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Autore: DeiDeiDei    07/01/2013    1 recensioni
Young!AU Charles-Erik
Un mondo nel quale i Mutanti si possono "controllare" grazie ad un medicinale, la Cassidia, o come la chiamano i Mutanti stessi "la droga". Spesso vengono venduti per svago o come domestici alle famiglie benestanti (servitori personali, compagnia, "collezioni" private, intrattenitori).
Charles Xavier è il paggeto di un nobile inglese che deve firmare un'importante accordo con un russo, Ivan Bolsky, il figlio del quale vuole, come dono per il compleanno e pegno per l'accordo, Charles stesso. Quando il Mutante si ritrova solo, tra sconosciuti, in un posto tanto lontano da quello che era solito chiamare casa, ha una sola cosa alla quale aggrapparsi: la sua natura mutata. Dal canto loro, i Mutanti della villa dovranno accettare il nuovo arrivato capace di leggere loro nella mente? Niente è troppo sicuro quando si parla di un gruppo di adolescenti orfani costretti ai lavori e sotto l'influsso della Cassidia che non lascia loro usare i poteri contro i loro aguzzini.
In questo senso, riuscirà Charles ad ambientarsi? Ed Erik, come accoglierà il piccolo, nuovo, telepate di casa Bolsky?
Russia, campagne nei pressi di Mosca, dopoguerra.
POV multiplo- Focus Charles
FATE Ctrl- se la storia è in grossetto!
Genere: Generale, Slice of life, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO SECONDO: CORVO




 
 
 
 
 
 
 
Quando il sole sorse, solo gli animali nelle stalle sembrarono rendersene conto. I cavalli nitrirono ed uno dei galli, l’unico libero di uscire nel cortile innevato, cantò stonato sullo steccato di legno. La servitù di villa Bolsky iniziò ad alzarsi poco a poco ed a adempire ai propri doveri, spostandosi dal casolare alla casa patronale, dal lago ai cortile, dalle stalle ai magazzini. Coi movimenti e i primi rumori arrivarono anche i pensieri. Per quanto intontiti e confusi, affluirono senza alcun timore alla mente di Charles che, sdraiato sulla sua branda sfatta, mugugnò infastidito, rigirandosi su di un fianco. Ricevere le proiezioni oniriche incoscienti di tutta quella gente era stato faticoso: non c’era niente di impegnativo in ciò che non era intenzionale. Quando si passava ai pensieri, tanti pensieri coscienti provenienti da un numero considerevole di persone,  diventava tutto di colpo terribilmente complicato. L’onda di ragionamenti si abbatté all’interno della sua calotta cranica con prepotenza. Ci mise un attimo a realizzare perché ci fossero così tante menti attive vicino alla sua tanto presto: non era più a casa sua. O comunque quella che aveva sempre considerato tale. In Inghilterra, nella magione dei Grayson, dormiva in una stanza discreta ma accogliente al primo piano,  in quanto paggio del capofamiglia, e i domestici al piano di sotto erano al massimo una dozzina.
 
In quel momento invece, arrotolato nel lenzuolo di lana ruvida della branda metallica, le menti che toccavano la sua erano più di quaranta ed erano mostruosamente vicine. I muri sottili non attutivano per niente le loro “voci”. Il fastidio era una sensazione ronzante e a Charles sembrò che uno sciame d’api avesse appena deciso d’api avesse appena deciso di scavare il proprio nido nella sua testa. Non prometteva nulla di buono.
 
-Ma come ancora a letto, piccolo?- Rise fintamente stupita una voce, per i suoi gusti, troppo attiva nel suo accento tedesco. Il telepate gemette infastidito e si strinse nella coperta. Erik rise di gusto –Me lo sarei dovuto immaginare. Dopotutto i bambini hanno bisogno di dormire a lungo, no?- Lo punzecchiò avanzando di un passo nella stanza. Charles grugnì irritato dalla presa in giro e decise di prendere il fastidio come segnale di doversi alzare, almeno per non farsi canzonare dal mutante. Con una fatica immane si voltò sul materasso fino a dare il viso alla porta e si tirò a sedere di colpo, puntellandosi con le mani ai lati del bacino. Sono sveglio. Ringhiò lanciando l’occhiata più nera della quale fosse capace al maggiore. E non sono un bambino. Erik rise ancora e si appoggiò allo stipite della porta. –Sul fatto che tu sia sveglio ha i miei dubbi, ma con il tuo attuale spetto potresti persino convincermi di non essere un bambino.- Il più piccolo sbirciò a fondo nella sua mente per poter vedere con gli occhi dell’altro: la sua stessa figura, scarsamente illuminata dalla luce che entrava dalla porta, era piccola e storta, con le gambe ancora sotto le lenzuola ed i capelli mossi sparati in tutte le direzioni in un nido scomposto che in penombra sembrava quasi nero. Il viso, grazie a Dio, era in ombra, ma era piuttosto conscio di avere una smorfia non indifferente e, probabilmente, due belle occhiaie. Mugugnò il suo disappunto e si lasciò ricadere di peso sulla branda. Un’altra risata scrosciò dall’ingresso, ma lui non si disturbò nemmeno ad alzare gli occhi, chiudendoli, invece, e tentando con tutto se stesso di farsi inglobare dal materasso –Su, riprenditi, fra dieci minuti c’è l colazione per noi e fra quaranta la villa dovrà essere pronta per accogliere i signori appena svegli. Datti una pettinata e vieni dove ieri sera c’era il falò.- Spiegò salutando con un cenno della testa e uscendo dalla stanza. Il silenzio lasciò a Charles il tempo di ascoltare con più attenzione i pensieri sempre più attivi della servitù e di rendersi nuovamente e di quanto, senza coperte, fosse freddo. Si tirò nuovamente a sedere e tastò sotto il cuscino fino a trovare la camicia di lana che gli era stata data la sera prima. Se la infilò in tutta fretta e si legò al collo il fazzoletto di cotone. Calzò le scarpe e si costrinse ad andare alla pota, cercando in qualche modo di appiattire i capelli sulla testa senza avere a disposizione uno specchio. Uscito dalla stanza, fu investito da una folata di vento freddo. Si guardò attorno e individuò i due portoni, alle estremità del corridoio, aperti del tutto. Dalle due ante entrava persino un po’ di neve in fiocchi grassi quanto il suo naso. Si trattenne a stento dall’urlare esasperato. Perché diavolo lasciare le porte aperte con quel freddo? 
 
