EPILOGO
Max
sola in casa, camminava lentamente sul pavimento freddo. Il cd dei Lostprophets risuonava per
la casa, la musica ad alto volume la distraeva da tutto, forse anche per questo
l’amava in modo così intenso… perché la rendeva libera da tutti quei pensieri
tristi, malinconici che le intasavano il cervello durante le ore del giorno.
Si
avvicinava allo stereo e appoggiava il cranio alle casse, che rimbombavano.
Cantava, anche se la sua voce era impercettibile, nascosta da quelle note così
alte e potenti.
Conosceva
il testo di ogni singola canzone, e ne dava prova rispettando le sillabe
pronunciate dal caro Ian.
Un
paio di giorni prima Gerard le aveva comperato il cd, facendoglielo trovare
sotto la sua, ormai diventata tale, tazza di caffé.
Lei
aveva insistito sul fatto che la stavano viziando, tutti… e di certo non si
meritava nessuno di quei privilegi.
In
quel lasso di tempo che velocemente passò, ricevette innumerevoli chiamate da parte di
Sarah, alla quale aveva provveduto a dare il numero di casa del chitarrista,
dato che il suo cellulare era fuori uso da tempo.
Le
due si erano scambiate innumerevoli convenevoli, e racconti di tutti giorni,
durante le numerose e interminabili chiamate.
Un
giorno però, tutto si fece molto più interessante quando uscì fuori il racconto
del bacio, anzi dei baci, con Frank. Sarah, trattene un sospiro, misto tra
incredulità e gioia, e iniziò a tempestare l’amica delle domande; poche di
queste ebbero una risposta chiara, ma dopo tutto se neanche la stessa Max
sapeva come stavano in realtà le cose, come avrebbe potuto raccontarle a
chiunque altro.
Frank
non aveva riaperto il discorso, non aveva fatto o almeno cercato di fare nessun
passo avanti, e la ragazza lo aveva assecondato, facendo così rimanere la
storia ad un punto fermo.
Adesso
con quei suoni penetrati attraverso le sue orecchie, lei non pensava a nulla…
respirava e cantava, e le andava bene.
Non
aveva più sentito i suoi genitori o i suoi amici, a parte Sarah, da un tempo
indeterminato.
Il
cellulare era rimasto chiuso e quindi irraggiungibile, a nessuno sarebbe mai
potuto venire in mente che le si trovava nella casa di un famoso chitarrista, a
vivere spalla a spalla con Frank Iero, e questo le dava un grande vantaggio.
Avrebbe
aspettato la visita del medico, che si sarebbe tenuta quel pomeriggio stesso, e
dopo aver saputo il responso, avrebbe iniziato a riapparire nella vita dei
suoi.
Finalmente
Frank era riuscito a convincerla, insieme sarebbero andati dal dottor.
Stevenson, uno dei migliori specialisti della zona. La mano oramai era vicina all’esser
irrecuperabile, le dita non rispondevano agli stimoli, tremavano solo durante i
soliti attacchi, dolorosi che si diffondevano per tutto il braccio.
Giunto
l’attacco di “Everybody Screaming” decise di chiudere lo stereo, spinse il
tasto, e bloccate le note, la casa tornò al suo solito silenzio.
Frank
era fuori tutte le mattine, e tornava verso l’ora di pranzo… Max non sapeva
quello che faceva, ma non aveva voglia di impicciarsi nella sua vita più di
quanto non facesse già.
Accese
la televisione, e si dedicò a guardare lo schermo.
Giunta
su un canale di musica riconobbe la voce e la musicalità di Michael Bublè…
“Everything” riecheggiava, appoggiò il telecomando accanto a sé.
Attaccò
a canticchiare, sorridendo.
