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Autore: Dejanira    03/12/2012    5 recensioni
Draco e Hermione. Ridotti allo scheletro di loro stessi, nello scenario della Hogwarts più devastata di sempre. Cosa significa essere studenti nel dopoguerra? Fare i conti con le ombre dei cadaveri che costellano i propri incubi, e con i banchi lasciati vuoti dagli amici morti. Significa aver bisogno di fiabe, e di sentirsele sussurrare all’orecchio nascondendosi tra le spire di una notte di velluto. Scendere a patti con le fate, che siano vanitose creature alate o indaffarate e amorevoli fate madrine, solo un po’ più brille e drogate. Potrebbe voler dire essere un po’ meno se stessi, per potersi accettare.
Dopo il sangue, dopo i caduti, dopo la guerra, essere Draco o Hermione può ancora significare qualcosa?
Genere: Dark, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Il trio protagonista, Serpeverde, Susan Bones, Theodore Nott | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
Capitoli:
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Hogwarts Horror Story

- Part 1: Fall –

 

9.

Magic, Drugs & Rock n’ Roll

 

 

 

fata

[fà-ta]

s.f.

Creatura delle selve, delle lagune e dei boschi. Ha l’aspetto di un donna giovane, eterea, di bell’aspetto e bassa statura, anche se può assumere diverse forme a seconda di chi si trova davanti.

Le fate sono creature dall’indole generosa, e non è raro che cerchino il contatto con la specie umana; sono solite elargire doni a coloro che sottopongono prima a una prova, presentandosi solitamente sotto l’aspetto di donne anziane o fanciulle bisognose. Esse mostrano tuttavia un carattere vanitoso, dispettoso e vendicativo; sono molto irascibili e possono decidere di scatenare la loro ira contro chi è irrispettoso con loro o si rifiuta di credere nella loro esistenza.

Pur essendo creature della luce, le fate amano le tenebre. Non appaiono mai agli uomini durante le ore di sole e, ad eccezione di non volersi spontaneamente mostrare, richiedono che si porgano loro delle offerte, solitamente banchetti o fiori, affinché si materializzino di fronte agli occhi di un umano.

 

Morag alzò gli occhi dal libro che aveva preso quel pomeriggio in prestito dalla biblioteca. Accovacciata sul pavimento in marmo della Torre di Astronomia, guardava Hermione Granger, in piedi e con un’aria tremendamente seria, e Susan Bones, seduta sulla balaustra in un modo che a Morag, che soffriva di vertigini, provocava una cocente agitazione.

Le due ragazze non avevano fiatato da quando Morag aveva cominciato a leggere; e se, tra le due, Susan Bones aveva un’espressione vagamente assente, Hermione Granger ostentava tutta l’ansia e la preoccupazione che aveva accumulato in quei due giorni.

«Continuo a non capire» disse Hermione, camminando nervosamente avanti e indietro. Susan seguiva i suoi movimenti con lo sguardo, impassibile.

«Secondo te» e qui Hermione puntò gli occhi dritti in quelli di Morag, «quello che è successo a Malfoy ha a che vedere con la fata che abbiamo incontrato nella Foresta Proibita l’altra notte. Sinead.»

Morag annuì debolmente. Hermione la guardò, attendendo che aggiungesse qualcos’altro, ma non lo fece. Così la Grifondoro continuò a esporre i suoi dubbi.

«D’accordo, Malfoy è stato di certo scortese con lei quella sera, ma lo stesso vale anche per Barry. E nemmeno Ron si è mostrato particolarmente incline ad aiutarla» le ricordò Hermione. «Perché avrebbe dovuto punire proprio lui?»

Morag chiuse il libro con un sospiro. Hermione rabbrividì per il freddo.

«La fata non voleva punire Malfoy» rispose Morag, sotto gli occhi disorientati di Hermione e Susan. «Voleva ringraziare te, Granger.»

Hermione aggrottò le sopracciglia e aprì la bocca, ma rimase in silenzio. Perfino Susan, che non era sembrata molto partecipe alla discussione fino  quel momento, storse la bocca.

«Eh?» fece infatti, confusa.

«Non è evidente?» sbottò Morag, mentre le altre due la guardavano truce. «Quella notte la fata, com’è nella sua natura, ci ha messo alla prova per decidere se premiarci o meno con un dono. Tu, Granger, sei stata l’unica di noi che ha cercato di aiutarla, e questo è il dono che lei ha scelto per te.»

Susan guardò Hermione perplessa. Lei, sentendosi accusata, boccheggiò più volte.

«Stai scherzando!» sbottò risentita. «Io non le ho mai chiesto di fare del male a Malfoy! Ne l’avrei mai voluto!»

«Sicura?» chiese ancora Susan, chiaramente restia a crederle del tutto.

«Lo so che ci detestiamo, ma non vorrei mai punirlo per questo con la magia oscura» chiarì ancora, non riuscendo a credere che la si potesse credere capace di un gesto simile. O, forse, era solo questo che la gente vedeva di lei e Malfoy? Il modo in cui si fossero odiati per otto anni, al punto da arrivare a ferirsi in maniera così grave?

«Fa parte dell’indole dispettosa delle fate» spiegò Morag. «A volte provano piacere nel fraintendere i desideri.»

«Io non ho desiderato niente del genere per Malfoy, mai» ripeté ancora Hermione, stizzita. «Quante volte devo ripeterlo?»

«Ne sei davvero convinta?» ridacchiò Morag, squadrandola. Hermione si sentì invadere da un moto di irritazione, ma si trattenne.

