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Tra
le varie attività pomeridiane della Day Class c’era anche un club di boxe molto seguito,
soprattutto ovviamente tra i ragazzi, ma c’era anche qualche partecipante
dell’altro sesso.
La loro palestra era in un edificio apposito
in qualche parte del cortile, vicino alla struttura principale, e vi era tutto
ciò che potesse servire, a cominciare da un grande ring al centro dello spazio.
Gabriel capitò lì dentro per puro caso, cercando
un posto dove studiare, e vedendo tutti quegli studenti tirare di boxe o
allenarsi con pesi e sacchi fu pervaso da un qualche senso di nostalgia.
«Ehi, nuovo arrivato.» gli disse il presidente
del club, un tipo tutto muscoli che stava esercitandosi usando una povera
matricola come sparring «Perché non ti unisci al nostro club? Abbiamo giusto
bisogno di nuove leve in vista del campionato extrascolastico.»
«Vi ringrazio, ma la boxe non è roba per me.»
rispose gentilmente il ragazzone italiano
«Con quei muscoli e quelle spalle? Non ci
credo. Sembri nato per questo sport.»
«Sul serio, non mi interessa».
In realtà il rifiuto di Gabriel non era
dettato dallo scarso interesse per la boxe, che invece era da sempre una delle
sue passioni, quanto piuttosto dal timore che, con la forza che si trovava,
avrebbe potuto finire per fare male a qualcuno.
Il presidente del club non insistette oltre e
ricominciò a pestare, sempre osservato con curiosità, e anche un pizzico di
nostalgia, dal gigante buono.
«Sai boxare?» si sentì domandare da un istante
all’altro.
Gabriel si volse alla propria sinistra,
notando l’arrivo inaspettato di Eric.
«Che ci fai tu qui?» gli chiese «Credevo che i
vampiri non potessero muoversi durante il giorno.»
«I normali vampiri forse no.» replicò Eric
guardandolo enigmatico «Ma del resto, normalità è un concetto che non si addice
a quelli come te e me».
Colto sul vivo Gabriel restò un momento
basito, poi girò lo sguardo tornando ad osservare il ring.
«Ho fatto un po’ di pugilato. Ma combattere non
mi piace particolarmente».
Eric lo guardò di sottecchi, venendo notato.
«In questo caso, che ne dici di un round o
due?»
«Come dici!?» disse Gabriel incredulo
«Tranquillo. Questo ring è fatto apposta per
limitare i poteri di Hunter e Vampiri. Una trovata del direttore per facilitare
il confronto ad armi pari tra membri di classi diverse.»
«Ehi, Flyer.» disse il presidente del club,
che ovviamente non aveva udito l’ultima parte del discorso, notando la sua
comparsa «Era qualche tempo che non ti si vedeva. Sei venuto a gonfiare un paio
dei miei un’altra volta?»
«Può darsi.» rispose lui divertito
«Prima o poi dovranno spostarti nella Day Class. Ancora non capisco
cosa ci faccia uno bravo come te a menare le mani nella sezione notturna, con
tutti quei bellimbusti secchioni senza muscoli né capacità.»
«Chissà.» replicò Eric «Forse hanno più
capacità di quante immagini.»
«Che venissero qui a dimostrarmelo. Comunque,
capiti a fagiolo. Stavo appunto cercando di convincere questo gigante a
scambiare qualche colpo.»
«Buffo. Lo stavo facendo anche io».
Era evidente che Eric se la intendeva molto
bene con i ragazzi della Day Class,
per non dire con gli esseri umani, una cosa che colpì molto Gabriel; ora
iniziava a capire perché in Europa fosse così famoso, e perché un po’ tutti ne
parlassero come qualcuno di speciale sotto tanti punti di vista.
Di colpo, il gigante buono sentì la voglia di
metterlo e mettersi alla prova. Se era davvero così speciale, in fin dei conti,
era quasi uno spreco tirarsi indietro davanti alla possibilità di sfidarlo.
«D’accordo.» disse quasi sospirando «Solo
qualche colpo».
Che
si muovesse di giorno, di notte o all’imbrunire, Eric era trattato come tutti
gli altri studenti della Night Class: come un divo
del cinema.