Un
paio di anni prima, ad un matrimonio al quale era stata costretta a partecipare
con la sua famiglia, lei, suo padre e lo zio avevano ballato sopra le note di
una sua canzone. Ridendo come dei pazzi avevano iniziato a parlare ad un
ipotetico matrimonio della ragazza, e questa aveva ammesso che non sarebbe
stato male avere proprio il signor Bublè a cantare per lei; i due uomini
avevano riso, facendola arrossire, ma poi con un -tutto è possibile, se ci
credi- l’avevano rassicurata.
Ora,
ritrovandosi sola a canticchiare quelle stupende parole, non sapeva se ridere o
piangere.
Chissà
se si sarebbe mai sposata, se un fatidico Lui l’avrebbe aspettata all’altare
con cravatta e smoking, di certo avrebbe tanto desiderato essere accompagnata
all’altare da suo padre… questo gliel’aveva sempre omesso, gli diceva sempre
che sarebbe stato il tanto amato zio, il suo accompagnatore ideale, e il padre
ci rimaneva sempre più male.
In
realtà, lei lo avrebbe tanto voluto avere a suo fianco, al suo papà… con i
capelli che oramai tendevano al bianco, e gli occhi chiari che lei non aveva
ereditato.
Lui
sicuramente, non aveva chiuso occhio durante tutte queste notti segnate dalla
sua mancanza, l’aveva cercata in lungo e in largo.. non arrivando a nessuna
conclusione; lei sapeva che lui odiava ciò… il non arrivare a nulla, non averla
vinta… una delle poche cose che avevano in comune era proprio questa… ed era
anche il motivo per il quale non andavano d’accordo… lui con lei non l’avrebbe
mai avuta vinta…
Erano
quasi giunte le 2 di pomeriggio, e di Frank non si aveva traccia. Il
chitarrista l’aveva avvertita che avrebbe fatto tardi, e quindi lei aveva
mangiato sola e lo aveva atteso davanti alla televisione.
Finalmente,
verso le due e trenta, qualcuno citofonò alla porta.
-Si?-
chiese al citofono.
-Io…
Max, senti puoi scendere, senza che io salga? Perché i ragazzi se ne devono
andare…- la voce di Frank, inconfondibile anche se arrugginita dai rumori
metallici.
-Certo…
aspetta quanto mi preparo…- detto ciò riagganciò. Giunta in camera da letto,
prese una t-shirt nera, con una cravatta a strisce bianche e nere… e si diresse
fuori.
Non
usciva di casa da così tanto tempo, che non si ricordava di che cosa sapesse
l’aria.
Quando
chiuse la porta alle se spalle, rimase a fissare le scale per circa 10 minuti…
spaventata.
Riaffrontare
tutto, ecco cosa avrebbe significato raggiungere Frank di sotto.
Riaffrontare
la tristezza, il dolore, la solitudine, la vergogna, il pentimento…
Stette
china sul legno dell’uscio ancora… ancora… sperando che qualcosa l’avrebbe, prima
o poi spinta a scendere quei gradini.
Ma
solo sé stessa si sarebbe potuta aiutare…
Tirò
un grande sospiro, si allargò il cravattino, più di quanto non fosse già largo
e riprese a respirare regolarmente.
Appoggiò
il piede destro davanti a quello sinistro e iniziò a scendere.
Uno.
Ed
un altro.
Ed
un altro ancora.
Finalmente
raggiunse il piano terra, dove i ragazzi l’aspettavano.
Frank
appoggiato alla carrozzeria dell’auto, con le braccia incrociate, alzò il capo
appena la vide uscire.
Il
viso bianco di Max, si rinvigorì alla sola vista del ragazzo. Questo la strinse
forte a sé, capendo da quei suoi fantastici occhi che aveva bisogno di aiuto.
-Pronta?-
le domandò, appoggiando la bocca all’orecchio.
-Se
ci sei tu, sì…- rispose, guardandolo attraverso in quei due fari verdi.
Allora
il chitarrista, fece cenno a Gerard, come per dire che andava tutto bene… e la
strinse ancora una volta.
I
due entrarono in macchina, entrambi nel sedile posteriore.