Era ufficiale: odiava la Russia.
 
Quando fece il suo ingresso nella sala comune, tremante ma nettamente più sveglio, non ebbe bisogno di cercare l’altro mutante, né con gli occhi, né con la mente, perché la suo odiosa risata era ben udibile fin dalla porta. Charles seguì il suono senza troppi problemi, fino ad avvicinarsi al tavolo nel quale il Metalbender stava mangiando. A quel punto si fermò incerto: cosa avrebbe dovuto fare? Non poteva di certo intromettersi come se nulla fosse in un gruppo di sconosciuti. Posso sedermi qui con voi? Chiese quindi titubante l ragazzo, sfiorando appena i suoi pensieri. L’altro sobbalzò sulla panca e si voltò verso di lui annuendo –Sì, sì, vieni pure- Gli fece spazio a sedere, tra lo stupore collettivo dei suoi compagni: come aveva fatto ad accorgersi dell’arrivo di qualcuno quando nemmeno uno di loro ci aveva fatto caso? Il telepate andò a sedersi accanto a lui a testa bassa. Grazie. Sussurrò solo alla sua testa. Erik ghignò. Ah, oh, imbarazzato di nuovo? Allora avevo ragione: è un timido. Più di chiunque altro, eh? Charles alzò la testa verso di lui fulminandolo con lo sguardo. Il ragazzo di fianco a lui chiese chi fosse in un russo perfetto ed il maggiore sorrise prima  lui e poi al telepate –Lui è Charles. È uno nuovo, un mutante come noi, anche se è pic…- Non farlo! Gridò mentalmente il riccio, ma era troppo tardi. -… piccolo.- Ghignò divertito in faccia al minore. Ghigno che perse non appena Charles decise di giocare sporco a sua volta, proiettandogli nella mente i ricordi del giorno prima, il suo comportamento, l’aiuto che gli aveva dato. –Ma è anche piuttosto infido.- Aggiunse dandogli una pacca sulla spalla e tornando a voltarsi verso il tavolo.
 
-Salve.- Salutò il telepate, il più educatamente possibile, alzando timidamente la testa. Praticamente tutti i ragazzini presenti stavano pensando a che domande fargli e, grazie al cielo, nessuno si stava dimostrando troppo sospettoso nei suoi confronti. Alcuni li aveva incontrati anche la sera precedente davanti al falò, ma né lui né loro avevano trovato le energie per porsi domande. Lo osservarono curiosi, salutando a loro volta, poi iniziando a decidersi su cosa domandargli.
 
-Quale è il tuo potere?- Domandò una ragazza dai fluenti capelli biondi seduta davanti a lui. Piuttosto ovvia come domanda, prevedibile che qualcuno la ponesse tra le prime, considerando che l’avevano mentalmente formulata tutti. Optò per una risposta ugualmente diretta, la quale non ammettesse repliche.  Telepatia. Comunicò a tutti i mutanti contemporaneamente, in modo da dimostrare loro quanto non mentisse. La comunicazione mentale fece sussultare i più, lasciandoli basiti. Evidentemente nessuno di loro aveva mai avuto a che fare con un potere di tipo psicotrasmittivo. Un’esplosione di meraviglia, stupore e curiosità si scontrò sulle sue tempie, dandogli un attimo buono di confusione. Niente di doloroso, però. Ma ciò che lo colpì fu un’ombra di fastidio nella mente della bionda. La osservò con la coda dell’occhio: era seria, al contrario degli altri, ma non guardava lui, concentrando invece il suo sguardo su Erik, accanto a lui. Un telepate, eh? Sarà felice ora. Ha sempre voluto averne uno a disposizione. Ha sempre mostrato interesse per i poteri di tipo psichico. Sarà al settimo cielo: un piccolo telepate da plasmare a proprio piacere. Devo ringraziare Dio che ne abbia mandato uno maschio, ci sarebbe mancato solo che se ne innamorasse. Già sarà innamorato del suo potere. Stupido Erik! Eppure devo calmarmi. Quel bambino è una manna dl cielo qui. È ciò di cui abbiamo bisogno e poi è così carino, così piccolo… Charles si costrinse a spostare la propria concentrazione sulla mente di qualcun altro, un po’ perché non voleva farsi gli affari altrui, un po’ perché aveva paura di sapere quali commenti la ragazzina potesse fare su di lui. Si mise a rispondere alle altre domande. Cosa poteva fare con la mente? Quante persone poteva sentire contemporaneamente? A quale distanza?
 
-Da dove vieni?- chiese quindi una ragazza dagli occhi scuri come la notte.
 
-Inghilterra. Vengo dall’Inghilterra, Londra.- Rispose lui a voce, avvertendo l’ombra nera sparire di colpo, sostituita da interesse ed euforia. Inghilterra? È inglese? Come me! Oh, Dio, qualcuno che potrà capire i miei riferimenti alla letteratura, a Shakespeare! Sempre che ne sappia qualcosa, dopotutto ha solo otto anni, io l’ho iniziato a leggere con Clarence a dieci. Charles rimase a bocca aperta. Tutto, infatti, si sarebbe aspettato, tranne di trovare un’altra inglese lì nelle campagne russe, tantomeno come lavoratrice mutante in una villa come quella. Una strana euforia lo prese: forse non era proprio finito tra gli sconosciuti, forse avrebbe ancora potuto parlare inglese con qualcuno.-Sì che lo conosco, Shakespeare. Ho letto Machbert, Riccardo III, Hamlet e Sogno di una notte di mezza estate.- Esclamò quindi in sua direzione, annuendo convinto. Gli occhi di lei parvero illuminarsi e luccicare quando udì i nomi dei drammi d’autore uscire dalla bocca del ragazzino. Lui sorrise a sua volta, divertito dall’espressione dell’altra e felice di essersi, evidentemente, appena guadagnato una nuova amicizia. Mi ha sentita parlare, pensare? Meraviglioso! Può sapere ciò che penso e può parlare inglese, il signore mi ha mandato un dono prezioso. Forse posso parlargli anche così, senza usare la voce. Chissà se posso raggiungerlo senza che sia lui ad iniziare la conversazione. Ehm, come inizio… Ciao. Cioè, ciao, Charles. Io sono Raven e sono una mutaforma che sta in questa villa da quasi due anni. É… È un piacere fare la tua conoscenza. Il telepate non smise di sorridere un attimo, ascoltando il suo tentativo, ed allungò la mano sopra il tavolo –Il piacere è mio, Raven.- Dichiarò allegro, sollevando altro stupore e meraviglia nella mente degli altri commensali. La giovane, in compenso, allungò a sua volta il braccio e gli strinse la mano. Erik ghignò soddisfatto: apparentemente, si rese conto Charles scansionando i suoi pensieri, due dei mutanti che considerava possibili alleati per il futuro stavano andando fin da subito piuttosto d’accordo.
 