Era impossibile per lui passare inosservato, e
poco importava che la notizia secondo cui la sua storia con Asakura fosse ormai
cosa certa fosse nota a tutti; ovunque andasse, le sue ammiratrici non
perdevano occasione per seguirlo, e quando qualcuno aveva messo in giro la voce
che si trovasse nella sede del Club di Pugilato era stato un po’ come invitare
i bambini in pasticceria.
In breve la palestra fu letteralmente invasa
da studentesse della Day, alcune delle quali per poco
non diedero l’impressione di poter svenire quando videro il loro divo del
cinema personale in tenuta da ring, con quel bel viso rude e quel corpo
scolpito nel marmo lasciato in buona parte scoperto.
La notizia era arrivata anche ad Izumi, che si
presentò sul posto più per curiosità che per altro, trovando la sua amica Carmy già sul posto.
«Che sta succedendo?» domandò vedendo quella
bolgia incontenibile
«Non c’è che dire, il tuo fidanzato ama
attirare l’attenzione su di sé?»
«Ancora con questa storia?».
A forza di sbracciate e spintoni, le due
ragazze riuscirono a raggiungere la base del ring, proprio all’angolo dove Eric
stava finendo di scaldarsi.
«Eric, che stai facendo!?»
«Niente di particolare. Solo un incontro
amichevole».
Ad Izumi cadde quindi l’occhio sullo sfidante,
che metteva paura solo a guardarlo; Eric poteva pure essere forte e ben
piazzato, ma quello era quasi il doppio di lui.
«Hai deciso di suicidarti per caso?» commentò Carmy «Quello ti schiaccia come una lattina, dai retta a
me.»
«Non è detto. Ma se vuoi, puoi scommettere su
di lui.» rispose ironico Flyer «Mori-sempai sta
raccogliendo le quote.»
«Ma dove siamo, in una bisca!?».
E invece le scommesse, un modo come un altro
per il club di finanziare la propria attività, abbondavano, ma mentre le
numerosissime ragazze del gruppo puntavano senza esitazioni sul loro beniamino,
i ragazzi presenti, in parte perché materialisti in parte per la speranza
atavica di vedere un bellimbusto della Night sbattuto come un tappeto, erano
più orientati verso Lopez.
«Eric…» disse Izumi
preoccupata
«Non temere.» rispose lui voltandosi verso il
suo avversario «Sarà una cosa breve.» poi sussurrò tra sé «Almeno spero.»
«Benvenuti, ragazzi e ragazze!» disse il
presidente in veste di arbitro e presentatore «Oggi assisteremo ad un incontro
che rimarrà nella storia di questo istituto e della boxe italiana in terra
giapponese! All’angolo rosso, in rappresentanza della Day
Class, la matricola Gabriele Lopez! All’angolo blu
invece, direttamente dalla Night Class, il campione
di questa palestra, Eric Flyer!».
Al nome Flyer tutte le ragazze impazzirono
spaccando i vetri con le loro urla, talmente forti da offuscare i pochi fischi
dei ragazzi.
«Per evitare traumi permanenti e situazioni
spiacevoli, sarà un incontro al singolo round! Combattenti! A voi!».
Il presidente si affrettò a lasciare il ring,
la campana fu suonata e i due ragazzi si avvicinarono cautamente l’uno
all’altro.
Per i primi secondi entrambi si studiarono a
vicenda, assestando colpi innocui diretti ai guantoni; Gabriel, nonostante la
sua stazza, sembrava piuttosto indeciso, e seguitava a tenere alta la guardia
portando attacchi blandi e mai realmente pericolosi.
Così, quando venne il momento di fare sul
serio, fu Eric a portarsi in vantaggio, portando il primo diretto dell’incontro
dritto allo zigomo di Gabriel; il gigante italiano incassò senza particolari
problemi, ma la sua guardia era stata comunque scavalcata, e nei secondi che
seguirono la stessa scena si ripeté più volte.
Dopo un minuto di combattimento, Gabriel aveva
attaccato si e no tre volte, e senza mai riuscire a portare a segno un colpo
davvero pericoloso o doloroso, anche per via dell’agilità di Eric, che schivava
o parava la maggior parte degli affondi.
«Avanti, avanti.» disse Flyer come per
provocarlo «Puoi fare molto più di questo».
Invece Gabriel continuò nella sua strategia
autodistruttiva, e a quel punto Eric, che si era prestato a quella pantomima
solo per mettere alla prova quel gigante, decise di fare sul serio nella
speranza di cavarne qualcosa, assestando un colpo dietro l’altro.
