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Autore: Herm735    08/12/2012    14 recensioni
Raccolta di One-Shot per provare a dimostrare che, in qualsiasi modo, in qualsiasi mondo, Callie e Arizona si sarebbero trovate. L'ambientazione cambia di capitolo in capitolo, in epoche diverse, luoghi diversi, con una sola costante: il loro amore. Almeno, è così che mi piace pensarla...
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ringrazio ancora tutti quelli che hanno recensito la storia, siete grandi! =)

Caccia alla citazione da Harry Potter! Chi riuscirà a riconoscerla? XD

Avvertimenti: AU (ma sono sempre chirurghi)


Buona lettura!

Un grazie enorme a Trixie per tutti i meravigliosi banner che sta facendo per le shot. Grazie davvero, sai quanto li adoro e non riesco a trovare altre parole, soprattutto per questo. Un abbraccio!

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La prima cosa di cui ci siamo accorte


“Non c'è poi molto da dire, no?” chiese, stringendosi nelle spalle.
“Intende per quanto riguarda la trama?”
“Esatto. È solo una storia. Una storia come tante.”
“Ma è davvero tutto qui? Insomma, il fatto che le protagoniste siano due donne, lo rende in qualche modo un libro particolare.”
“Io non la penso così. Per me è solo una storia, proprio come ho detto. La storia di due persone che per tutta la vita non fanno che passarsi accanto senza riuscire mai a sfiorarsi. La storia di due persone che si amano. Tutto qui.”
“Ma allora cosa è che rende questo libro così straordinario?”
“Non dovrebbe chiederlo a me, questo” rispose ridendo.
L'intervistatrice le sorrise. “Lei è l'autrice, in fondo, no?”
“Ho scritto il libro, è vero. Ma chi meglio delle persone che hanno vissuto questa storia potrebbe sapere perché è tanto straordinaria?”
“Sta dicendo che i personaggi sono veri?”
“Dico che sono verosimili. Considerando tutte le persone che vivono o che hanno vissuto, crede davvero che nessuno si sia mai trovato in questa situazione? Come diceva il filosofo Kant, il mondo in cui viviamo non è che l'insieme di infinite esperienze.”
“Ci racconti un po' di queste due persone. Ci dica come è possibile che due donne che si amano così tanto non riescano a stare insieme.”
“Succede” rispose con un mezzo sorriso triste sulle labbra. “Succede tutto il tempo. Ogni giorno, camminando per strada, passiamo affianco a persone che, probabilmente, non rivedremo mai più. Siamo distratti. È la natura umana, capisce? Siamo troppo occupati a fare altro. Cerchiamo di vedere cose straordinarie puntando il naso verso l'alto e non vediamo che le cose più speciali sono proprio davanti a noi. Passiamo la vita a non accorgerci. È triste. Ma è anche la verità.”
“Perdoni l'insistenza, ma da come ne parla si direbbe che questa non sia solo una storia qualsiasi, ma proprio la sua.”
Guardò verso il basso solo per un secondo, riprendendosi immediatamente dopo e tornando a guardare la conduttrice.
“Non è rilevante di chi sia la storia. Ogni storia è importante. Ed ogni storia potrebbe diventare la nostra. Ma in questo particolare caso, no, non è la mia.”

Jane non conosceva la maggior parte dei ragazzi della sua classe.
E non era mai stata una persona molto espansiva. Figuriamoci se aveva intenzione di diventarlo durante il primo giorno alle superiori.
Si sedette accanto alla sua migliore amica, cercando di non attirare attenzione in alcun modo.
Era sulla sinistra, in seconda fila.
Al suono della campanella tutti erano seduti e quando la professoressa di italiano entrò in classe, calò il silenzio. Mentre faceva l'appello, cercò di memorizzare alcuni dei nomi che sentiva leggere.
La sua attenzione fu catturata da una ragazza seduta nel primo banco della fila di destra, vicino al muro, con accanto un'altra ragazza.
Stavano parlando sottovoce, cercando di non farsi notare dall'insegnante, guardandosi attorno di tanto in tanto.
Alla fine dell'ora si alzarono in piedi, e la sua migliore amica, Lily, andò subito verso la ragazza che era stata seduta affianco alla persona che aveva attirato la sua attenzione.
Si salutarono, iniziando a parlare.
Lei spostò lo sguardo su Jane, rendendosi conto che non erano mai incontrate prima.
Le porse timidamente la mano.
“Beth Ramirez” si presentò.
“Jane Capshaw” prese la sua mano con gentilezza, rivolgendole uno dei suoi sorrisi completo di fossette.


“Allora, parliamo del libro. Ci sono due ragazze che si conoscono quando entrambe iniziano le superiori in una nuova città, giusto? Entrambe si trasferiscono a New York a causa del lavoro di uno dei loro genitori.”
“Esatto. Si vedono, si attraggono, si parlano.”
“Ma il legame che hanno è strano. Non sono così amiche, ma entrambe nutrono qualcosa nei confronti dell'altra, giusto? Non è solo l'immaginazione del lettore.”
“Assolutamente no. Però all'inizio non capiscono bene cosa sia quella sensazione di farfalle allo stomaco che hanno. Si trovano all'improvviso a fare i conti con tutte queste sensazioni nuove, è normale che siano spiazzate.”
“Concordo, direi che non potrebbe essere altrimenti. Proprio per questo le due si girano attorno, senza mai aprirsi completamente, senza diventare migliori amiche o cose del genere.”
Lei si limitò ad annuire.
“Ed è a quel punto che una delle due viene di nuovo trasferita. Stavolta a Baltimora.”
Annuì di nuovo. “Suo padre veniva spostato in continuazione” fece notare.
Fu la volta dell'intervistatrice di annuire, poi proseguì a leggere il riassunto che aveva in mano.

“Solo pochi mesi a New York, ed ecco che me ne sto andando nuovamente” sospirò.
“Ci terremo in contatto, Jane, non è vero?”
“Certo, Lily.”
“Odio vederti andar via e non poter fare niente.”
“Lo odio anch'io. Ma le cose sono come sono. Mi mancherai.”
“Mi mancherai anche tu.”
Rimasero in silenzio.
“Vorrei parlare anche con Beth, prima di andarmene.”
La guardò, confusa. “Non credevo foste così amiche.”
Lei si limitò a stringersi nelle spalle. “Le dirò comunque ciao.”


“Alla fine del primo anno di liceo Jane se ne va. Ma, circa un anno dopo, all'inizio del terzo, ritorna a New York.”
“Proprio così. Ritrovando tutte le persone che aveva lasciato, solo che sono un anno più grandi.”
“Noi però non sappiamo cosa è successo a Jane nel frattempo, perché il libro segue quello che sta succedendo a Beth” fece notare la conduttrice. “Sappiamo solo che Beth ha iniziato a frequentare un ragazzo, anche lui della loro stessa classe.”
“Matt.”
“Ed è a questo punto il colpo di scena. Quando Jane ritorna molte cose della sua vita sono diverse, ha detto ai suoi genitori di essere lesbica, ed ecco che iniziamo a capire cose erano le sensazioni che provavano quando erano insieme.”
“Sì, diciamo che vengono spiegate quelle di Jane, mentre Beth non si rende conto che potrebbe trattarsi di lei. Che quando tutti parlano di quella povera ragazza che non sarà mai in grado di avere una vita normale perché tutti continueranno a discriminarla, potrebbero parlare di lei. Non è facile rendersene conto. E quando lo fai, di solito, è sempre con qualche attimo di ritardo.”
“Precisamente. Perché, facciamo notare, Beth è all'oscuro del fatto che Jane è attratta dalle ragazze, le uniche persone che lo sanno sono i suoi genitori e Lily, con cui si era tenuta in contatto.”

