La
fortuna è instabile; presto chiede indietro
ciò che ha dato.
DESTINO TIRANNO
Lo
scalpitante tintinnio delle unghie che continuano a tamburellare contro
il
tavolo, il nervosismo che inesorabilmente s’impossessa delle mie gambe,
facendole tremare a ogni sussurro del vento. Lo sguardo vacuo, puntato
verso
quella finestra aperta, da dove giunge quel tiepido calore emanato dai
raggi
del Sole. Gli occhi arrossati, gonfi di lacrime e quell’espressione
d’incredulità
dipinta sul volto. Non riesco ancora a crederci. E’ impossibile.
La luce brilla rischiarando quelle nuvole malinconiche e gli alberi
imponenti
perdono i colori, come se si stessero nascondendo. Proprio come me che,
giorno
dopo giorno, allontano qualunque cosa s’incateni alla speranza. Ormai
non ho
più la forza per poter ancora sognare ad occhi aperti.
Sospiro rassegnata.
Lo sai, il tuo sorriso è smagliante e nei miei ricordi è sin troppo
dolce.
Il suono della tua voce arrochita echeggia
nell’aggrovigliato
dedalo del mio cuore.
Mi avevi sussurrato «Ci vediamo domani, buonanotte» mentre
le
tue labbra si dilatavano in un raggiante sorriso che con le sue sole
forze
riusciva a donare serenità.
Un gesto veloce con la mano e la tua figura che lentamente scompariva
dal mio
campo visivo.
La Luna di quella notte è svanita come un’illusione e ogni emozione che
mi hai
concesso è solo un vago ricordo lontano. Persino il calore e il
sentimento di
quell’abbraccio e il contatto leggero fra le nostre labbra appartiene
al
passato.
La rabbia e il dispiacere mi assalgono mozzandomi il respiro, non
credevo
neppure di essere così debole, sto per iniziare a piangere, di nuovo.
Ero
così serena quella notte, così tanto da lasciarmi trasportare lontano
con la
fantasia e canticchiare quella melodia romantica che tanto amavi.
Ignara del
dolore che avrei dovuto sopportare.
E anche quella mattina il Sole brillava alto nel cielo, come se
desiderasse
burlarsi dei miei sentimenti, regalandomi quella speranza lacerata che
rinvigoriva il mio spirito.
Il trillo del cellulare, rompendo il silenzio, m’indicava l’arrivo di
un tuo
messaggio:
«Buongiorno Amore, dormito bene? Spero tu mi abbia sognato. Più
tardi ti
chiamo io. Un bacio.»
Un messaggio gentile, pieno di calore, proprio come eri tu. E a
quelle
parole sorrisi ancora una volta, come ogni volta che ricevevo un tuo
messaggio.
Me ne ero accorta da tempo, per me non era importante il contenuto, ma
il
semplice fatto di avermi pensata.
Quello era amore, ed io ero innamorata.
Ripresi
in mano quel filo trasparente che stringevo saldamente, che altri non
era che
la mia vita, e mi tuffai a capofitto nella mia routine mattutina.
Sorseggiai
una tazza di caffellatte, incrociai lo sguardo di altre persone e
dispensai
sorrisi in giro per la città, incurante della perfidia di cui ero stata
vittima. Nella mente, un tormentato flashback di immagini astratte
ripercorreva
quel sogno vagamente triste e desolante dal quale mi ero svegliata
quella
mattina con un enigmatico presentimento d’inquietudine. Un sogno come
tanti
altri, al quale non avevo dato sufficientemente peso una volta alzata
dal
letto. E quando il cellulare prese a squillare con vigore, segregando
lontano i
miei pensieri, risposi estasiata, convinta di poter finalmente sentire
il suono
armonico della tua voce. In pochi attimi però, realizzai che quella
voce che mi
poneva domande non era la tua, e per quanto scioccante non era nemmeno
una voce
famigliare. Di lì a poco il presentimento è divenuto realtà, solcando
nel mio
cuore una cicatrice indelebile.
Ancora oggi non riesco a ricordare bene quanto è accaduto.
L’apprensione che avanzava pericolosamente, il respiro stroncato ancora
prima
di riuscire a parlare, mentre il cuore affannosamente batteva a ritmi
furiosi.
«Non ce l’ha fatta. E’ morto nello schianto.» quella voce
cupa,
piena di rammarico e vagamente adirata è tutto ciò che ricordo. E a
quelle
parole le gambe, inevitabilmente, cedettero schiacciate dal peso del
mio corpo
che franava rovinosamente a terra per il colpo inflittogli.