Quel povero gigante buono incassò un diretto
dietro l’altro gonfiandosi come un pallone, e finalmente alla metà del terzo e
ultimo minuto di combattimento qualcosa parve scattare dentro di lui; forse fu
il dolore, forse la comprensione di stare facendo una ben magra figura, fatto
sta che improvvisamente sembrò trasformarsi.
Da un istante all’altro, i suoi colpi
divennero quasi delle cannonate, precisi e potentissimi, tanto che fu Eric a
doversi mettere sulla difensiva, riuscendo, anche se a fatica, a respingerli
tutti, o quanto meno ad incassarli con il minimo danno.
L’ansia andava crescendo assieme
all’eccitazione, e il boato tra gli spettatori aveva poco da invidiare a quello
di un palasport, mentre l’arbitro contava febbrilmente i secondi che mancavano
alla fine.
Gabriel divenne sempre più aggressivo e
pericoloso, e quando mancavano ormai pochi secondi al gong, per un istante, il
suo volto parve trasformarsi: gli occhi si fecero bianchi, come quelli di un
fantasma, e strani simboli arabescati comparvero sul suo volto, inoltre la sua
massa muscolare parve aumentare ancor più di consistenza.
Eric se ne avvide, così come si avvide del
tremendo diretto che gli fu fatto piovere contro, ma stavolta, pur riuscendo a
smorzarne la potenza con una provvidenziale deviazione, il colpo lo centrò in
pieno, scaraventandolo prima contro una colonna e quindi a terra.
«Eric!» gridò Izumi sentendo un colpo al
cuore.
Per fortuna il giovane Flyer era abbastanza
robusto e abituato da non finire al tappeto, e come si rialzò, anche se a
fatica, il giudice suonò la fine dell’incontro. Contemporaneamente, Gabriel
parve tornare quello di sempre, e dallo stupore nel suo sguardo era chiaro che
ciò che aveva appena fatto non era dipeso da una sua scelta, o almeno non del
tutto.
«Mi dispiace.» disse mortificato
«Non fa niente.» lo rassicurò Eric «Nel nostro
lavoro si è abituati a prenderle, o sbaglio?».
Il verdetto fu praticamente unanime. Gabriel
aveva indubbiamente ben figurato, ma eccezion fatta per gli ultimi trenta
secondi per il resto del match Eric aveva praticamente dominato, e così alla
fine il punteggio fu di 7 – 3 per il giovane Flyer.
«Ma cosa ti è saltato in mente?» domandò Izumi
quando il ragazzo tornò all’angolo «Perché questo combattimento?»
«Avevo bisogno di togliermi un dubbio.» disse,
poi guardò Gabriel, che nel mentre era stato raggiunto dal suo amico Derek «E
ora che ho scoperto di avere ragione, credo proprio che sia il caso di
approfondire».
«Vuoi
andare in Sicilia!?».
Il direttore Cross quasi saltò sulla sedia
quando Eric gli spiegò il motivo della sua ennesima visita.
«Gabriele Lopez è contagiato dal Vermillion, e anche se non in modo del tutto consapevole
riesce a controllarne il potere pur rimanendo un essere umano.
In base a quello che si sapeva finora delle
ricerche fatte da mio nonno, non si era mai arrivati a raggiungere un simile
traguardo. Inoltre questi esperimenti su Gabriel hanno avuto luogo dopo la
morte di Valopingius, il che può portare ad una sola
conclusione.»
«E cioè che il conte si sarebbe rimesso al
lavoro.» concluse Cross per nulla convinto «Eric, secondo me tu corri troppo.
Non siamo neppure certi che sia opera sua.»
«E se invece fosse così? Se mio nonno avesse
ricominciato con i suoi esperimenti? Lo sai bene fin dove è capace di
spingersi, e fin dove arrivino le sue capacità economiche e politiche, sia tra
i vampiri che tra gli esseri umani.»
«Vorrà dire che faremo come le altre volte.
Avviserò l’Associazione, e loro faranno delle indagini.»
«L’Associazione.» replicò sarcastico Eric
«Certo, faranno la stessa cosa che hanno fatto quando gli hai parlato del
Revenant. Niente.»
«Ti stai spingendo un po’ troppo oltre.»
obiettò severamente Kaien «Ricorda sempre qual è il
tuo posto. Attaccare a testa bassa gente così potente e mettersi da soli contro
il mondo non è mai una buona idea.»