Non comprese bene quali fossero per certo i suoi piani, ma di sicuro erano ambiziosi. Il telepate perse un attimo a domandarsi cosa lo avrebbe aspettato, lì alla villa dei Bolsky, poi venne riportato alla realtà dal Metalbender che, con la grazia tipica di un adolescente distratto seduto tra gli amici, gli pose davanti una ciotola di pane e acqua con due crocchette di cereali. Mangia che sei minuscolo. Gli sussurrò mentalmente il maggiore, suscitando nuovamente la sua irritazione per averlo etichettato per l’ennesima volta come un bambino piccolo. E non fare quella faccia, Charles, è inutile che insisti: sei ancora un bambino e devi crescere. Aggiunse incrociando le braccia al petto per dare più enfasi alla frase. Charles alzò gli occhi al cielo, esasperato e si attentò a tirare a se la ciotola e le crocchette. Prese uno dei due pezzi duri e lo osservò, curioso: non aveva mai mangiato qualcosa di simile, tantomeno accompagnata al latte. In Inghilterra era solito ciò che James Grayson e cioè un po’ di uova, a volte, o pane tostato e la mezza tazza di tè che veniva lasciata lì dal signore dopo averci intinto precisamente quattro biscotti di grano e burro. Erik, accanto a lui, lo osservava senza sosta con un sopracciglio alzato, non capendo cosa l’altro stesse aspettando. Charles portò la crocchetta alla bocca e la addentò. Era dura e secca, niente  che vedere con i biscotti inglesi, e non sapeva praticamente di nulla. Il maggiore si mise a ridere in silenzio, attirando la sua attenzione anche se, grazie al cielo, non quella degli altri ragazzi seduti attorno al tavolo. Che cosa c’è? Domandò lui seccato, alzando la testa e voltandosi verso il tredicenne. Erik continuò a singhiozzare sul posto per ancora qualche secondo. Mio Dio, l’ha morsa! Vuole davvero mangiarsela secca? Si romperà i denti. Pensò tra se e se, prima di decidersi a rispondere alla domanda mentale dell’altro in modo chiaro. Quelle crocchette non le devi sgranocchiare così. Spiegò indicando quella che Charles teneva ancora in mano, vanno messe nel latte: ce le tieni un poco e poi le mangi, come dei biscotti, quando sono diventa morbide e hanno preso il sapore del latte. Concluse quindi con un sorriso compiaciuto e ancora divertito dal comportamento del più piccolo. Lui, dal canto suo, arrossì fino alle orecchie e distolse lo sguardo, inzuppando direttamente l’agglomerato di cerali nel latte biancastro della tazza e concentrandosi con tutto se stesso affinché la sua mente potesse sembrare interessata alle onde sottili che, col movimento della mano, stava provocando sulla superficie del liquido.
 
-Non ho mai mangiato queste cose.-  Spiegò imbarazzato, rimestando la tazza con quella strana sottospecie di creker ricoperto di semini. Non era una scusa, era la pura e semplice verità, ed Erik, in qualche modo dovette capirlo, perché si avvicinò a lui con la propria tazza e la determinazione silenziosa di chi vuole insegnare o dimostrare qualcosa. Prese l’altra crocchetta, quella che il ragazzino non aveva ancora nemmeno toccato, e ne staccò un pezzetto, intingendolo nei rimasugli del proprio latte. Mosse il tocco un paio di volte su e giù e gli fece fare qualche giro del recipiente, prima di estrarlo e staccarne un morso. Charles lo osservò senza fiatare, quasi divertito della serietà con la quale l’altro stava prendendo la cosa, quindi lo imitò, staccando con un morso netto metà della propria crocchetta ed ingollandola quasi subito. Era diventata molliccia e sapeva di latte, più che di proprio. Il telepate osservò per un attimo ciò che gli era rimasto in mano, indeciso se quella colazione gli piacesse o meno,  nella sua semplicità. Alla fine scelse di fare a meno di una risposta vera e propria e si accontentò di bagnare anche l’altra metà e mangiarsela in due morsi veloci.
 
Terminarono la colazione in una decina di minuti con Charles che seguiva con la massima attenzione  tutto ciò che gli altri dicevano. Voleva capirli, dopotutto, capirli tutti, anche se in particolare la ragazza dai capelli biondi e il suo vicino di stanza. Seguì la massa fino nel cortile, dove due o tre gruppetti di persone di età differenti si stavano affollando nella neve. Appena uscito venne investito da un’ondata di freddo che sembrò perforargli la pelle e penetrare fino al midollo della ossa. Tremò sul posto e si strofinò le mani sulle braccia per cercare di riscaldarle con la frizione. Anche le dita dei piedi e la punta del naso si stavano velocemente congelando. Grazie al cielo non c’era vento, o sarebbe diventato una statua di ghiaccio seduta stante. Perché, per grazia divina, in Russia doveva esserci tutto quel freddo? Il telepate rimpianse, per quella che fu forse la centomillesima volta i suoi otto anni passati in Inghilterra, fra pioggia costante e nebbia mattutina. La neva, ne era sicuro, era la punizione divina per non aver mai espresso il proprio giudizio, forse, o per essere rimasto così passivo davanti agli eventi o per via dell’essersi impicciato troppo degli affari altrui. Non erano cose che gli piacesse fare, ma era il suo carattere, il suo potere, la sua mutazione.
 
Come se non bastasse, la coltre bianca a terra gli entrava nelle scarpe e nei pantaloni, gelandogli le gambe. Imprecò sottovoce e maledisse mentalmente tutti i presenti che, immobili come manichini, sembravano davvero non soffrire per niente il freddo. Possibile che la forza dell’abitudine li avesse resi immuni alla bassa temperatura? Oppure erano semplici robot incapaci di soffrire. Oppure, si disse Charles, la loro mutazione, nel tempo,  aveva fatto in modo di farli sentire a loro agio comunque. Era un vero peccato che la sua non stesse facendo altrettanto.
 
