Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: namary    05/12/2012    3 recensioni
Chiara può sembrare una Mary Sue, ma non lo è. Lei vuole essere perfetta, ma per diventarlo, distrugge sé stessa. Questo racconto non ha pretese, vuole soltanto essere uno sfogo, una serie di pensieri sulla depressione e su quanto a volte siamo noi stessi a distruggerci e a "ucciderci dentro".
"Chiara ha 22 anni, è nata il 24 Novembre sotto il segno del Sagittario, è alta, snella nonostante le piaccia mangiare tanto, soprattutto la pizza con le acciughe. Ha dei morbidi capelli castani ondulati, occhi nocciola con riflessi verdi, un fisico proporzionato, bello. I suoi genitori, Claudio e Patrizia, le vogliono un bene dell’anima, il fidanzato Marco la adora. Ha una gatta splendida, tricolore, dalla voce quasi umana, una cagnolina dal pelo rado color nocciola, e tanti tanti amici con cui dividere le giornate. Si è sempre distinta negli studi, è uscita con 95 alla maturità e si è laureata in Lettere moderne con 110. Tutta la amano, la ammirano, e da lei si aspettano un futuro radioso, meraviglioso.
Qui invece, è iniziato il suo inferno."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Chiara ha 22 anni, è nata il 24 Novembre sotto il segno del Sagittario, è alta, snella nonostante le piaccia mangiare tanto, soprattutto la pizza con le acciughe. Ha dei morbidi capelli castani ondulati, occhi nocciola con riflessi verdi, un fisico proporzionato, bello. I suoi genitori, Claudio e Patrizia, le vogliono un bene dell’anima, il fidanzato Marco la adora. Ha una gatta splendida, tricolore, dalla voce quasi umana, una cagnolina dal pelo rado color nocciola, e tanti tanti amici con cui dividere le giornate. Si è sempre distinta negli studi, è uscita con 95 alla maturità e si è laureata in Lettere moderne con 110. Tutta la amano, la ammirano, e da lei si aspettano un futuro radioso, meraviglioso.
Qui invece, è iniziato il suo inferno.
E’ arrivato improvvisamente, lentamente. Sembrava una nuvola lontana, una nebbiolina passeggera, uno stress destinato a scomparire con la fine degli studi.
Giorno dopo giorno, quelle nuvole hanno iniziato ad addensarsi, a diventare sempre più grigie e scure. Chiara è sempre stata romantica, sognatrice, ottimista. Ora, improvvisamente, qualcuno ha spento la luce. 
Prima sono arrivate le nuvole, poi il vento. Quel vento freddo, invernale, che ti si insinua dentro le ossa. Non importa quanti strati di maglioni, cappotti e sciarpe tu abbia, uno spiffero riuscirà sempre a farti rabbrividire.
Si avvicinava il periodo della tesi, e Chiara aveva iniziato a vedere quella nebbiolina, a sentire quel vento insinuarsi nel suo cuore, ma lo scacciava, lo mandava via senza impensierirsi troppo. Doveva studiare, doveva impegnarsi al massimo perché tutti si aspettavano qualcosa di grande da lei.
Lei e sua madre erano sempre andate d’accordo, ma ultimamente le liti avevano iniziato a diventare frequenti, per motivi sempre più futili, sempre più incomprensibili. Litigavano per la disposizione delle sedie a tavola, per chi doveva alzarsi e riempire la caraffa d’acqua. Non erano bisticci qualunque, erano discussioni che finivano con loro due che si urlavano di tutto, Chiara che scappava in camera piangendo a dirotto, mentre Patrizia la accusava di essere una psicopatica e non saper mai affrontare una discussione. 
Avevano avuto un litigio pesantissimo, durato tre giorni. Chiara era intenzionata a trovarsi un lavoretto con cui iniziare a guadagnare qualche soldo, e aveva iniziato a portare il suo curriculum nei negozi in città, sperando di trovare lavoro come commessa, giusto per tenersi impegnata. I suoi genitori avevano protestato vivamente, dicendole chiaro e tondo che non era un lavoro adatto a lei, che non capivano i suoi ragionamenti. Perché Chiara avrebbe dovuto sprecare tempo nei negozi in città? La loro figlia non poteva darsi da fare in un negozietto qualunque, lei doveva chiedere da Gucci, o da Dolce e Gabbana. Lei doveva mandare curriculum nelle grandi aziende, magari quelle vicine a casa sua, che collaboravano con l’estero, che avrebbero potuto farle fare carriera, che le avrebbero fatto guadagnare un sacco di soldi, che erano più adatte a lei, alle sue potenzialità.
C’era un dettaglio però che nessuno aveva considerato: nonostante Chiara avesse ottenuto moltissimi riconoscimenti e avesse delle doti innegabili, non aveva alcuna fiducia in sé stessa.
