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Autore: Carlos Olivera    08/12/2012    5 recensioni
Una storia nata dalla Round Robin Threads Of Fate, ed ambientata parallelamente ad essa.
E' trascorso un anno da quando Eric Flyer ha sconfitto Valopingius e fermato i piani di suo nonno, discolpandosi dalle accuse a suo carico ed ottenendo la qualifica di Hunter a tutti gli effetti.
Molte cose sono cambiate in questi 12 mesi, e anche lui un po', così sua madre decide di raccomandarlo al suo amico Kaien perché sia inserito nel progetto di scambio culturale che l'Accademia Cross si accinge ad iniziare. Eric vi si trasferisce con una cert'ansia, sia perchè nella scuola si trova la sua eterna nemesi, sia perchè alla Cross è determinata a studiare anche la persona alla quale tiene maggiormente al mondo, e che disgraziatamente attira i vampiri come le mosche con il miele.
Ma la tranquillità durerà poco. Suo nonno Augusto, infatti, non solo non ha rinunciato al suo disegno di creare con le sue mani la prossima tappa dell'evoluzione dei vampiri, ma non ha neanche dimenticato come Kaname, e soprattutto Eric, abbiano fatto naufragare miseramente il suo primo piano. Ma questa volta, Eric potrà contare su un gran numero di compagni ed alleati.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Tra le varie attività pomeridiane della Day Class c’era anche un club di boxe molto seguito, soprattutto ovviamente tra i ragazzi, ma c’era anche qualche partecipante dell’altro sesso.

La loro palestra era in un edificio apposito in qualche parte del cortile, vicino alla struttura principale, e vi era tutto ciò che potesse servire, a cominciare da un grande ring al centro dello spazio.

Gabriel capitò lì dentro per puro caso, cercando un posto dove studiare, e vedendo tutti quegli studenti tirare di boxe o allenarsi con pesi e sacchi fu pervaso da un qualche senso di nostalgia.

«Ehi, nuovo arrivato.» gli disse il presidente del club, un tipo tutto muscoli che stava esercitandosi usando una povera matricola come sparring «Perché non ti unisci al nostro club? Abbiamo giusto bisogno di nuove leve in vista del campionato extrascolastico.»

«Vi ringrazio, ma la boxe non è roba per me.» rispose gentilmente il ragazzone italiano

«Con quei muscoli e quelle spalle? Non ci credo. Sembri nato per questo sport.»

«Sul serio, non mi interessa».

In realtà il rifiuto di Gabriel non era dettato dallo scarso interesse per la boxe, che invece era da sempre una delle sue passioni, quanto piuttosto dal timore che, con la forza che si trovava, avrebbe potuto finire per fare male a qualcuno.

Il presidente del club non insistette oltre e ricominciò a pestare, sempre osservato con curiosità, e anche un pizzico di nostalgia, dal gigante buono.

«Sai boxare?» si sentì domandare da un istante all’altro.

Gabriel si volse alla propria sinistra, notando l’arrivo inaspettato di Eric.

«Che ci fai tu qui?» gli chiese «Credevo che i vampiri non potessero muoversi durante il giorno.»

«I normali vampiri forse no.» replicò Eric guardandolo enigmatico «Ma del resto, normalità è un concetto che non si addice a quelli come te e me».

Colto sul vivo Gabriel restò un momento basito, poi girò lo sguardo tornando ad osservare il ring.

«Ho fatto un po’ di pugilato. Ma combattere non mi piace particolarmente».

Eric lo guardò di sottecchi, venendo notato.

«In questo caso, che ne dici di un round o due?»

«Come dici!?» disse Gabriel incredulo

«Tranquillo. Questo ring è fatto apposta per limitare i poteri di Hunter e Vampiri. Una trovata del direttore per facilitare il confronto ad armi pari tra membri di classi diverse.»