Davanti
i fratelli Way, litigavano su stupidaggini, che Max non aveva avuto possibilità
di comprendere.
-Allora,
aspetta ricapitoliamo… appena finite, Frank mi fa uno squillo… e noi
ritorniamo…- disse ad un tratto Mikey.
-Sì,
grazie ragazzi…- rispose il brunetto, la sua macchina era dal carro-attrezzi da
qualche giorno, il motore non dava più cenni di vita, e aveva ormai deciso di
ricomprarla nuova.
-Ma
figurati! Noi siamo a disposizione degli amici…!- rise Gerard imboccando la
prima via a destra.
-Certo,
quando ho bisogno io di un passaggio, invece…- mugolò il fratellino.
-Scusa
hai detto qualcosa?- chiese li maggiore, minaccioso.
-Io?
Niente…- rispose quello, facendo ridere i due passeggeri posti alle loro
spalle.
Frank
guardava la mano destra della ragazza, vicino alla sua coscia.
Pensava
a cosa potesse provare in quel momento Max, lui non avrebbe mai potuto
sopportare una cosa del genere…
Notava
gli scatti involontari del mignolo, dei quali lei sembrava non accorgersi.
Sospirò
e sperò che tutto questo potesse finire. Quando questo pensiero gli balenò
nella mente, venne sostituito da altri migliaia; cosa intendeva lui con questo
“tutto”, il rapporto tra i due, l’avere una ragazza in casa, l’esser costretto
a non dormire la notte per preoccupazione…
Era
sicuro solo del fatto che l’avrebbe voluta avere sempre accanto… quasi non
ricordava la vita prima del suo arrivo, o la ricordava monotona, sempre nei limiti
della monotonia di un chitarrista rock. Non voleva pensare che avrebbe dovuto
perdere le mattine senza qualcuno accanto a sé, con cui gustare un caffè, anche
se in pieno silenzio… lo stare sveglio fino a tardi a commentare film horror di
bassa categoria, chiedendosi tra risate come un mostro che riesce a stento a
muoversi potesse far paura… o anche il semplice guardarla mentre mangiava,
dormiva, parlava, giocherellava con i capelli, sorrideva, piangeva, e formulava
frasi per lui senza senso… non avrebbe più potuto riniziare una vita senza
tutto ciò, ora che lo aveva provato.
-Ho
paura…- disse ad un tratto Max; venne però, udita solo dal chitarrista, essendo
che i due davanti era presi dalle loro chiacchiere.
-Lo
so… ma non devi…- la rassicurò, guardando davanti a sé.
-Ma
ho molta paura…- il tono da bambina con cui queste parole erano suonate, fece
sorridere Frank si voltò.
-Allora…
io starò sempre accanto a te, okay? Quindi non vedo di cosa tu debba aver
paura…- detto ciò, la baciò sul naso, per poi sfiorarle le labbra con un dito,
riassaporando i momenti passati.
Lei
sorrise, il sorriso-FrankIero- l’aveva soprannominato Gerard facendo arrossire
entrambi, anche se lei sapeva che aveva ragione, quel sorriso nasceva solo
grazie a lui.
-Grazie…-
sussurrò, con gli occhi socchiusi, come per fermare nella sua memoria quel
dolcissimo momento.
*
Arrivarono
davanti al Dominic Hospital, un grande edificio bianco, circondato da un
altrettanto grande parcheggio.
-Allora
ragazzi, noi andiamo… aspettiamo la vostra chiamata…- disse Mikey, mentre
Gerard fuori dall’auto si era accostato un attimo a Max.
-Stai
tranquilla… tu sei forte… e poi… lo vedi quel ragazzo…- esclamò indicando Frank,
chinato a parlare col bassista.
-È
pazzo di te… ed è qui solo per te… non hai niente di cui temere…- detto ciò,
l’abbracciò.
-Ciao
piccola… a fra poco…- si allontanò raggiungendo il fratello, che attendeva
sbuffando in auto.
-Che
ti ha detto?- domandò Frank, accendendo una sigaretta.
