma non potette fare nulla per spostarsi da lì.
Le iniezioni del P-30 erano fortissime.
Si ritrovò così soltanto spaesata sul letto, confusa per la veemenza con cui lui l’aveva strattonata.
Non fece in tempo a formulare qualsiasi pensiero di senso compiuto che potesse aiutarla a reagire in qualche modo, che lui si mise in ginocchio sul letto di fronte alla ragazza, per poi protrarsi sopra di lei, afferrandola per i polsi.
Il suo sguardo diabolico mise in allarme Jill, che si fece assalire dal panico più completo.
Wesker rise come un folle, divertito da quegli occhi spaventati.
Egli si piegò su di lei fino a esserle vicinissimo.
Jill strinse istintivamente gli occhi, mentre il suo cuore palpitò forte, terrorizzata di essere in balia di lui.
Avrebbe voluto scacciarlo con tutte le sue forze, ma ogni suo tentativo le si rivoltava contro, costringendola ancora di più al volere del P-30.
Sentì il robusto corpo scolpito di Wesker attaccato al suo, e provò sia paura che eccitazione al suo contatto, ma non voleva in nessun caso che lui si avvicinasse ulteriormente a lei.
D’improvviso, Wesker mosse le labbra e con voce calda e suadente le bisbigliò.
“Hai paura… Jill?”
Disse provocatoriamente, rimanendo a fissarla dall’alto.
Jill non rispose. Rimase immobile a guardarlo, con gli occhi sgranati, accaldata e sconvolta.
Wesker rise fra i denti, poi stette anch’egli in silenzio per qualche istante.
Accennò un sorriso beffardo.
“Preparati, Bird Lady. Siamo pronti per la partenza.”
Pronunciò con fare saccente, annunciando il suo intento di partire. Spostò poi le gambe e andò via da sopra di lei.
La bionda rimase sdraiata sul letto, incapace di muoversi, incapace di fare qualsiasi cosa.
L’uomo indossò i suoi immancabili occhiali scuri poggiati sul comodino di fianco al letto, e aprì la finestra.
Stava lentamente sorgendo il sole, anche se era ancora abbastanza buio fuori.
Egli rimase assorto ad ammirare il paesaggio boscoso un’ultima volta. Subito però s’inoltrò di nuovo nella stanza, avvicinandosi all’armadio e prendendo la sua maglia nera. La infilò e alzò la zip.
Passò poi una mano fra i capelli, aggiustandoli con un solo tocco, nonostante comunque stessero già al loro posto.
In seguito abbandonò la stanza, lasciando finalmente Jill sola e quindi libera di prendere respiro.
La ragazza ansimò fortemente prima di riprendersi, completamente sotto shock.
Tuttavia dovette alzarsi. Wesker la stava chiamando e lei non poteva disobbedire.
 
Nonostante l’aria pesante che vigeva fra i due, questi percorsero un lungo tratto di strada assieme.
Il sole ora sorto e illuminava i laboratori con le prime luci dell’alba, tinteggiando quel luogo di un arancione simile al giallo.
Era un gioco di luci meraviglioso da vedere, peccato per il luogo in cui questo si era manifestato..
Wesker e Jill raggiunsero l’aeroporto interno all’edificio. Jill fu quasi abbagliata da quell’improvvisa e forte luce mattutina, nonostante fosse protetta dalla maschera a forma di becco che di nuovo nascondeva il suo viso.
Presto furono raggiunti anche da Excella Gionne, che indossava degli appariscenti occhiali da sole, e sembrava imitare in qualche modo Wesker stesso.
La donna si affiancò a Wesker e insieme varcarono lo sportello per entrare dentro l’aereo privato.
Jill invece accedette da un altro ingresso, con l’ordine di vegliare sul materiale da loro trasportato. Così ella rimase sola tutto il tempo, nel più cupo silenzio, mentre attendeva di giungere a destinazione, sicura che stava per essere portata, ancora una volta, in un incubo ancora peggiore.
Si sedette a terra e piegò la testa fra ginocchia, potendo soltanto approfittare di quel momento di solitudine per essere sola con se stessa, nonostante non fosse esattamente piacevole.
Quando era sola, Jill non riusciva comunque ad allontanarsi dai suoi incubi. Mai.
La sua mente tornò a quel che era accaduto quella notte, in cui nuovi dubbi erano sorti, nuove complicazioni con le quali ben presto avrebbe fatto i conti.
Altrove, Excella e Wesker erano accomodati su dei divani e stavano facendo colazione insieme.
La bruna avvicinò a se una tazza di the, sorseggiandolo a piccoli sorsi. Si rivolse poi a Wesker guardandolo con fare accattivante.
 “Dunque presto saremo arrivati. Inizieremo subito?”
Wesker si rilassò sullo schienale del divano e accavallò elegantemente le gambe, incrociando poi le mani all’altezza dell’addome.
“Ovvio, salvo imprevisti. E’ tutto pronto lì?”
“Sì, stanno solo aspettando noi. Uroboros è pronto per essere testato. Chi sceglieremo per questo ‘onore’? La tua preziosa Jill Valentine?”
Chiese provocatoriamente lei, ma Wesker non batté ciglio.
Anzi, sorrise e si piegò appena verso di lei.
“Esatto, Excella.”
I due sorrisero diabolici, con la sola differenza che Excella non sapeva ancora di essere anche lei, a sua volta, solo una sua pedina nel suo piano.
Per questo Wesker sorrise, quasi deridendo quella sua ingenuità.
A un certo punto, vide anche Excella ridere velatamente, al che si incuriosì.
“Lo trovi divertente?” chiese.
“Ho sentito un bel po’ di baccano provenire dalla tua stanza, verso le quattro e mezzo del mattino…” dopodiché rise di nuovo. “Dormito bene, Albert?”
Wesker lì per lì la guardò perplesso.
Stesso lui rimase sorpreso da quella improvvisa battuta davvero maliziosa.
Si adagiò di nuovo sul divano e rispose tranquillo.
“Ho dormito benissimo.” disse quasi volendo sviare Excella, tanto per divertirsi, poi aggiunse “Piuttosto, non eri gelosa di Jill?”
Excella posò la tazzina di the puntando il suo sguardo sul tavolino posto fra di loro.
“Sì, lo so. Tanto però l’ho capito. A te lei piace, vero?” chiese ammaliante, come se anche lei volesse provocarlo, e lo fece con una disinvoltura inquietante.
“Cosa te lo fa pensare?” rispose lui ad agio, tuttavia interrogandosi egli stesso su cosa effettivamente stesse accadendo fra lui e Jill.
Vide la donna dai capelli neri abbozzare un sorriso, per poi alzarsi e sedersi accanto a lui.
Ella si appoggiò appena sul suo petto, portandovi una mano sopra.
Alzò il viso verso di lui, ma Wesker non ricambiò.
Egli era immobile, completamente impassibile al contatto di lei.
“Certe cose le donne le sentono. Ma non preoccuparti, ci penserò io a fartela dimenticare.”
Wesker alzò un sopraciglio, continuando a guardare dinanzi a se, assorto. Prese poi la mano di Excella, allontanandola da lui, e le si rivolse.
“Cerca di non fantasticare troppo. Il viaggio è abbastanza lungo, vedi dunque di non essere fastidiosa.”
Disse elegante, ma con una crudeltà inaudita.
Excella infatti si risentì e si staccò da lui, riprendendo poi in mano la tazza di the e finendo la sua colazione.
 