Una donna sulla cinquantina uscì sul portico della villa. Indossava abiti da cameriera, ma aveva capelli ben acconciati, un sottile filo di pietre dure al collo e un giaccone dall’aspetto piuttosto caldo a coprirle le spalle. Il che era piuttosto stano, ma Charles ci fece caso appena, concentrandosi piuttosto sul suo sguardo scuro che vagava su di loro severo e non ebbe bisogno di desiderarlo, per venire a sapere cosa le passasse per la testa. Mi stupisco ogni giorno di quanti sono. Almeno sono silenziosi oggi. Buona cosa, che se ne stiano in silenzio. Non ho voglia di perdere tempo cercando di dire loro cosa fare mentre non mi ascoltano. Come l’atro giorno. Odio perdere tempo! Già mi devo svegliare presto, troppo presto. Ci mancherebbe solo che io debba rimanere qui fuori al freddo troppo a lungo. Non sono cose per me, sono cose per loro! Per quei dementi ed i mutanti. Io mi merito di stare dentro, al caldo, magari con il signor Ivan, se non sarà occupato con un contratto… E lì Charles cercò in tutti i modi di concentrasi sui pensieri dei due ragazzi dietro di se perché, in tutta franchezza, le immagini di corpi nudi che affollavano la mente della donna non le voleva vedere per niente.
 
Fece una smorfia, percependo comunque l’eco di quei pensieri e, quando voltandosi vide l’espressione interrogativa che Raven gli stava rivolgendo, azzardò una scrollata di spalle. La donna sulle scale del portico sta facendo… cercò il modo giusto di esprimere la cosa, ma decise che qualsiasi parola avrebbe usato non sarebbe stata adatta. Stava facendo dei… pensieri, sul Signor Bolsky. Pensieri, ecco, non proprio consoni ai quali assistere per me e, bhè, credo anche chiunque altro. la giovane rimase a bocca aperta per un attimo, realizzando cosa le stesse venendo detto, poi si lasciò andare a su volta in una smorfia. Spintonando altre due giovani donne, al bionda lo raggiunse in qualche secondo, mettendogli una mano sulla spalla e mandandogli subito proiezioni mentalmente di qualsiasi cosa le venisse in mente. O, meglio, pensò un po’ a tutto nella speranza che lui leggesse ciò che aveva in testa e venisse preso da quello, piuttosto che dalle immagini della governante e del padrone di casa in atteggiamenti fisici, cose che un bambino non avrebbe dovuto vedere. Non così piccolo, perlomeno.
 
Che ne dici, un po’ meglio? Domandò con un sorriso e Charles annuì sollevato. Stava funzionando: i pensieri di Raven, anche se casuali e confusi, gli stavano invadendo la mente a ripetizione, tenendolo impegnato e ben lontano di sentire quelli dell’altra donna. Straordinario! Mi stanno arrivando le tue sensazioni e le tue impressioni ad ogni mio ricordo! Trillò la mutante, pensando subito ad altro, all’Inghilterra, all’orfanatrofio nel quale era stata allevata fin da piccola. Charles non poté fare a meno di considerare ciò che lei stava facendo e di complimentarsene mentalmente. Dopotutto quella giovane era sveglia, intelligente, svelta di comprendonio.  Hai già capito come funziona il mio potere. È fantastico. Lo hai capito subito, tu. Sei la prima, sai?  Nessuno lo capisce così in fretta, di solito. Dichiarò timidamente, ma evidentemente felice per quel suo risultato. Erik, per esempio, ci ha messo un po’ a capirci qualcosa. Ancora adesso, dopo un giorno che gli parlo in questo modo, non capisce quando lo sento o meno. Lei scoppiò a ridere silenziosamente. Poi un colpo di tosse palesemente finto attirò al loro attenzione.
 
-I vostri ruoli per questa settimana, rimarranno invariati. Alissa e Yackte sono state richieste in cucina. Richard, Mall e Kate, il signor Blosky ha bisogno di voi, a quanto pare: fra cinque minuti nel suo alloggio al primo piano.-  Le persone chiamate per nome annuirono freddamente,  ma pensarono praticamente soltanto a che insulti  indirizzare al loro padrone ed alla donna impettita sugli scalini del portico., con le mani nelle tasche del cappotto nero e gli occhi contratti per il freddo, o, forse, per il sonno. –Millyedore e Charles…- Si fermò un attimo a controllare di aver letto bene il nome sul foglio, probabilmente perché nessuno l’aveva avvertita del nuovo arrivo. –Devono presentarsi al Signorino Mattew, al terzo piano. Ora andate!- Concluse, alzando le spalle e voltandosi per ripercorrere i propri passi per tornarsene dentro.
 
Charles rimase paralizzato. Che cosa voleva da lui Mattew nel suo primo giorno di lavoro lì alla villa? Che volesse finire di vantarsi, visto che il giorno prima non c’era del tutto riuscito? Forse si stava preoccupando per niente. Eppure non era l’unico che si era allarmato alla notizia. Raven, per esempio, accanto a lui, aveva la fronte aggrottata a formare due piccole rughette appena sopra l’attaccatura del naso e, dalla sua mente, il telepate poté accorgersi anche dell’arrivo del Metalbender. Si girò e lo vide farsi strada tra la servitù intenta a dirigersi alle proprie postazioni di lavoro.
 
-Fai attenzione a ciò che ti chiederà Mattew. È un bambino capriccioso ed egoista, potrebbe domandarti di fare qualsiasi cosa. Per quanto ti è possibile, accontentalo, se non vuoi che ti punisca.- Lo avvisò il tedesco. Aveva la mandibola contratta e, anche senza leggergli il pensiero, Charles capì che era preoccupato. In una qualche parte del suo cuore si accese qualcosa di luminoso e pulsante. Perché era forse la prima volta che qualcuno si preoccupava per lui in quel modo, senza conoscerlo quasi per niente, senza avere legami di alcun tipo con lui. Per un bambino come il telepate, un bimbo di otto anni senza famiglia che è appena stato abbandonato dal proprio padrone in una tundra innevata, gentilezze simili sono rare quanto l’oro in Inghilterra. Si limitò ad annuire ad Erik, tentando di mantenere sul viso la sua espressione più sicura, quindi salutò Raven e salì sul portico. Una ragazza coi lunghi capelli neri lo seguì con lo sguardo e rimase immobile davanti alla porta fino a quando lui non le arrivo ad un metro appena di distanza. A quel punto si presentò come Millyedore, l’altra persona chiamata a rapporto dal giovane padrone di casa. Charles le sorrise, sondando discretamente la sua mente. Pur sorridendo, era scontenta del suo compito di quella giornata ed era scontenta di doverlo portare a termine assieme al ragazzino nuovo piuttosto che con una qualche sua amica. Nemmeno lei aveva idea di cosa Mattew volesse da loro due, ma i suoi ricordi rivelarono al telepate che chiamate simili, da parte dell’erede dei Bolsky, avvenivano spesso, quasi quotidianamente e che, solitamente, le sue richieste trattavano di intrattenimento.  Charles sperò che non gli facesse fare nulla di troppo strano o troppo faticoso a livello fisico e mentale. Odiava le sorprese, dopotutto, e anche Millyedore sembrava nutrire la stessa antipatia per le cose improvvise, compreso il suo arrivo.
 