«Naturalmente.»

«Io mi ricordo di qualcosa, invece» la contraddisse Morag, tornando seria. «Qualcosa che tu hai detto a Malfoy di fronte a Sinead.»

Hermione ribatté quasi automaticamente. «Io non…»

Dovresti mostrare un minimo di riconoscenza! A quest’ora saresti morto senza di noi, ti abbiamo salvato quando tu ci avresti lasciato morire, non fai altro che pavoneggiarti quando invece dovresti solo chiedere scusa!

Il ricordo del litigo tra lei e Malfoy quella notte nella Foresta le tornò in mente, riempiendola di quell’odio che l’aveva trafitta in quel momento, così come nel suo sogno.

«Oh, Merlino…» mormorò Hermione, mettendosi le mani sulla bocca, incredula.

Non hai la più pallida idea di cosa darei per toglierti quel sorriso beffardo dalla faccia!

«Oh, Merlino» ripeté ancora una volta Hermione, guardando ora Morag ora Susan. «Merlino, io… il suo viso… quelle ferite sulla sua bocca…»

per toglierti quel sorriso beffardo dalla faccia!

«Vi dispiacerebbe spiegare?» chiese Susan, che non capiva più nulla.

«La Granger quella notte ha detto qualcosa riguardo al voler cancellare il sorriso dalla faccia di Malfoy» spiegò Morag, pratica. «Ed è quel che la fata ha fatto. Malfoy adesso è in Infermeria col volto sfigurato da un’orribile ragnatela, chiaro frutto di magia oscura, che gli storce le labbra in una specie di sogghigno. Molto scenografico.»

«Non scherzare» la riprese Hermione.

«Per Morgana» mormorò Susan. «Sembra uno schifoso film dell’orrore.»

«Un che

«Lascia perdere, Morag.»

«E adesso cosa facciamo?» esclamò Hermione, interrompendo le altre due.

Susan fece finta di pensarci su. «Qualcosa che comprenda voi che andate dalla McGranitt rivelandole la verità e guadagnandovi l’eterna stima dei vostri compagni, i quali faranno sicuramente i salti di gioia al pensiero di rischiare l’espulsione per salvare la vita di Draco Malfoy. Soprattutto Ron Weasley» ironizzò la Tassorosso.

«Scordatelo» intervenne repentina Morag. «Io non mi farò espellere per Malfoy. Ho bisogno di uscire da questo posto con dei buoni M.A.G.O.» disse, con un tono che non avrebbe ammesso alcuna replica.

«Non per fare la guastafeste, ma ho il vago sospetto che se non fate qualcosa Malfoy potrebbe peggiorare, chissà, magari morire» osservò Susan con voce incolore.

Hermione ebbe voglia di mettersi le mani tra i capelli.

«Mi piange il cuore» borbottò Morag, tirandosi in piedi e pulendosi la gonna dalla polvere.

«Ma non possiamo non fare niente!» le interruppe Hermione, in preda al panico.

«Io ve l’avevo detto che quella era pericolosa, ma voi non avete voluto ascoltarmi» sottolineò la Corvonero.

«E abbiamo sbagliato, d’accordo?» sbottò Hermione. Morag e Susan la guardarono, lei sospirò, sconfitta. «Mi dispiace. Avrei dovuto capirlo. Ma adesso quello che è successo è più o meno colpa mia, devo fare qualcosa.»

«Che non implichi avvertire la McGranitt» specificò Morag.

Hermione le lanciò un’occhiataccia.

«No, almeno fin quando non sarà strettamente necessario… Che si può fare?»

Susan si strinse nelle spalle e scosse la testa, lei non aveva la minima competenza nell’argomento. Morag ci rifletté un poco e alla fine, sotto lo sguardo severo di Hermione, dopo un momento di esitazione cedette.

«Si potrebbe…» sbuffò. «Si potrebbe tornare nella Foresta, cercare la fata, chiederle di rimediare a quel che ha fatto.»

«E funzionerebbe?» chiese Hermione. «Secondo te.»

Morag la guardò. Curioso come la Granger tenesse improvvisamente conto del suo parere, ora che era troppo tardi.

«E’ possibile, se sarai tu a chiederlo. Sinead ti deve un dono. E questa è l’unica strada che possiamo tentare al momento.»

«Sei impazzita?» esclamò Susan. «Vuoi tornare lì dentro?»

«Qualcuno ha per caso una proposta migliore, anziché contestare sempre le mie?» sbottò infastidita la ragazza.

«Ma ci perderemo là in mezzo, non sapremo più come tornare indietro.»

«Ah, adesso è diventato un noi

«Tornare indietro non sarà un problema» si intromise Hermione all’improvviso, con fare sicuro.

«Ah, no?» la rimbrottò Susan. «E perché?»

La risposta le sfiorò la spalla in quel momento.

Susan emise uno strillo mentre scendeva dal parapetto, fissando a occhi sgranati il Lindworm che dondolava la sua lunga coda appollaiato sulla balaustra.

«Bene» fece Hermione, mentre Susan la guardava ammutolita. «Risolto questo punto, come si procede ora?»

 

***

 

Il miracoloso, o miracolato, piano prevedeva questo: Morag e Susan sarebbero andate nelle cucine, nei sotterranei, a raccattare delle offerte che potessero attirare a loro le fate. Hermione, nel frattempo, con quel simpatico – meglio, simpatica – esemplare di drago in braccio, avrebbe cercato di evitare la sorveglianza di Gazza, intrufolarsi nel dormitorio dei ragazzi e rubare – no, si corresse, prendere in prestito – il Mantello dell’Invisibilità di Harry. Poi si sarebbero inoltrate nella Foresta, possibilmente senza farsi scoprire, avrebbero allestito un picnic o quel che era per quella fata capricciosa e avrebbero esposto la loro richiesta, con la speranza che venisse accolta.

