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Autore: DeiDeiDei    06/12/2012    3 recensioni
Young!AU Charles-Erik
Un mondo nel quale i Mutanti si possono "controllare" grazie ad un medicinale, la Cassidia, o come la chiamano i Mutanti stessi "la droga". Spesso vengono venduti per svago o come domestici alle famiglie benestanti (servitori personali, compagnia, "collezioni" private, intrattenitori).
Charles Xavier è il paggeto di un nobile inglese che deve firmare un'importante accordo con un russo, Ivan Bolsky, il figlio del quale vuole, come dono per il compleanno e pegno per l'accordo, Charles stesso. Quando il Mutante si ritrova solo, tra sconosciuti, in un posto tanto lontano da quello che era solito chiamare casa, ha una sola cosa alla quale aggrapparsi: la sua natura mutata. Dal canto loro, i Mutanti della villa dovranno accettare il nuovo arrivato capace di leggere loro nella mente? Niente è troppo sicuro quando si parla di un gruppo di adolescenti orfani costretti ai lavori e sotto l'influsso della Cassidia che non lascia loro usare i poteri contro i loro aguzzini.
In questo senso, riuscirà Charles ad ambientarsi? Ed Erik, come accoglierà il piccolo, nuovo, telepate di casa Bolsky?
Russia, campagne nei pressi di Mosca, dopoguerra.
POV multiplo- Focus Charles
FATE Ctrl- se la storia è in grossetto!
Genere: Generale, Slice of life, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Pet’s Tales





 

CAPITOLO SECONDO:Cane.










 

 
Charles si strinse nelle  braccia, tentando di non far troppo notare il suo movimento all’altro ragazzo. C’era freddo. Un po’ troppo freddo per andarsene in giro soltanto in camicia e questo lui lo sapeva benissimo. Anche Mattew doveva esserne consapevole, considerando che indossava un lupetto bianco e un pesante giaccone con l’interno in folta pelliccia di coniglio, ma evidentemente non considerava importante tenere al caldo anche ciò che era una sua proprietà. Dopotutto, pensò Charles, un mutante per quel ragazzino valeva l’altro. Era quello ciò che era diventato: un mutante qualsiasi, sacrificabile, non più importante per il proprio padrone come era stato in quegli anni al servizio dei Grayson. Non era più nemmeno un paggio. Non aveva idea di cosa gli sarebbe toccato fare, in quel posto, ad essere sinceri. Sperava vivamente che lo tenessero lontano dai lavori manuali, perché non avrebbero potuto trovare nulla di più inadatto a chi era sopravvissuto fino a quel momento leggendo la mente altrui e, in alcuni rari e difficoltosi casi, manipolandola. Quello per lui era un lavoro da sinapsi, non da muscoli, di certo. Se anche avessero sbagliato, se ne sarebbero accorti molto in fretta e gli avrebbero affidato qualche compito più consono, sicuramente.

Continuò a seguire il giovane padrone di casa passo dopo passo, limitandosi ad annuire quando il bambino si girava verso di lui alla ricerca di una risposta affermativa a qualche retorica domanda riguardante la bellezza del giardino innevato o la straordinaria quantità di cavalli nelle stalle, di giocattoli nelle stanze e di stanze stesse all’interno della villa. Gli aveva mostrato tutti e tre i piani dell’abitazione, sincerandosi di sottolineare dove un essere senza diritti come lui non poteva assolutamente mettere piede e, dove, invece, sarebbe stato compito di un qualche mutante pulire, mettere in ordine e rassettare. Aveva anche elencato un sacco di regole assurde che, alla fin fine, si potevano ritenere tutte riassumibili in una soltanto e cioè “ciò che Mattew dice è legge per tutti, tranne che per i suoi genitori”. Non che i genitori non facessero ogni cosa lui chiedesse poco elegantemente di fare, la presenza di Charles in quella casa ne era la dimostrazione più lampante, ma perlomeno non dovevano inchinarsi davanti a lui o chiamarlo Signore.  Entrando nella piccola magione sfatta che faceva da alloggio della servitù di casa Bolsky, poté assistere alla scena per l’ennesima volta: due servette di non più di quindici anni ed un uomo sulla trentina impegnati a piegare un grande lenzuolo si fermarono di colpo e chinarono la testa davanti al giovane tedesco, ringraziando il signorino per aver loro degnato di una sua visita. Charles quasi scoppiò a ridere davanti alla smorfia che la più minuta delle due ragazze fece non appena il suo padrone le diede le spalle e camminò oltre. Si trattenne solo per educazione. E per non essere rimproverato o punito successivamente.