«Ehi, Flyer.» disse il presidente del club, che ovviamente non aveva udito l’ultima parte del discorso, notando la sua comparsa «Era qualche tempo che non ti si vedeva. Sei venuto a gonfiare un paio dei miei un’altra volta?»

«Può darsi.» rispose lui divertito

«Prima o poi dovranno spostarti nella Day Class. Ancora non capisco cosa ci faccia uno bravo come te a menare le mani nella sezione notturna, con tutti quei bellimbusti secchioni senza muscoli né capacità.»

«Chissà.» replicò Eric «Forse hanno più capacità di quante immagini.»

«Che venissero qui a dimostrarmelo. Comunque, capiti a fagiolo. Stavo appunto cercando di convincere questo gigante a scambiare qualche colpo.»

«Buffo. Lo stavo facendo anche io».

Era evidente che Eric se la intendeva molto bene con i ragazzi della Day Class, per non dire con gli esseri umani, una cosa che colpì molto Gabriel; ora iniziava a capire perché in Europa fosse così famoso, e perché un po’ tutti ne parlassero come qualcuno di speciale sotto tanti punti di vista.

Di colpo, il gigante buono sentì la voglia di metterlo e mettersi alla prova. Se era davvero così speciale, in fin dei conti, era quasi uno spreco tirarsi indietro davanti alla possibilità di sfidarlo.

«D’accordo.» disse quasi sospirando «Solo qualche colpo».

 

Che si muovesse di giorno, di notte o all’imbrunire, Eric era trattato come tutti gli altri studenti della Night Class: come un divo del cinema.

Era impossibile per lui passare inosservato, e poco importava che la notizia secondo cui la sua storia con Asakura fosse ormai cosa certa fosse nota a tutti; ovunque andasse, le sue ammiratrici non perdevano occasione per seguirlo, e quando qualcuno aveva messo in giro la voce che si trovasse nella sede del Club di Pugilato era stato un po’ come invitare i bambini in pasticceria.

In breve la palestra fu letteralmente invasa da studentesse della Day, alcune delle quali per poco non diedero l’impressione di poter svenire quando videro il loro divo del cinema personale in tenuta da ring, con quel bel viso rude e quel corpo scolpito nel marmo lasciato in buona parte scoperto.

La notizia era arrivata anche ad Izumi, che si presentò sul posto più per curiosità che per altro, trovando la sua amica Carmy già sul posto.

«Che sta succedendo?» domandò vedendo quella bolgia incontenibile

«Non c’è che dire, il tuo fidanzato ama attirare l’attenzione su di sé?»

«Ancora con questa storia?».

A forza di sbracciate e spintoni, le due ragazze riuscirono a raggiungere la base del ring, proprio all’angolo dove Eric stava finendo di scaldarsi.

«Eric, che stai facendo!?»

«Niente di particolare. Solo un incontro amichevole».

Ad Izumi cadde quindi l’occhio sullo sfidante, che metteva paura solo a guardarlo; Eric poteva pure essere forte e ben piazzato, ma quello era quasi il doppio di lui.

«Hai deciso di suicidarti per caso?» commentò Carmy «Quello ti schiaccia come una lattina, dai retta a me.»

«Non è detto. Ma se vuoi, puoi scommettere su di lui.» rispose ironico Flyer «Mori-sempai sta raccogliendo le quote.»

«Ma dove siamo, in una bisca!?».

E invece le scommesse, un modo come un altro per il club di finanziare la propria attività, abbondavano, ma mentre le numerosissime ragazze del gruppo puntavano senza esitazioni sul loro beniamino, i ragazzi presenti, in parte perché materialisti in parte per la speranza atavica di vedere un bellimbusto della Night sbattuto come un tappeto, erano più orientati verso Lopez.

«Eric…» disse Izumi preoccupata

«Non temere.» rispose lui voltandosi verso il suo avversario «Sarà una cosa breve.» poi sussurrò tra sé «Almeno spero.»