Salendo le scale fino al terzo piano della villa, il bambino si prese un po’ di tempo per osservare la sua compagna. Era nettamente più grande di lui, sui sedici anni forse. Non se ne stupì troppo, visto che Erik gli aveva anticipato il fatto che solo una bambina del gruppo dei Mutanti fosse più piccola di lui. Quella che aveva accanto a lui, invece, era praticamente una donna, coi capelli lucidi e lisci lunghi quasi fino a metà della schiena e lunghe ciglia scure ad incorniciarle gli occhi. Aveva curve tonde e precise, piatte sul ventre e generose sul petto. Era bella, anche lei, in un modo totalmente diverso da quello di Raven, ma comunque considerevole.  Non ne aveva ancora viste, a dirla tutta, di ragazze brutte tra le Mutanti della servitù. Non che fosse particolarmente interessato a cose simili, comunque.
 
Giunsero davanti alla porta degli alloggi di Mattew abbastanza in fretta.  Charles se ne rese conto principalmente perché la sua mente venne investita da quella iperattiva e fastidiosa dell’altro ragazzino. A bussare ci pensò Millyedore, con due colpi decisi e delicati al tempo stesso dati contro la porta. Era elegante, constatò il più piccolo, ma non aveva un’eleganza da salotto e nelle sue azioni non c’era niente di coinvolgente.  Non per un bambino di otto anni, perlomeno. Quando tornò a concentrarsi sull’uscio, lo vide aprirsi lentamente.
 
-Entrate! Su, entrate!- Ordinò la voce conosciuta di Mattew  -Venite dentro e sedetevi.- Continuò poi, mettendosi comodo sul suo divano ed indicando davanti a se. Charles seguì la direzione del suo dito alzato in aria ed individuò due sedie di vecchio e freddo legno. Dovette di nuovo impegnarsi per trattenere una risata amara: nella stanza erano in bella vista quattro comode poltrone, per non parlare dei due posti liberi sul sofà, ma quel piccolo sadico del Signorino li faceva sedere sulle sedie scartate da quelle scelte per gli alloggi della servitù del Bolsky. La cosa aveva del comico e, indiscutibilmente, del raccapricciante. Come era possibile volere così tanto risultare odioso davanti a chi poi avrebbe dovuto prepararti la cena? Il bambino proprio non capiva il senso di azioni simili, trovava molto più ragionevole il comportamento dei Grayson, i quali bistrattavano il meno possibile i domestici, in modo da guadagnarsi poi la loro fedeltà. Mattew invece sorrise, quando li vide sedersi su quelle seggiole scricchiolanti, e si allungò a prendere da una ciotola sul comodino accanto a lui uno cioccolatino, scartandolo e mettendoselo in bocca con gusto. Ovviamente a loro non offrì niente e non aveva nessuna intenzione di farlo più tardi. Charles si guardò attorno. Quello nel quale erano era soltanto uno dei salotti che componevano gli appartamenti del russo, eppure lo riempivano tanti oggetti che il telepate non si sarebbe nemmeno mai sognato di possedere in una vita intera. Tutto era straordinariamente ampio, compreso lo spazio vuoto al centro della stanza. Ampio ed inutile, si disse il bambino, reprimendo una smorfia. Millyedore, seduta sulla sedia di sinistra, sorrise al padrone di casa che le rispose allegro, battendo poi le mani assieme davanti al viso. Le porte vennero chiuse da una cameriera piuttosto anziana e i tre rimasero soli nella sala. –Bene, Millyedore, voglio che tu balli per me. Qualcosa di lento e silenzioso; ho mal di testa.-  Bugiardo! Pensò Charles sfiorandogli appena la mente. Mattew si voltò verso di lui, confuso, incapace di riconoscere quel sussurro come una comunicazione mentale. Il telepate finse di seguire le movenze della ragazza, la quale si alzò senza una parola e si mise a danzare al centro del tappeto, ed alla fine il nobile si convinse di essersi inventato quell’unica parola o che fosse stata la propria coscienza a rimproverarlo, per una volta. –Tu, Charles, dovrai farmi vedere come funziona il tuo potere.- Dichiarò scrollando le spalle  -Mio padre ha detto che devo imparare cosa potete fare, per controllarvi.-
 
Come già sapete, Signorino Mattew, sono un telepate. Rispose lui mantenendo sul viso la sua espressione più disponibile ed obbediente. Perciò possiamo dire che utilizzo la Telepatia: parlo nella mente degli altri e la leggo, se necessario. Pensieri, soprattutto, ma anche sogni la notte e qualche ricordo, se l’interessato lo porta a galla. Concluse ignorando il salto che il padroncino di casa fece sul divano e l’espressione basita che gli rivolse, presto trasformata in un ghigno. Lo sapevo che facevo bene a farmelo regalare! Ha un potere interessante ed ora è mio e posso usarlo per fare quello che mi pare. Posso fargli leggere nella mente delle cameriere o di mio padre e posso farli passare messaggi. Tutto quello che voglio sapere ora lo saprò. Forte! Questo nuovo Mutante è interessante ed è anche piccolo: non avrò problemi a controllarlo, eh. Chissà se è intelligente, se sa scrivere e se può farmi i compiti. Odio quei precettori: me ne danno troppi. Se li potrà fare lui, sarà tutto molto più divertente! Questa volta la smorfia Charles la fece, approfittando del fatto che l’attenzione di Mattew fosse interamente posta sul secondo cioccolatino che si stava rigirando tra le dita.
 