La prima parte, ovviamente, fu la più semplice: il peggio si conservava sempre per ultimo.

Entrare nel dormitorio maschile non fu poi così difficile. Era notte tarda e i ragazzi dormivano già. Ron era sepolto sotto un ammasso di coperte e trapunte, Jimmy Peakes e Ritchie Coote sembravano tranquilli nei loro rispettivi letti e anche Harry e Neville erano profondamente addormentati. Pregando che il Lindworm non facesse rumore, Hermione cominciò a frugare nel baule del suo migliore amico, e con un Accio appellò facilmente a sé il Mantello. Lasciò la stanza in punta di piedi.

Tornò di sotto, in cortile, dove Morag e Susan la aspettavano. Portavano con sé dei cestini stranamente pesanti per essere così piccoli, e dopo aver tirato fuori il Mantello, Hermione lo gettò su di sé e sulle altre.

Al limitare della Foresta, il Lindworm fece strada. Almeno, loro si limitarono a seguirlo, ovunque avesse voluto condurle.

Dopo mezzora di cammino, giunsero a una piccola radura. Stabilito che era un luogo abbastanza rientrato e nascosto, cominciarono ad allestire il presunto banchetto.

Dal cestino, Espanso magicamente come la vecchia borsetta di perline di Hermione, Susan tirò fuori una tovaglia che distese su una zona del terreno senza troppi avvallamenti e sporgenze, mentre Morag e Hermione tiravano fuori le offerte di cibo.

«Non so, siamo sicure che le fate mangino queste cose?» chiese Susan, annusando un delizioso vassoio di biscotti farciti al miele.

«Non è questo che importa» disse Morag, paziente. «Ciò che conta è che si porga loro un dono, in segno di rispetto e gratitudine. Le fate amano essere vezzeggiate.»

C’erano dolci, frutta di vario genere, fiori di zagara che Hermione non poté fare a meno di domandarsi dove quelle due li avessero trovati, e ovunque c’era un odore di arancia, vaniglia, miele e cannella. Dopo aver sistemato sulla tovaglia le ultime margherite, Susan si fece da parte.

Lei e le altre, sotto indicazione di Morag, si allontanarono tra gli alberi, in modo da poter lasciare le fate libere di giudicare il dono e scegliere se accettarlo o meno. Il Lindworm si adagiò ai piedi di Hermione, vigilando.

Non passò più d’una decina di minuti prima che una fata si avvicinasse con cautela al banchetto. Era più piccola di Sinead, aveva folti capelli bruni e vestita con una leggera tunica color indaco. Spargendo deboli scintille ovunque, che si distribuirono sulla tovaglia disperdendosi in una soffice polvere d’oro, si avvicinò al piatto ricolmo di more, attorno al quale cominciò a girare come se stesse valutando la preziosità dell’offerta.

Poi fu il turno di un’altra fata ancora, che si mosse veloce tra le offerte alla ricerca di quella che più le aggradasse.

Morag, lungo la strada, aveva spiegato a Hermione e Susan che esistevano differenti specie di fate, così come esistevano diverse razze di folletti. Le fate che accorsero al loro banchetto erano creature del piccolo popolo, alate, graziose e di piccole dimensioni. La fata che avevano incontrato loro la prima volta, invece, aveva più l’aspetto d’una ninfa dei boschi, le sue dimensioni erano maggiori, anche se la sua altezza non superava quella d’una bambina sui dieci anni, e non possedeva ali.

Sinead non si presentò come le altre fate. Dopo un’attesa forse più lunga del necessario, se solo fossero state più attente, Hermione, Susan e Morag si accorsero della piccola Sinead abbarbicata su un albero le cui grosse radici emergevano dal terreno. Era più bella della prima volta; anche adesso indossava una veste bianca, ma non stracciata e sporca, anzi ricolma di vezzi, veli, merletti e altre decorazioni in stoffa. Stava seduta a gambe incrociate come una bambina, che era esattamente quel che il suo volto ovale e minuto ricordava. I capelli biondi come fili d’oro le ricadevano leggeri sulle spalle ossute, il suo visetto era contratto in una pestifera smorfia di dispetto.

«Venite a porgerci un dono?» esordì la fata Sinead, dondolandosi su se stessa. La sua voce non era più vellutata e calda come quella con cui si era rivolta a Hermione, qualche notte prima, ma limpida e squillante come lo scrosciare di una sorgente.

Le tre ragazze tacquero, improvvisamente ammutolite, senza sapere esattamente cosa dire.

Sinead inclinò il capo di lato.

«E’ un banchetto delizioso» continuò con quella sua voce che era insieme quella di una donna e di una bambina. «Le mie sorelle sembrano gradirlo.»

Balzò giù dall’albero con uno scatto repentino. C’era una velocità quasi esagerata nei suoi movimenti, il suo aspetto era docile e mansueto ma quando si muoveva sembrava che fosse sempre sul punto d’attaccare. Quattro o cinque fate – svolazzavano troppo velocemente per capire quante fossero – passarono sopra le teste di Hermione, Morag e Susan, giocando tra di loro vicino Sinead e sparendo poi oltre la radura e tra gli alberi in una scintilla di luce.