Continuarono ad avanzare lungo l’ampio corridoio. Mattew ignorò del tutto sia le porte alla sua sinistra, sia le tende sgualcite che coprivano i varchi sul muro alla sua destra, per almeno tutta la prima ventina di metri di percorso.  Quel posto era enorme ed anche piuttosto inquietante, con tutti quegli usci di legno chiusi e le lampade ad olio sui piccoli tavoli a tre gambe allineati lungo il camminamento centrale. Sembrava quasi di trovarsi in un mondo totalmente differente da quello della villa della famiglia russa. O, perlomeno, di essere tornati indietro nel tempo di mezzo secolo. Almeno la catapecchia pareva decentemente riscaldata, perciò Charles azzardò la mossa lenta di spostare le braccia dalla loro postazione stretta attorno al busto e le lasciò ricadere lungo i fianchi. L’altro non taceva un attimo e non voleva saperne di tenere le mani ferme per più di tre secondi. Era irritante in ogni suo movimento ed ogni sua parola, ma il mutante era troppo educato per dirgli di starsene zitto ed indicargli il suo alloggio una volta per tutte. Sembrava, però, che il signorino avesse intenzione di continuare il suo tour e di mostrargli ancora qualche cosa.  Come se non bastasse, la sua indecisione sul da farsi divenne quasi assordante attraverso i suoi pensieri. Charles non poteva fare a meno di ascoltarlo: tutto ciò che diceva gli entrava nella testa senza che lo volesse e, per quanto cercasse di concentrarsi su altro, non era in alcun modo capace di tenersi distaccato abbastanza da non sentire perlomeno un fastidioso brusio.  Quando Mattew si fermò, quindi, per il telepate non fu una sorpresa. Se solo la mente dell’altro non fosse stata così confusa, avrebbe anche potuto sapere che cosa avrebbe dovuto osservare con finta ammirazione quella volta. Erano davanti all’ottava porta, sulla sinistra, del tutto identica alle altre, apparentemente. Eppure il corpo del russo fremeva d’eccitazione ed aspettativa sotto il giaccone.

-Ti presento il tuo vicino di stanza!- Annunciò mostrandogli un ampio sorriso ed aprendo la porta davanti a lui –E’ il mio cane preferito.- Commentò ridendo e facendogli spazio. Charles si affacciò nella stanza e gli occhi gli caddero subito sulla figura di un giovane seduto su una branda sfatta, accostata al muro. Il suo sguardo venne intercettato subito da due iridi severe e stanche. Sussultò. Niente nel corpo del ragazzo si era mosso, a parte gli occhi i quali si spostarono ancora, andando ad osservarlo dalla testa ai piedi, per tornare infine al viso. Lo stava esaminando. Charles deglutì il più silenziosamente possibile. Sembrò passare un’eternità prima che riuscisse a muovere lo sguardo a sua volta, sganciandolo da quello ora di sfida dell’altro, spostandolo sul corpo dello sconosciuto. La prima cosa che notò fu la museruola allacciata attorno alla sua faccia. Un brivido gli salì lungo la schiena. La seconda fu il collare. Un semplice collare di cuoio scolorito che gli circondava il collo, cadendo appena un po’ largo. Un milione di domande si susseguirono nel retro della sua calotta cranica, tra le quali perché diavolo un ragazzo dovesse avere addosso un collare. Quindi fu il turno dei suoi pensieri che gli assalirono, letteralmente, la testa, accanendosi contro le sue tempie. Cosa vuole? Chi è? Un fottuto ragazzino viziato, sicuramente, come quella merda di Mattew. Un altro. Muori! No, un altro no. Due non posso reggerli. Tornatene da dove sei venuto! Comunista di merda, muori! Stai lontano da noi mutanti! Sparisci. Che volete da me? Che ci fai qui? Vattene, non sono un animale in uno zoo. Non guardarmi. Vi ammazzerò, tutti voi comunisti del cazzo. Sono un mutante, posso farlo senza problemi. Sono…