Chiara non aveva mai parlato di questo, non ci aveva mai prestato molta attenzione, ma sentiva il peso di una mano invisibile, una voce dentro di lei che le diceva: “Stai attenta… loro ti vorranno bene soltanto se tu asseconderai i loro desideri. Tu devi riuscire, devi farcela nella vita, è vietato fallire, altrimenti nessuno ti apprezzerà per come sei veramente”
E Chiara si sentiva una nullità. Se avesse anche solo mostrato una debolezza, un vago cenno di tristezza, di preoccupazione o di dubbio verso sé stessa, subito suo padre Claudio le avrebbe detto: “Non capisco perché ti debbano venire certi pensieri”. Avrebbe fatto una smorfia, infastidito, e Chiara si sarebbe subito scusata, e avrebbe negato la cosa, cercando di minimizzarla.
Chiara si sentiva debole, si sentiva impaurita da tutto, e la cosa peggiore era che aveva cercato di mascherare questo piccolo involucro dentro di sé costruendo un muro alto, un muro fatto di successi, di bei voti presi a scuola, di comportamenti impeccabili, di falso buonismo.
Chiara non sapeva dire di no agli amici. Aveva paura di perdere il loro affetto, se si fosse rifiutata di fare qualcosa per loro. Cercava sempre di non infastidire gli altri, di farli ridere, di farli divertire, di essere disponibile, gentile, comprensiva. Cercava di rendersi indispensabile, unica: faceva regali, aiutava con lo studio, con i compiti, ascoltava pazientemente i dubbi amorosi delle amiche, prestava il suo denaro se altri ne avevano bisogno. Chiara questo lo faceva volentieri, faceva parte del suo carattere voler far sempre del bene ad ogni costo, non lo faceva con interesse.
In tanti anni si era divertita, aveva riso, condiviso le sue emozioni, belle e brutte, con gli amici di sempre, con quelli nuovi, perfino a volte con degli sconosciuti incontrati sul treno o in autobus, con cui sapeva intavolare conversazioni amichevoli. Chiara era socievole, di bell’aspetto, gentile, educata. Tutti la ammiravano, la invidiavano per la sua intelligenza, la sua bontà, la sua generosità.
Eppure aveva un bisogno insaziabile di piacere agli altri, di procurarsi il loro affetto, la loro approvazione. Era come una nota musicale di sottofondo, che accompagnava le sue giornate senza che lei se ne rendesse conto, quelle belle come quelle malinconiche. Certo, Chiara aveva avuto i suoi momenti tristi, i suoi momenti spensierati, come tutti. C’era soltanto questa nota che suonava in sottofondo, e nessuno, nemmeno Chiara, riusciva ad ascoltarla.
In tutta la sua vita, soltanto due o tre persone al massimo l’avevano trovata antipatica. 
E una di queste era proprio Chiara. 
Chiara odiava la sua parte racchiusa nell’involucro, quel piccolo giardino arido chiuso a chiave nel suo cuore. Si sentiva cinica, egoista. Aveva paura di aprire quel lucchetto, aveva paura di sapere cosa sarebbe uscito da lì. 
Chiara si sentiva sfortunata in amore, soltanto perché aveva ricevuto un due di picche alle medie.
Aveva fallito nei sentimenti, e nella sua vita non doveva fallire.
Da lì, si era convinta di avere una specie di maledizione addosso, di essere brutta, di respingere i ragazzi carini. E Chiara brutta non era, doveva solo sbocciare un po’ più tardi delle altre ragazze.
Chiara odiava perfino spogliarsi da sola prima di farsi la doccia. Non amava il suo corpo, né la sua debolezza di fondo. Come avrebbe fatto con un ragazzo, quando sarebbe venuto il momento?
Aveva fallito nei sentimenti, si sentiva brutta, si sentiva bene soltanto quando mostrava al mondo i suoi successi, la sua bontà. Amava sentirsi d’aiuto agli altri, perché solo così pensava di essere amata dagli altri. E un ragazzo in fondo no, non lo voleva, perché quel ragazzo non avrebbe potuto essere un ragazzo qualunque, no, avrebbe dovuto essere l’uomo della sua vita, e all’uomo della tua vita non puoi nascondere le tue debolezze. Come se il principe azzurro dopo aver sposato Cenerentola, scoprisse improvvisamente che le mancano le buone maniere, che ha tremendi calli alle mani per il duro lavoro, e che non sa fare altro che lavare, cucire e rammendare come qualsiasi altra serva. Non sa nulla di cura né di igiene personale, e non ha altri interessi se non i lavori domestici. Una vera delusione, insomma.
No, Chiara non voleva dimostrare la sua debolezza, non voleva ammettere a sé stessa che aveva paura di sbagliare, di fallire di nuovo, per questo fuggiva da tutti i potenziali fidanzati.