«Hai gradito il mio dono?» domandò d’un tratto Sinead, e Hermione comprese che si stava rivolgendo direttamente a lei. Adesso sedeva sopra un grossa roccia rivestita di felci, nella stessa posizione di prima, scrutandola con gli stesso occhi limpidi. C’era una strana insolenza nel suo tono; si aspettava una risposta negativa.

«Mi dispiace» cominciò Hermione, scegliendo ogni parola con cura, per evitare di innervosirla o offenderla. «Credo che ci sia stato un errore.»

«Nessun errore, nessun errore» trillò la fata, in una risata cristallina. «Ora ha un nuovo sorriso sulla faccia, è fatto di tenebre e increspature, sorriderà ancora, sì, sorriderà tutta la faccia, sorriderà di morte e paura, dietro la sua nuova maschera» cantilenò Sinead, dondolandosi avanti e indietro leggermente, come una bambina piccola.

Morag e Susan si scambiarono un’occhiata, per la prima volta in quella sera anche la Corvonero sembrava in difficoltà. Hermione sentì il corpo sinuoso del Lindworm sfiorarle le caviglie.

«Vorrei sapere cosa gli è successo» disse Hermione. «Non voglio che continui a stare male» aggiunse, implorante.

Sinead terminò la sua cantilena, arricciando le sue labbra pallide.

Fu così veloce nello scivolare giù da quelle rocce e arrivarle alle spalle che Hermione non poté fare e meno di chiedersi se non avesse volato sul serio, pur non essendo fornita di ali.

«C’era tanto di quell’odio, in te, quella notte» le sussurrò la fata all’orecchio, facendola rabbrividire. «Ti consumava. Dovevi farlo uscire in qualche modo, o ti avrebbe distrutta.»

Susan arretrò di alcuni passi, facendosi più vicina a Morag.

«Lo hai desiderato davvero!» squittì ancora Sinead. «Oh, sì, il tuo desiderio era forte, desideriamo con vero ardore solo le cose che sappiamo che non potremo mai ottenere… ci rende liberi. E’ saggio, è sicuro, non fa paura. Non rischiamo di ottenere quello che vogliamo» bisbigliò ancora, sporgendosi oltre la spalla di Hermione. Le stava sempre dietro, mai di fronte.

«Dimmi» continuò la fata, con voce bassa, quasi volesse che potesse sentirla solo lei. «Raccontami cos’hai sentito quando lo hai toccato» sibilò, ora più simile a un serpente che a una fata. Il Lindworm continuò ad accarezzare le caviglie di Hermione, vigile e all’erta.

«Descrivimi il piacere di sentir scivolare tutto quel male fuori di te, passare attraverso di te, attraverso la tua pelle, fino alla sua…» soffiò leggera. Poi, quasi impercettibile, sfiorò con un suo piccolo dito magro la guancia di Hermione, scatenando all’istante in lei la stessa reazione che il suo schiaffo aveva avuto su Malfoy. Una crepa scura parti dal punto in cui Sinead toccava Hermione, percorrendo e lacerando la sua guancia come fosse stata di carta pesta. Hermione balzò indietro, Sinead ridacchiò, ma non appena la fata ritrasse la mano ogni ferita dal volto della ragazza svanì.

«Non voglio questo» disse subito Hermione, cercando di seguire con lo sguardo la fata che era tornata ad appollaiarsi su un’altra roccia. «L’ho pensato, ma non volevo che succedesse davvero. Voglio solo chiederti…» la sua voce si fece esitante. «Vorrei che tu ritirassi la tua maledizione. E’ questo che desidero.»

Sinead ci pensò su, dondolando i piedi nudi.

«Sì, sì, sì» sbuffò la fata, annoiata. «Sì, ho capito. Stupidi umani.»

Hermione cercò gli sguardi di Morag e Susan, trovandoli spaventati e atterriti. Tornò a guardare la fata, tremando nello scoprire che Sinead non aveva distolto per un istante gli occhi da lei, da quando era arrivata.

«Sei buona» disse ancora la fata. «Comprendi la magia, e hai a cuore le creature che sono frutto di essa. Il Lindworm ha scelto di guidarti» soggiunse, indicando il piccolo drago.

Dietro Hermione, Morag sembrava sollevata, anche se ancora palesemente in ansia.

«Artemisia e radici di elleboro» disse Sinead. «Pestali insieme, poi spremi dei semi di amaranto e aggiungi il succo al tuo composto. Spargi la lozione che avrai ottenuto sul suo viso usando una foglia di sambuco, ma bada a non toccare direttamente le ferite con le mani: si espandono in fretta» riassunse, e Hermione provò istantaneamente un sospiro di sollievo.

Ci era riuscita! Sapeva come curare Malfoy!

Voltandosi verso Susan, sia accorse che anche lei sorrideva. Morag era semplicemente sollevata.

«Ora» la richiamò Sinead, «dimmi cosa desideri.»

Hermione si voltò di scatto, sbigottita. «Come?»

Sinead sorrise.

«Io ti ho messa alla prova, e tu mi hai aiutato: meriti una ricompensa. E se il mio primo dono non è stato gradito, spero di rimediare con un secondo. Perciò, parla.»

Hermione rimase interdetta.

«Io veramente non desidero nulla, io…»

Un leggero tossicchiare alle sue spalle la interruppe. Susan la fissava trucemente, i suoi occhi sembravano sillabare un disperato “ma cosa cazzo stai dicendo?”

Tornò a guardare il viso pallido di Sinead.