-Niente…-
rispose lei, sorridendo al suo chitarrista, che con la cicca in bocca rispose
al sorriso.
Rimasero
altri minuti fuori dall’edificio, per aspettare che Frank finisse la sua
sigaretta e che Max si tranquillizzasse.
-E
cosa gli dirò se mi chiede come me li sono procurati?- domandò la ragazza,
mentre fissava le ambulanze che con la sirena al massimo, sfrecciavano fuori
dai garage.
-Non
credo te lo chieda… e comunque, non ci pensare ora… ti devo ripetere per
l’ennesima volta di stare tranquilla?- domandò, spengendo la sigaretta sotto la
suola della scarpa destra.
-No,
ho capito… ora però… andiamo?- chiese. Quello per tutta risposta le afferrò la
mano sinistra, e facendo incrociare le dita, iniziò a camminare.
-Un
passo alla volta…- la rassicurò, notando la sua incertezza.
Insieme,
lentamente, giunsero all’entrata. Max respirava con la bocca aperta, e stringeva
la mano del ragazzo, quasi spaventata che questo se ne potesse andare.
Guardava
dinnanzi a sé, non sapendo cosa aspettarsi.
Arrivarono
in sala d’aspetto.
Un’altra
stanza, anche questa completamente bianca… l’unico colore era dato dalle piante
che con il poco verde cercavano di rendere il tutto un po’ più accogliente.
Frank
disse alla ragazza di sedersi, mentre lui sarebbe andato a chiedere
informazioni del dottore a qualche infermiera.
Lei
annuì, cercando di apparire la meno terrorizzata possibile.
Si
accomodò, su una scomoda sedia di plastica.
Fra
tutte le voci che le circolavano intorno, lei riusciva a percepire solo una
cosa: le gocce di un qualunque flebo che cadevano, ritmiche… il ricordo di quel
liquido che aveva scandito i secondi, anche se pochi, passati in quella stanza,
le fece salire i brividi.
Lo
sentiva, rimbombarle nelle orecchie, e iniziava a percepire anche un bruciore
agli occhi.
Frank
che intanto era riuscito a scoprire che il medico sarebbe tornato a momenti, le
si sedette accanto, ma quella non se ne avvide.
-Che
succede?- le domandò quando, vide la prima lacrima.
-Non
riesco a cacciarlo dalla mente…- rispose confusa, cercando di tapparsi le
orecchie.
-Cosa?-
chiese quello, non essendo riuscito ad apprendere il senso della risposta.
-Questo
ticchettio… è lo stesso di quando ero qui io… lo senti…? Una goccia… un’altra…
un’altra…- espose, muovendo il dito, sincronizzandolo con le parole.
-Dai…
non ci pensare…- cercò di consolarla.
Ma
Max, non riusciva a svuotarsi il cervello da quell’odioso rumore.
Riusciva
a sentire solo quello, ed era forte, imponente e doloroso.
-Well I was there on the day
They sold the cause for the queen,
And when the lights all went out
We
watched our lives on the screen…- finalmente qualche altra cosa si unì a quel
tetro suono.
Frank
con la sua bellissima voce iniziò la fantastica Disenchanted.
Max,
lo guardò, come poteva fare un ragazzo a farle provare quelle sensazioni, ed ad
essere sempre pronto per lei, in ogni momento.
Mentre
quelle parole, come una stupenda melodia si facevano spazio dissolvendo quel
ticchettio, anche ella iniziò a cantare.
Le
due voci, basse attraversarono il corridoio privo di qualunque essere vivente.
La
ragazza si appoggiò a lui.
-You're just a sad song with nothing to say
About a life long wait for a hospital stay
And if you think that I'm wrong,
This never meant nothing to ya…- continuavano a cantare.
E in quel
gioco di voci tutto sparì.
Ad
un tratto però una donna, sulla sessantina si avvicinò a loro, dicendogli che
il dottore era appena arrivato e fra qualche minuto li avrebbe accolti nel suo
ufficio.
