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Autore: emme_a    04/12/2012    0 recensioni
Dal primo capitolo:
"Christopher non sapeva spiegare come,ma quando si ritrovò in un corridoio illuminato,tutto gocciolante sul pavimento,la coscienza della sua identità e dello scopo per cui si trovava lì si riversò su di lui con la stessa nitidezza della luna che illumina il cielo di notte.
Kurt.
Lui si chiamava Kurt.
Christopher era morto."
Genere: Angst, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A Sofia e Rossella.
GRAZIE DI TUTTO.
 
 
 
 
 
Kurt trascorse quasi sei mesi nel reparto di terapia intensiva pediatrica dell’Ulster Hospital,e passò il tempo a camminare su e giù per il corridoio,osservando i medici che visitavano Blaine nell’incubatrice,piccolo,itterico e ancora intubato.
Sentì più di una volta il dottor Edwards,il cardiologo che aveva in cura Blaine,dire che il bimbo non avrebbe superato la notte.
Più di una volta l’angelo infilò il braccio nell’incubatrice e gli posò una mano sul cuore,riportandolo sulla terra.
Il pensiero di lasciarlo morire attraversò spesso la sua mente. Sapendo che infanzia l’aspettava,non aveva grandi speranze.
Però poi ripensava ai bei momenti che avrebbe vissuto.
E fu così che decise: dai,piccolo,forza. Restiamo vivi.
Durante quel periodo Kurt scoprì diverse cose.
Prima scoperta.  Si accorse che vegliare,proteggere e amare Blaine e registrare ogni sua mossa significava rimanere costantemente al suo fianco.
A volte gli veniva voglia di fare il turista; ossia di esplorare altri luoghi,di prendersi una pausa in qualche angolo di mondo più accogliente.
Ma faticava persino ad uscire dall’ospedale.
Era legato a lui. Il suo senso del dovere era più forte rispetto a quando era marito e padre.
Seconda scoperta. La sua vista era cambiata. All’iniziò pensò che stava diventando cieco.
Poi tutto riprese il suo posto: Il letto era un letto,una stanza d’ospedale una stanza d’ospedale.
Tuttavia guardava sempre più spesso il mondo come se portasse un paio di occhiali extraterrestri .
Per un momento il dottor Edwards era un sosia di Cary Grant,il momento dopo somigliava  a un manichino al neon,circondato da fili psichedelici di luce colorata che saliva a spirale dal cuore cingendogli la testa,le braccia e la vita come migliaia di hula hoop,simili a stranissimi raggi infrarossi.
La sua vista era cambiata e non solo in quel senso: gli scorrevano davanti finestre temporali parallele (più di una al minuto) e riusciva a vedere dentro la stanza accanto come se i suoi occhi fossero dotati di raggi X.
Gli sembrava di guardare il mondo attraverso un’enorme lente di ingrandimento .
Una volta vide i polmoni del dottor Edwards –pieni di grumi di catrame nero,gentile concessione del suo amore per i sigari - , ma la visione più strana fu quando osservò l’embrione,concepito dall’infermiera Harrison proprio quel mattino,rotolarle nelle tuba di Falloppio simile ad una pallina da ping pong deformata,per adagiarsi infine nella cavità vellutata del suo grembo come un sassolino lanciato in uno stagno.
Kurt rimase talmente ipnotizzato da quello spettacolo che seguì l’infermiera Harrison fino al parcheggio  dell’ospedale,ma poi si ricordò di Blaine e tornò subito nell’austera nursery,pervasa dai pianti dei neonati.
Terza scoperta,la più importante.  Non aveva nessuna concezione del tempo.
Non c’erano i ritmi circadiani a dirgli che era ora di andare a dormire,non ricordava quando cadeva il Natale.
E’ così.
Lui  vedeva il tempo,ma quello scandito dall’orologio non aveva più nessun significato.
Quando Kurt  vedeva  la pioggia,scorgeva milioni di atomi di idrogeno che sfregano contro i loro vicini di ossigeno,simili a piattini bianchi che ruotano vorticosamente sul bancone di una cucina in mezzo a bottoni grigi.
Per il tempo era la stessa cosa.
Lui vedeva il tempo come una galleria d’arte di atomi e particelle di luce.
Si inseriva nel tempo con la stessa facilità con cui gli umani si infilano la camicia,o premono il pulsante di un ascensore e si ritrovano al venticinquesimo piano.
Vedeva finestre parallele in ogni punto della stanza,che rivelavano gli eventi passati e futuri come se accadessero qualche metrò più in là.
Kurt non abitava più il tempo. Lui lo visitava.
Capite bene che quella novità rappresentava un ostacolo al suo piano.
Se non poteva misurare il tempo,come avrebbe potuto cambiare la vita di Blaine?
 