Finché non aveva incontrato Marco. 
Marco l’aveva conosciuto per caso, tramite un’amica di un’amica in comune, si erano trovati alla stessa festa, e allora… non si erano guardati neanche di striscio.
No, c’era voluto più di un anno perché si accorgessero l’uno dell’altra. Marco in verità l’aveva notata fin da subito, ma aveva aspettato pazientemente, e lei, ingenua, non si era accorta di quanto Marco le piacesse fino a circa due settimane prima che si mettessero insieme.
Erano insieme da neanche un mese, quando lei aveva iniziato a sentire quelle nubi, quella nebbiolina. Aveva preparato la tesi, originale, scritta bene, l’aveva consegnata in tempo, e quando le era stato comunicato il voto, un fantastico 110, aveva subito telefonato a sua madre. Aveva preso 110, capito? Un altro successo da incorniciare, oltre all’aver finalmente trovato un ragazzo. 
Chiara era rimasta di sasso, quando la madre aveva liquidato la notizia con un “Bene, brava”.
Come sarebbe a dire “Bene, brava?” 
La sera stessa i suoi genitori le avevano fatto mille complimenti, ma lei non vedeva la gioia sui loro volti. E lì era sprofondata. Le nubi si erano improvvisamente infittite, e lei aveva smesso di vedere. Si era ritrovata come cieca. Vedeva, ma non vedeva. Si sentiva sconfitta. Aveva raggiunto tutto quello che era possibile raggiungere alla sua giovane età, ma si sentiva sconfitta dentro, nell’anima. Qualcosa, un erbaccia di quel giardino segreto, chiuso a chiave nel suo cuore, aveva oltrepassato il muro. No, anzi, l’aveva sfondato.
Era come morta: i giorni passavano, ma lei non li sentiva. Era come essere un vegetale, che vive ma non distingue la realtà che le sta attorno.
Guardava Marco, ma non lo vedeva. Guardava il cielo, ma non lo vedeva. Era arrivata al capolinea. 
Lui le diceva “Ti amo”, credendoci veramente, ma il suo cuore rispondeva “Ti amo? Come fai ad amarmi? Io, che sono così debole, così impaurita? Non valgo nulla, non sono nulla”.
Aveva cominciato a sospettare di lui, a non fidarsi più. Se lui le sorrideva, allora la stava prendendo in giro. Se parlava con un’altra, voleva tradirla. Non importa se era la vicina di 80 anni del condominio a fianco al suo. 
Chiara non accettava di essere amata da Marco, perché lei non poteva essere amata. Non doveva essere amata. Era debole, aveva paura, e non era affatto la persona vincente e forte che gli altri credevano che fosse.
Aveva iniziato ad allontanare i suoi amici, a preferire la solitudine alla compagnia. Non riusciva più a stare in compagnia, si sentiva spenta. Ad aggravare la situazione, molti di loro avevano iniziato ad accusarla: “Adesso che hai trovato il ragazzo non ci degni di uno sguardo” “Pensavo di contare qualcosa per te, pensavo di essere parte della tua vita” “Io non elimino le persone a cui tengo, come hai fatto tu” “Se non mi faccio sentire io, col cavolo che tu ci tieni. Sei diventata un’egoista!”
Sì, Chiara era diventata egoista. Non ce la faceva più a pensare sempre agli altri, ad accontentarli, non sopportava più di dover sempre essere qualcuno che non era. Ora aveva soltanto voglia di chiudersi, di dormire, di pensare solo e soltanto a sé stessa.
Chiara ormai piangeva, piangeva ogni giorno. Passava ore a disperarsi, a piangere come una bambina, centinaia di fazzoletti Tempo sparsi attorno a lei. Questa era la conferma ai suoi peggiori incubi: nessuno le aveva chiesto se c’era qualcosa che non andava, se aveva bisogno di aiuto. Nessuno lo aveva chiesto, ma mentre piangeva, Chiara chiamava aiuto ad alta voce, come se qualcuno potesse sentirla. Le veniva un mal di testa atroce, tanto che doveva sdraiarsi a letto e chiudere gli occhi finché non le passava.
Poi smetteva, riprendeva fiato e si vergognava. Si vergognava di essere così debole, di piangere così, di essere ancora una bambina, lei che aveva sempre vinto, si vergognava della sua sensibilità, di quelle crisi a cui non riusciva a reagire. Non sapeva perché fossero arrivate, cosa c’era di sbagliato in lei, e non sapeva come fare per tirarsi su, come impedire che questi accessi di pianto si scatenassero. Erano causati da un nonnulla. Faceva cadere un oggetto per sbaglio? Iniziava a piangere. Marco le diceva che era stanco per via del lavoro e preferiva restare a casa quella sera? Cominciava a pensare che volesse lasciarla, che avesse un’altra, e che in segreto lui la disprezzasse per la sua debolezza. Da lì, altro mal di testa e altra crisi di pianto della durata di un’ora e mezza.