Elizabeth era bellissima, proprio come se la ricordava.
Forse di più.
I suoi capelli erano più corti, aveva perso un po' di peso, ed i suoi occhi racchiudevano tracce di malinconia che era incapace di giustificare.
Sapeva che aveva iniziato a vedere un ragazzo.
Si chiamava Matt, era nella stessa classe in prima superiore, e fu in classe insieme a loro anche in terza.
Dire che a Jane non piaceva era un eufemismo. Se avesse potuto trovare una scusa, anche una squallida, gli avrebbe volentieri rotto il naso con un pugno.
Lui e Beth si lasciavano in continuazione, perché lui cercava da altre ragazze quello che lei non era disposta a dargli.
Le parlava, ogni tanto.
Ma cercava di tenersi lontano, la maggior parte delle volte, visto che sapeva che lei non avrebbe mai potuto ricambiare quello che provava nei suoi confronti.
Però c'era qualcosa che la spingeva a cercarla con lo sguardo ogni volta che entrava in un'aula, qualcosa che la spingeva ad avvicinarsi ogni volta che la vedeva da sola, a sorriderle ogni volta che la incontrava per i corridoi.
La stava distruggendo. Il non poter stare con lei, la stava distruggendo.


“Se non le dispiace, vorrei leggere un passo del libro in cui Jane parla dei suoi sentimenti per Beth alla sua migliore amica.”
“Faccia pure.”
Si schiarì la voce. Io alzai il volume della televisione. “Sono ossessionata. Sono...”

“Sono ossessionata. Sono tormentata dal pensiero che lui sta sprecando tutte le sue occasioni, ancora e ancora, mentre io non ne avrò mai neanche una, con lei. E so che non è colpa sua, lei non può farci niente, ma io non posso evitare di sentirmi come se fosse la cosa più ingiusta mai successa al mondo.”
Lily la guardò, dispiaciuta.
Ma non era colpa sua.
Non era colpa di nessuno.
“È ingiusto. È ingiusto, perché io sono una brava persona. Mi merito un'occasione, e so che potrei renderla felice. È ingiusto. Ma, alla fine, quando mai la vita è giusta in qualcosa?”
“Se ci fosse anche un po' di giustizia, tu avresti la tua occasione, Jane. Ma hai ragione. La vita non lo è mai. Cose come questa succedono tutto il tempo. La gente passa affianco alla sua anima gemella di continuo, senza riuscire a voltare lo sguardo.”


“Quello che Lily spiega a Jane è quello che ci stavi dicendo prima.”
“Sì. A volte non ci accorgiamo. È più forte di noi. E non sono sempre le cose inutili, di poco conto, quelle a cui non facciamo caso. A volte il nostro più grande rimpianto è quello di non esserci accorti di qualcosa che avremmo disperatamente voluto vedere, che avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi in modo drastico, portandoci da una condizione di apatia verso la vita sulla strada per la felicità, da una vita mediocre ad una speciale, dalla media delle persone ad una di quelle che hanno il privilegio di conoscere davvero l'amore delle loro vite. Invece, non ci accorgiamo. E rimaniamo al buio, cercando l'interruttore della luce invece di accendere la torcia che abbiamo a portata di mano. E continuiamo a vivere.”

La vide da sola, seduta su un muretto, nel cortile sul retro della scuola.
Si avvicinò in silenzio, non era sicura se volesse stare sola o meno.
“Ehi” salutò in un sussurro, facendola voltare.
“Ehi” rispose, riscuotendosi da quel filone di pensieri che sembrava averla portata ad universi di lontananza da lì.
“Sembri turbata.”
Tornò a guardare in avanti. Poi sorrise tra sé e sé.
“Pensavo solo al diploma.”
“Oh, ora sì che capisco perché sei turbata” scherzò Jane, sedendosi accanto a lei. “Non dartene troppo pensiero, mancano ancora sei mesi alla fine dell'anno.”
Sospirò. “Hai ragione. È solo...un brutto periodo.”
Jane le sorrise. “Andrà meglio. Le cose andranno meglio, Elizabeth.”
“Lo spero. Lo spero davvero” sussurrò distrattamente.
La guardò. E, per Jane, lei era perfetta. I pochi, minuscoli, difetti che aveva, non facevano che renderla ancora più bella, ai suoi occhi.
Fu in quel momento che realizzò con rassegnazione che, una parte di se stessa, la maggior parte di se stessa, sarebbe stata innamorata di lei per sempre.


“A questo punto le loro strade si separano. Scelgono università diverse, e vanno entrambe per la loro strada.”
“Esatto. Entrambe vogliono fare del bene, cercare di aiutare gli altri, ed entrambe giungono alla stessa conclusione. Diventare chirurghi. Ma Beth va alla Columbia, mentre Jane alla Hopkins.”
“La scelta di Beth di rimanere a New York è dettata dal fatto che così può rimanere con Matt?”
“In un certo senso. Iniziamo a vedere il carattere di Beth, che farebbe di tutto per rimanere con la persona che ama. Come diceva Jane Austen: 'Non so cosa significhi amare a metà. I miei affetti sono sempre eccessivi'.”
“Eppure Beth si rifiuta di essere, diciamo così, intima con Matt.”
“Il problema, qui, è che lei non si sente a suo agio con l'avere rapporti con un ragazzo. Sta iniziando a capire meglio la sua sessualità, e quel tipo di rapporto la spaventa, non è quello che vuole, e questo la spaventa ancora di più.”
“Beth quindi non vuole avere rapporti con uomini in generale.”
Lei sorrise. “Credo che questa sia più o meno la definizione di 'lesbica', sì.”
Anche la conduttrice rise. “Nel frattempo le due vanno avanti con le loro vite, che continuano a intrecciarsi - Jane torna a New York, fanno colloqui nello stesso ospedale per la specializzazione, scelgono lo stesso ristorante la stessa sera, festeggiano i compleanni nello stesso locale, anche se in mesi completamente diversi - ma non riescono mai ad incontrarsi di nuovo faccia a faccia.”
“Giusto.”
“In più, entrambe, secondo qualche sorta di intesa, non sviluppano mai relazioni a livello fisico. Come se quel legame che le univa in prima superiore fosse troppo puro per essere contaminato dalla fisicità con altre persone.”
“Esattamente. Entrambe si sentono come se stessero tradendo se stesse ogni volta che sono sul punto di fare sesso con qualcun altro. Così non lo fanno.”
“Le due si incontrano finalmente in una caffetteria di New York quando sono entrambe al quarto anno di medicina.”

La vide entrare, mentre era seduta ad uno dei tavoli.
Alzò lo sguardo, quasi come se i suoi occhi fossero stati guidati da una calamita verso quelli della donna che stava entrando.
Fu paralizzata. Ma Jane si mosse, andandole incontro.
“Jane” sussurrò riprendendosi dallo stupore. “Non posso crederci” le sorrise, abbracciandola. “È passato così tanto tempo.”
Lei ricambiò l'abbraccio e, quando si allontanò, ricambiò anche il sorriso.
“Elizabeth. Non pensavo che fossi ancora a New York. Ho sentito che i tuoi sono tornati in Florida.”
“Ed io credevo vivessi in Maryland.”
“Infatti. Sono a casa per il fine settimana.”
“Come vanno le cose?”
“Bene” mentì. “Molto cambiate, ma, sai, è la vita. Tu, come va?”
“Ok.”
Elizabeth era sempre bellissima. Sentì il cuore stringerlesi in una morsa al centro del petto e poi salire su, su fino alla gola. E fermarsi lì, come se avesse trovato il posto più comodo al mondo, e avesse intenzione di metterci casa.
“Ehi, sei arrivata” Jane fu salutata da una ragazza dai capelli bruni, che le andò incontro e la baciò a stampo sulle labbra. “Come è stato il volo?”
“Ahm...Elizabeth, ti presento Lauren. La mia ragazza.”
Il suo sorriso sparì, per un secondo. Ma tornò a piena forza il secondo successivo.
“È un piacere conoscerti. Sono una vecchia compagna di classe delle superiori di Jane” le strinse la mano.
“Ti aspetto al tavolo” si congedò Lauren.
Jane guardò Elizabeth negli occhi, cercando di convincere se stessa a non scoppiare in lacrime nel caso in cui avesse visto disgusto in quegli splendidi occhi scuri.
“Posso farti una domanda?” chiese Beth dopo un lungo silenzio carico di aspettativa.
Annuì.
“Come l'hai capito?” chiese, sembrando onestamente interessata.
Le sorrise. “Beh, il fatto che non mi piacessero i ragazzi è stato un bell'indizio.”
Lei non rispose.
“Anche io ho una domanda.”
“Spara.”
“Sei felice?”
Lei distolse lo sguardo per qualche momento. Scosse la testa, un sorriso sulle labbra che riusciva a scaldarle il cuore.
“Non direi. No.”