 
L’angelo trascorse il suo turno di guardia all’ospedale lambiccandosi su come spingerlo a fare scelte diverse.
Gli avrebbe sussurrato all’orecchio le risposte a tutti gli esami,gli avrebbe gridato di tenersi alla larga dai carboidrati complessi e dagli zuccheri,e forse sarebbe riuscito a instillargli la voglia di darsi all’atletica.
Poi,l’avrebbe esortato con tutti i mezzi ad accumulare un po’ di denaro.
Quest’ultimo obiettivo a Kurt sembrava il più importante.
Perché?
Perché essere poveri non significa soltanto patire i morsi della fame.
Significa vedersi cancellata ogni possibilità di scelta.
Arrivò a dirsi che forse era quella la ragione per cui era tornato come angelo custode di Blaine: non soltanto per vedere il puzzle tutto intero,come aveva detto Nandita,ma per cambiare la disposizione delle tessere,per far emergere un quadro completamente diverso e ricollocare la scelta nella cornice principale.
 
 
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I genitori adottivi che andarono a prendere Blaine in ospedale erano inaspettatamente due persone perbene,di quelle che indossano la camicia bianca e l’abito di seta. Ma erano perbene anche in tutto il resto.
Kurt scoprì che da quattordici anni cercavano di avere figli senza riuscirci.
L’uomo,un avvocato di nome Ben,si trascinava lungo il corridoio con le mani affondate nelle tasche.
La vita gli aveva insegnato ad aspettarsi il peggio e a farsi sorprendere dal meglio.
Un atteggiamento che Kurt approvava pienamente.
La moglie –una donna piccolissima di nome Anya – procedeva al suo fianco a passettini.
Teneva a braccetto il marito,e con l’altra mano stringeva il crocifisso d’oro che portava al collo.
Sembravano entrambi molto preoccupati. Evidentemente il dottor Edwards non aveva dipinto un quadro positivo della salute di Blaine.
Quando arrivarono,l’angelo era seduto sul lettino e faceva penzolare le gambe tra le sbarre verdi di freddo metallo.
Blaine rideva alle sue smorfie. Aveva già la risata dolce,la testa buttata all’indietro.
La massa di fini capelli neri era della tonalità che Kurt avrebbe cercato di riprodurre per tutta la vita con l’aiuto dell’acqua ossigenata.
Aveva rotondi occhi color..in realtà Kurt non riusciva a capire di che colore fossero.
In quegli occhi c’erano pagliuzze versi,sul fondo sembravano caramello,altre volte un riflesso marrone.
Dalle gengive rosee erano spuntati due dentini.