«Benvenuti, ragazzi e ragazze!» disse il presidente in veste di arbitro e presentatore «Oggi assisteremo ad un incontro che rimarrà nella storia di questo istituto e della boxe italiana in terra giapponese! All’angolo rosso, in rappresentanza della Day Class, la matricola Gabriele Lopez! All’angolo blu invece, direttamente dalla Night Class, il campione di questa palestra, Eric Flyer!».

Al nome Flyer tutte le ragazze impazzirono spaccando i vetri con le loro urla, talmente forti da offuscare i pochi fischi dei ragazzi.

«Per evitare traumi permanenti e situazioni spiacevoli, sarà un incontro al singolo round! Combattenti! A voi!».

Il presidente si affrettò a lasciare il ring, la campana fu suonata e i due ragazzi si avvicinarono cautamente l’uno all’altro.

Per i primi secondi entrambi si studiarono a vicenda, assestando colpi innocui diretti ai guantoni; Gabriel, nonostante la sua stazza, sembrava piuttosto indeciso, e seguitava a tenere alta la guardia portando attacchi blandi e mai realmente pericolosi.

Così, quando venne il momento di fare sul serio, fu Eric a portarsi in vantaggio, portando il primo diretto dell’incontro dritto allo zigomo di Gabriel; il gigante italiano incassò senza particolari problemi, ma la sua guardia era stata comunque scavalcata, e nei secondi che seguirono la stessa scena si ripeté più volte.

Dopo un minuto di combattimento, Gabriel aveva attaccato si e no tre volte, e senza mai riuscire a portare a segno un colpo davvero pericoloso o doloroso, anche per via dell’agilità di Eric, che schivava o parava la maggior parte degli affondi.

«Avanti, avanti.» disse Flyer come per provocarlo «Puoi fare molto più di questo».

Invece Gabriel continuò nella sua strategia autodistruttiva, e a quel punto Eric, che si era prestato a quella pantomima solo per mettere alla prova quel gigante, decise di fare sul serio nella speranza di cavarne qualcosa, assestando un colpo dietro l’altro.

Quel povero gigante buono incassò un diretto dietro l’altro gonfiandosi come un pallone, e finalmente alla metà del terzo e ultimo minuto di combattimento qualcosa parve scattare dentro di lui; forse fu il dolore, forse la comprensione di stare facendo una ben magra figura, fatto sta che improvvisamente sembrò trasformarsi.

Da un istante all’altro, i suoi colpi divennero quasi delle cannonate, precisi e potentissimi, tanto che fu Eric a doversi mettere sulla difensiva, riuscendo, anche se a fatica, a respingerli tutti, o quanto meno ad incassarli con il minimo danno.

L’ansia andava crescendo assieme all’eccitazione, e il boato tra gli spettatori aveva poco da invidiare a quello di un palasport, mentre l’arbitro contava febbrilmente i secondi che mancavano alla fine.

Gabriel divenne sempre più aggressivo e pericoloso, e quando mancavano ormai pochi secondi al gong, per un istante, il suo volto parve trasformarsi: gli occhi si fecero bianchi, come quelli di un fantasma, e strani simboli arabescati comparvero sul suo volto, inoltre la sua massa muscolare parve aumentare ancor più di consistenza.

Eric se ne avvide, così come si avvide del tremendo diretto che gli fu fatto piovere contro, ma stavolta, pur riuscendo a smorzarne la potenza con una provvidenziale deviazione, il colpo lo centrò in pieno, scaraventandolo prima contro una colonna e quindi a terra.

«Eric!» gridò Izumi sentendo un colpo al cuore.

Per fortuna il giovane Flyer era abbastanza robusto e abituato da non finire al tappeto, e come si rialzò, anche se a fatica, il giudice suonò la fine dell’incontro. Contemporaneamente, Gabriel parve tornare quello di sempre, e dallo stupore nel suo sguardo era chiaro che ciò che aveva appena fatto non era dipeso da una sua scelta, o almeno non del tutto.