«Io non voglio niente» ripeté Hermione. «E quel che voglio, non credo lo si possa ottenere con la magia.»

Sinead sogghignò. «Tu prova. Questo lo deciderò io.»

Hermione esitò. Non era sciocca: sapeva dell’animo tendenzialmente buono delle fate, ma aveva capito anche quanta cautela fosse necessaria nel fare loro una richiesta, per non rischiare di incorrere in voluti fraintendimenti.

«Quello che vorrei è non commettere più errori» disse sicura Hermione, ben sapendo che niente avrebbe potuto soddisfare quella richiesta. «Vorrei prendere sempre la decisione giusta, per non incappare in cattive conseguenze. Abbiamo sofferto tanto e sbagliato in molti, adesso voglio solo che le cose vadano per il verso giusto. Ma non sempre è facile, quando non sai cosa verrà dopo.»

La fata sembrò pensierosa, ma non delusa né in difficoltà. Susan borbottò qualcosa di incomprensibile.

«A queste cose non rimedia la magia» terminò Hermione.

Sinead non smise di sorridere. Chiamò a sé alcune piccole fate, sussurrando loro qualcosa all’orecchio. Quelle sparirono in un turbinare di faville.

«Forse» sussurrò la fata.

Le sue sorelle sbucarono fuori dalle ombre recando con loro un piccolo fagotto avvolto in un velluto viola. Lo porsero a Sinead, che le ringraziò e strinse l’oggetto tra le mani con cura.

Ancora prima che Hermione potesse rendersene conto, la fata era di fronte a lei, ma la notevole differenza di statura tra le due non fece sembrare Sinead la meno minacciosa.

La fata porse a Hermione lo strano fagotto, lei lo accettò con evidente perplessità.

«E’ tuo» le disse Sinead, arretrando di qualche passo, il vestito ricolmo di veli e balze che le accarezzava le ginocchia.

Hermione lo aprì facendo attenzione. Quando ebbe preso il dono in mano, Morag e Susan si fecero avanti per guardare.

«Cos’è?» domandò Morag, parlando per la prima volta.

Era un anello d’avorio dal diametro di cinque centimetri circa, che incrociava, al suo interno, un altro anello di dimensioni minori con riportati sopra dei numeri. Incastrato  nell’anello principale, quasi a segnarne il diametro, c’era un sostegno rettangolare sul quale slittava un piccolo foro, posizionabile all’altezza delle diverse tacche. Il tutto era sostenuto da una sottile catena d’oro.

«E’ una Meridiana d’avorio» spiegò Sinead, mentre Hermione rigirava l’oggetto tra le dita. «Un oggetto davvero raro e prezioso, fabbricato dai folletti secoli e secoli orsono… ti consiglio di conservarlo con cura.»

Susan e Morag continuarono a studiarlo incuriosite.

«E in che modo potrebbe ottemperare alla mia richiesta?» chiese Hermione, fissando sospettosa la fata. Non la convinceva affatto.

«Conservalo» ripeté ancora Sinead. «Potrebbe servirti.»

Disse queste ultime parole, poi svanì, come se si fosse smaterializzata via. La radura calò nelle tenebre, e solo allora Hermione si accorse di come la luce delle fate avesse rischiarato l’oscurità.

Delle sorelle di Sinead non v’era più traccia, né del banchetto che avevano allestito per loro. Tutto era esattamente come quando erano arrivate.

Sprofondate in quel buio, tutte e tre non poterono fare a meno di rabbrividire.

«E’ meglio se torniamo subito» disse Susan, strofinandosi le mani contro le braccia.

«Sono d’accordo» convenne Hermione. «Tanto ormai abbiamo risolto tutto, no?» disse, avvolgendo la meridiana nel velluto e infilandola nella tasca interna del suo mantello.

«Sì, più o meno sì» bofonchiò Morag, guardandosi ancora attorno, svagata.

Hermione aggrottò la fronte. «Più o meno?»

«Dobbiamo trovare gli ingredienti per preparare quella lozione, no?» le ricordò la Corvonero.

Hermione fece spallucce. «Sì, è ovvio. L’artemisia la usiamo tutti i giorni a Pozioni, lo stesso vale per l’elleboro. La foglia di sambuco si può reperire facilmente e…» Fece una pausa, confusa.

«I semi di amaranto sono illegali» le fece notare Susan. «Come gli artigli di drago e le radici di valeriana. Vengono usate come droghe.»

Morag annuì.

«Accidenti» imprecò Hermione. Doveva saperlo. Doveva saperlo che era stato troppo semplice.

«Non c’è bisogno di preoccuparsi tanto» la rassicurò Susan. «Insomma, se vai a certe feste ne circola parecchia di quella roba, non è difficile procurarsela. Non l’hai mai notato?»

Hermione avrebbe voluto rispondere con stizza che no, non l’aveva notato. E non aveva neanche mai preso parte a una festa come quelle di cui parlava lei, tanto meno le era mai passato per la testa di drogarsi. A stento aveva assaggiato il Firewhisky, figurarsi.

«Sì, ma non possiamo aspettare che qualcuno dia una festa e nemmeno cominciare a girovagare per i pub di Hogsmeade il fine settimana» borbottò Hermione.

«Possiamo semplicemente andarla a comprare» osservò Morag.

Hermione la fissò a occhi sgranati.

«Certo» ridacchiò, vicino all’orlo di una crisi di nervi. Cos’altro avrebbe dovuto sopportare, ancora? «E una di voi magari saprebbe indicarmi qui e subito uno spacciatore di fiducia a cui rivolgermi, dico bene?»