«Hai già dimenticato quante teste sono saltate
quando la faccenda su Valopingius è venuta alla luce?
L’Associazione è piena di corrotti, e lo sai anche tu. Chi ti dice che non ce
ne sia qualcuno sopravvissuto alla purga di due anni fa che tuttora continua a
lavorare segretamente per mio nonno?»
«La discussione è chiusa.» rispose secco il
direttore, che subito dopo sorseggiò un po’ del tè che Shezka
gli aveva preparato, e che Eric gli aveva portato in sua vece entrando
nell’ufficio come un panzer «Devo ricordarti per quale motivo sei qui? Tu sei
ufficialmente agli arresti domiciliari. Dovrò dare mille spiegazioni anche solo
per lasciarti partecipare alla gita alle terme che sto organizzando per i
ragazzi, figuriamoci che ti lascio e ti lasciano partire per il capo opposto
della Terra per un semplice sospetto.»
«Non ci posso credere.» disse Eric
ironicamente «Davanti a me c’è davvero il leggendario e spregiudicato
cacciatore Cross?»
«I miei trascorsi giovanili non hanno nulla a
che vedere con questa cosa.» rispose Cross sbadigliando vistosamente e
strofinandosi gli occhi «Questa è una cosa che… che
riguarda solo te. Dovresti cercare di… di… di essere più consapevole del…
del motivo per cui sei… sei…
qui…».
Il direttore cadde sulla sua scrivania come un
pero dall’albero, rendendosi conto ormai troppo tardi che quel sapore
amarognolo non era dovuto ad una marca di tè diversa dalla solita. Sorrideva
come un pupo, ma prima di addormentarsi pensò tra sé che al risveglio avrebbe
sicuramente strozzato quel ragazzaccio fedifrago.
«Perdonami. Non avrei voluto arrivare a questo
punto».
Passò un attimo, e la porta dell’ufficio si
aprì lentamente; Eric si volse alle proprie spalle, trovandosi a tu per tu con
il suo supervisore Peter Eisen che bloccava l’unica
via d’uscita. I due si guardarono vicendevolmente negli occhi, entrambi con
sguardo piuttosto severo, poi però Peter piegò le labbra in un sorriso
divertito.
«Speriamo non si arrabbi troppo al nostro
rientro.»
«Non è necessario che tu venga con me.»
«I miei ordini sono di tenerti d’occhio
ventiquattro ore al giorno. Quindi, dove vai tu vengo anche io. E poi ho sempre
sognato di crogiolarmi al caldo sole della Sicilia».
Anche Eric, a quel punto, sorrise.
«E allora, facciamo questo colpo di testa».
Peter
aveva un mare di difetti.
Uno su tutti, un amore atavico per le belle
macchine.
E da spendaccione mani bucate quale era, aveva
l’abitudine navigata di scialacquare tutto il suo stipendio di Hunter in
spider, porsche, ferrari e
via dicendo.
La Lamborghini Gallardo
Superleggera con cui era arrivato al collegio era solo una delle tante che
aveva sparse in giro per il mondo, anche se molte altre della sua invidiabile
collezione col tempo erano finite nelle mani delle persone più diverse per
ovviare all’altra sua grande passione, i casinò.
Al tramontare del sole, quando la night non
era ancora uscita e la day si accalcava per buona
parte fuori dal dormitorio luna, Peter ed Eric si prepararono in tutta fretta a
partire, in silenzio e con discrezione, badando bene di portarsi appresso solo
le cose indispensabili.
«Tu sei pazzo.» disse Peter mentre finivano di
caricare i bagagli «Lo sai, vero?»
«L’associazione e il direttore possono pensare
quello che vogliono. Personalmente, non dormirò se non riuscirò a togliermi
questo dubbio.»
«Beh, consolati. Comunque vada, avrai molto
tempo per dormire… dentro ad una cella.»
«Non fare il menagramo, per cortesia.»
«Ehi voi, che state facendo?» sentirono
esclamare d’improvviso alle spalle.
Izumi era dovuta tornare in classe perché si
era scordata il flauto, e accortasi degli strani movimenti al cancello
secondario era voluta andare lì per vedere che succedeva.
«Izumi!?».
La ragazza ci mise un attimo a capire.
«Dove volete andare?»
«Sai com’è, il Giappone ci ha stufato.»
commentò Ironico Peter «Vogliamo sole, mare, e tante belle ragazze in bikini.