“Quella sera Beth torna a casa e decide finalmente di dare a Matt quello che vuole, mentre Jane entra in intimità con Lauren. Perché proprio adesso?”
“Ecco, la loro verginità era qualcosa che, in qualche modo, le legava l'una all'altra. Entrambe si rendevano conto che fare sesso con qualcun altro significava andare avanti, abbandonare il sogno adolescenziale di un amore proibito, non ricambiato, ed entrare nel doloroso mondo reale in cui quel desiderio intimo e profondo dell'anima non diverrà mai realtà.”
“Quindi si allontanano.”
“Sì.”
“Ma, un anno - e briciole - dopo, si incontrano di nuovo in un ospedale di Seattle, dove entrambe stanno per iniziare la loro specializzazione.”
Annuì.
“Si incontrano, si parlano. Ma qualcosa è diverso, qualcosa è cambiato. Beth ha lasciato Matt, ha iniziato ad esplorare la sua sessualità, ha avuto la sua prima fidanzata. Jane è single, ha tagliato i ponti con il passato.”
“Esatto.”
“Sembra il momento perfetto, il momento di collisione. Ma Jane non esce con donne senza esperienza in fatto di donne, quindi, dopo un primo passo nei confronti di Beth, è proprio lei che la rifiuta.”
“Jane è convinta che finirà per soffrire, è quello che la sua esperienza le ha insegnato, quindi è quello che lei deve credere.”
“Finché Jane riesce a superare le sue paure. Prende il coraggio a quattro mani e chiede a Beth di uscire. Ma a questo punto veniamo a sapere che Beth ha scoperto da uno dei loro colleghi che Jane non vuole avere bambini. Quindi stavolta è lei a rifiutare Jane.”
“Si stanno rincorrendo. Come hanno fatto per tutte le loro vite, no?” tentò di spiegare. “Si corrono dietro, girandosi attorno, non trovando mai un modo per riuscire a incontrarsi. Si avvicinano, alcune volte anche di molto, ma alla fine non riescono mai a toccarsi.”
“Dopo circa cinque anni di specializzazione le loro strade si separano ancora, quando Jane decide di partire per l'Africa e Beth va in Botswana con i corpi di pace.”
“Come ho detto, entrambe volevano aiutare gli altri.”

“Quanto hai deciso di rimanere là?”
“Un anno. Tu?”
“La borsa di studio dura tre anni.”
“Giusto. Me lo avevi detto.”
“Allora...Ciao, Elizabeth.”
Si voltò, sperando che lei la fermasse.
“Jane.”
E lo fece.
“Se cambiassi idea, tra un anno esatto, sarò su un volo che torna dal Botswana in questo aeroporto.”
“E se tu cambiassi idea, io sarò in una clinica in Malawii, in qualsiasi momento tu voglia.”
“Ci vediamo, Jane” la salutò, incamminandosi verso il gate.

“Beth non cambierà idea, però. Vuole avere un bambino, non riesce a costringere se stessa a rinunciarci. Sarà Jane a prendere un aereo che la porterà a Seattle il giorno in cui Beth sarebbe dovuta tornare. Attende l'aereo dal Botswana, ma di lei nessuna traccia. Così, delusa ed arresa, decide di tornare in Malawii, sicura di essere arrivata troppo tardi.”
Annuì, per l'ennesima volta.
“Ma quando arriva alla clinica scopre che, mentre lei era a Seattle, Beth era lì a cercare lei. Una volta saputo che Jane era già a Seattle era saltata sul primo aereo, quindi anche Jane si dirige in aeroporto, ma una volta lasciata la clinica finisce nel mezzo di un atto terroristico. Le sparano. Non riuscirà a prendere quell'aereo per Seattle. E Beth penserà che abbia cambiato idea ancora una volta.”
“Beth è molto insicura per quanto riguarda l'amore. È stata ferita diverse volte.”
“Vero. Passano un paio di mesi e Jane si rimette in sesto, andando finalmente a Seattle, riottenendo il suo vecchio lavoro nello stesso ospedale di Beth.”
“Ma è troppo tardi” puntualizzò l'autrice.
“Precisamente. A quel punto, Matt è andato a Seattle per consolare Beth e i due sono finiti a letto insieme. Adesso lei è incinta, e Jane non vuole essere la ruota di scorta.”
Annuì di nuovo. “È circa il terzo mese di gravidanza, quando Beth perde il bambino.”
“Non riesce più neanche a guardare in faccia Jane, perché è convinta che a lei non sia affatto dispiaciuto. Finché un giorno la trova a piangere in una delle stanze dell'ospedale. Vorrei leggere questo passo dal libro, credo sia il momento più importante.”
“Faccia pure.”

“Stai...piangendo?”
“Già.”
“Perché?”
Scosse la testa.
Beth le si sedette affianco.
“Credevo che le cose si sarebbero sistemate, sai?”
La guardò, confusa.
“Tra me e te. Avevo questo film, in testa, questa storia, in cui io e te alla fine riuscivamo a mettere da parte l'orgoglio e finivamo con l'avere la nostra famiglia.”
“Jane...”
“Ma adesso, invece, mi sento solo come se avessi perso un bambino anche io. Ero così sicura, Elizabeth, così sicura che avremmo risolto le cose e avremmo cresciuto questo bambino insieme, ma mi sbagliavo.”
“Jane.”
“Mi sbagliavo, così tanto. Abbiamo passato la vita a non fare altro che aspettare un'occasione, come se dovesse piovercene una dal cielo. Avremmo dovuto prendercela con la forza, invece, la nostra occasione. E forse, chissà, non ne avremo mai una. Forse ne abbiamo sprecata una di troppo.”
Quando finì di parlare alzò finalmente lo sguardo. Beth aveva le lacrime agli occhi.
“Per tutte le nostre vite, Elizabeth, non abbiamo fatto altro che rincorrerci, senza riuscire mai a trovarci. Ci siamo sempre passate vicino, senza mai toccarci. Io e te, siamo come gli elettroni che ruotano attorno ad un atomo. Ci guardiamo da lontano, consapevoli che le orbite che percorriamo non ci porteranno mai ad incontrarci. Eppure continuiamo a sperare di riuscire a rompere le leggi della chimica, ad uscire dalle orbite.”
“Ma non possiamo uscirne, non è vero?” chiese.
Non le rispose, prese invece il suo viso tra le mie mani, baciandola sulle labbra.
Fu un'esplosione di emozioni. Come un bambino che vede i fuochi d'artificio per la prima volta in vita sua. È spaventato dal rumore assordante che gli entra fin dentro la testa, ma non riesce a distogliere lo sguardo da quelle luci colorate che sembrano per un attimo riuscire ad illuminare l'intera esistenza. C'è luce, colore, scintille. Vita.
E, un attimo dopo, nero. Un attimo dopo, tutto si spegne. Non rimane niente. La notte torna, insistente, più scura di prima. La luce, il colore, le scintille, tutto svanisce. Perfino la vita. Non era altro che un'illusione durata un attimo soltanto.
Ma, per un attimo, ti sei sentito come se con un'occhiata riuscissi a cogliere i dettagli dell'intero universo.
Per un secondo, hai capito cos'è l'amore.