«Mi dispiace.» disse mortificato

«Non fa niente.» lo rassicurò Eric «Nel nostro lavoro si è abituati a prenderle, o sbaglio?».

Il verdetto fu praticamente unanime. Gabriel aveva indubbiamente ben figurato, ma eccezion fatta per gli ultimi trenta secondi per il resto del match Eric aveva praticamente dominato, e così alla fine il punteggio fu di 7 – 3 per il giovane Flyer.

«Ma cosa ti è saltato in mente?» domandò Izumi quando il ragazzo tornò all’angolo «Perché questo combattimento?»

«Avevo bisogno di togliermi un dubbio.» disse, poi guardò Gabriel, che nel mentre era stato raggiunto dal suo amico Derek «E ora che ho scoperto di avere ragione, credo proprio che sia il caso di approfondire».

 

«Vuoi andare in Sicilia!?».

Il direttore Cross quasi saltò sulla sedia quando Eric gli spiegò il motivo della sua ennesima visita.

«Gabriele Lopez è contagiato dal Vermillion, e anche se non in modo del tutto consapevole riesce a controllarne il potere pur rimanendo un essere umano.

In base a quello che si sapeva finora delle ricerche fatte da mio nonno, non si era mai arrivati a raggiungere un simile traguardo. Inoltre questi esperimenti su Gabriel hanno avuto luogo dopo la morte di Valopingius, il che può portare ad una sola conclusione.»

«E cioè che il conte si sarebbe rimesso al lavoro.» concluse Cross per nulla convinto «Eric, secondo me tu corri troppo. Non siamo neppure certi che sia opera sua.»

«E se invece fosse così? Se mio nonno avesse ricominciato con i suoi esperimenti? Lo sai bene fin dove è capace di spingersi, e fin dove arrivino le sue capacità economiche e politiche, sia tra i vampiri che tra gli esseri umani.»

«Vorrà dire che faremo come le altre volte. Avviserò l’Associazione, e loro faranno delle indagini.»

«L’Associazione.» replicò sarcastico Eric «Certo, faranno la stessa cosa che hanno fatto quando gli hai parlato del Revenant. Niente.»

«Ti stai spingendo un po’ troppo oltre.» obiettò severamente Kaien «Ricorda sempre qual è il tuo posto. Attaccare a testa bassa gente così potente e mettersi da soli contro il mondo non è mai una buona idea.»

«Hai già dimenticato quante teste sono saltate quando la faccenda su Valopingius è venuta alla luce? L’Associazione è piena di corrotti, e lo sai anche tu. Chi ti dice che non ce ne sia qualcuno sopravvissuto alla purga di due anni fa che tuttora continua a lavorare segretamente per mio nonno?»

«La discussione è chiusa.» rispose secco il direttore, che subito dopo sorseggiò un po’ del tè che Shezka gli aveva preparato, e che Eric gli aveva portato in sua vece entrando nell’ufficio come un panzer «Devo ricordarti per quale motivo sei qui? Tu sei ufficialmente agli arresti domiciliari. Dovrò dare mille spiegazioni anche solo per lasciarti partecipare alla gita alle terme che sto organizzando per i ragazzi, figuriamoci che ti lascio e ti lasciano partire per il capo opposto della Terra per un semplice sospetto.»

«Non ci posso credere.» disse Eric ironicamente «Davanti a me c’è davvero il leggendario e spregiudicato cacciatore Cross?»

«I miei trascorsi giovanili non hanno nulla a che vedere con questa cosa.» rispose Cross sbadigliando vistosamente e strofinandosi gli occhi «Questa è una cosa che… che riguarda solo te. Dovresti cercare di… di… di essere più consapevole del… del motivo per cui sei… sei… qui…».