-Sai leggere?- Chiese di colpo il bambino russo, alzando lo sguardo su di lui. Charles annuì, sapendo di avere addosso anche l’attenzione di Millyedore, anche se lei non aveva smesso un attimo di ballare. Il nobile parve soddisfatto. –E scrivere?- Il telepate annuì ancora. Mattew si accigliò: non gli credeva. E perché mai avrebbe dovuto, dopotutto? Solitamente la servitù non era particolarmente istruita e di certo non lo era all’età di otto anni. –Mostrami…-  Ordinò allungandogli uno dei fogli da lettera posti sul comodino e la stilografica sopra di essi. Il piccolo non se lo fece ripetere, ricordando le parole di Erik su quanto gli convenisse accontentare il giovane padrone in tutto. Prese quindi subito la penna ed iniziò a scrivere sul foglio il proprio nome nella sua calligrafia minuta ed ordinata, un corsivo preciso, inclinato leggermente verso destra. Si fermò dopo nome, età e provenienza e lanciò uno sguardo veloce a Mattew, il quale annuì tra se e se e partì a porgli altre domande. –Sai fare i calcoli?- Chiese interessato  –E analizzare le poesie?- Charles si mosse agitato sulla sedia.
 
-Per i calcoli semplici non dovrebbero esserci problemi. Per l’aritmetica, intendo.- Rispose un po’ agitato da quelle richieste continue. Di quel passo avrebbe dovuto passare gli anni successivi a compilare quaderni e libri al posto del Signorino.  –In quanto alle poesie, non saprei.- Ammise sincero, dopotutto era piuttosto piccolo ancora ed aveva imparato il russo solo tre mesi prima. Sulla faccia di Mattew comparve una smorfia scontenta e schioccò la lingua sul palato. Era scocciato dalla scoperta e già aveva iniziato ad irritarsi per la presenza del Mutante che, in tutta la sua innocenza, aveva infranto le sue aspettative. Lui poteva capirlo facilmente, dai pensieri che vagavano nella stanza. –Nel senso che avrò bisogno di un po’ di tempo!- Aggiunse quindi allarmato, cercando di spiegarsi in un qualche modo. –Un mesetto, forse, per apprendere qualcosa di più sulla sua lingua: non conosco ancora le forme classiche del russo, perciò rischierei di sbagliare degli esercizi.-  Gli occhi del padrone di casa si rischiararono e la ballerina riprese a muoversi con più tranquillità, per quanto nessuno degli altri due avesse notato il suo tendersi ed osservarli con attenzione.
 
-Un mese, eh? Bhè, per un mese credo di poter aspettare, ma non di più.- Ragionò ad alta voce in quella che voleva essere chiaramente una minaccia  -Dovrai studiare.- Continuò senza notare la bella ragazza alzare gli occhi al cielo per la constatazione ovvia. –Dirò al bibliotecario di lasciarti pure prendere i libri dei quali avrai bisogno.-  Si stava già immaginando tutti i compiti che non avrebbe più dovuto fare da quel momento in poi. Charles, invece, stava pensando alla quantità di regole grammaticali e stilistiche che avrebbe dovuto memorizzare in un mese. Grazie al cielo era uno studente dall’apprendimento veloce, altrimenti sarebbe finita molto male, quella storia della poesia. –Da oggi tu sarai addetto al mio studio. Né mio padre, né i precettori dovranno saperne nulla. Se ti dovessero chiedere che ruolo ti ho affidato, dovrai dire loro che sei uno dei miei animaletti da compagnia.- Il telepate sentì un brivido percorrergli tutto il corpo. Quella definizione non gli piaceva affatto.  –Non ho ancora deciso il tuo nome, in effetti, ma ne troverò uno molto presto.- E dicendo così congedò il ragazzino. Charles fu solo felice di andarsene. Si inchinò brevemente e uscì dalla stanza in silenzio, lanciando un ultimo sguardo a Millyedore che danzava sinuosa davanti al caminetto. Mattew non gli rivolse nemmeno uno sguardo, tanto era preso dallo spettacolo. Quando si richiuse la porta alle spalle, il piccolo telepate si fermò contro il muro e si prese un attimo per se, abbandonando la schiena alla solidità della parete e ripensando a quella storia dei nomi. Si ricordò di Erik e di come glielo avesse presentato il russo il giorno prima: il suo “cane”, aveva detto. Che fossero di quel tipo i nomi che dava? Animali? O oggetti, forse? Un altro brivido si fece strada sulla pelle del bambino. Sarebbe stato additato anche lui da quello scarto di essere umano con un qualche nomignolo sminuente. Lo aveva fatto con tutti, quindi? Con Raven, con Millyedore e con la piccola mutante bambina? Quel posto gli piaceva sempre meno. Scosse la testa tra se e se e si decise a scendere le scale ed uscire sul portico. Era deserto, a quel punto, e scoprì con stupore dai ragionamenti di una domestica nell’ingresso che era passata un’ora dalla riunione della servitù. Si chiese dove fossero gli altri giovani Mutanti: la governante aveva detto solo  di continuare coi loro compiti, ma non aveva specificato quali fossero. Perciò Charles decise di tirare a caso e si diresse come prima tappa agli alloggi dei servitori. Dopotutto, se non ci si fosse recato e poi, alla fine, avesse scoperto che erano proprio lì dentro, sarebbe stato ridicolo. Percorse tutta la lunghezza del corridoio interno, gettando sguardi nelle porte aperte ed attraverso le tende scostate, ma non vi trovò nessuno con il quale avesse parlato di persona.
 
Passò quindi a controllare il cortile sul retro del casolare e le stalle lì accanto. Nemmeno in quei luoghi trovò ombra dei coetanei, se non per la presenza di un paio di ragazzini sui dieci anni, totalmente umani, a giudicare dal contenuto della loro testa, e fierissimi di esserlo. Apparentemente, si rese conto Charles, alla servitù umana Mattew non dava nomi strani. Per un attimo desiderò poterne fare a meno anche lui, essere umano, poi si ricordò quanto gli sarebbe tornato difficile vivere senza poter sentire la mente delle persone attorno a lui.
 