“Si scambiano un bacio. Ma Beth non ha ancora superato il trauma che l'aborto le ha causato, quindi chiede a Jane di darle più tempo. Lei però riceve un'offerta di lavoro che davvero non può rifiutare a New York, e decide di tornare nella loro città natale. Beth si convince che Jane abbia rinunciato, e anche Jane è consapevole di aver rinunciato. Ma era convinta che Beth non le avrebbe comunque mai dato l'occasione che stava inseguendo.”
“Sono spaventate. Sanno di essere innamorate l'una dell'altra, ma sono entrambe terrorizzate da quello che il perdere la persona che hanno amato fin dalla prima superiore potrebbe fare ai loro cuori. Sono terrorizzate.”
“Si arriva quindi al giorno dell'ultimo dell'anno. Beth va a New York, riesce quasi per miracolo a trovare Jane in mezzo al caos di Time Square. È destino, non ci sono altre spiegazioni. È a quel punto, che le dice...”

“Ecco qui. È adesso.”
Jane la guardò, confusa.
“Proprio adesso. È la nostra occasione” spiegò. “Ora o mai più. Avevi ragione. Non ci sarà alcuna occasione che ci pioverà dal cielo. Quindi ho creato io l'occasione per noi. Non dobbiamo fare altro che voler stare insieme e poi scegliere di stare insieme.”
“Elizabeth, io ti amo. Ti ho amato da quando avevo quattordici anni in prima superiore. C'è una parte di me - la maggior parte di me - che ti amerà per sempre.”
Fu allora che si arrese. Aveva capito.
“Ma?” chiese, il tono arreso. Gli occhi lucidi.
“Io e te siamo come due elettroni su orbite diverse. Non possiamo fare altro che guardarci da lontano.”
Capì improvvisamente, quando vide Lauren alle sue spalle, che si faceva strada tra la folla.


“Beth torna a Seattle. Jane capisce di averla persa per sempre. Ma non riesce ad accettarlo, quindi, dopo aver provato inutilmente ad andare avanti, va a Seattle, nel tentativo di mettere fine al circolo vizioso che le ha portate dove sono adesso.”

Aprì la porta.
“Mi dispiace. Per tutto quello che ho fatto. Mi dispiace per non essere riuscita a cogliere la prima occasione al volo come avevo promesso a me stessa che avrei fatto. Mi dispiace per non essere riuscita a renderti felice come avevo promesso a me stessa che avrei fatto. Mi dispiace per tutto.”
Rimase in silenzio diversi istanti.
“Non posso vivere senza di te, Elizabeth. Non posso essere felice, senza di te.”
“Lo so, Jane. E sai che vale lo stesso per me, lo sai.”
Fu confusa dalle sue parole.
“Ma...Sei in ritardo di qualche giorno.”
Fu allora che notò l'anello sul dito della mano sinistra che stava tenendo appoggiata alla porta.
“In fondo” le disse, e Jane non era sicura che sarebbe mai riuscita a dimenticare la voce che aveva, perché era la voce più triste che avesse mai sentito. “Io e te siamo come due elettroni su orbite diverse.” E non avrebbe mai dimenticato neanche i suoi occhi, perché erano i più tristi che avesse mai visto. “Non possiamo fare altro che guardarci da lontano.”


“Beth sposa Matt. Hanno una figlia. Jane sposa Lauren, che si è dovuta trasferire a Seattle per lavoro, quindi Jane torna a lavorare in ospedale insieme a Beth. E le due continuano ad essere vicine senza mai riuscire a toccarsi. Entrambe nella propria orbita. Entrambe convinte che l'altra sia andata avanti. Entrambe si sbagliano. Entrambe continuano a non accorgersene.”
Distolse lo sguardo. Sembrò pensarci su a lungo, prima di rispondere.
“No. No, alla fine, loro lo sanno. Quando ami qualcuno così tanto, c'è qualcosa che cambia dentro di te, e chi ti conosce da così tanto tempo non può che notarlo. Lo sanno, in qualche modo.
Riescono ad accorgersene, finalmente.”
“E allora perché non fanno niente?”
“Ci sono un sacco di motivi. Jane non è ancora sicura di volere un bambino, mentre Beth ha una figlia da crescere. Sono sposate con altre persone, persone a cui vogliono bene, anche se non sono innamorate di loro. Reyes diceva: 'Con uno sforzo più o meno grande ci si abitua a chiunque. Ma abituarsi non è amare'.”
“Quindi dopo tutto questo tempo, dopo tutto quello che è successo, loro due ancora si amano? E come è possibile che ancora non riescano a stare insieme?”
Si strinse nelle spalle. “Perché sono come due elettroni su orbite diverse.”
“Non possono fare altro che guardarsi da lontano?” chiese la conduttrice.
Lei scosse impercettibilmente la testa.
“Mentre si stanno avvicinando, ad un certo punto, le loro cariche le costringeranno a respingersi.”
“Pensa che il fatto che sono entrambe personaggi poco propensi a scendere a compromessi abbia influito nel fatto che non sono mai riuscite a incontrarsi a metà strada?”
“Sicuramente. Ma il problema più grande rimane la faccenda del bambino. Su qualcosa del genere, come si può trovare un compromesso? Non possono avere mezzo bambino, oppure avere un bambino nei giorni pari soltanto.”
“Crede che tra loro avrebbe mai potuto funzionare?”
“Beh, il libro non parla di altro che di questo. Credo sia piuttosto chiaro che nessuna delle due amerà mai qualcuno come si sono amate a vicenda. Le loro relazioni sono destinate al fallimento, o all'infelicità.”
“Infatti Jane divorzia e Beth è palesemente infelice” intervenne l'autrice. “Ma io le ho chiesto se tra loro due avrebbe mai funzionato.”
Calliope guardò in basso, incapace di rispondere, di ammettere quello che la conduttrice voleva farle dire.
Poi alzò gli occhi verso la telecamera e, per un attimo, ebbi l'impressione che stesse cercando i miei occhi attraverso lo schermo.
“No. Tra loro non avrebbe mai potuto funzionare.”
Ci furono lunghi momenti di silenzio. Guardò di nuovo in basso.
“Non per le loro differenze” continuò. “E neanche per mancanza d'amore, come mi pare ovvio. Tra loro non potrebbe funzionare perché entrambe hanno l'unico difetto che l'altra non riuscirebbe mai a tollerare in una relazione. Jane non riesce a impegnarsi, e Beth non può permettersi una relazione con qualcuno che non è in grado di impegnarsi, visto che ha una bambina. E Beth segue sempre ciò che le detta il cuore. Jane le ha rinfacciato più di una volta di averlo fatto. Preferirebbe che prendessero decisioni razionali insieme.”
“Tutto qui?”
“Sono due pezzi di puzzle che combaciano alla perfezione, ma entrambi hanno lo stesso angolo leggermente in fuori. Per quanto provi ad affiancarli, non combaceranno mai alla perfezione. Jane ha problemi di fiducia e Beth ha problemi a non fidarsi. Si completerebbero alla perfezione, ma non riescono ad accorgersi del fatto che, se stessero insieme, nessuna delle due ferirebbe l'altra. Così continuano ad avere paura.”
“Ma, se superassero le loro paure, potrebbero stare insieme?”
Lei le sorrise.
“Nessuno supera mai una paura. Crede solo di averlo fatto, finché non si trova di nuovo faccia a faccia con essa.”
Nello studio calò il silenzio.
“Che dire? La storia è chiara, il libro meraviglioso. C'è ancora una cosa che mi tormenta, però. Davvero questo libro non è autobiografico?”
Calliope rise.
“No, non lo è.”
“Ne è sicura?” insisté con un sorriso. “Perché ho controllato, e lei ha vissuto in Florida, si è trasferita a New York quando ha iniziato il liceo, ha frequentato la Columbia dove si è laureata in medicina, si è specializzata a Seattle.”
“Impressionante quello che si può scoprire su Facebook” fu la risposta. “Ma le assicuro che la storia non parla di me. Non ho una figlia, e non sono sposata. È solo una storia.”
“D'accordo, l'ultima domanda riguardo il libro.”
“Dica pure.”
“Come sarebbe finita questa storia, se fosse stata reale?”
Lei alzò le sopracciglia, sospirando. Rifletté qualche istante.
“Forse esattamente come è finita. Forse in tutt'altro modo. Non saprei davvero cosa rispondere. Credo che dipenda dalle decisioni che prenderebbero le due persone in questa situazione.”
“E se fosse stata lei?”
“Beh, se fossi stata io...non ci sarebbe stata nessuna storia, credo. Io non avrei mai lasciato andare una persona di cui ero così tanto innamorata. Credo che io avrei capito subito qual'era l'unica persona che il mio cuore aveva notato. Io tendo ad accorgermi delle cose.”
“C'è qualcosa che vorrebbe aggiungere?”
Ci rifletté qualche momento.
“Sì. In realtà, c'è. A tutte le Beth e le Jane che sono lì fuori, vi prego, non aspettate. Non ci sarà mai un momento giusto. Ogni momento che avete per dire alla persona che amate ciò che provate, quello è un momento più che perfetto. Perché, per quanto sembri impossibile, un giorno sarà troppo tardi. Aprite gli occhi, vivete a cento all'ora, ma fermatevi sempre per guardarvi intorno e accorgervi delle cose.”
“Bene, per oggi è tutto. In studio abbiamo avuto Callie Torres, con 'I didn't notice'. Vi aspetto...”
Spensi il televisore. Ero già fin troppo in ritardo.