Mattew lo afferrò per un braccio, quasi provvidenzialmente, strattonandolo in malo modo ed incitandolo a seguirlo altrove, già intento a parlare animosamente della loro prossima meta. La testa gli doleva terribilmente e quasi non si accorse del signorino che lo trasportava fuori dalla stanza. Era stato invasivo. Estremamente invasivo ed anche piuttosto doloroso. Si massaggiò le tempie con l’indice ed il medio, tentando disperatamente di alleviare il pulsare insistente sottopelle. I pensieri del ragazzo in museruola continuavano a riversarglisi nella mente, sempre più fiochi ad ogni metro che il telepate metteva tra loro, ma comunque terribilmente aggressivi. Lo aveva preso per un altro piccolo pargolo abbiente, questo lo aveva capito fin troppo bene. Ma odiarlo a quel modo senza nemmeno conoscere il suo nome? Mattew stava chiocciando, mostrandogli le altalene in giardino, coperte dalla neve. Charles aveva di nuovo freddo ma, pensò, il tour non poteva durare ancora molto. Se lo ripeté per i successivi trenta minuti, poi iniziò vistosamente a tremare. Le dita che, praticamente, artigliavano la camicia chiara. Il russo ci mise un po’ ad accorgersene, ma quando lo fece trasformò la propria espressione in una smorfia di disappunto. Dalla sua mente si poteva capire bene che aveva ancora intenzione di mostrare la biblioteca al mutante e vantarsi dei tomi preziosi in essa custoditi, ma suo padre gli aveva ordinato di non far stare male il suo nuovo cucciolo. Mise il broncio ed indicò al telepate il casolare dal quale erano usciti poco prima, congedandolo acidamente e voltandogli le spalle prima di dirigersi a grandi passi in direzione della villa. Charles ringraziò mentalmente qualsiasi Dio sedesse in cielo. Invece di starsene lì, immobile, con la neve alle ginocchia, si voltò a sua volta e corse fino agli alloggi della servitù. Una donna lo guardò accigliata quando fece il suo frettoloso ingresso e chinò il capo per salutarla educatamente: non doveva succedere tanto spesso che qualcuno mostrasse comportamenti tanto rispettosi nei confronti di una cameriera.

La sua stanza era la nona dal fondo, ma quasi inconsciamente si ritrovò a temporeggiare davanti a quella affianco, l’ottava. Spostò il peso da un piede all’altro indeciso sul da farsi e confuso su cosa veramente lo avesse portato a quella porta. Il ragazzo già lo odiava, ma lo faceva per un semplice fraintendimento. Voleva solo chiarire la sua posizione e magari scoprire perché gli avesse mostrato immediatamente così tanta rabbia. Bussò piano, timoroso, battendo le nocche pallide sul legno freddo. Nessuna risposta, se non si consideravano i pensieri irritati del mutante all’interno. Lanciò uno sguardo titubante alla propria porta: avrebbe fatto ancora in tempo a tornarsene sui suoi passi e rinchiudersi nel suo piccolo alloggio.  Ma in quel modo avrebbe ottenuto soltanto di sedersi ascoltando i pensieri dell’altro attraverso un muro. Sospirò e bussò un’altra volta. Aspettò qualche secondo, perdendosi nelle bestemmie mentali altrui, poi ci fu un clangore metallico e la porta si spalancò. Rimase interdetto a fissare l’uscio per un attimo, poi mosse due passi nella stanza. La porta si richiuse da sola dietro di lui nello stesso momento nel quale i pensieri del mutante si abbatterono sulla sua mente. Provò a non sembrare troppo terrorizzato dal fatto di essere evidentemente chiuso in una stanza minuscola assieme ad un ragazzo che non faceva altro che pensare a come ucciderlo.  Alcune delle fulminee immaginazioni dell’altro erano piuttosto agghiaccianti. Charles deglutì ancora e si azzardò a fare un altro passo avanti. Dovette impegnarsi con tutto se stesso per farlo e non tentare invece la fuga. L’altro, improvvisamente, smise di cercare tra le proprie fantasie quella giusta da usare e ne scelse una, provocando lo sgomento del telepate quando vide la chiara immagine di se stesso scuoiato vivo con la lima che, grazie ai ragionamenti altrui, teneva sotto il vaso da notte vuoto. Il ragazzo ghignò e si lanciò contro l’oggetto. Charles si buttò sul vaso nello stesso momento e, mandandolo in frantumi contro il muro, afferrò la lima con la mancina. Non ebbe bisogno di leggere la sua mente per percepire lo sconcerto del giovane. Indietreggiò alzandosi in piedi il più in fretta possibile, sapendo che avrebbe cercato di agguantarlo.