Il direttore cadde sulla sua scrivania come un pero dall’albero, rendendosi conto ormai troppo tardi che quel sapore amarognolo non era dovuto ad una marca di tè diversa dalla solita. Sorrideva come un pupo, ma prima di addormentarsi pensò tra sé che al risveglio avrebbe sicuramente strozzato quel ragazzaccio fedifrago.

«Perdonami. Non avrei voluto arrivare a questo punto».

Passò un attimo, e la porta dell’ufficio si aprì lentamente; Eric si volse alle proprie spalle, trovandosi a tu per tu con il suo supervisore Peter Eisen che bloccava l’unica via d’uscita. I due si guardarono vicendevolmente negli occhi, entrambi con sguardo piuttosto severo, poi però Peter piegò le labbra in un sorriso divertito.

«Speriamo non si arrabbi troppo al nostro rientro.»

«Non è necessario che tu venga con me.»

«I miei ordini sono di tenerti d’occhio ventiquattro ore al giorno. Quindi, dove vai tu vengo anche io. E poi ho sempre sognato di crogiolarmi al caldo sole della Sicilia».

Anche Eric, a quel punto, sorrise.

«E allora, facciamo questo colpo di testa».

 

Peter aveva un mare di difetti.

Uno su tutti, un amore atavico per le belle macchine.

E da spendaccione mani bucate quale era, aveva l’abitudine navigata di scialacquare tutto il suo stipendio di Hunter in spider, porsche, ferrari e via dicendo.

La Lamborghini Gallardo Superleggera con cui era arrivato al collegio era solo una delle tante che aveva sparse in giro per il mondo, anche se molte altre della sua invidiabile collezione col tempo erano finite nelle mani delle persone più diverse per ovviare all’altra sua grande passione, i casinò.

Al tramontare del sole, quando la night non era ancora uscita e la day si accalcava per buona parte fuori dal dormitorio luna, Peter ed Eric si prepararono in tutta fretta a partire, in silenzio e con discrezione, badando bene di portarsi appresso solo le cose indispensabili.

«Tu sei pazzo.» disse Peter mentre finivano di caricare i bagagli «Lo sai, vero?»

«L’associazione e il direttore possono pensare quello che vogliono. Personalmente, non dormirò se non riuscirò a togliermi questo dubbio.»

«Beh, consolati. Comunque vada, avrai molto tempo per dormire… dentro ad una cella.»

«Non fare il menagramo, per cortesia.»

«Ehi voi, che state facendo?» sentirono esclamare d’improvviso alle spalle.

Izumi era dovuta tornare in classe perché si era scordata il flauto, e accortasi degli strani movimenti al cancello secondario era voluta andare lì per vedere che succedeva.

«Izumi!?».

La ragazza ci mise un attimo a capire.

«Dove volete andare?»

«Sai com’è, il Giappone ci ha stufato.» commentò Ironico Peter «Vogliamo sole, mare, e tante belle ragazze in bikini. Non che qui non ce ne siano, per carità, ma il fascino mediterraneo ha qualcosa di magnetico.»

«Stiamo andando in Sicilia.» tagliò corto Eric

«È per via di quel ragazzo vero? Allora è per quello che lo hai voluto sfidare».

Flyer non rispose, ma il suo sguardo parlava per lui.

«Potrebbero arrestarti.»

«È quello che ho cercato di dirgli anch’io.» commentò Peter

«Devo fare quello che ritengo giusto.» rispose Eric guardandola dolcemente ma fermamente «È quello che mi hai insegnato tu, giusto?».

Lei restò un momento in silenzio, sentendo il cuore batterle un po’ più forte. Ogni volta che lo vedeva partire, allontanarsi, aveva sempre la paura che potesse accadergli qualcosa. Con il tempo aveva cercato di farci l’abitudine, ma l’angoscia e l’ansia per il timore di non vederlo tornare erano qualcosa che non le riusciva di combattere.