Scosse la testa incredula, ma l’ironia svanì dal suo volto non appena si rese conto che Susan e Morag non solo erano serissime, ma non sembravano neanche particolarmente impressionate.

«Sul serio conoscete qualcuno?» sbottò incredula.

Susan si strinse nelle spalle. «Lo conoscono tutti.»

«Ma credo che, per trovarlo, ci serva Daphne Greengrass» aggiunse Morag, mentre Susan premeva per cominciare a tornare indietro. «Non le spiacerà darci una mano.»

 

***

 

Adrian Pucey era stato, nei suoi anni d’oro a Hogwarts, il più grande spacciatore che la scuola avesse mai visto.

Elemento di spicco della Magnifica Triade Pucey/Baston/Diggory, Cacciatore dei Serpeverde, membro della Squadra d’Inquisizione, rifornitore ufficiale di alcolici e altre sostanze non meglio identificate, Adrian aveva terminato in grande stile il suo ultimo anno nel castello, con tanto di padre arrestato e targa onorifica di bello & maledetto al seguito.

Era l’anno che precedeva il periodo che i Serpeverde chiamavano della Grande Decadenza, ovvero l’era di umiliazioni e patimenti che avevano segnato i giorni successivi alla scampagnata di Potter and Company all’Ufficio Misteri.

Perfino Hermione, suo malgrado, aveva sentito parlare di lui.

Lavanda Brown aveva passato la sua fase Pucey più o meno al loro quarto anno, quando passava ore a decantare a Calì l’irresistibile fascino da cattivo ragazzo di Adrian.

L’Adrian Pucey che venne ad aprire loro la porta di quell’appartamento a Hogsmeade, proprio sopra la Testa di Porco, era un ragazzo sui vent’anni vestito alla babbana in camicia e jeans, molto alto, esile, con capelli scuri che circondavano un viso dai tratti forti e mascolini. Poteva a una superficiale occhiata risultare attraente, ma Hermione stabilì sin da subito che quell’aria da strafatto che si portava irrimediabilmente dietro lo faceva scendere di almeno dieci livelli sotto lo zero nella sua scala di gradimento personale.

Non appena Daphne Greengrass, dopo una veloce aggiustata ai capelli già perfetti, ebbe bussato alla porta, la faccia di Pucey, piacevolmente sorpresa nel trovare la bellezza di ben quattro ragazze che bussavano alla sua porta tutte in una volta sola, fece capolino attraverso il piccolo spiraglio che lasciava aperto il chiavistello.

«Apri» disse imperiosa Daphne, e un istante dopo il ragazzo le fece accomodare in casa sua.

«Ezra me l’aveva detto che oggi sarebbe stato il mio giorno fortunato» esordì Adrian, mentre con un cerimonioso gesto della mano invitava ad entrare anche le altre tre, chiudendo la porta alle sue spalle. «L’ha letto nelle stelle.»

«Immagino» borbottò Daphne, mollando malamente il suo mantello su una sedia e sparendo oltre il corridoio d’ingresso, perfettamente a suo agio lì dentro.

«Signore» disse Adrian, invitando Morag, Susan e una sempre più perplessa Hermione a farsi avanti.

Se l’ingresso era poco più che uno spoglio e tetro bugigattolo, il salone in cui si sedettero era spazioso e riccamente decorato.

Si trattava di un’ampia stanza con finestre che davano sulla strada principale del villaggio, mobili in noce e travi a vista. Al centro del salone c’erano due grandi divani in pelle disposti attorno a un tavolinetto basso ricolmo di bottiglie vuote, posacenere sporchi, avanzi di cibo e diversi cumuli e bustine di erbe. Sul divano di fronte quello sul quale si era mollemente adagiata Daphne Greengrass, c’era un ragazzo biondo e con gli occhi chiari. Sedeva scompostamente con aria annoiata, tra le mani mescolava un mazzo di carte magiche e aveva un cappello nero a cilindro che gli cadeva storto sul capo, coprendogli parte del volto. Hermione ebbe l’impressione di averlo già visto.

«Prego, sedetevi» fece ancora Adrian, con quella sua ostentata cortesia. Hermione e le altre sedettero a fianco di Daphne.

«Ancora carote, Vaisey?» borbottò la Greengrass, distratta, mentre lasciava che Adrian le accendesse una sigaretta.

Il ragazzo biondo col cilindro sbuffò. Hermione ricordò dove l’aveva visto, ovvero alle partite di Quidditch contro Serpeverde; fino al loro sesto anno, Vaisey giocava come Cacciatore.

«E’ da una settimana che Ezra cerca di far uscire il coniglio nuovo dal cilindro» spiegò educatamente Pucey, notando le facce confuse di Hermione, Susan e Morag. «Il coniglio che avevamo prima andava meglio, ma se l’è mangiato il boa e abbiamo dovuto prenderne un altro. Questo non vuole saperne di uscire e Ezra tira fuori solo carote.»

Morag lo squadrò altera, Susan invece storse il naso.

«Boa?» ripeté, rabbrividendo di disgusto al pensiero.

«Tranquilla, l’abbiamo dovuto dare via» la rassicurò Adrian. «Era diventato troppo grosso, occupava tutto il divano. Ezra ci è rimasto male, sente molto la sua mancanza, non è vero, amico?»

Ezra Vaisey si tolse il cilindro dalla testa, infilandoci dentro il braccio che affondò fino all’attaccatura della spalla.