Anya rimase senza fiato per la sorpresa e si battè il petto.
“E’ bellissima!” , si voltò verso il dottor Edwards,che si era piazzato alle sue spalle a braccia conserte,serio come un impresario di pompe funebri.  “Sembra che scoppi di salute!”,riprese la donna.
Anya e Ben si scambiarono uno sguardo.
Ben,che fino a quel momento aveva sentito le spalle contratte,tirò un sospiro di sollievo.
Si misero a ridere.
Kurt adorava scoprire il segreto di un matrimonio riuscito. Lo disorientava.
Nel caso di Anya e Ben erano le risate.
“Le andrebbe di prenderla in braccio?” disse il dottor Edwards togliendo Blaine dal grembo dell’angelo,che si portò un dito sulle labbra,strappando una risatina al bimbo.
Il cinguettio di complimenti finì per far voltare Blaine,che regalò ad Anya un sorriso da gatto del Cheshire.
La donna si sciolse,mentre Ben prese con titubanza le manine del bimbo tra le sue facendo schioccare la lingua.
Kurt rise,e Blaine lo imitò.
Il dottor Edwards si passò le mani sul viso. Troppe volte aveva assistito a quella scena.
La sua innata avversione per l’irresponsabilità gli faceva spiattellare il peggio in faccia alla gente evitando così ogni caso di senso di colpa.  E anche in questo caso non si smentì.
“Non arriverà ai tre anni.”
Il viso di Anya assunse l’aspetto di un vetro infranto.  “Perché?”
“Il cuore non si sta sviluppando come dovrebbe. Il sangue non potrà mai irrorare tutti gli organi. Col tempo,il rifornimento di ossigeno al cervello di interromperà. E allora per il bambino sarà la fine.”
Sospirò.
Ben abbassò lo sguardo e scosse la testa. Tutti i suoi timori si erano avverati.
Lui ed Anya erano maledetti dal giorno delle nozze,si disse.
Quante volte aveva visto piangere la moglie. Quante volte anche lui avrebbe voluto piangere.
A ogni delusione si avvicinava di un passo alla verità: la vita era crudele e finiva con una bara tre metri sotto terra.
Anya,al contrario,era geneticamente incline all’ottimismo.
“Ma..come si fa a esserne sicuro?”,farfugliò. “Non è possibile che il suo cuore diventi più forte? Ho letto di bambini piccoli che crescono benissimo e superano malattia di ogni genere,se trovano una casa accogliente..”
Kurt si alzò in piedi. Il coraggio lo galvanizzava. E’ sempre stato così.
“No,no,no,no.” Disse il dottor Edwards con una freddezza priva di esitazioni. “Le posso assicurare che in questo caso la diagnosi è corretta. La tachicardia ventricolare è una malattia sventurata e,ora come ora,praticamente incurabile..”
“Ma ma ma”,fece Blaine.
Anya boccheggiò e strillò di piacere. “L’hai sentita? Mi ha chiamato ‘mamma’!”
Il dottor Edwards era rimasto con la frase a mezz’aria.
“Dì un’altra volta ‘mamma’” suggerì l’angelo a Blaine.
“MA MA MA!” fece il bimbo con una risatina.
Anya rise e fece saltellare Blaine tra le braccia,non curandosi più del dottor Edwards.
Kurt aveva già visto il cuore di Blaine. Era grande più o meno come una susina,e di tanto in tanto funzionava a singhiozzi.
Talvolta la luce che emanava languiva e perdeva d’intensità.
“Vivrà.” Bisbigliò l’angelo all’orecchio di Anya,che per un attimo si irrigidì,come se in un angolo dell’universo un desiderio si fosse appena connesso alla sua realizzazione. La ragazza chiuse gli occhi e bisbigliò una preghiera.
Fu allora che Kurt vide l’angelo custode di Anya,nelle sembianze di un uomo di colore,alto,che apparve alle sua spalle e l’abbracciò premendo la propria guancia su quella di lei.
La donna chiuse gli occhi,e per un istante,fu circondata da uno splendido bagliore bianco. Era la luce della speranza.
In tutto il tempo che Kurt aveva passato all’ospedale,era la prima volta che vedeva una cosa simile.
L’angelo della ragazza guardò fuori ammiccando.
Poi sparì.
 