***
 
 
 


 
 
Aggiornamento repentino questa volta. In questo capitolo ho voluto riprendere altre argomentazioni su questa coppia, su questi due personaggi, che arricchiscono di significato questa vicenda, almeno spero che sia così.
Nel mio piccolo, voglio mostrare tutto quello che vedo in Wesker e Jill, e in questo capitolo ci sono dei tasselli importanti.
Jill, divenuta la “Bird Woman”, il “Doctor Plague”, la “Crow Lady”…divisa tra inganno e realtà, tra amore e odio, tra ragione e sentimento, tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato…
Wesker, incapace di amare, incuriosito dall’amore, ma tuttavia titubante, riluttante verso la sua umanità, verso i sentimenti.
Perché essi sono così importanti?Perchè sono capaci di sconvolgere un uomo?
Egli si avvicina a Jill per questo…per riscoprire qualcosa che non gli appartiene più. Eppure fugge via, distaccandosi dal residuo della sua umanità. Fuggendo da quella parte della vita che ha sempre rifiutato. Che lo tortura e lo rende ancora umano, e che lui disdegna.
Poi, il PG67A / W.
Jill conosce questo prodotto e in re5 telefona Chris rivelandogli la chiave per sconfiggere Wesker.
Come lo ha saputo? Possibile che Wesker, in re5, l’abbia resa partecipe di un dettaglio simile?
Sono solo due le possibili risposte che mi sono data.
La prima è che non abbia mai considerato Jill una possibile minaccia, soggiogandola al suo potere.
La seconda è che l’ha resa lui stesso partecipe dell’esistenza di quella sostanza…per un motivo ben preciso….
La prima ipotesi non è molto “riflessiva”, non è alla Albert Wesker, colui che è pianifica ogni cosa.
Dunque, con questo capitolo, ho voluto esporre una mia ipotesi: Wesker ha pianificato anche questo in re5, anche la sua morte stessa. Per questo ha rivelato a Jill l’esistenza di quella sostanza.
Il concetto della morte, nella mente di Wesker, è evoluto pian piano nel corso della mia fanfiction, se ci avete fatto caso.
Dal capitolo 3, fino ad adesso…
Ed in questo frangente, Wesker elabora tutto quello che da qui ad un anno accadrà con re5, compresa la possibilità della sua morte.
Non è fin troppo sospetto, infatti, che in re5 Jill sa del PG67A / W? Non solo. Wesker la lascia sola con Chris, sapendo bene che lui avrebbe fatto di tutto per salvarla, dunque si sarebbe accorto del marchingegno sul suo petto?
Questo avvale ancora di più la mia teoria.
Inoltre, in questo capitolo, ho voluto fare riferimento anche ai bellissimi “Wesker Report”.
Per chi non li avesse mai letti, consiglio di farlo, soprattutto il II. Sono delle bellissime ed inquietanti finestre su tutto l’operato di Wesker, che arricchiscono ancora di più una figura affascinate come la sua.
Un altro tassello che ho voluto riprendere con questo capitolo è stato poi, soprattutto, il rapporto conflittuale di Wesker e Jill, ove le catene che prima bloccavano i loro sentimenti, sono state leggermente sciolte, e non potevo dunque ignorare quel che comunque è accaduto fra loro.
Vi ho proposto dunque questo capitolo un po’ “romantico”, un romantico dark, dato il loro tipo di rapporto, che ribadisse di nuovo quell’attrazione letale che danna e che rende intrigante il loro pairing.
Spero la lettura sia stata piacevole!!
A presto!
<3
 
 
 
  
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