Non che qui non ce ne siano, per carità, ma il fascino mediterraneo ha qualcosa
di magnetico.»
«Stiamo andando in Sicilia.» tagliò corto Eric
«È per via di quel ragazzo vero? Allora è per
quello che lo hai voluto sfidare».
Flyer non rispose, ma il suo sguardo parlava
per lui.
«Potrebbero arrestarti.»
«È quello che ho cercato di dirgli anch’io.»
commentò Peter
«Devo fare quello che ritengo giusto.» rispose
Eric guardandola dolcemente ma fermamente «È quello che mi hai insegnato tu,
giusto?».
Lei restò un momento in silenzio, sentendo il
cuore batterle un po’ più forte. Ogni volta che lo vedeva partire,
allontanarsi, aveva sempre la paura che potesse accadergli qualcosa. Con il
tempo aveva cercato di farci l’abitudine, ma l’angoscia e l’ansia per il timore
di non vederlo tornare erano qualcosa che non le riusciva di combattere.
Ciò nonostante, voleva avere fiducia in lui; e
poi, ormai lo conosceva abbastanza bene da sapere che nulla lo avrebbe fatto desistere
dai suoi propositi, soprattutto ora che c’era di mezzo suo nonno. Izumi
ovviamente non sapeva cosa vi fosse dietro a quel viaggio improvviso, ma sapeva
leggere negli occhi di Eric, e sapeva che solo il conto ancora aperto con il
suo passato poteva produrre una simile fiamma.
Eric le si avvicinò, e si guardarono
brevemente.
«Non temere. Tornerò presto».
Era chiaro che non poteva dissuaderlo. Di
nuovo, lo avrebbe visto partire; e di nuovo, avrebbe sperato che quella fosse
l’ultima volta.
«Fa attenzione».
Lui ricambiò con un leggero sorriso, poi, dopo
un’ultima occhiata l’uno all’altra, si separarono.
Eric montò a bordo, la macchina partì, ed
Izumi stette ad osservarla fino a che non ebbe svoltato alla prima curva
scomparendo dalla vista.
Lipova, la capitale della piccola Repubblica
dell’Est, era una bella città di poco più di centomila abitanti affacciata sul
Mar Nero, all’interno di un piccolo golfo.
Durante il periodo della dominazione russa,
molti zar e nobili l’avevano eletta a proprio luogo di vacanza, e per questo vi
abbondavano palazzi signorili e dimore prestigiose che, assieme
all’architettura prettamente europea, ne facevano uno spaccato di cultura
barocca nel cuore della Russia.
Con la caduta dell’Unione Sovietica la
repubblica aveva acquistato l’indipendenza, e a differenza delle altre
repubbliche staccatesi dal blocco aveva goduto di un lungo periodo di relativa
pace, forte di un governo di stampo democratico e di un potere presidenziale
forte, capace di tenere a freno le ambizioni di oligarchi e militari.
Da oltre dieci anni, a capo del Paese vi era
l’austero e moralmente integro Alexei Kuznezov, ultimo rappresentante di una illustre famiglia
che da secoli abitava nella regione, da tre anni al suo secondo mandato da
presidente.
Il cuore di Lipova
era il suo palazzo presidenziale, arroccato su di una bassa collina da dove si
aveva una visuale suggestiva della città e del suo florido porto, e anche se
qui l’influenza di anni di regime sovietico erano evidenti nella forma
quadrangolare della sua piazza principale, circondata di imponenti colonne di
cemento che sorreggevano un alto portico, un sapiente lavoro di rimaneggiamento
aveva permesso di ingentilirne il profilo, ed ora su tutto torreggiava una
statua equestre di Nicholai Kuznezov,
antenato del presidente e primo conte della regione, circondata da alte aste su
cui sventolavano decine di bandiere tricolori.
Alexei era un
uomo tormentato.
Di tragedie ne aveva vissute tante nel corso
della sua vita, essendo stato anche un soldato e un ufficiale prima che un
politica, e per un po’ in molti avevano creduto che il suo animo, da tutti
ritenuto forte come una roccia, fosse ormai sul punto di spezzarsi.
E invece, da qualche anno a quella parte,
qualcosa sembrava essere giunto a dargli conforto.
Tutto era cambiato dalla comparsa di un
misterioso ed enigmatico gentiluomo, che di tanto in tanto si vedeva girare nei
pressi del palazzo presidenziale, e da allora il presidente sembrava essere
come rinato.