 
    Da quel momento in poi fu tutta una trafila di moduli da firmare.
   Il dottor Edwards scrisse un mazzo di ricette mediche e fissò le date degli esami clinici di Blaine.
  L’angelo si accorse che Ben era sfinito – la notte prima non aveva chiuso occhio – mentre Anya            saltellava,canticchiava e lanciava gridolini di gioia,senza prestare attenzione,per cui toccò a Kurt ascoltare.
Quando  furono menzionati gli appuntamenti,pungolò Anya: “Meglio trascriverli,tesoro.”

 
 
Fu l’infermiera Harrison a dare il cognome a Blaine.
Scelse un nuovo cognome,perché le sembrava giusto così,perché facendole avere il cognome del padre o della madre rischiava di rimanere incollata al passato.
E la piccola infermiera voleva dare un futuro a quel bimbo,così scelse Anderson.
Anderson. Lo scelse perché in quel piccolo cognome c’era rinchiuso il suo,di passato.

 
Ben e Anya abitavano in una delle zone più ricche di San Francisco,vicino all’università.
Ben lavorava spesso da casa. Il suo ufficio era nella mansarda di una casa vittoriana a tre piani,direttamente sopra la camera di Blaine,piena di giocattoli di ogni tipo e colore.
Il bimbo occupava di rado il lettino di mogano intagliato.
Di giorno,Anya se lo appoggiava sul fianco destro per cullarlo e di notte lo accoccolava sul seno sinistro per tenerlo al caldo tra sé e Ben.
Parlavano spesso di adottarla,nel senso vero della parola.
Se ben si faceva prendere dalle paure – “Ma,e se muore?” , l’angelo solleticava Blaine fino a strappargli una risata,o tendeva le braccia al bimbo mentre tentava di fare il primo passo.
Anya ne era innamorata. E Kurt adorava quella donna splendidamente materna e si rendeva conto che fino a quel momento non aveva mai capito le persone come lei.
Si alzava prima dell’alba col sorriso sulle labbra e passava ore ed ore a fissare Blaine addormentato tra le sue braccia.
Talvolta,la luce dorata che le ardeva intorno,era così brillante da far distogliere lo sguardo persino all’angelo.
A un certo punto,però,comparve un’altra luce.
Un pomeriggio una sfumatura opaca grigio piombo,simile ad un serpente che striscia inosservato dalla porta di servizio,si insinuò nella casa avvolgendosi come un nastro attorno Anya e Ben mentre festeggiavano il primo compleanno di Blaine con una piccola torta,una sola candela,e una gran quantità di regali impacchettati.
La luce –anche se a dire il vero sembrava più un’ombra – aveva quasi una vita ed un intelligenza proprie.
Quando Kurt si parò di fronte a Blaine per proteggerlo,fu come l’ombra avvertisse la sua presenza e arretrò di scatto. Poi avanzò lentamente verso Anya e Ben.
L’angelo custode della donna apparve per un istante. Ma invece di fermare quell’ombra,si fece da parte.
L’ombra si attorcigliò come un tralcio di edera attorno alla gamba di Ben per poi spegnersi in una polvere scura.
L’angelo percorse a grandi passi il salotto. Era arrabbiato. Sentiva semplicemente che gli era stato affidato un incarico che non era in grado di portare a termine.
Come diamine faceva a proteggere Blaine se c’erano entità di cui ignorava l’esistenza?
Ben e Anya proseguirono la festa di compleanno inconsapevoli.
Scesero in giardino portando in braccio il bimbo,che mosse i primi passi davanti alla Polaroid di Ben.
Kurt cominciava a pensare che Ben avesse ragione. Quando tutto va per il meglio,è solo la calma che precede la tempesta.
Si agitò per tutto il pomeriggio e infine scoppiò in lacrime.
L’angelo sapeva benissimo a che infanzia era destinato Blaine.
Ma scoprire che avrebbe potuto essere diversa,felice,aveva reso felice anche Kurt,anche se per breve tempo.
Decise di prendere provvedimenti.
Se Blaine fosse stato adottato da Ben e Anya,sarebbe cresciuto in una casa colma d’amore. Non avrebbe avuto problemi di inserimento nel mondo e,crescendo,sarebbe stata meno incline all’autolesionismo.
Al diavolo le ricchezze. Kurt avrebbe dato la sua anima immortale perché Blaine crescesse sentendosi degno di essere amato.