Ciò nonostante, voleva avere fiducia in lui; e poi, ormai lo conosceva abbastanza bene da sapere che nulla lo avrebbe fatto desistere dai suoi propositi, soprattutto ora che c’era di mezzo suo nonno. Izumi ovviamente non sapeva cosa vi fosse dietro a quel viaggio improvviso, ma sapeva leggere negli occhi di Eric, e sapeva che solo il conto ancora aperto con il suo passato poteva produrre una simile fiamma.

Eric le si avvicinò, e si guardarono brevemente.

«Non temere. Tornerò presto».

Era chiaro che non poteva dissuaderlo. Di nuovo, lo avrebbe visto partire; e di nuovo, avrebbe sperato che quella fosse l’ultima volta.

«Fa attenzione».

Lui ricambiò con un leggero sorriso, poi, dopo un’ultima occhiata l’uno all’altra, si separarono.

Eric montò a bordo, la macchina partì, ed Izumi stette ad osservarla fino a che non ebbe svoltato alla prima curva scomparendo dalla vista.

 

Lipova, la capitale della piccola Repubblica dell’Est, era una bella città di poco più di centomila abitanti affacciata sul Mar Nero, all’interno di un piccolo golfo.

Durante il periodo della dominazione russa, molti zar e nobili l’avevano eletta a proprio luogo di vacanza, e per questo vi abbondavano palazzi signorili e dimore prestigiose che, assieme all’architettura prettamente europea, ne facevano uno spaccato di cultura barocca nel cuore della Russia.

Con la caduta dell’Unione Sovietica la repubblica aveva acquistato l’indipendenza, e a differenza delle altre repubbliche staccatesi dal blocco aveva goduto di un lungo periodo di relativa pace, forte di un governo di stampo democratico e di un potere presidenziale forte, capace di tenere a freno le ambizioni di oligarchi e militari.

Da oltre dieci anni, a capo del Paese vi era l’austero e moralmente integro Alexei Kuznezov, ultimo rappresentante di una illustre famiglia che da secoli abitava nella regione, da tre anni al suo secondo mandato da presidente.

Il cuore di Lipova era il suo palazzo presidenziale, arroccato su di una bassa collina da dove si aveva una visuale suggestiva della città e del suo florido porto, e anche se qui l’influenza di anni di regime sovietico erano evidenti nella forma quadrangolare della sua piazza principale, circondata di imponenti colonne di cemento che sorreggevano un alto portico, un sapiente lavoro di rimaneggiamento aveva permesso di ingentilirne il profilo, ed ora su tutto torreggiava una statua equestre di Nicholai Kuznezov, antenato del presidente e primo conte della regione, circondata da alte aste su cui sventolavano decine di bandiere tricolori.

Alexei era un uomo tormentato.

Di tragedie ne aveva vissute tante nel corso della sua vita, essendo stato anche un soldato e un ufficiale prima che un politica, e per un po’ in molti avevano creduto che il suo animo, da tutti ritenuto forte come una roccia, fosse ormai sul punto di spezzarsi.

E invece, da qualche anno a quella parte, qualcosa sembrava essere giunto a dargli conforto.

Tutto era cambiato dalla comparsa di un misterioso ed enigmatico gentiluomo, che di tanto in tanto si vedeva girare nei pressi del palazzo presidenziale, e da allora il presidente sembrava essere come rinato.

Inoltre viaggiava spesso, contrariamente a quanto faceva prima, quando a stento usciva dal palazzo, anche se la sua meta era sempre la stessa: una base militare segreta fatta costruire da un giorno all’altro nel cuore delle campagne ad un centinaio di chilometri dalla capitale, nei pressi delle grandi lagune.

Vi si recava continuamente, almeno una volta al mese, e tutti coloro che sapevano chi o che cosa vi fosse lì dentro erano tenuti al più assoluto riserbo.

Quello era il giorno della sua visita abituale.