Loro
annuirono, e ringraziarono la donna, che si allontanò.
Il
momento si stava avvicinando, e la preoccupazione si stava facendo sentire.
Max
sospirò, guardandosi la mano, accarezzando il palmo di questa, priva di
speranze.
-Perché
hai smesso?- la richiamò Frank.
-Eh?
Ah sì, scusa…- rispose lei, tirando un lato della bocca.
-Cambiamo
canzone se vuoi… ma non voglio che tu ti disperi… dai…They're gonna clean up
your looks… With all the lies in the books- finì, attaccando con
Teenegers.
Max,
decise di seguirlo, ed evitare che la rabbia e la paura si rimpossessassero
nuovamente di lei, non voleva permetterglielo.
I
minuti passarono, ma nessun’altra infermiera si fece avanti per dargli altre
notizie.
Il
medico a quanto pare aveva avuto qualche contrattempo, ed i due erano già
arrivati alla fine della 4 e ultima canzone.
-Certo
che le sai proprio tutte…- rise Frank, guardandola.
-Sì,
io invece ti vorrei chiedere una cosa… ma perché urli? Hai una voce così
bella…- domandò, arrossendo e facendo arrossire anche il ragazzo.
-Beh,
non puoi dire che le mie urla non siano bellissime… e poi io mica sono il
cantante…- diede risposta, sorridendole, e spingendo il suo dito indice contro
la fronte di Max, che per la pressione allontanò in maniera impercettibile la
testa, per poi tornare alla sua posizione precedente.
-Okay,
come dici tu… e poi sarebbe un po’ difficile fare… beh tutto quello che fai tu
sul palco, con la costrizione di un microfono…- constatò, facendolo ridere.
-Eh
sì, ed è quello che mi diverte di più negli spettacoli… un giorno di questi mi
romperò l’osso del collo, ma… chi se ne frega!- pronunciò, alzando forse di
troppo la voce, tanto che un’infermiera uscì dallo studiolo per fissarlo, e
bacchettarlo con lo sguardo.
-Forse
è meglio se abbassiamo la voce… anche per il fatto che mi sta venendo un gran
mal di testa…- sospirò Max.
-Vieni…-
la incitò, a sdraiarsi su di lui, e lei lo fece.
Appoggiò
la sua testa alle gambe del ragazzo, e socchiuse gli occhi.
Quello
giocherellando con i suoi capelli, iniziò a mugolare una dolce canzoncina…
-Cos’è?-
chiese lei, non smettendo di tener le palpebre abbassate.
-Me
la cantava la mia mamma quando ero nervoso, non ricordo precisamente le parole,
ma la sinfonia non me la caccerò mai dalla testa…- detto questo, riattaccò.
-Dormi…
angelo… la mamma è con te… quando la notte finirà, la tua mamma qui sarà…-
intonò la ragazza.
-Sì,
è questa…- rise Frank.
-Anche
la mia mamma me la sussurrava prima di dormire….-.
Allora
quello ritornando a cantare venne seguito dalla voce di Max, che ricordò tutte
le parole.
Alcune
persone si sedettero nella stessa sala, ma nessuno osò interrompere questo
bellissimo momento.
I
due fecero sorridere molti volti quel giorno.
Finalmente,
circa un quarto d’ora dopo arrivò l’infermiera che prima aveva rimproverato i
due.
-Ragazzi…-
al suono di questa parola, Max si destò e ,dopo essersi strofinata gli occhi
tornò ad ascoltare la signora.
-Il
dottore è pronto per ricevervi…- allora i due si alzarono e attraversarono il
corridoio.
La
sala del dottore, come fu loro spiegato successivamente era l’ultima sala a
destra.
Arrivati
di fronte l’infermiera che li aveva portati fino a quel posto gli avvertì che
solo i familiari potevano accompagnare colui che si visitava, durante la
visita.
Max
allora si girò verso Frank e scuotendo il capo disse: -Io senza di te, non ce
la faccio…-.