La tappa successiva, fortunatamente, si dimostrò essere quella giusta. Non appena il telepate mise piede nella serra, il più trasandato degli edifici che il giorno prima aveva attraversato nel tour, i pensieri dei presenti si fecero chiari nella sua testa e, tra tutti, riconobbe subito quelli dei due mutanti che stava cercando. In qualche secondo rintracciò la loro posizione tra i corridoi pieni di piante, quindi si diresse verso di loro, facendosi strada tra vasetti grandi come i suoi piedi e piante alte quanto lui. Il Signorino gli aveva detto che in quei locali erano accudite più di trecento specie di piante e che, per quanto all’esterno l’edificio apparisse sporco e consunto, all’interno un complicato (e costoso, aveva aggiunto) sistema di riscaldamento manteneva in ogni stanza la temperatura giusta per il tipo di piante in essa contenute. Aveva anche detto che la sua famiglia possedeva delle grandi piante carnivore e, per quanto leggendo i suoi ricordi presenti non ne avesse trovato traccia, non gli era parso che mentisse, perciò cercò di toccare foglie strane il meno possibile. Ciò lo rallentò un poco ma gli permise di arrivare incolume alla stanza dalla quale provenivano ormai chiare le voci dei suoi target. Entrò dalla porta bianca, ma dovesse tenersi allo stipite e bloccarsi di colpo per non inciampare. A soltanto un metro scarso di distanza dall’ingresso, infatti, c’era un lago. Rimase per un attimo ad osservarne una sponda, accigliato, prima di rialzare lo sguardo sul resto della pavimentazione. Laghi, si corresse col plurale quando si rese conto che a terra c’erano cinque grandi pozze melmose nelle quali si potevano facilmente vedere nuotare pesci neri, rossi e bianchi, alcuni dei quali sinceramente troppo grandi. Si accorse che il terreno era fittizio, torba probabilmente, e da quello si alzavano alte colonne di metallo e pietra. Charles ne seguì una con lo sguardo fino a vederla diramarsi in uno stretto ponticello sopraelevato che andava a collegarla con un’altra. Sui pilastri intravide anche una scala a pioli di legno, seminascosta dalla sua posizione. Probabilmente si usavano quei passaggi aerei per ovviare alla scomodità dei camminamenti a terra. Le strisce percorribili, infatti, erano strette e compresse tra le pozze, rendendo l’avanzare di una persona non particolarmente confortevole. Le voci dei due Mutanti provenivano dall’alto, su quello non c’era dubbio, ma dei ragazzi non vedeva traccia.  Il telepate girò una o due volte sul posto, quindi decise per una soluzione rapida. Erik! Erik, sono Charles. Dove siete? Sono qui nella stanza piena di stagni, ma non so dove siete e quindi quale scala prendere per raggiungervi, sempre che possa raggiungervi. Per un qualche secondo nella stanza regnò il più totale silenzio. Uno di quelli inquietanti, se hai accanto una pozza melmosa sciabordante. Poi da una delle colonne fece capolino una testa.
 
-Oh, eccoti!- Esclamò Erik ghignandogli e sporgendosi dalla balaustra. –Vieni su da questa scala.- Aggiunse indicando sotto di se  -Stiamo riparando l’impianto idraulico, perciò c’è un po’ di acqua in giro. Spero non ti dispiaccia bagnarti.- E detto ciò rimase a guardarlo. Charles, dal canto suo, stette il più attento possibile a dove stava mettendo i piedi e si accostò alla colonna, la aggirò per un quarto, si aggrappò saldamente alle corde laterali ed iniziò ad arrampicarsi su per la scaletta, gradino tondeggiante dopo gradino tondeggiante. Ogni volta che appoggiava i piedi li sentiva scivolare leggermente ed il che non aiutava la sua già precaria sicurezza. Inoltre l’altezza non gli piaceva. Non era proprio uno che soffrisse di vertigini, ma di certo non adorava nemmeno starsene sugli alberi o sui tetti, come invece sembravano fare molti bambini. Comunque neanche quello gli impedì di salire la scala fino in cima, più o meno a quattro metri d’altezza. A quel punto poggiò i palmi sulla pavimentazione dell’incavo che si apriva nella colonna, per aiutarsi a sollevare il proprio peso oltre lo scalino. Ma non ne ebbe mai tempo ne bisogno, poiché due mani gli calarono addosso, senza troppi complimenti lo strinsero sotto le braccia e lo alzarono oltre il dislivello ignorando totalmente le sue lamentele. Ferme e forti. –E non ti dimenare così!-  Lo sgridò Erik, vedendolo agitare braccia e gambe nel tentativo di liberarsi. –O finirai per cadere di sotto.- Charles, suo malgrado, smise di scalciare, ma non tolse le mani dalle braccia dell’altro, un po’ per protesta ed un po’ per paura di precipitare veramente. Il  metalbender lo teneva staccato da terra di una decina di centimetri, apparentemente senza nessuna fatica.
 
Lasciami. Sibilò stringendo di più le dita sulla sua camicia.  Puntò lo sguardo su Erik e tentò di far suonare quell’unica parola come un ordine. L’altro lo guardò prima accigliato, poi divertito, quindi scoppiò a ridere. Oh, no. No che non ti lascio. E cosa era quello? Voleva essere un ordine? Sembrava un ordine. Da quando dai pure ordini? Sei così piccolo eppure così velenoso, eh. Probabilmente mordi anche, oltre a tentare di dare ordini ai più grandi, o graffi. Ti ci vedo a graffiare. Sei troppo educato per mordere. Lo derise alzandolo ancora di qualche centimetro e sorridendogli in faccia. Lasciami!  Ringhiò, quella seconda volta, il telepate, scatenando ulteriori risate da parte del più grande. Ma guardati: sei feroce! Sei stato da Mattew, giusto? Te lo ha già dato un nome? Cosa sei, eh, un gatto? Oh! Io sono il cane e tu il gatto. Sarebbe esilarante… uno scricciolo? Sei così piccolino, ti mancano solo le ali. Continuò a scherzare, con Charles che si sentiva sempre più a disagio nella sua posizione inusuale e, dal suo punto di vista, ridicola. Mettimi giù o ti si stancheranno le mani e mi lascerai cadere di sotto e, purtroppo, non ho ali. Provò più ragionevole il piccolo, indignandosi poi quando Erik se lo immaginò davvero con le ali. Tranquillo, sei talmente leggero che potrei tenerti sollevato per un’ora senza che mi tremino le braccia. Sei leggero persino per essere un bambino.  Cos’è, non ti davano da mangiare i tuoi padroni in Inghilterra? Sei più minuto di alcune delle ragazze! Piccolo scricciolo, non è che sei una femmina? Scherzò assumendo una falsa aria incuriosita. Charles sentì il collo e le guance bruciargli per l’imbarazzo, non appena i pensieri del Mutante si arenarono nelle sue tempie. Scosse la testa con veemenza e lasciò che tutte le offese delle quali avesse memoria si riversassero fuori da quella, dritte alla mente del più grande dei due. Erik rimase a bocca aperta sul momento e, quando si riprese, scoppiò nuovamente a ridere.
 