-C-come ti chiami?- Domandò immediatamente facendo bloccare per un attimo le movenze del più grande. Ignorò l’offesa che ebbe come risposta e si accontentò dell’Erik Lehnsherr sussurrato dalla sua mente –Bene, Erik, ascoltami- Continuò tremante. Lui si congelò sul posto, ancora pronto a saltargli addosso. Sospetto. Paura. La sua mente iniziò a mandare segnali d’allarme. Non ci sarebbe stato bisogno di altre parole. Charles sorrise, soddisfatto, e chiuse la bocca. Io sono Charles. Piacere di conoscerti Erik Lehnsherr. Lo stupore del più grande dei due fu ben visibile sul suo viso quando si rese conto che lo sconosciuto non aveva mosso nemmeno un muscolo per parlare. Come era possibile? La mente, Erik, funziona meglio delle parole, in questi casi. Ho avuto tempo per appurarlo. Charles sorrise ancora quando percepì un principio di comprensione nella mente altrui. Non sono un amico di Mattew, come potrei? Pensa di me esattamente ciò che pensa di te. Bhè, forse non mi considera ancora un cane… ma pensa già a me come ad un giocattolo da usare a suo piacimento. Sono come te, un mutante, e questo è il mio potere: leggo la mente e faccio… faccio questo.

-Telepatia?- Domandò Erik con un pronunciato accento straniero nel parlare russo, raddrizzandosi ed osservando l’altro ora più incuriosito che spaventato. Lui annuì, un po’ imbarazzato dall’improvviso interessamento. Può leggere la mente? Se è un telepate può farlo. Ma lo fa sempre? No, forse sente ciò che pensi solo se lo vuole. Oppure sta sentendo anche ora. Sta sentendo? I due si osservarono per qualche secondo, il maggiore ragionandoci sopra e l’altro cercando di non risultare troppo invasivo. Stai sentendo? Domandò quindi mentalmente, fissandolo più intensamente, quasi pensasse ci fosse bisogno del contatto visivo per comunicare a quel modo. Charles annuì di nuovo. E sulla faccia di Erik sorse spontaneo un sorriso divertito e radioso, oscurato dalla museruola, lasciandolo letteralmente di stucco –Oh, signore, sei seriamente un telepate. Straordinario. E pensare che ti avevo preso per un qualche nobile e volevo…- Si bloccò di colpo e nella sua testa comparve quella che sarebbe stata definibile vergogna. Lanciò uno sguardo allarmato alla lima stretta tra le mani tremanti dell’altro, concretizzando i propri pensieri in una smorfia quando si rese conto che, sì, il telepate aveva visto cosa aveva avuto intenzione di fargli ed il che non doveva essere stato particolarmente piacevole. –Scusa. Per, bhè…-

-Per aver pensato fosse un’ottima idea coprirmi la bocca con una mano per non farmi urlare e scuoiarmi lentamente da sveglio e cosciente con questa lama sporca?- Completò al suo posto Charles, ancora abbastanza terrorizzato ed inquietato dall’idea. Erik accentuò la smorfia sul proprio viso. Senso di colpa? Soprattutto disgusto di se stesso. -devo dire che hai un gusto del macabro particolarmente spiccato!- Commentò quindi forzatamente ironico il più giovane dei due. L’altro azzardò un sorriso imbarazzato e tornò a sedersi sulla branda, spostando per un paio di volte lo sguardo su e giù lungo il profilo del bambino.