Le guardie al cancello, vedendo avvicinarsi la limousine con le insegne presidenziali, fecero il saluto mentre il cancello veniva aperto; la macchina passò il varco, inoltrandosi in quella piccola roccaforte circondata da reti e filo spinato, ma con un numero di installazioni e strutture piuttosto esiguo, fermandosi davanti all’edificio principale.

Nell’istante in cui il presidente scendeva, da dentro la costruzione giunsero due uomini dalle fattezze occidentali, sicuramente europee.

Uno era giovane, di bell’aspetto, capelli castani un po’ lunghi, l’altro un austero signore elegante e raffinato, di età avanzata, ma con negli occhi tutta la forza e l’ardore di un animo battagliero e tenace; vestiva elegante, come un vero nobiluomo, sorreggendosi parzialmente ad un bastone da passeggio di ottima fattura, e nel suo sguardo, incorniciato dalle rughe e da un accenno di barba bianchissima, albergava un che di enigmatico.

«Bentornato, signor presidente.» disse l’anziano «L’aspettavamo.»

«Voglio vederla.» tagliò corto Alexei

«Naturalmente. Mi segua».

Entrarono nell’edificio, il solo di tutta la base che l’anziano nobiluomo avesse costruito personalmente, e da qui in un ascensore che, scendendo, li condusse fin nelle più oscure profondità della terra, a centinaia e centinaia di metri sotto la superficie.

Qui, le porta si riaprirono su quello che sembrava un avveniristico laboratorio, pieno di attrezzature e apparecchiature che sembravano uscite da un film di fantascienza.

Anche la stanza in sé era stranissima, con una volta dalla forma stranamente triangolare, come i soffitti delle case di montagna, e tendente leggermente verso il basso man mano che ci si avvicinava all’estremità dove si trovava l’ascensore, il quale, era evidente, non era integrato nell’architettura della camera, ma sembrava anzi realizzato apposta per potervi arrivare dalla superficie.

Al centro del laboratorio, un grande cilindro verticale di vetro e acciaio, circondato di cavi e pieno di una strana sostanza bluastra, all’interno della quale era però possibile distinguere i lineamenti di un corpo rannicchiato in posizione fetale.

Nel vedere quella specie di contenitore, il presidente sentì uno strano bruciore al cuore, e vi si avvicinò sfiorandolo con una mano; i suoi occhi tradivano qualche lacrima, rivelando una parte del suo animo che nessuno probabilmente gli avrebbe attribuito.

«Quanto manca ancora?»

«Come le ho già detto in altre occasioni, non è un lavoro facile. Ma siamo già a buon punto, e confidiamo di ultimare il lavoro in tempi brevi.»

«Mi sono stancato di frasi simili, conte Lorenzi.» replicò severissimo il presidente «Avevate promesso che sarebbe stato fatto tutto in due anni, e ne sono passati cinque. Avete chiesto attrezzature e fondi e ve li ho concessi. Ma anche così, di risultati concreti continuo a non vederne.»

«Rinforzare un corpo a tal punto indebolito richiede interventi di correzione genetica non da poco, signor presidente.» ribatté il conte altrettanto severamente, ma comunque con rispetto «Stiamo facendo il possibile, usufruendo del patrimonio genetico di vampiri sangue puro o comunque dall’altro livello di potenza, ma è un’operazione che richiede tempo e denaro».

Alexei tergiversò; non aveva idea di cosa e come facesse il conte a procurarsi questo patrimonio genetico di cui parlava sempre, ma la sensazione di complicare le cose facendo troppe domande lo aveva sempre spinto a tenersi i suoi dubbi. Tutto quello che gli importava, era che l’esperimento andasse a buon fine.

Se ancora ci pensava gli sembrava incredibile.

Un bel giorno, quando era sul punto di cedere alla disperazione, quell’anziano nobile italiano si era presentato da lui, raccontandogli cose al limite dell’inverosimile su vampiri e cacciatori, e prospettandogli la possibilità di realizzare il suo più grande sogno, la sola cosa per la quale era pronto a dare la vita.