Come è possibile?
Perché proprio a te? Perché a noi?
In
quella mattina di metà Settembre, complice di un destino sciagurato,
sei
diventato da solo una stella. Mi hai lasciata nel peggiore dei modi,
abbandonata nella solitudine, stretta nella morsa di un dolore così
intenso e
logorante che mi uccide lentamente ad ogni respiro.
Perché te ne sei andato?
Perché non mi hai portato con te?
Non era abbastanza forte il nostro amore per poterlo vivere di giorno
in
giorno?
Solo frasi sconnesse, senza logica alcuna, s’istoriano nella mia
mente
ancora schiava del tuo nome, della tua voce, del tuo corpo…
Sei scomparso all’improvviso verso un luogo in cui non potremo mai più
incontrarci ed io, imprigionata in questo corpo dolorante, non riesco
ad
accettare la freddezza di un addio eterno.
Il gelo penetra nelle mie ossa frantumandole una ad una, e non è solo
la mia
pelle a rabbrividire, lo è anche il mio cuore e con esso la mia mente.
Una sensazione sgradevole, che ti divora un poco per volta.
Gocce di pioggia scivolano sul mio volto per poi ricadere a terra in un
ciclo
continuo.
Stringo spasmodicamente un fazzoletto fra le mani nel mentre osservo il
tuo
volto sorridente in una fotografia. Chissà quanto dolore hai percepito
quando
l’automobile si è accartocciata su se stessa, soffocandoti, le lamiere hanno squarciato il tuo corpo,
dilaniando la tua carne.
Amore mio, posso solo immaginare, ma
anche questo non è abbastanza.
E’ tutta colpa mia. Forse, implicitamente è davvero tutta colpa
mia. Se
non ti fossi sentito obbligato a chiamarmi anche quando eri alla guida,
probabilmente, non ti saresti mai distratto per leggere il display del
cellulare. E forse in questo momento saresti ancora
qui
accanto a me.
Mi sento così male da non riuscire neppure a camminare.
E’ bastata una piccola distrazione di appena qualche secondo per
frantumare la
tua esistenza, così bella e gioviale da sembrare impossibile da
scalfire,
eppure così dannatamente fragile, proprio come quella di un fiore.
Le mani tremanti portano alla bocca un bicchiere e sorseggiando
a
fatica, m’impongo di farmi forza, ma la poca convinzione di un cuore
straziato
porta soltanto un dolore maggiore.
Persino pensare è diventato complicato.
Ogni cosa, ogni odore, ogni sapore mi ricorda solo e soltanto te. La
tua gioia,
la tua ira, le tue buffe espressioni imbarazzate e quelle vagamente
annoiate,
quando ti costringevo a seguirmi a fare shopping…
Il profumo della tua pelle e quello del tuo dopobarba, e persino
l’odore del
tuo sudore…
Vorrei
avere la forza necessaria per alzarmi e andare avanti, ma tutto quello
che
desidero sono le tue braccia che con decisione mi stringono a sé e le
tue
labbra che mi sussurrano piano “presto passerà tutto”.
Solo una stupida illusione.
Questo male è incurabile, proprio come lo sono le ferite dell’anima e a
nulla
servono antisettico e cerotti, se non ad alleviare per qualche istante
quel
dolore.
La tristezza senza fine chiude definitivamente il sipario e la rabbia
continua
a crescere, alimentata da sentimenti friabili e autolesionistici.
Se alzassi lo sguardo verso il cielo, le mie parole ti
raggiungerebbero?
Ora dopo ora, giorno dopo giorno, ho realizzato la freddezza di un
addio tanto
da odiarla.
Non dimenticherò mai quel giorno di metà Settembre, quando ogni
certezza che
possedevo è crollata come un castello di carta sospinto dal vento.
Mi sento così debole ed inutile.
Striscio a terra dilaniata e sconfitta. E a poco a poco, sento
germogliare
ortiche fameliche nelle viscere del mio cuore, che allontanano sempre
più quel
fievole desiderio alla vita che mi è rimasto.
Addio, te ne sei andato per davvero, e ciò che posso
fare
per sentirmi meno sola è soltanto scorgere il tuo volto dietro a quella
cornice
d’argento.
Quando il vento cambierà riuscirò a dimenticarti?
Probabilmente un giorno anche la tua figura diverrà vanescente, ma
prima
che questo accada, ti prego svegliami da questo incubo, dimmi che tutto
questo
è soltanto la continuazione di un sogno effimero…
Dimmelo, ti prego!