-Hai paura di me?- Charles pensava di essere riuscito a nasconderlo piuttosto bene, ma evidentemente tornare a pensare a se stesso scuoiato vivo doveva aver fatto riaffiorare la cosa. Si guardò le mani con occhio critico: effettivamente tremavano un poco. –Puoi stare tranquillo. Non faccio del male agli altri mutanti- Era evidente che voleva tranquillizzarlo, ma, più che le sue parole, furono le immagini trasmesse dalla sua mente a rasserenarlo. Era dispiaciuto e preoccupato. Ci fu un attimo di silenzio pesante che calò tra i due, nel quale il telepate continuò  rastrellare i pensieri dell’altro cercando di comprenderne le intenzioni. Non era più tanto rabbioso. Certo, non si fidava del tutto di lui, in quanto sconosciuto arrivato di punto in bianco dal nulla, ma era tentato soprattutto di sottoporlo ad un interrogatorio civile sulle sue capacità, la sua vita in quel momento, il motivo per il quale si trovava alla villa dei Bolsky. Davvero. Davvero, fidati, non voglio farti del male. Puoi sentirmi, vero? Non riesco a capire quando puoi sentirmi e quando invece no… diavolo, magari sto parlando da solo mentalmente e lui non mi sente. Sarebbe piuttosto imbarazzante. Dio, fa che mi senta. Oh, ha sorriso! Mi sente? Deve sentirmi, se no perché riderebbe? Se mi senti, credimi. Mi spiace aver pensato quelle cose, prima. Sono pessimo, lo so. Signore, ho pensato davvero di scuoiarlo vivo? Basta guardarlo per capire che è solo un bambino. È sicuramente più piccolo di me e io volevo scuoiarlo? Devo averlo terrorizzato… eppure non ha cercato di scappare. È coraggioso. O stupido. Forse coraggioso e stupido. Oh, maledizione, lo sto pensando davvero! Eppure lo so che è un telepate. Mi ha appena sentito dargli dello stupido, vero? Come per confermare la sua supposizione, Charles scoppiò a ridere, coprendosi la bocca con le mani, ignorando il più possibile le imprecazioni mentali dell’altro mutante. Sono un perfetto idiota. Ecco, però, adesso mi credi? Che non voglio farti del male, intendo. Charles annuì una volta, smettendo di ridere, ed osservò la mano del giovane sbattere due volte sulla superficie del materasso accanto a se. Non ci fu bisogno che il tedesco facesse la domanda ad alta voce: il telepate  sapeva perfettamente cosa gli stesse proponendo. Conosceva interiormente tutte le buone intenzioni del maggiore, ma la minaccia di qualche minuto prima continuava irrimediabilmente a ronzargli in testa. Contemplò la possibilità di rifiutare ed andarsene in camera propria, dopotutto il malinteso era oramai stato chiarito. Eppure gli sarebbe dispiaciuto mostrarsi scortese in quel modo senza alcun apparente motivo, perciò si convinse che accettare fosse la cosa giusta da fare. Mosse qualche passo titubante verso la branda e ci mise quasi sei interi secondi di meditazione prima di lasciarsi cadere su di essa con più grazia ed attenzione possibile. Lo sguardo di Erik, che lo aveva seguito in ogni suo minimo movimento, si mise di nuovo a scansionarlo. Cosa che, forse, sarebbe passata inosservata ad una persona normale, ma che, nel caso di chi poteva leggere la mente, diventava piuttosto invasiva ed ovvia. Ed anche abbastanza imbarazzante. Dopotutto, per chi non lo sarebbe sentire una persona fare considerazioni su di se? Charles distolse lo sguardo e cercò disperatamente di spostare l’attenzione altrui altrove.

-Tu che capacità hai?- Domandò quindi riportando la conversazione su piano vocale ed udibile.