Quando poi aveva visto cosa potevano fare i vampiri, e fin dove arrivasse il genio del conte e del suo entourage di scienziati e ricercatori, non ci aveva pensato due volte a concedergli carta bianca, ma dopo cinque anni la soluzione sembrava ancora lontana, e lui iniziava a domandarsi se si sarebbe mai arrivati da qualche parte, e se l’euforia di quel momento ormai lontano non fosse stata solo una falsa speranza.

Inoltre, sapeva per certo che quella stanza non era la sola di quella specie di alveare sotterraneo che si estendeva per chissà quanta superficie sotto il suolo del suo Paese, e non aveva la minima idea né di che cosa si trattasse né di come il conte ne fosse venuto a conoscenza.

In buona sostanza, e cominciava a comprenderlo solo adesso, si rendeva conto di aver consegnato praticamente le chiavi della Repubblica ad una persona di cui non sapeva niente, e tutto in nome di un sogno forse irrealizzabile.

«Le do un altro mese.» fu la sua risposta lapidaria «Non un giorno di più. Alla mia prossima visita, voglio vederla con i miei occhi. Altrimenti, con me e il mio Paese voi avete chiuso.

Sono stato chiaro?».

Il conte lo guardo dritto negl’occhi, ma non controbatté, limitandosi ad una risposta di cortesia.

«Ai vostri ordini, signor presidente».

Detto questo, Alexei se ne andò, e molto più contrariato del solito.

«So dov’è l’uscita.» mugugnò scomparendo nell’ascensore.

Il conte e Michelle vollero attendere che se ne fosse andato per parlare.

«Immagino occorrerà affrettare i tempi.» disse il giovane

«Ovviamente. Contatta Malik. Digli che deve rimettersi subito al lavoro».

In quella squillò il telefonino di Michelle, che lo prese dal taschino e rispose.

«Pronto? Sì… sì… d’accordo.»

«Problemi?» chiese il conte

«Le nostre spie nella scuola ci informano che Flyer ha lasciato la Cross assieme a quel suo supervisore, Eisen. Sembra siano diretti il Sicilia.»

«In Sicilia!?»

«Potrebbe non essere una coincidenza. A quanto ne so, l’Associazione aveva in mente di trasferire il Soggetto 19 all’accademia. Conoscendo tuo nipote, non mi sorprenderebbe se avesse scoperto il segreto».

Il conte tornò ad osservare il cilindro di vetro, sempre con quella sua espressione austera ed ambigua.

«È davvero un peccato. Mi sono reso conto di aver valutato male mio nipote. È un giovane vampiro dal grandissimo potenziale. Peccato che sia così testardo e ostinato.

Comunque, fino a quando il nostro lavoro non sarà completo, non possiamo permettere che si avvicini troppo a noi.» quindi si volse verso Michelle «Occupatene tu.»

«Sarà fatto.» rispose il giovane «Ho giusto un paio di nuove strumentazioni che non sono state ancora testate».

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Con un ritardo mostruoso, ma sono riuscito ad aggiornare.

Non che mi dispiaccia aggiornare di sabato, anzi, forse dovrei farne un’abitudine, ma la verità è che anche se mi sono lasciato alle spalle quel famoso esame devo ancora completarlo con la stesura di una tesina e di una presentazione da fare in classe, il che occupa le mie giornate in modo direi sfibrante.

Per fortuna, entro mercoledì dovrei riuscire a togliermi anche quest’ultimo sassolino dalla scarpa, quindi a quel punto sarò davvero libero.

Entro natale conto di pubblicare almeno un altro paio di capitoli, mentre per il periodo delle vacanze non garantisco niente, visto che ho ricevuto un invito per un capodanno a Lugano.

Vedrò che si può fare.

A presto!^_^

Carlos Olivera

 

  
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