Chiara non vedeva più la realtà che le stava intorno, ma solo ombre e forme indistinte. Chiara viveva in un altro mondo, fatto di paure, di illusioni. A questo si aggiungevano anche gli incubi, che le toglievano il sonno e che continuavano a perseguitarla durante il giorno: lupi la aggredivano nei sotterranei, centinaia di vespe giganti la rincorrevano, tentando di pungerla, ragni e scarafaggi uscivano da buchi sotto il pavimento per invadere la casa e distruggere ogni cosa.
Si svegliava in preda al panico, sudata fradicia, accaldata e impaurita. Ora teneva sempre la luce accesa, non riusciva a trovare una posizione in cui dormire, così arrivava la mattina, e un’altra giornata anonima davanti a lei.
Chiara teneva nascoste le sue crisi ai genitori, non voleva essere ferita ulteriormente. Scacciava i suoi animali domestici che la volevano coccolare, e dubitava di Marco, che nonostante tutti i suoi sospetti le stava vicino più che poteva, consolandola e correndo da lei ogni volta che poteva.
Ma non poteva nascondere ancora a lungo le sue crisi. Una sera, era scoppiata in lacrime a tavola, rifiutandosi di mangiare, ed era andata avanti senza riuscire a smettere per mezzora. I suoi genitori, ammutoliti, si erano stretti attorno a lei, abbracciandola e chiedendole spiegazioni.
Lei non sapeva darne.
Si sentiva impotente, vuota, non sapeva più andare avanti né tornare indietro. 
Aveva raggiunto il fondo.
Chiara a quel punto poteva fare soltanto una cosa: guardare dentro di sé. Quello che aveva visto l’aveva lasciata spiazzata: lei era debole soltanto perché non si amava. Non accettava la sua sensibilità, non accettava di essere semplicemente umana. Voleva cancellare le sue debolezze, le insicurezze, tutto ciò che non andava in lei, e che le avrebbe precluso l’affetto altrui. E le sue debolezze l’avevano inghiottita. Le insicurezze avevano scavato una voragine dentro di lei, dentro cui era caduta, fino in fondo. Ora doveva rialzarsi, capire, lottare. 
Chiara aveva guardato dentro sé stessa e aveva capito. Ora sapeva che non si può vivere per gli altri, che non si può non amare sé stessi.
Non era stato facile combattere contro sé stessa. La vocina nella sua mente continuava a ripeterle le sue debolezze, una a una, continuava a mostrarle in rapida successione tutti i suoi fallimenti.
Ma lei aveva detto basta. 
Era stata una bambina, sì. Aveva continuato a nascondere la sua frustrazione e il suo bisogno di conferme dietro ai suoi successi, alla sua bontà e alla sua gentilezza. Chiara non poteva più essere una Mary Sue, semplicemente perché non lo era mai stata. Quanto le era costato il suo bisogno d’affetto? Quanto le era costato cancellare sé stessa e il suo carattere? 
Ci erano voluti diversi mesi, più di sei in verità, per capire, accettare, cambiare. Non è stato facile cercare di eliminare quella radice velenosa che si era insinuata in lei.
Chiara non può ancora dire di amarsi veramente, ma sta iniziando. Ha iniziato ad apprezzare sé stessa, a curare di più il suo corpo, a prendersi del tempo per sé. Ha imparato che dire “no” a volte fa bene, che non si può essere perfetti. Ha imparato che vale la pena lottare per i propri sogni e le proprie aspirazioni, che vale la pena puntare in alto, ma che non bisogna distruggere sé stessi nel tentativo. Sentirsi continuamente in colpa per non essere una figlia, un’amica, una fidanzata perfetta, non cambierà le cose, ma anzi la farà sentire sempre peggio. E la farà peggiorare.
I suoi limiti adesso Chiara li conosce: sa che alcune cose di lei potranno cambiare, migliorare, ma altre no. Sa che ostinarsi nei difetti è sbagliato, ma è altrettanto sbagliato pretendere di cancellarli.
Chiara ha riscoperto la sua sensibilità: ha iniziato un corso di pittura, e si diverte moltissimo. Non è tra le migliori né tra le peggiori, ma è soddisfatta di quello che crea. Non ha ancora trovato lavoro, ma le va bene così. Sa che prima o poi l’occasione per lei arriverà. Ha imparato ad apprezzare la sua tenacia: sa che quando si prefigge un obiettivo lo raggiunge, ma non chiede più l’impossibile a sé stessa. Chiara ora sa di essere amata sinceramente, e ha scoperto, con sua grande meraviglia, di poter essere forte. 
Chiara sorride: ora, lentamente, arriverà il suo radioso futuro.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: namary