Lui,
la guardò per tranquillizzarla e rivolgendosi alla donna esclamò.
-Siamo
fidanzati… dobbiamo sposarci tra un mese… posso essere considerato un
familiare…?- domandò, con lo sguardo da cucciolo, afferrando la mano della
ragazza.
-Sì,
dai puoi andare… ed auguri, sia per la visita che per il matrimonio allora…-.
-Grazie…-
dissero in coro i ragazzi, ridendo.
Entrarono.
Lo
studio era abbastanza grande, una parete era ricoperta da attestati di laurea e
foto di bambini, sicuramente figli del dottore.
La
scrivania d’acero aveva sopra di sé scartoffie di ogni genere, una pianta
fiorita, ed un orologio a pendolo, che segnava i secondi con il consueto
ticchettio.
Il
lettino alla loro destra era coperto da un lenzuolo ancora intatto.
Ed
infine ecco il dottore.
Un
uomo basso e panciuto, gli occhi infossati nelle orbite.
Una
barba incolta era la cornice adatta per quei lineamenti non propri adatti ad un
dottore, i capelli erano brizzolati irti sulla testa come tante spine.
Sul
volto un sorriso di circostanza.
-Salve,
ragazzi…- pronunciò, per poi invitarli a sedere, nelle due sedie di pelle di
fronte alla scrivania.
-Allora,
cosa abbiamo qui?- domandò avvicinandosi alla ragazza.
-Più
di un mese fa, la mia ragazza si è fatta male con uno specchio rotto… da allora
non riesce più a controllare i movimenti della mano destra…-.
Il
dottore per tutta risposta mugolò, ed indirizzò la ragazza e sedersi sul
lettino.
-E
se posso, perché non è venuta prima da un dottore?-.
Il
cuore di Max iniziò a battere sempre più forte, era arrivato il momento di
confessare a qualcuno quello che aveva fatto?
Il
medico, alzato lo sguardo e vista l’espressione tesa della ragazza evitò di
insistere.
-Le
ricordo solo che ho l’obbligo del segreto professionale, per il resto… andiamo
avanti con la visita…-.
Slacciò
le bende che avvolgevano il braccio, la pelle finalmente riprese aria.
Prima
controllò il polso sinistro.
Sapeva
bene come la ragazza si fosse fatta i seguenti tagli, e per questo evitò di
pressare con domande di alcun genere.
-Beh
qui le ferite si sono quasi del tutto rimarginate, le bende hanno aiutato
molto, ma ti consiglio comunque di disinfettarle, perché non vorrei che
sorgesse qualche infezione, anche se vedo che non ci sono segni…-.
Frank
che si era accostato all’uomo intervenne.
-Sì,
ho provveduto a disinfettarla varie volte…-.
Il
dottore annuì, per poi passare a controllare l’altra mano.
-Allora…
mi spieghi… sente mai dolore?- chiese, mentre tastava con delicatezza le
falangi.
-Sì,
molto spesso…mi vengono attacchi che mi intorpidiscono tutto il braccio…-.
Quello
mugolò nuovamente.
-Provi
a muovere il mignolo…-.
Quella
strinse gli occhi, mostrando l’estenuante sforzo, ma niente.
-I
legamenti sono sicuramente rovinati, anche in maniera abbastanza grave
direi...-.
-E
dottore… cosa dobbiamo fare?- Frank nervoso, dopo essersi seduto aveva iniziato
a tamburellare le dita sul tavolo.
Max
si fissava la mano, spaventata… perché non aveva seguito quello che gli aveva
detto Frank?
-Beh
ci sarebbe un’operazione…-.
-Okay…
è pericolosa?-.
-Ogni
operazione ha i suoi rischi signor…-.
-Iero,
signor Iero…-.
-Beh
dicevo… ha i suoi rischi, ma permetterebbe alla sua ragazza di tornare ad
utilizzare la mano destra con tutte le sue dita…-.