Inoltre viaggiava spesso, contrariamente a
quanto faceva prima, quando a stento usciva dal palazzo, anche se la sua meta
era sempre la stessa: una base militare segreta fatta costruire da un giorno
all’altro nel cuore delle campagne ad un centinaio di chilometri dalla
capitale, nei pressi delle grandi lagune.
Vi si recava continuamente, almeno una volta
al mese, e tutti coloro che sapevano chi o che cosa vi fosse lì dentro erano
tenuti al più assoluto riserbo.
Quello era il giorno della sua visita
abituale.
Le guardie al cancello, vedendo avvicinarsi la
limousine con le insegne presidenziali, fecero il saluto mentre il cancello
veniva aperto; la macchina passò il varco, inoltrandosi in quella piccola
roccaforte circondata da reti e filo spinato, ma con un numero di installazioni
e strutture piuttosto esiguo, fermandosi davanti all’edificio principale.
Nell’istante in cui il presidente scendeva, da
dentro la costruzione giunsero due uomini dalle fattezze occidentali,
sicuramente europee.
Uno era giovane, di bell’aspetto, capelli
castani un po’ lunghi, l’altro un austero signore elegante e raffinato, di età
avanzata, ma con negli occhi tutta la forza e l’ardore di un animo battagliero
e tenace; vestiva elegante, come un vero nobiluomo, sorreggendosi parzialmente
ad un bastone da passeggio di ottima fattura, e nel suo sguardo, incorniciato
dalle rughe e da un accenno di barba bianchissima, albergava un che di
enigmatico.
«Bentornato, signor presidente.» disse
l’anziano «L’aspettavamo.»
«Voglio vederla.» tagliò corto Alexei
«Naturalmente. Mi segua».
Entrarono nell’edificio, il solo di tutta la
base che l’anziano nobiluomo avesse costruito personalmente, e da qui in un
ascensore che, scendendo, li condusse fin nelle più oscure profondità della
terra, a centinaia e centinaia di metri sotto la superficie.
Qui, le porta si riaprirono su quello che
sembrava un avveniristico laboratorio, pieno di attrezzature e apparecchiature
che sembravano uscite da un film di fantascienza.
Anche la stanza in sé era stranissima, con una
volta dalla forma stranamente triangolare, come i soffitti delle case di
montagna, e tendente leggermente verso il basso man mano che ci si avvicinava
all’estremità dove si trovava l’ascensore, il quale, era evidente, non era
integrato nell’architettura della camera, ma sembrava anzi realizzato apposta
per potervi arrivare dalla superficie.
Al centro del laboratorio, un grande cilindro
verticale di vetro e acciaio, circondato di cavi e pieno di una strana sostanza
bluastra, all’interno della quale era però possibile distinguere i lineamenti
di un corpo rannicchiato in posizione fetale.
Nel vedere quella specie di contenitore, il
presidente sentì uno strano bruciore al cuore, e vi si avvicinò sfiorandolo con
una mano; i suoi occhi tradivano qualche lacrima, rivelando una parte del suo
animo che nessuno probabilmente gli avrebbe attribuito.
«Quanto manca ancora?»
«Come le ho già detto in altre occasioni, non
è un lavoro facile. Ma siamo già a buon punto, e confidiamo di ultimare il
lavoro in tempi brevi.»
«Mi sono stancato di frasi simili, conte
Lorenzi.» replicò severissimo il presidente «Avevate promesso che sarebbe stato
fatto tutto in due anni, e ne sono passati cinque. Avete chiesto attrezzature e
fondi e ve li ho concessi. Ma anche così, di risultati concreti continuo a non
vederne.»
«Rinforzare un corpo a tal punto indebolito
richiede interventi di correzione genetica non da poco, signor presidente.»
ribatté il conte altrettanto severamente, ma comunque con rispetto «Stiamo
facendo il possibile, usufruendo del patrimonio genetico di vampiri sangue puro
o comunque dall’altro livello di potenza, ma è un’operazione che richiede tempo
e denaro».
Alexei
tergiversò; non aveva idea di cosa e come facesse il conte a procurarsi questo
patrimonio genetico di cui parlava sempre, ma la sensazione di complicare le
cose facendo troppe domande lo aveva sempre spinto a tenersi i suoi dubbi. Tutto
quello che gli importava, era che l’esperimento andasse a buon fine.