«Aveva senso dell’humour, il vecchio Cadmus» sospirò Ezra, che aveva una voce bassa e sibilante. «Ed era di poche parole, questo bisogna riconoscerglielo. Sapete che scocciatura quando un serpente vi sibila costantemente nell’orecchio perché non ha digerito bene? La vipera che avevo prima era così. Una noia terribile.»

Hermione arcuò un sopracciglio in un fare così severo che sarebbe stato impossibile per Vaisey non accorgersi della sua espressione accondiscendente.

«Ezra è Rettilofono» chiarì ancora una volta Adrian, andando a sedersi accanto a Vaisey, che continuava a rovistare dentro il cilindro. «Problemi, amico?»

«Non riesco a trovare il coniglio» disse, infilando il braccio più a fondo.

«Sarà nella credenza come l’ultima volta» suggerì Adrian, prima di tornare a guardare le quattro ragazze con rinnovato interesse. «Cosa vi porta qui a quest’ora della notte? Blaise ha esaurito le scorte?»

«Lascia perdere Blaise» lo ammonì Daphne, soffiando via il fumo. «Amaranto, siamo qui per questo. Te n’è rimasto?»

Pucey ridacchiò divertito.

«Certo che me n’è rimasto, bambolina. Come mai vi serve?»

Daphne diede un altro tiro profondo. Hermione e Morag erano state irremovibili: di uno come Pucey non ci si poteva fidare, e non avevano la minima intenzione di raccontargli delle loro uscite nella Foresta e tanto meno di Malfoy.

«Nulla che t’interessi» minimizzò Daphne con un gesto della mano.

Pucey annuì, evidentemente non gli importava poi molto. Squadrò Hermione, Morag e Susan ad una a una, senza pudore.

«Tu sei la nipote di Amelia Bones, non è vero?» disse Adrian a Susan, non potendo evidentemente fare a meno di quell’abitudine tipicamente Serpeverde di ricordare le persone in base alle loro influenze. «Poi Morag, naturalmente… E tu sei l’amica di Potter, se non sbaglio. Sbaglio?»

Adrian si alzò di nuovo, per prendere una sigaretta da un pacco gettato sul tavolino. Se l’accese con un gesto rapido della bacchetta e cominciò a camminare per la stanza, lentamente.

«Draco parlava di te, qualche volta. Sei la Mezzosangue, no?»

Stranamente, non c’era poi tutta quella cattiveria nel modo in cui disse “Mezzosangue”. Con lo stesso tono l’avrebbe potuta etichettare come “Grifondoro”, “Inglese” o qualunque altra definizione puramente indicativa, senza tendenze razziste sottintese.

«Sono Hermione Granger» borbottò Hermione, che pur non gradendo particolarmente l’idea di presentarsi e farsi riconoscere da un soggetto del genere, si sentiva infastidita dall’essere definita solamente “amica di Potter” o “Mezzosangue”.

«Hermione» ripeté Adrian, guardandola. La ragazza sostenne lo sguardo ma non disse niente. «Sei stata per un po’ sui giornali quest’estate» aggiunse.

Hermione annuì, senza sapere bene cosa dire. Sapeva, perché gliene aveva parlato il padre di Ron, che i Pucey erano entrambi Mangiamorte e sotto processo. Adrian, però, non aveva passato problemi di alcun tipo, in tal senso.

«Noi saremmo un po’ di fretta» li interruppe Daphne, indispettita.

Pucey tornò a guardare lei.

«Certo, capisco. Vado a prendere quello che hai chiesto.»

Sparì oltre il corridoio, con le mani in tasca e la sigaretta in bocca.

Dopo aver estratto l’ennesima carota dal suo cappello a cilindro, Ezra si arrese e lo mollò di lato, riacciuffando il suo mazzo di carte.

«Allora?» fece dopo un po’ Vaisey, con lo sguardo chino sulle sue carte. Alcune ciocche di capelli biondi gli sfiorarono la fronte. «Che aria tira a Hogwarts?»

«Una pessima aria, te l’assicuro» sospirò Daphne. «A voi gli affari vanno bene, vedo.»

Ezra si strinse nelle spalle, con aria indifferente.

«Draco come sta?» domandò ancora il ragazzo. «E’ da quest’estate che non lo vedo.»

Daphne scambiò con le altre un’occhiata di cui Vaisey non si accorse.

«Bene, credo» rispose, vaga. «Io e lui non parliamo molto.»

Ezra annuì, mescolando ancora le sue carte.

Hermione, nel frattempo, non poté non pensare all’assurdità della situazione.

Fate dispettose e passeggiate nella Foresta al chiaro di luna erano una cosa che poteva sopportare; aveva affrontato di peggio.

Uscire di nascosto dai confini del castello attraverso uno dei passassi segreti che erano stati riaperti dopo la fine del regime dei Carrow, questa era una cosa che poteva ancora accettare. Dopo essere arrivata fino a Londra in groppa a un Thestral, tutto il resto risultava di poco conto.

Fare visita a due ex Serpeverde inquietantemente gentili e celebri per il commercio di sostanze illecite, questo proprio i suoi poveri, deboli nervi non lo potevano reggere. Soprattutto se questo la costringeva ad arrivare a conclusioni inaspettate che si sarebbe molto volentieri preclusa.

Tanto per fare un esempio, per una Grifondoro convinta come lei scoprire che in fondo, molto in fondo, poteva anche darsi l’eventualità che ci fossero sporadici casi di Serpeverde non proprio da buttar via la stupì. La Greengrass non le era mai stata simpatica, pur non avendole mai fatto nulla di male; Daphne era soltanto una persona che le risultava odiosa a pelle, per i suoi modi superficiali e la sua superbia malcelata.