“Sorpresa!”
Entrò nell'appartamento, guardandosi attorno, sorpresa di vedere lì amici e colleghi.
Si passò velocemente una mano sulla guancia, come se si stesse asciugando una lacrima o qualcosa del genere.
“Che...Che sta succedendo?” chiese a nessuno in particolare.
“Callie, è il tuo compleanno. E hai fatto un'intervista ad uno dei programmi pomeridiani più seguiti d'America. Ci sembrava giusto dare una piccola festa” spiegò Mark per tutti noi.
“Gentile da parte vostra, ragazzi.”
“Non tutti i giorni si compiono trent'anni.”
Lei sorrise debolmente, posando giacca e borsa.
Salutò tutte le persone che avevano invaso il suo appartamento. Finalmente, diverse decine di minuti dopo, ebbi un momento da sola con lei.
“Ho finito il libro ieri. Giusto in tempo per guardare il programma senza farmi raccontare il finale dalla presentatrice” scherzai.
Lei mi sorrise educatamente.
“Allora...Davvero è tutto inventato di sana pianta?” chiesi.
“Già” rispose senza convinzione.
“Sai, più o meno tutti, in questa stanza, sono convinti che il libro parli di noi.”
“Oh, no” rise, svuotando il bicchiere di champagne che aveva in mano e riempiendoselo di nuovo con la bottiglia che aveva nell'altra. “No, come potrebbe parlare di noi?” rise di nuovo.
Io mi feci contagiare dalla sua risata, sebbene leggermente confusa.
“Credo che sia perché abbiamo fatto le superiori insieme. Ricordi la prima volta che ci siamo incontrate?” chiesi.
“Come potrei dimenticare” rispose, la voce stranamente più asciutta di quanto avrebbe dovuto essere quella della donna che era stata la mia migliore amica per più di quindici anni.
“Ma, insomma...” continuai, iniziando a sentirmi spiazzata dal suo atteggiamento. “Noi due abbiamo fatto anche il college insieme, e la specializzazione. Non sei mai stata in Botswana, io non sono mai partita per l'Africa, nessuna di noi è sposata. Non abbiamo mai passato un giorno senza vederci o sentirci. Senza contare la cosa più evidente, cioè che io e te non siamo innamorate l'una dell'altra.”
“Mh mh” dette il suo assenso con la bocca piena di champagne, annuendo più volte, per farmi capire che avevo ragione. Ingoiò, facendo una faccia strana per un secondo, al bruciore che doveva aver sentito in gola. Poi rispose, nel frattempo versandosi un altro bicchiere. “Vero. Noi non siamo mai state innamorate l'una dell'altra” posò la bottiglia sul tavolino lì accanto, tenendo il bicchiere in mano. Se lo avvicinò alle labbra, ma poi lo allontanò nuovamente. Come se avesse deciso che, quello che stava per dire, avrebbe dovuto dirlo mentre era ancora sobria. “Io ho passato la mia intera vita ad essere innamorata di te.” Solo allora buttò giù lo spumante.
Corrugai la fronte, guardandola come se avesse appena lasciato cadere una bomba davanti ai nostri piedi.
“No. No, non è vero. Non siamo noi. Beth e Jane non si baciano che a più di metà della storia. Io e te ci siamo date il nostro primo bacio. Tutto qui.”
Lei scosse la testa, distogliendo lo sguardo.
“Tutto qui?” chiese, con la voce carica di delusione mista a incredulità, guardando verso il basso.
“No, intendevo...”
“Infatti, come ti ho detto, non è la nostra storia” mi fermò, prima che potessi scusarmi.
Tornò a guardarmi negli occhi.
“Quella è la mia storia. Io sono Jane. Io sono Beth. Sono la donna che non si fida di nessuno e che non può non fidarsi di te. Sono la donna che ama e la donna che non vuole essere amata. Sono io. Solo io. La storia parla di me, Arizona.”
“Calliope...”
“E non ha niente a che fare con te. Tu...L'unica parte del libro che riguarda te, è che tu non ti accorgi. Sei stata per tutta la tua vita voltata da un'altra parte. Tutta la nostra vita. Quindici anni, a cercare qualcosa che io avevo già trovato in te.”
“Non hai mai detto niente.”
“Non si supponeva che dovessi farlo. Ti ho baciato, quindici anni fa. Poi, come in una partita di scacchi, ho aspettato la tua mossa. Senza mai capire che tu eri già andata via e non stavi neanche più giocando.”
“No” sussurrai, scuotendo appena la testa. “No, io avrei notato una cosa del genere” cercai di razionalizzare.
Lei mi rivolse un sorriso dal retrogusto amaro.
“Eppure non l'hai fatto.”
“Era” iniziai, incapace di spiegarmi quello che stava succedendo. “Era solo il nostro primo bacio.”
“Non è mai passato un solo giorno da allora in cui io non ti abbia amato.”
“È stato quindici anni fa. Dopo tutto questo tempo...”
Lei rise piano, con dolcezza.
“Sempre” sussurrò.
Rimasi in silenzio, cercando di assorbire tutto ciò che mi aveva appena detto.
“Perché non hai detto niente?” chiesi, le lacrime agli occhi.
Lei rise di nuovo, con dolcezza. Perché quello era l'unico modo in cui mi avesse mai trattato, con nient'altro che dolcezza.
Mi rivolse un mezzo sorriso. Più sincero della maggior parte dei sorrisi completi che vedevo ogni giorno.
“Perché, come ho detto, io mi accorgo. Io mi accorgo delle cose, Arizona. E ho sempre saputo che tu non eri innamorata di me. Ogni secondo. Non c'è mai stato un attimo in cui mi sono illusa che potessi ricambiare. Io lo sapevo. Sapevo quello che provavi, e non ho comunque mai smesso di amarti, quindi l'unica persona da incolpare...sono io.”
Distolse lo sguardo, rivolgendolo in avanti e sospirando via le lacrime che aveva agli occhi.
“Sai, è la natura umana. Passiamo le nostre vite a tentare di farci notare da una persona, e solo quando abbiamo già provato tutto, solo quando abbiamo già il cuore a pezzi, capiamo finalmente che quella persona non ci noterà mai. Ad alcune persone, semplicemente, non importa di accorgersi di determinate cose. Alcune persone, non importa cosa facciamo o cosa saremmo disposti a fare, non ci vedranno mai.”
“Quindi io sono il cattivo di questa storia?” chiesi, incapace di dire altro.
Corrugò la fronte. “No” rispose subito. “Dio, no. Come potresti essere il cattivo? Certo che no. In questa storia, tu sei...Sei la luce. I fuochi d'artificio. Sei il lieto fine, Arizona, solo...non il mio. E una parte di me - la maggior parte di me - ti amerà per sempre.”
Avrei voluto abbracciarla e dirle che sarebbe andato tutto bene. Che un giorno avrebbe smesso di soffrire. Che avrebbe incontrato qualcuno, qualcuno che non ero io, che l'avrebbe resa felice, che le avrebbe fatto dimenticare, che avrebbe fatto in modo che ne valesse la pena. Qualcuno migliore di me, diverso da me. Perché, per quanto avessi voluto fare qualcosa, Calliope aveva ragione. Io non ero innamorata di lei.
“È stato così tanto tempo fa” sussurrai, più a me stessa che a lei.
Non si voltò, continuò a guardare in avanti.
“Per me non lo è stato. Per me è stato fino ad ora. Fino a questo momento. Fino a questa sera. Non è qualcosa di lontano e indefinito, qualcosa che 'forse se avessimo', allora 'sarebbe potuto'. È successo e sta succedendo. Eppure, è già qui, ciò che ho tanto temuto. È ora. È adesso. Questo è il momento in cui lascio andare, Arizona” concluse con dolcezza, ancora una volta prendendomi totalmente alla sprovvista.
Aprii la bocca per rispondere, ma lei si schiarì la voce, impedendomi di parlare.
Una persona di stava avvicinando.
“Joanne. Buonasera. È un piacere vederti qui” la salutò con un sorriso.
“Buon compleanno, Callie. E congratulazioni per il libro.”
Lei le rivolse un sorriso di cortesia, anche se palesemente finto.
“Scusatemi. Credo di aver visto della pizza che veniva consegnata” si congedò Calliope.
Joanne aspettò che si fosse voltata e avesse fatto qualche passo, poi si avvicinò a me per baciarmi, ma voltai la testa di lato, porgendole la guancia, sentendo la nausea al solo pensiero di baciarla in quel momento.
“Tutto ok?” mi chiese, confusa.
“Certo” risposi con un sorriso forzato. “Sai che non sono una grande fan delle dimostrazioni d'affetto in pubblico.”
Lei annuì brevemente. “Sto andando via. Vivi qui davanti, vuoi che ti accompagni fino alla porta?”
“No, non fa niente. Rimango ancora un po'. Calliope ed io...”
“...dovete passare insieme le vostre cinque ore minime quotidiane?” terminò al posto mio. “Sai, sarebbe carino se ogni tanto scegliessi me a lei.”
“Di che stai par-”
“Oh, non prendiamoci in giro. Credi che non lo veda, Arizona? Credi che chiunque, al mio posto, non se ne sarebbe accorto? C'è qualcosa tra di voi.”
“Non sono innamorata di lei.”
“Ma non sei neanche innamorata di me.”
“Joanne.”
“No, va bene così. Lo capisco. Non sarai mai in grado di amare qualcuno tanto quanto ami lei, ma non sei innamorata di lei. Non vuoi stare insieme a lei, ma lei è la persona che verrà sempre per prima. Il problema è, che a me non sta bene avere il secondo posto.”
“Quindi sono davvero io, mh?” chiesi. “La persona che non riesce a vedere” chiarii.
Sospirò. “Sapevo che non saremmo mai potute durare. Eppure sono uscita con te, comunque. Le persone fanno cose stupide, certe volte.”
Avevo conosciuto Joanne per qualche mese, ma stavamo insieme solo da un paio di settimane. Ed era tipo un record, per me. Le mie storie avevano la tendenza a finire presto.
Quando andò via, io andai a cercare Calliope. Non era più nell'appartamento. Indossai il giacchetto, prendendo in mano il suo, salendo le scale fino al tetto del palazzo. Vivevamo in due appartamenti che avevano il pianerottolo in comune. Andavamo spesso sul tetto insieme.
“Non credi sia un po' freddo per stare fuori?” chiesi, dopo essermi avvicinata silenziosamente e averla fatta sobbalzare appoggiandole il suo giacchetto sulle spalle.
Indossò la giacca che le avevo portato.
“C'è qualcosa di stranamente confortante nel non riuscire più a sperare. Credo sia per la certezza di non poter essere delusi.”
“Mi dispiace così tanto” sussurrai, guardandola mentre teneva gli occhi fissi contro il cielo.
“Non è colpa tua.”
“Se potessi solo scegliere di innamorarmi di te, se potessi farlo, tu sai che lo farei. Farei di tutto per renderti felice. Qualsiasi cosa.”
“Smettila. Smetti di dire cose come questa.”
Presi una sua mano con la mia.
“Questo è davvero l'unico modo in cui puoi essere felice?” chiesi.
Lei non rispose. Lo presi come un sì.
Le appoggiai una mano sulla guancia, forzandola a voltarsi verso di me e avvicinandomi per baciarla. Lei si allontanò, tenendomi a distanza con la mano libera dalla mia presa.
“Arizona” mi guardò come se l'avessi appena schiaffeggiata.
Io la guardai, sull'orlo delle lacrime, agitata.
“Che vuoi che faccia, allora?” chiesi, guardandola come se fosse lei quella che stava spezzando il cuore a me. “Io voglio che tu sia felice. E voglio che tu sia al mio fianco.”
“Se potessi scegliere di farlo smettere, lo farei. Sai che lo farei. Perché anche io farei di tutto per renderti felice. Proprio per questo non posso permetterti di stare con me. Di baciarmi. E poi cosa? Passerai il resto della tua vita con me, anche se non mi ami?”
“Ma io ti amo” la contraddissi. “Non posso vivere senza di te. Sei la mia migliore amica.”
Lei mi afferrò le spalle guardandomi negli occhi.
“Respira. Dei bei respiri profondi. Sopravviverai, Arizona.”
“No. No” la contraddissi con forza.
Mi abbracciò, le sue forti, familiari braccia, che ogni volta mi facevano sentire meglio, mi accolsero alla perfezione.
“Ho bisogno di un giorno, ok? Dammi...Dammi un po' di tempo.”
Annuii. “Tutto il tempo che vuoi.”