-Controllo il metallo.- Rispose il maggiore, quasi colto di sprovvista dal cambio repentino d’argomento e, probabilmente, anche un po’ dal sentire nuovamente la voce del telepate giungergli in modo normale. Metallo? Gli arrivò poi come domanda mentale. Non fu necessario che formulasse una risposta, perché subito gli si affollarono nella mente mille e mille ricordi dell’utilizzo del suo potere. Charles rimase accigliato e si decise una volta per tutte ad osservarlo meglio, soffermandosi sulla museruola. E questa a cosa serve, allora? Domandò istintivamente, quasi senza volerlo, e trattenendo il respiro quando Erik si voltò dall’altra parte. Lo aveva per caso offeso? Non aveva avuto nessuna intenzione di offenderlo. –Diciamo che ho cercato un paio di volte di mordere Mattew…- Rispose invece dopo poco il mutante ed il telepate il tutto sembrò immediatamente dannatamente divertente. E, davvero, non avrebbe voluto scoppiare di nuovo a ridere, ma non ne poté fare a meno in alcun modo. Erik lo guardò basito per un secondo buono –Che hai da ridere così?-

-Oh, signore, hai cercato di morderlo? Di morderlo?- Pianse quasi tra le risate il bambino, chinandosi su se stesso e lasciando ricadere i capelli mossi davanti agli occhi  –Ti dimostri capace di idee sempre più strane- Spiegò poi vedendolo imbronciato –Avrei voluto vederti morderlo! Oh, mio Dio, sarebbe stato esilarante… non lo conosco da molto, ma posso facilmente immaginarmelo mentre piange disperato correndo da una parte all’altra. Morderlo! Ma come ti è venuto in mente?- Poi si fermò di colpo, adocchiando sospettosamente la faccia di Erik alla ricerca di qualche cenno di offesa o rabbia. Grazie al cielo sembrava averla presa bene, come un complimento. Ma a lui, a dirla tutta, interessava di più un’altra cosa –Non riesci a toglierla?- Domandò quindi, curioso, indicandola.

-No.- Ammise il maggiore dei due, dopo un momento. –L’ingranaggio non è metallico. È legno. E se anche riuscissi a muovere la serratura non riuscirei ad aprirla se non dopo ore: bisogna vedere quando tutti e quattro gli spazi sono neri e sganciarla affianco. Peccato che la mia mutazione non mi abbia fatto avere due occhi in più anche dietro alla testa. In quel caso potrei liberarmene almeno fino a quando Mattew non richiederà la mia presenza.- Fece una smorfia.

-Ma io ne ho due di occhi che possono vedere dietro la tua testa e ho due mani per sganciare la serratura!- Intervenne subito Charles, azzardandosi finalmente a lasciar andare la lima metallica, facendola cadere sul materasso, arrampicandosi poi sulla branda senza aspettare una risposta affermativa da parte dell’altro. Poteva facilmente sentire la confusione e l’indecisione nella sua testa e non aveva intenzione di perdere tempo attendendo che si schiarisse le idee: parlare con una persona mascherata a quel modo gli tornava inquietante ed, inoltre, non gli sarebbe per nulla dispiaciuto poterlo vedere in viso. Si posizionò alle spalle di Erik e, prima che lui potesse voltarsi per protestare in qualche modo, impiegò le proprie piccole pallide dita da bambino girando le rotelle di legno, una alla volta, fino a quando il marchingegno non produsse un “click” secco. Sganciò quindi le due parti della serratura, con l’altro che se ne stava congelato nella sua posizione, e sfilò la museruola da dietro le orecchie del giovane, facendola ricadere sulle sue ginocchia sul davanti. Ci fu nuovamente un attimo di silenzio pesante. Poteva sentire chiaramente l’imbarazzo del maggiore per essersi fatto aiutare da un perfetto sconosciuto in una cosa del genere. Charles sorrise tra se e se e strisciò lontano dalla schiena altrui, tornando a sedersi al suo fianco, sul bordo del materasso. Troppo curioso per trattenersi, mentre Erik si stava massaggiando la mandibola, si sospinse in avanti e sbirciò il suo viso per intero. Era un giovane di bell’aspetto, constatò pensoso, ma si rovinava con l’espressione seria e le sopracciglia aggrottate. Una persona troppo distaccata dal resto del mondo, forse, ma che irradiava comunque il fascino giovanile dell’adolescenza. Ripensando a se stesso, minuto e bambinesco, si chiese se sarebbe mai diventato anche solo simile al metalbender. Lui, dal canto suo, si girò dopo qualche secondo e rimase ad osservarlo indeciso sul come esprimersi. –Prego.- Anticipò quindi Charles, facendo spallucce e cambiando subito discorso per risparmiargli il compito di ringraziarlo a parole. –Quanti anni hai? Più di dieci, vero?_ azzardò curioso, ottenendo un annuire deciso da parte dell’altro.