Di voci su Vaisey e Pucey ne aveva sentite parecchie, e non solo gli spasimi d’amore di Lavanda. Anche Harry e Ron, nelle innumerevoli serate che avevano passato attorno al camino, si erano lamentati del loro comportamento scorretto durante le partite. Perciò Hermione aveva sempre dato per scontato che non differissero poi così tanto da Malfoy o dalla Parkinson.

Forse per il fatto di essersi presentata lì con Daphne Greengrass, restava comunque il fatto che finora nessuno, a parte quella blanda considerazione di Pucey, avesse fatto qualche osservazione riguardo al suo essere una Mezzosangue. Né riguardo lei né riguardo Susan, che pure aveva una madre babbana.

La situazione generale, pertanto, non le piacque. Hermione detestava sbagliarsi almeno quanto detestava Draco Malfoy.

Se poi la sua impressione sbagliata ricadeva su gente come Pucey e Vaisey, che godevano di una fama talmente pessima che dubitare di loro sarebbe stato d’obbligo per chiunque, la cosa le pesava ancora di più.

«Ecco qua» disse Adrian, appena tornato con una busta trasparente in mano, piena di chicchi scarlatti. La passò a Daphne, la quale tuttavia la diede a Hermione e Morag perché potessero valutare anche loro.

«E’ roba buona» le rassicurò Adrian. «Questa di solito la vendiamo a cinque galeoni al grammo. Per te, naturalmente, offre la casa» aggiunse poi, ammiccando in direzione di Daphne.

«Credo che, ehm» Hermione tossicchiò. «Penso che anche la metà di questa vada bene, no?» disse, cercando la conferma di Morag, la quale annuì distrattamente.

«Immagino di sì» disse pure Adrian, per nulla interpellato. «Basta un solo di questi e sei a posto per tutta la serata» aggiunse, senza badare troppo al cipiglio severo di Hermione.

«Bene» fece allora la Grifondoro. «Abbiamo finito, allora?»

Daphne spense la sua sigaretta, quindi disse di sì.

Adrian diede a Hermione la quantità di semi di amaranto che avevano concordato, e la ragazza li infilò nell’altra tasca del mantello, non quella in cui conservava la meridiana d’avorio, dono di Sinead. Quando si diceva averne piene le tasche…

«Il tre di ottobre diamo una festa qui, per il compleanno di Urquhart» disse d’un tratto Adrian, con un sorriso poco rassicurante. «Siete tutte invitate, ragazze.»

«Fantastico» borbottò Susan. Poi, in direzione di Daphne che era andata a recuperare il suo mantello: «Greengrass, hai preso tutto?»

«Sì, sì» rispose scocciata quella. «Possiamo andare.»

Salutò Pucey con un bacio sulle labbra ed Ezra con un gesto veloce della mano, che lui poté ricambiare solo con un cenno del capo visto che aveva le braccia di nuovo impegnate col suo capello a cilindro.

«Tre ottobre, mi raccomando» ripeté ancora Adrian, mentre le accompagnava alla porta.

Solo quando furono in strada Hermione poté tirare un sospiro di sollievo. Erano le tre di notte, se avessero accelerato i tempi magari sarebbe riuscita a somministrare la lozione a Malfoy quella sera stessa.

«Sbrighiamoci» disse, cominciando a incamminarsi. Dopo tutto quello che aveva fatto quella notte, fintanto che non si fosse occupata di Malfoy non avrebbe potuto ritenersi tranquilla.

 

***

N/A

Buonasera!

Ebbene no, si direbbe che io non mi sia dimenticata di questa storia, sebbene l’abbia lasciata ferma per mesi. Poco tempo, altra robaccia a cui pensare, il famigerato bloccodelloscrittore e tante altre belle cose mi hanno allontanato da EFP, ma stasera m’era venuta voglia di mettermi a spulciare tra le vecchie cartelle e mi sono ricordata di Hogwarts Horror Story. Ecco il nono capitolo, con qualche appunto.

La mia idea di fata è il risultato di un’accozzaglia di notizie raccattate in giro per il selvaggio web, mi andava di unificare un po’ tutte le varie tipologie di fate, dagli esserini svolazzanti e vanitosi alla Peter Pan fino alle fate madrine elargitrici di doni stile Pinocchio e Bella Addormentata.

Adrian Pucey e Vaisey sono personaggi della Rowling. Adrian ha due anni in più di Harry&Co, Vaisey (l’aggiunta del nome Ezra, così come tutto quel che lo riguarda, l’ho felicemente cavato fuori dal nulla e non ha alcuna base di riferimento) uno in più del trio, visto che era nella squadra di Quidditch ai gloriosi tempi del Principe.

L’amaranto ovviamente è una normalissima pianta, ma preferisco pensare che i maghi abbiano un occhio più acuto dei Babbani per certe cose e che siano a conoscenza di proprietà inaspettate per certi fiori piuttosto che tirare in ballo droghe babbane.

La meridiana l’ho descritta sul modello di una meridiana portatile ad elevazione costruita a Parigi da tale Monsieur Butterfield, nel correva il secolo XVIII. Qui la foto.

Ringrazio chi continua a incoraggiarmi nella stesura di questa fanfiction, è quasi banale dire che mi dà una grande soddisfazioni leggere le parole di chi recensisce e di chi mi contatta privatamente. Mi fate sentire importante, uh.

A… prima o poi, diciamo.

Dejanira.

 

  
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