Se ancora ci pensava gli sembrava incredibile.
Un bel giorno, quando era sul punto di cedere
alla disperazione, quell’anziano nobile italiano si era presentato da lui,
raccontandogli cose al limite dell’inverosimile su vampiri e cacciatori, e prospettandogli
la possibilità di realizzare il suo più grande sogno, la sola cosa per la quale
era pronto a dare la vita.
Quando poi aveva visto cosa potevano fare i
vampiri, e fin dove arrivasse il genio del conte e del suo entourage di
scienziati e ricercatori, non ci aveva pensato due volte a concedergli carta
bianca, ma dopo cinque anni la soluzione sembrava ancora lontana, e lui
iniziava a domandarsi se si sarebbe mai arrivati da qualche parte, e se l’euforia
di quel momento ormai lontano non fosse stata solo una falsa speranza.
Inoltre, sapeva per certo che quella stanza
non era la sola di quella specie di alveare sotterraneo che si estendeva per
chissà quanta superficie sotto il suolo del suo Paese, e non aveva la minima
idea né di che cosa si trattasse né di come il conte ne fosse venuto a
conoscenza.
In buona sostanza, e cominciava a comprenderlo
solo adesso, si rendeva conto di aver consegnato praticamente le chiavi della
Repubblica ad una persona di cui non sapeva niente, e tutto in nome di un sogno
forse irrealizzabile.
«Le do un altro mese.» fu la sua risposta
lapidaria «Non un giorno di più. Alla mia prossima visita, voglio vederla con i
miei occhi. Altrimenti, con me e il mio Paese voi avete chiuso.
Sono stato chiaro?».
Il conte lo guardo dritto negl’occhi, ma non
controbatté, limitandosi ad una risposta di cortesia.
«Ai vostri ordini, signor presidente».
Detto questo, Alexei
se ne andò, e molto più contrariato del solito.
«So dov’è l’uscita.» mugugnò scomparendo nell’ascensore.
Il conte e Michelle vollero attendere che se
ne fosse andato per parlare.
«Immagino occorrerà affrettare i tempi.» disse
il giovane
«Ovviamente. Contatta Malik.
Digli che deve rimettersi subito al lavoro».
In quella squillò il telefonino di Michelle,
che lo prese dal taschino e rispose.
«Pronto? Sì… sì… d’accordo.»
«Problemi?» chiese il conte
«Le nostre spie nella scuola ci informano che
Flyer ha lasciato la Cross assieme a quel suo supervisore, Eisen.
Sembra siano diretti il Sicilia.»
«In Sicilia!?»
«Potrebbe non essere una coincidenza. A quanto
ne so, l’Associazione aveva in mente di trasferire il Soggetto 19 all’accademia.
Conoscendo tuo nipote, non mi sorprenderebbe se avesse scoperto il segreto».
Il conte tornò ad osservare il cilindro di
vetro, sempre con quella sua espressione austera ed ambigua.
«È davvero un peccato. Mi sono reso conto di
aver valutato male mio nipote. È un giovane vampiro dal grandissimo potenziale.
Peccato che sia così testardo e ostinato.
Comunque, fino a quando il nostro lavoro non
sarà completo, non possiamo permettere che si avvicini troppo a noi.» quindi si
volse verso Michelle «Occupatene tu.»
«Sarà fatto.» rispose il giovane «Ho giusto un
paio di nuove strumentazioni che non sono state ancora testate».
Nota
dell’Autore
Eccomi
qua!^_^
Con un
ritardo mostruoso, ma sono riuscito ad aggiornare.
Non che mi
dispiaccia aggiornare di sabato, anzi, forse dovrei farne un’abitudine, ma la
verità è che anche se mi sono lasciato alle spalle quel famoso esame devo
ancora completarlo con la stesura di una tesina e di una presentazione da fare
in classe, il che occupa le mie giornate in modo direi sfibrante.
Per
fortuna, entro mercoledì dovrei riuscire a togliermi anche quest’ultimo
sassolino dalla scarpa, quindi a quel punto sarò davvero libero.
Entro
natale conto di pubblicare almeno un altro paio di capitoli, mentre per il
periodo delle vacanze non garantisco niente, visto che ho ricevuto un invito
per un capodanno a Lugano.
Vedrò che
si può fare.
A
presto!^_^
Carlos Olivera