Fu il giorno più lungo, più difficile, più brutto della mia vita.
Non ero andata a casa sua per colazione. Non l'avevo vista a lavoro. Non avevamo fatto pranzo insieme, non c'eravamo incontrate nelle pause, non l'avevo chiamata, niente messaggi, niente di niente. Solo un insistente, irritante vuoto, dove non ci sarebbe dovuta essere altro che Calliope.
Stavo finalmente uscendo dall'ospedale, quando mi sentii chiamare. Voltandomi, vidi il capo Webber venirmi incontro.
“Dottoressa Robbins. Mi, ecco, mi dispiace doverglielo chiedere, probabilmente sta già avendo una brutta giornata e tutto, ma la dottoressa Torres è già uscita, e si è dimenticata la lettera di raccomandazioni che ho scritto per lei” mi porse un foglio, che fissai, senza muovere un muscolo.
“Mi scusi?” chiesi, sbalordita.
“La dottoressa Torres ha dato le dimissioni. Credevo lo sapesse. Non è la sua migliore amica?”
Io, dopo un secondo di completa paralisi, iniziai a correre verso l'edificio dall'altra parte della strada.
“Dottoressa Robbins, la lettera!”
Non mi voltai indietro.
Bussai alla porta del suo appartamento, spazientendomi dopo qualche secondo e tirando fuori il mazzo di chiavi in cui avevo una copia della sua.
Entrai, chiamandola più volte. Entrai in cucina, dove trovai in biglietto con sopra il mio nome.
Stava andando via.
Lo afferrai, senza aprirlo, correndo in strada e salendo sul primo taxi che trovai.
Arrivai in aeroporto, ma non avevo la più pallida idea di dove stesse andando.
Così mi fermai, in mezzo all'atrio, aprendo il biglietto che avevo in mano.
Oggi hai passato un giorno senza di me. Lo hai fatto una volta, Arizona. Puoi farlo ogni altro giorno. Dimenticare sembra impossibile, ma è sempre la cosa più facile, alla fine.