Ad un certo punto arrivò Nandita.
Kurt,gli raccontò tutto,come non faceva da tempo.
Le raccontò della nascita,dell’ospedale,il serpente d’ombra.
Lei annuì unendo i palmi uno contro l’altro in un gesto contemplativo.
“La luce,o meglio l’ombra,che tu hai visto è un filo del destino.” Spiegò. “Il colore lascia pensare che sia collegato a una sventura.”
L’angelo inesperto la costrinse a spiegarsi meglio,e lei semplicemente,lo fece.
“Ogni filo del destino ha origine in una scelta umana. In questo caso,la scelta non è benevola.”
Kurt era sconfortato perché non aveva ancora visto l’angelo custode di Ben,e se ne rese conto solo allora.
Nandita riprese a spiegare.
“Non avere fretta.” , disse. “Tra poco vedrai ogni cosa.”
“Ma io cosa faccio con quel ‘filo del destino ’?” chiese l’angelo,senza volerlo. La sua domanda suonò fuori luogo.
“Niente.” Disse Nan.  “Il tuo compito…”
“….è vegliare e proteggere Blaine. Sì,lo so. Ci provo. Ma dovrei sapere cosa significa quella luce,non credi?”

 
Kurt scoprì il senso di quel filo poco prima che riapparisse.
Ben lavorava da casa come al solito; Blaine dormiva.
Il profumo del pane appena sfornato saliva con ampie volute dalla cucina.
Ben si allontanò alla scrivania e l’angelo pote’ dare un’occhiata alla causa a cui stava lavorando : un’accusa di omicidio contro un pericoloso terrorista. Attorno al nome del terrorista c’era un sottile cerchio d’ombra.
E lui non era stupida. Capì seduta stante.
Il fatto che si trattasse di una libera scelta – sulla quale Kurt non aveva potere di intervenire – non vuol dire che restò con le mani in mano.
Quando l’ombra rientrò serpeggiando e si arrampicò furtivamente sui corpi di Ben e Anya che si abbracciavano in cucina,l’angelo la calpestò con furia selvaggia.
Non riuscì a farla scomparire. Non bastò che la coprisse con tutto il corpo e desiderasse la sua morte.

 
C’erano voluti mesi perché Ben convincesse Anya a staccarsi un attimo da Blaine.
Ora che finalmente avevano deciso di adottarla,ragionò Ben,era più che giusto portar fuori la moglie a festeggiare.
Fu così che Lily,l’anziana signora dai modi gentili che abitava di fronte,accettò di prendersi cura di Blaine per un paio d’ore mentre Anya e Ben si avventuravano fuori per una cena a lume di candela.
Kurt vide l’ombra stendersi dietro l’automobile. Non aveva alcun interesse per Blaine.
Il bambino sgambettava felice nella cucina di Lily,un cucchiaio di legno in mano e  una Barbie nuda nell’altra,ancora avvolta da un pallido alone della luce dorata che Anya emanava.

 
Quando l’autobomba esplose,l’angelo vide quella luce attenuarsi,ma era fermamente deciso a trattenerla.
Kurt si sarebbe accontentato anche solo di una piccola porzione dell’amore di Anya.
Non poteva far altro.


 
 
 
 
 
 
 
Spazio autrice.
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eccomi qui,ancora a rompervi le bals. xD
eh..niente,questo è tutto.
un grazie enorme a chi segue e crede in questa storia.
siete tutti fondamentali per me.
Un bacio;
Emme.
  
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