-Tredici compiuti da poco. E tu?- Rispose altrettanto interessato a conoscere qualcosa di più su quel ragazzino che si era appena intrufolato nella sua monotona vita alla villa liberandolo dalla museruola. Charles guardò altrove: tredici erano un bel numero in più dei suoi, sarebbe sicuramente sembrato un infante a quello che era evidentemente un adolescente a tutti gli effetti.Ne ho otto. Sussurrò mentalmente, sperando che per un qualche miracolo l’altro non afferrasse il numero. Purtroppo, invece, lo fece e, dopo trenta buoni secondi di silenzio nei quali il telepate fu costretto a sottoporsi all’ascolto dei suoi pensieri increduli, sul suo viso si aprì un sorriso appuntito tutt’altro che normale. –Oh, signore, ma sei un bambino!- Quasi gridò, ghignando. –Pensavo fossi solo basso, che avessi sui dieci anni. Ma otto… mio Dio, sei piccolo, eh?- Charles arrossì fino alla punta del naso. Cercò di nasconderlo abbassando il viso, ma la sua carnagione chiara non aiutò affatto, tradendolo, anzi, immediatamente.  –Sei tra i più piccoli qui, sai? Anzi, solo Anna è più piccola di te!- Sghignazzò effettivamente molto divertito dalla sua reazione. Guardalo, si nasconde! È proprio un bambino. Ed è pure uno timido, eh? Arrossisce per così poco. Se continuerà a reagire così finirà per essere sempre più divertente. Il tipo timido qui ancor non ce lo abbiamo. Aspetta, un telepate timido? La cosa non torna. Il più giovane, a modo suo indignato dai ragionamenti altrui, si ritirò su di un fianco, allontanandosi un poco dal maggiore. Lui, dal canto suo, non stava affatto ridendo come ci si sarebbe aspettati, solo ghignando, mostrando due file di denti bianchissimi dall’aspetto quasi animale. È un bambino interessante. Charles strinse la stoffa dei pantaloni tra le dita, arricciandola. Non sono un bambino. Ringhiò mentalmente, frustrato. –Oh, certo che lo sei.- Ribatté Erik alzando le spalle senza perdere il sorriso –Ma non devi prendertela così: essere piccoli, qui, ha i suoi vantaggi. Ti fanno lavorare meno, per esempio, e le donne si daranno alla pazza gioia quando sapranno che hai solo otto anni e sei appena arrivato, tutto solo. Vorranno coccolarti a non finire, ritieniti fortunato.-

-Signore, no.- Gemette il minore, orripilato anche solo all’idea di essere trattato come un pargolo dalla componente femminile della servitù della villa. Sarebbe stato a dir poco dilapidante.  –Non è colpa mia se ho solo otto anni. Ma ne compierò nove a febbraio! Manca poco più di un anno perché io ne abbia dieci. Non sono così piccolo!- L’altro gli batté una mano sulla spalla, come a volerlo consolare, senza smettere un attimo di ghignare.