Stronzate.
Dimenticare lei? No. Non potevo farlo. Di quel poco ero sicura.
Ma di dove stesse andando, di quello non avevo idea.
C'era un volo per New York da lì a dieci minuti. Uno per la Florida in mezz'ora. Ero sicura che si trattasse di uno di quei due. Ma quale dei due?
Corsi. Corsi verso il volo per New York. Chiesi alla receptionist se c'era lei nella lista passeggeri.
“Non sono autorizzata a...”
“La prego. Se ne sta andando. È la mia migliore amica. Lei che farebbe, non vorrebbe dirle addio? Non tenterebbe il tutto per tutto? La prego, ho bisogno del suo aiuto.”
Mi guardò per qualche istante. L'indecisione evidente nel suo volto. “Vediamo che posso fare.”
Non era sul volo per New York. Così verso il gate del volo per Miami. Arrivata trovai un'altra receptionist.
“Mi dica solo se sta prendendo questo volo. Per favore.”
“Signorina, non sono autorizzata a divulgare alcuna informazione.”
“Lei non capisce. Sta andando via, potrei non rivederla mai più. Per favore, mi dica se è su questo aereo, la prego. È la mia migliore amica. La conosco da quando avevo quattordici anni.”
“Signorina, si allontani o sarò costretta a chiamare la sicurezza.”
Io estrassi il portafoglio.
“Non starà per caso pensando di potermi corrompere?”
Le mostrai tre fotografie formato tessera.
“Siamo io e lei. Avevamo sedici anni. Questa invece è del giorno in cui ci siamo laureate. Questa è di poco tempo fa, è più recente. Ho passato tutta la mia vita al fianco di questa donna. Tutta la mia vita. E lei se ne sta andando e l'unica cosa che mi ha lasciato è questo.”
Le mostrai il biglietto. Lei alzò lo sguardo dalle foto, leggendo quello che c'era scritto.
Mi porse indietro le fotografie. Io le rimisi dentro, arrendendomi. Chiusi la borsa.
“Mi dispiace.”
“Non è colpa sua” risposi con tristezza. “Avrei dovuto pensarci prima. Avrei dovuto...”
“No, intendo, mi dispiace, ma non è su questo volo.”
Non sapevo come avrei dovuto rispondere. “La ringrazio. Mi scusi per averla importunata.”
Mi rivolse un piccolo sorriso. Fu allora che lo sentii.
“È aperto l'imbarco per il volo diretto a Serowe delle sette e quaranta.”
Serowe. Dove avevo già sentito quel nome?

Si mosse nervosamente da un piede all'altro. “Andrò in Botswana. Nei corpi di pace. C'è una spedizione che parte questa settimana per la città di Serowe. Non ha molto senso rimanere, per me, se tu non ci sei, Jane.”