-Oh, signore! Ne conosci di parole, eh, scricciolo? Non ho mai incontrato un esserino tanto innocente fuori e tanto grintoso dentro.- Ridacchiò divertito. Il telepate si agitò nella presa, stringendo ancora le dita, senza perdere per niente il rossore sulle guance. Oh, ti prego, mettimi giù! Lasciami. È così imbarazzante. Non ti basta prendermi in giro quando sono coi piedi per terra? Chiese mentalmente, abbassando lo sguardo, sempre più imbarazzato, con Erik che si compiaceva interiormente per averlo ridotto alle suppliche.
 
-Che gli stai facendo?-  La voce di Raven fece sussultare tutti e due, ma la stretta di Erik non vacillò nemmeno per un istante, non lasciandolo cadere di sotto. Per un attimo Charles si chiese se non fosse vera quella sua affermazione di prima, quella riguardo il poter resistere un’ora intera tenendolo sollevato. –Mettilo giù, poverino.- Sbuffò la bionda calandosi giù da una scaletta a pioli appesa all’interno della colonna, sopra la loro testa. –Ti diverti così tanto a torturarlo? Mettilo giù e falla finita. Guardalo: l’hai fatto arrossire, povero piccolo! Non ti stupire se poi non vorrà più avere nulla a che vedere con te.- Sgridò il maggiore, lasciandosi cadere agilmente ed atterrando accanto a loro. Il metalbender alzò gli occhi al cielo, sbuffò e lo rimise a terra, sfilando le mani da sotto le sue braccia. Raven prese subito il suo posto, poggiando la destra sulla spalla di Charles  –Quindi, come è andata da Mattew? Ti ha già dato uno dei suoi nomi di cattivo gusto? Che compiti ti ha affidato?-  Domandò la giovane sorridendogli incoraggiante.
 
-Nessun nome per adesso, ma mi ha dato accesso alla biblioteca della villa per studiare in modo che io possa svolgere al posto suo le consegne che gli danno da fare i precettori.- Rispose lui spostandosi da un piede all’altro per riprendere per bene l’equilibrio. Raven fischiò ammirata. Effettivamente gli era toccato un buon ruolo, ma, a giudicare dai ragionamenti di Erik, sarebbe stato solo l’inizio dei suoi lavori da svolgere nella villa dei Bolsky: Mattew avrebbe trovato un modo di servirsi anche della sua mutazione. Possibilmente uno imbarazzante e spiacevole in un qualche modo. Decise che non era il momento di pensarci, non subito, perlomeno. Si voltò invece verso gli altri due, guardandoli in faccia. –Allora, tu sei il “Cane”. Perché porti una museruola, di soluto. E la porti perché hai provato più volte a mordere il nostro adorabile padroncino.-  Azzardò, indicando il tedesco, il quale di tutta risposta ghignò soddisfatto della descrizione data alla sua spiacevole condizione. Così quasi mi fai piacere il nome.  –Ma tu? Non hai niente di strano in apparenza, no?-  Domandò quindi rivolgendosi alla ragazza. Lei fece una smorfia e portò la mano, che prima era sulla sua spalla, a torturare  una riccia ciocca bionda. Ci mise qualche secondo a rispondergli e, quando lo fece, la risposta titubante gli giunse mentalmente. Corvo. Quell’unica parola lo confuse, essendo stata detta in russo e non facendo parte della lista di vocaboli che era riuscito ad apprendere nei mesi precedenti. Fino a quando non fu proprio la giovane stessa a spiegargli cosa significasse. Raven: corvo. Corvo: raven. È la stessa parola in due lingue diverse. Per quanto suoni male, perlomeno è pur sempre il mio nome  e non un qualche nomignolo malvagio come Cane, Donnola o Ghiro. Charles annuì, totalmente d’accordo con quel suo pensiero. Si rammaricò persino di non avere già anche lui un nome inglese con significato animale, per non rischiare troppo con il battesimo di Mattew. Ad interrompere il lungo momento di apparente silenzio fu Erik, dando a lui una pacca sulle spalle ed alla bionda una stretta al braccio destro.
 
-Cooooomunque, ragazzi, l’impianto idraulico non si ripara da solo e, no, anche coi miei poteri senza di te e dei tuoi schemi non posso farcela, Raven.- Esclamò iniziando a spostarsi verso la scaletta a pioli e salendola velocemente, senza aspettare di vedere la ragazza seguirlo e salire dietro di lui per andarlo ad aiutare. Lei, dal canto suo, lo fece e fece anche cenno a Charles  di andare con loro. La salita proseguì per circa altri cinque metri e li portò in uno spazio angusto come quello nel quale si erano fermati a parlare precedentemente. Il telepate aveva il fiatone e gli girava la testa al semplice pensiero di quanto in alto ormai dovesse trovarsi. Una seconda pacca poderosa al centro della schiena lo costrinse a concentrarsi su ciò che stava accadendo accanto a lui.  –Eh, sì, ti ci vedrei davvero bene, con due belle ali piumate, caro il mio scricciolo!- Rise Erik, prima di scomparire alla vista su uno dei camminamenti aerei.
 
-Pensavo che non te lo avessero ancora dato il nome…- Ragionò confusa Raven, lì vicino. Charles grugnì mentalmente ed alzò gli occhi al cielo. Infatti. Rispose irritato. Non me ne hanno dato proprio nessuno.














Angolo dell'autrice:
Salve a tutti!
So che questo Fandom è poco frequentato e che, probabilmente, saranno in pochi quelli che decideranno di leggere una storia come la mia. Ma voi che l'avete letto e che state ora passando gli occhi quì sappiate che il fatto che venga apprezzata mi fa un piacere incredibile.

Charles deve iniziare ad ambientarsi nella villa dei Bolsky. Raven trova adorabile il piccolo inglese. Mattew è odioso come suo solito e Erik non riesce proprio a resistere alle novità.

Alla prossima,
Eva















 
   
 
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