-Benvenuto dai Bolsky, comunque. Vedrai che, quando Mattew non deciderà di renderti la vita un inferno, riuscirai a sentirti a tuo agio.- Charles cercò di sembrare entusiasta almeno un poco, ma nemmeno quella promessa riusciva minimamente a fargli dimenticare lo shock di essere stato donato a Mattew Bolsky come regalo di compleanno, come un oggetto qualsiasi. Gli era mancato solo il pacchetto per essere pronto da infilare sotto l’albero. Si era fidato nel profondo di Lord Grayson fin da quando aveva memoria. Lo aveva seguito ovunque e aveva letto per lui la mente degli altri, amici e rivali, facendo in modo che non facesse mai la scelta sbagliata. Eppure, quando Ivan Bolsky gli aveva detto che era passato da soli tre giorni il compleanno di suo figlio e che, in quanto suo nuovo socio in affari, sarebbe stato dovuto fargli almeno un regalo, aveva rinunciato a lui senza troppi rimpianti. Il bimbo russo lo aveva indicato ed aveva detto a gran voce di volerlo per se, nemmeno fosse stato un giocattolo in vetrina, e quello che da sempre era stato il suo padrone lo aveva con relativa indifferenza. –Su, dai, non fare quella faccia mogia.- Lo rimproverò Erik, non potendo sapere a cosa stesse pensando in quel momento, per poi soffermarsi ad osservarlo con occhio critico. –Hai freddo.- Non era una domanda, ma un’affermazione e, concentrandosi un attimo, Charles si rese conto di quanto avesse ragione. Rasentava i brividi e tremava leggermente. Si accigliò a sua volta, più stupito che altro, perché, davvero, sapeva quanto freddo ci fosse, ma non si era accorto per nulla di quanto lo stesse soffrendo sotto la sua sottile camicia e i pantaloni di lino spessi. La cosa preoccupante era il fatto che non fosse la prima volta che si dimenticava di tenere sotto controllo le proprie funzioni vitali, ma effettivamente sarebbe tornato complicato a chiunque concentrarsi su se stessi e ciò che si prova, quando la tua testa viene invasa dalle sensazioni di qualcun altro. Erik scosse la testa e si alzò dal letto con una spinta decisa del bacino. Era alto. Dio se era alto, quando lo si guardava da seduti come fece Charles in quel momento. Non ebbe comunque troppo tempo per stare a pensarci, visto che il maggiore gli tese una mano, col chiaro intento di farlo alzare. Il telepate, al contrario delle volte precedenti, non stette molto a pensarci ed accettò quasi immediatamente l’aiuto dell’altro mutante, tirandosi in piedi a sua volta. Lasciò la sua mano esattamente mentre il metalbender iniziò a pensare cosa fosse più giusto fare. –Ovviamente Mattew non ti ha fatto vedere il focolare di questo stabile. Bhè, ne abbiamo uno, perciò penso sarebbe una buona idea andare lì. Inoltre, Raven e Angel dovrebbero aver fatto il bucato questa mattina: con un po’ di fortuna troveremo qualcosa di giusto da metterti addosso.- Lo valutò per l’ennesima volta con lo sguardo color ghiaccio –Forse le camicie pesanti ti staranno un po’ larghe…- Constatò infine, facendolo sbuffare, e sorridendo divertito dall’alzata d’occhi del più piccolo.

La porta si aprì da sola non appena Erik si voltò verso di essa e si richiuse giusto giusto dietro la schiena di Charles. Probabilmente quel gesto non avrebbe mai smesso di inquietarlo, ma, perlomeno, non c’erano altre lime nascoste in giro che il mutante avesse intenzione di utilizzare contro di lui. Un ragazzino li salutò, portando in spalla un sacco di juta stracolmo di pezze di tessuti variopinti, e lanciò al telepate uno sguardo incuriosito. In un modo o nell’altro, si disse il ragazzino, se la sarebbe dovuto cavare. Certo, era un luogo nuovo, abitato da gente nuova e strana, ma era per quello che era nato, no? Dopotutto la mutazione serviva per adattarsi, per sopravvivere al nuovo, al diverso. Se lo ripeté per tutta la camminata e, finalmente con le mani davanti alle fiamme di un vero falò, decise che sarebbe riuscito ad andare avanti.













Angolo dell'Autrice: 
Salve a tutti!

Ho rieditato tutto questo capitolo ed ora dovrebbe essere di molto più comprensibile, considerato che non è in grossetto.
Specifico: amo la preslash e le fic con l'ageReverse, perciò questo è il mio tipo di fic ideale. Questo non fa di certo in modo che sia anche il vosto, perciò comunicatemi pure qualsiasi errore, scorrettezza, frase insensata, stranezza...

grazie ed arrivederci,
Eva













   
 
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