Il libro. I corpi di pace. Ma certo.
Corsi più forte che potevo, ma ci misi comunque un sacco di tempo ad arrivare fin lì. Andai dalla hostess all'entrata del gate.
“Ultima chiamata per il volo diretto a Serowe delle sette e quaranta.”
“Salve. Devo sapere se Calliope Torres è su questo volo.”
“Non sono autorizzata a divulgare questo tipo di informazioni, mi dispiace.”
“Lei non capisce. Sta andando via, potrei non rivederla mai più. Per favore, mi dica se è su questo aereo, la prego. È la mia migliore amica. La conosco da quando avevo quattordici anni” ripetei esattamente quello che avevo detto all'altra donna, estraendo di nuovo le foto. “Ecco, siamo io e lei a sedici anni. Questa è del giorno in cui ci siamo laureate, siamo due chirurghi adesso. Questa è di poco tempo fa, invece. Vede, ho passato tutta la mia vita al fianco di questa donna. Tutta la mia vita. E lei se ne sta andando, non mi ha neanche detto ciao e l'unica cosa che mi ha lasciato è questo” le mostrai il biglietto, parlando il più velocemente possibile, cercando di non lasciar partire l'aereo senza aver tentato il tutto per tutto.
Lei lo lesse. La sua espressione si ammorbidì visibilmente.
“Signorina, mi dispiace molto, ma...” protestò debolmente.
“Non posso dimenticare, non posso” la fermai, non accettando un no come risposta. “Non posso sopravvivere. Si fidi, conosco i miei limiti, e questo è uno di quelli. Mi rifiuto. Mi rifiuto di vivere anche solo un secondo senza di lei.”
“Mi dispiace, davvero, ma c'è poco che posso fare.”
“Mi dica solo se è su questo aereo.”
“Questo non posso saperlo. Ma se vuole posso controllare se ha comprato un biglietto.”
Rilasciai il respiro che stavo trattenendo. “Sarebbe fantastico, grazie.”
“È in partenza il volo per Serowe delle sette e quaranta.”
Maledissi internamente l'altoparlante.
“C'è una Calliope Torres che ha comprato un biglietto per questo volo, sì.”
“Come posso fare per salire lì sopra?”
“Non può farlo. Ha sentito, no? Il volo sta partendo.”
“Dev'esserci un modo, deve...”
“Signorina” mi prese il braccio, facendomi cenno di guardare verso la pista. Un aereo stava decollando proprio in quel momento.
“D'accordo” tentai di riflettere. “Ok. Bene. Allora mi dia un biglietto sul prossimo volo per il Botswana.”
“Non ce ne sono così spesso” mi disse, dispiaciuta. “Dovrà aspettare un bel po'.”
“Ore?”
“Settimane.”
“Cosa? No, senta, io devo...”
“Perché non l'ha salutata?”
“Come, scusi?”
“Perché non l'ha salutata?” chiese di nuovo.
“Io...Io le ho spezzato il cuore” sentii le mie spalle abbassarsi di qualche centimetro, mentre lo ammettevo ad alta voce. “Se n'è andata via per colpa mia. Perché non sono innamorata di lei.”
“Non lo è?” domandò, sorpresa. “Perché da come sta respirando si direbbe che si è appena girata tutto l'aeroporto di corsa.”
“Prima credevo stesse andando a New York. Poi credevo stesse andando a Miami. Alla fine ho capito e sono arrivata qui, ma un paio di minuti troppo tardi.”
“Ma non è innamorata di lei.”
“Non lo sono.”
“E allora, mi spieghi, cosa ci fa qui?” chiese, con genuina curiosità.
Scrollai le spalle. “Non riesco ad essere felice senza di lei. Non riesco nemmeno a immaginare fino a che punto potrebbe essere triste e vuota la mia vita senza di lei. Oggi è stato il primo giorno in un sacco di tempo che passavo senza vederla. E, me lo lasci dire, è stato terribile.”
“Ma non la ama.”
Scossi la testa.
“Mh” sussurrò. “Ho letto un libro interessante, recentemente. 'I didn't notice'. Forse ne ha sentito parlare.”
Mi si strinse il cuore. “Io...Sì. Ne ho sentito parlare.”
“Forse non se ne rende conto, ma di solito le persone non corrono per i piani di un aeroporto, non coprano biglietti per altri continenti e non dicono di non poter vivere senza qualcuno, se non sono innamorati di loro.”
“No. No, ascolti, non c'entra ciò che io farei per lei, qui. D'accordo? L'amore si mette sempre in mezzo a incasinare tutto. Non posso perderla. Per caso era distratta mentre le spiegavo che non posso vivere senza di lei?”
“Se non è innamorata di lei, allora probabilmente è meglio che la lasci andare.”
“Non posso farlo” scossi la testa.
“Ma l'ha già fatto. L'ha già lasciata andare. E l'ha già persa.”
Solo in quel momento mi resi conto che aveva ragione.
“Cioè” si corresse. “In teoria, l'ha già persa. Ma se il mio sesto senso non mi inganna, la donna seduta un paio di metri dietro di lei che ha ascoltato tutta la nostra conversazione e la sta guardando come se fosse pazza, sta probabilmente aspettando che lei si volti.”
“Cosa?”
“Le cose non vanno come avresti voluto. Mai.”
Sorprendentemente, la voce non arrivò da davanti a me, ma dalle mie spalle.
Mi voltai. E lei era lì, con un biglietto aereo in mano e la valigia al suo fianco.
“Ho dimenticato il passaporto a casa. Non mi hanno fatto imbarcare.”
“Dio ti ringrazio” sussurrai. “Quindi non partirai?” sorrisi.
“Parto tra cinque minuti, ho chiamato il jet privato di mio padre. Sto aspettando che sia pronto per portarmi giù.”
“Quindi partirai?” smisi di sorridere.
Si alzò in piedi. “Sai tutto ciò che devi sapere. Sai che io ti amerò sempre e sai che sarai in grado di sopravvivere ogni giorno, proprio come ci sei riuscita oggi. Andrà tutto bene.”
Mi baciò sulla tempia, come le era permesso dalla differenza di altezza.
Iniziò a camminare. La seguii.
“E se sopravvivere non fosse abbastanza?” chiesi. “E se volessi di più che andare avanti ogni giorno? Se io volessi essere felice? Se volessi qualcosa di più che 'forse se avessimo', allora 'sarebbe potuto'?”
Lei si voltò, guardandomi negli occhi.
“Non credo ci sia nient'altro rimasto che un 'forse se' ormai.”
Sparì, dietro la barriera che io non potevo superare.
Estrassi il cellulare, chiamandola. Partì la segreteria.
Aprii la bocca per iniziare a parlare. O ad urlare, non avevo ancora deciso. Ma mi resi conto solo in quell'istante che non sapevo cosa avrei dovuto dire.
“Avevi ragione. Tu sei quella che si accorge delle cose. Io sono quella che non se ne accorge. Io non mi accorgo delle cose, Calliope. Forse è per questo che me ne rendo conto solo adesso che te ne stai andando. Ti ho già perso, non è vero? Molto, molto tempo fa. Perché io non mi accorgo. E non mi sono accorta che sei innamorata di me, così come non mi sono accorta di essere innamorata di te.”
Corrugai la fronte.
“Ehi, aspetta un momento...” sussurrai.
Innamorata di lei?
Era quella la verità, quindi?
Solo la paura di perderla era stata capace di farmi aprire gli occhi su qualcosa di così enorme, qualcosa che avrei dovuto vedere bene da un sacco di tempo?
“Io...io ti amo?” domandai alla segreteria telefonica.
Lei era sempre stata al mio fianco. Sempre. Ed io avevo continuato a puntare gli occhi verso il cielo, nel tentativo di cercare qualcosa di straordinario. Non perché non mi rendessi conto che non esisteva niente di straordinario quanto lei, ma perché avevo sempre pensato che potesse almeno esistere qualcosa che ci si avvicinava.
Sospirai, passandomi una mano sul viso, sentendo l'impulso di schiaffeggiarmi.
“Sono veramente un'idiota” sussurrai.
Riattaccando, mi guardai attorno, cercando un'idea. La ragazza alla scrivania mi stava guardando con un sopracciglio alzato.
“Vuole un biglietto?” chiese. “Per superare i controlli?” alzò la mano destra, un biglietto già in mano.
Le passai una carta di credito, afferrando il biglietto.
“Lei è un genio.”
Ricominciai a correre finché mi trovai sulla pista di atterraggio. La vidi, da lontano, mentre si avvicinava al jet privato di suo padre. Estrasse il telefono, ed ero abbastanza sicura che stesse ascoltando il mio messaggio prima di salire e doverlo spegnere.
Così iniziai a correre per l'ennesima volta nella sua direzione.
“Smetti...Smettila di scappare” ansimai. “Devo inseguirti fino in Bots-”
“Ssh” alzò una mano, cercando di farmi tacere, mentre si concentrava sul messaggio che stava ascoltando.
Quando sentì il suono che ne decretava la fine, alzò gli occhi su di me.
“Vuoi rendermi felice, beh, ecco la tua occasione Calliope. Non salire su quell'aereo e ti prometto che, con te al mio fianco, non passerà un solo giorno in cui non sarò felice.”
“Tu davvero lo pensi, non è così?” chiese, onestamente sorpresa.
“Davvero lo penso” confermai. “Davvero, davvero.”
Fece un passo verso di me, ed io colsi l'occasione per farne diversi verso di lei.
Fu allora che capii improvvisamente.
“Aspetta. Tu ti accorgi. Ti accorgi delle cose. Tu lo sapevi già, non è vero?” chiesi, cercando di non sorridere più di quanto già stavo sorridendo. “Tu sapevi che ero innamorata di te, ancora prima che lo sapessi io.”
“Diciamo che lo sospettavo” confermò, avvicinandosi e circondandomi i fianchi con le braccia.
“Avevi pianificato tutto” osservai, passandole le braccia intorno al collo, i gomiti sulle sue spalle.
“Beh, non tutto. Scrivere un libro, quello è solo, tipo, successo. Ma l'altra sera, a casa mia, e poi il giorno senza di me, la partenza...sì, questo era programmato.”
“Quindi non partirai?”
“Non lo so, Arizona. Dimmelo tu. Questo era il mio piano B. Nel caso in cui davvero non fossi stata innamorata di me. Il Botswana, è il mio piano di riserva. Quindi dimmelo tu. Devo rimanere? Mi darai un'occasione? Avevi solo paura di perdere la tua migliore amica, o pensi davvero le cose che hai confessato alla mia segreteria?”
“Penso ogni singola parola che ho detto. Voglio che tu rimanga. Perché ti amo. Perché ti renderò felice. Perché sei la sola persona senza la quale non posso vivere. Ma, soprattutto, perché sono innamorata di te.”
Mi baciò, finalmente.
E, per citare Calliope, fu un'esplosione di emozioni. Come un bambino che vede i fuochi d'artificio per la prima volta in vita sua. È spaventato dal rumore assordante che gli entra fin dentro la testa, ma non riesce a distogliere lo sguardo da quelle luci colorate che sembrano per un attimo riuscire ad illuminare l'intera esistenza. C'è luce, colore, scintille. Vita.
“Sono felice di essermene accorta in tempo. Ma ho davvero rischiato grosso, quindi prometto che da oggi in poi terrò gli occhi aperti.”
“Non preoccuparti. Ci sarò io a fare in modo che ti accorga delle cose, se mai dovessi distrarti. Ricordi? Io mi accorgo sempre di tutto.”
Risi, baciandola di nuovo. Non potevo credere alla mia fortuna.





Il libro ha in realtà un finale, nella mia testa, ma non mi sembrava importante ai fini della storia, quindi non l'ho inserito.
Allora, chi di voi ha riconosciuto la citazione da Harry Potter? :P

Grazie ancora a tutti, a presto!



  
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