Max
non aveva proferito parola, anche se aveva ascoltato tutto quello che i due si
erano detti.
-Okay,
allora ne parleremo… ma credo di poterle dare già il nostro consenso… vero
Max?- domandò Frank.
Quella
rispose annuendo.
-Allora
se vuole gliela prenoto, ma credo che non ci siano giorni buchi fino alla settimana
prossima…- continuò il dottore sfogliando l’agendina d cuoio, che risiedeva
sulla scrivania.
-Bene,
ci faccia sapere… noi ora andiamo… arrivederci…- Frank si avvicinò a Max –Amore
andiamo…- dettò ciò la prese per la mano ed uscirono.
*
Giunsero
fuori dall’ospedale e si ritrovarono indifesi, sotto un grande acquazzone.
-Oddio…
aspetta quanto dico a quelli di muoversi…- sospirò Frank, prendendo il
cellulare dalla tasca.
Max
ancora in silenzio, si sedette in una panchina sotto la pioggia.
Rimase
con la testa china, mentre tutti i capelli grondanti di acqua le circondavano
il viso bianco.
La
maglietta e la cravatta aderivano al suo corpo, che dopo alcuni secondi iniziò
a tremare.
-Gee…
abbiamo finito, ma qui sta piovendo a dirotto… okay, grazie… a tra poco…-
riattaccò.
-Stanno
arrivando…- disse voltandosi, rendendosi conto di essere solo.
La
vide seduta sola in quella grande panchina, e correndo la raggiunse.
Fece
schizzare alcune pozzanghere d’acqua e poi arrivò accanto a lei.
-Ti
farai venire qualcosa… non ti potevi portare qualcosa da metterti sopra?-
chiese cacciandosi il giubbotto ed appoggiandolo alle spalle di lei, inerte.
-Perché
fai tutto questo per me?- gli chiese Max, alzando lo sguardo, mostrando il viso
pieno di pioggia.
Frank,
anch’esso completamente zuppo, la guardò. Aveva il ciuffo bagnato che gli
pressava sull’occhio destro, gli occhi verdi si vedevano anche attraverso quei
capelli e quei goccioloni.
-Come
scusa?-.
-Perché
lo fai? Non sono venuta a letto con te… non abbiamo vincoli di sangue… non
capisco…-.
-Beh
allora sei stupida…- disse quello, mostrando un sorriso tra la pioggia.
Max
alzò gli occhi al cielo. Adorava stare col viso sotto la pioggia.
Adorava
la pioggia, e starci sotto la rendeva felice.
Lui
la guardava, e guardava quella pioggia che le cadeva addosso, avrebbe tanto
voluto essere nei panni di quelle gocce che scendevano sulle sue labbra rosse,
che ripassavano il contorno delle sue gote, o che le calavano giù per il corpo.
-Posso
baciarti?- le chiese.
Quella
sorrise, per poi voltarsi e prendere il volto di lui tra le sue mani.
Un
bacio sotto la pioggia.
Le
gocce che si intromettevano tra quelle labbra che avevano sofferto ed aspettato
tanto quel momento.
-Hai
capito adesso perché io ho fatto tutto questo per te?- domandò Frank,
separandosi un attimo.
-Sarei
una stupida se non lo avessi capito… e comunque anche io ti amo…- concluse con
un sorriso, sfiorando il viso di lui.
-Questo
io non lo ho mai detto…- insisté lui, fissando i lineamenti di quella ragazza,
come se stesse guardando una dea.
-Lo
hai dimostrato che è anche meglio…-.
Le
loro labbra si rincontrarono.
Le
macchine che sfrecciarono non interferirono minimamente nei loro pensieri, non
c’era nulla a parte loro, ed il loro amore.
Max
sapeva che se lui le sarebbe rimasto accanto, tutto avrebbe avuto un lieto
fine; Frank invece… beh per lui il tanto ambito lieto fine era arrivato...
sotto una fredda pioggia primaverile…
Fine