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Autore: Evillinnie    25/06/2007    3 recensioni
[ Seconda classificata al concorso indetto da Mary-San, "Coppia Innovativa". ]
Anche la mia voce appare un criptico mormorio.
Ma non importa.
Lui l'ha percepito labile, irruente. [L'ha percepito].
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: James Potter, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Only Mud


“Siamo diversi.”
L’eco di questa affermazione si propaga infinitamente nella mia mente; si infrange nel silenzio dei corridoi vuoti, anonimi, spezzato soltanto dai passi lenti e cadenzati delle mie scarpe.
L’infermeria era illuminata dalla luce opalescente delle candele, così che ogni cosa brillava di un riflesso lattiginoso ed evasivo, simile ad un cibo dal retrogusto amarognolo.
I mobili in stile antico, i letti dalle lenzuola bianche, i muri immersi in un sonno eterno…
Anche Remus mi era sembrato sospeso in quell’aspro gioco di luci e ombre.
L’avevo lasciato, poco dopo: ero uscito, incapace di resistere a quell’atmosfera fittizia e di lasciarmi colorare artificialmente da quei bagliori traslucidi.
Inizio a vagare senza meta tra gli anditi del castello.
Passo le dita sulla superficie dei muri ruvidi, e osservo i graffi pallidi tendersi al rosa.
Comincio a correre, rapido.
La follia mi addita dentro le vene; quel colore si era fatto più intenso, sino a divenire di un rosso opprimente, soffocante.
Ansimando, mi fermo e poso la fronte sul vetro gelido di una finestra, divenuto presto tiepido al contatto con la pelle calda.
La mano, nascosta in una tasca, trema. Le labbra sono serrate, gli occhi schiusi in un’espressione di disapprovazione.
L’aggressiva domanda che da tempo rintronava i miei pensieri, mi schiaffeggia senza indugiare.
Perché mi sento all’improvviso solo?
Mi chiedo se sia giusto chiudersi così in sé stessi, aprirsi interiormente ad un mondo sconosciuto, forse onirico; creare un guscio che nessuno avrebbe mai dovuto scalfire.
Continuo a domandarmi il perché di questa solitudine, quando già sono a conoscenza della risposta.
Accade perché io stesso l’ho desiderato.
E tutto continua a ruotare attorno a questo lucido guscio che mi circonda come una plastica argentea, e mi rende simile ad un automa indistruttibile.
Diverso, ma non speciale.
Uno scudo invisibile dietro cui si scruto il mondo.
In alto, così in alto, da sembrare di volare.
Elevato solo da questa mia barriera.
Mia domanda.
Mia incoscienza.
Mi accorgo, forse, di non sapermi sollevare dal suolo, o credo sia solo una mia impressione.
Comunque sia, continuo a considerare gli altri diversi.
[Più deboli, più fragili…
Inferiori.
Incapaci di volare in alto, di leggere le sfumature, come invece faccio io].
Ed ogni mese, quando la consapevolezza del mio intimo status emotivo mi attanaglia, mi nascondo fuori, nei giardini.
Come oggi, come ora.
E penso.


*

Piove.
Aghi d'argento, acuminati, impalpabili, fendono l'aria senza sosta e fanno vibrare ogni sensazione non equilibrata dalla notte.
Tutto risuona sordo, come un'onda che si propaga con troppa celerità, infrangendosi, prima o poi, contro un ostacolo.
Mi fanno male gli arti inferiori, bagnati e resi bruniti dalla pioggia.
I pantaloni sono voltati al ginocchio, le pieghe ombreggiate da acquarelli dai toni scuri.
Le mie scarpe di tela sono sporche e sento i miei piedi umidi.
Gli alberi si stagliano prominenti, autorevoli, nel firmamento notturno; perché di arrendevole, in loro, nonostante la pioggia, v'è ben poco.
Apparenza marmorea, non sbatterebbero ciglio nemmeno sotto la tortura peggiore.
Come me, dopo tutto.
L'odore di pioggia mi attira vicino ad un faggio, dove la sua inconfondibile fragranza mi invade le narici.
La corteggia è umida, le foglie gocciolano.
L'armonica composizione formata dal temporale e dalla natura prende repentinamente vita nelle mie orecchie, così m'abbandono, in parte, a quell'orchestra.
Piacevole. Senz'altro piacevole.
Sento le gambe stendersi, calme.
Il brulichio persistente dissolversi nell’inezia.
Come in un inconsapevole cambio d'azione in cui sono partecipe, la mia mano scatta veloce fra i capelli neri, ben oltre la pece, e arriva sino alla radice per poi far compiere loro una sinuosa movenza verso sinistra.
La Evans li preferirebbe verso destra, ma ora - in questo esatto momento - non m'importa.
La pioggia cade.
Inesorabile.

Poche sono le notti passate ad attendere l'alba in completa tranquillità.
Con vento e peripezie come compagni.
Sarà la stanchezza mortuaria che minaccia di farmi cadere in un sonno troppo pesante, a costringermi a rimanere sveglio anche oggi.
Oppure il semplice fatto che anche Remus è sveglio, ferito, stremato dopo una nottata passata a lottare contro se stesso.
Comunque sia, non è questa la notte per riposare, per affrontare e rendersi schiavi di incubi troppo grevi di quotidianità.
La mia schiena scivola ruvidamente contro la corteggia umida del faggio; il terriccio si accumula sulla mia pelle, che so avere sapore salato.
[Amaro].
- Potter. -
Non ho mai dato importanza alle urla, alle semplici parole.
Figuriamoci ai sussurri.
Eppure, quello, non sono riuscito ad ignorarlo.
Mi volto, e le mie labbra si piegano inconsapevolmente in un sorriso.
[Occhi dischiusi, testa alta.
Il brivido dell'eccitazione frusta senza pentimento].
- Piton. -
Anche la mia voce appare un criptico mormorio.
Ma non importa.
Lui l'ha percepito labile, irruente.
[L'ha percepito].
Le pieghe lente del suo mantello consunto sembrano stemperarsi in una nebbia indistinta, dallo sfondo ombroso, notturno, su cui si appoggia involontariamente. Una misteriosità mal celata che, d'improvviso, trova sfogo tra i miei pensieri.
I capelli gli ricadono sporchi sulle spalle piccole e vibranti. L'idea insensata che quella pioggia possa portargli via sudiciume e ogni smorfia di disprezzo verso sé stesso, si fa largo dentro di me senza che io riesca a fermarla.
Ha gli occhi fissi verso un punto impreciso fra i solchi del terreno molle. Deduco che il suo stare in piedi e la sua rigida posizione, siano dovuti al fango venutosi a creare in quella zona.
[E' sporco. E' un Serpeverde ed è suo dovere strisciare].
Le sue scarpe scure e impolverate non mi sembrano tanto diverse dalle mie, sporche e bagnate.
Con un secco movimento delle gambe, Piton si piega su se stesso e si sedie su una lastra di roccia più chiara.
La pioggia è illuminata, superficialmente, e si riflette in mille sfaccettature, come piccolissime lacrime che lacerano la pelle fino ai tendini.
La luna è nascosta da ampie nuvole prive di spessore.
Muovo le dita verso una tasca, tastando la stoffa dura e le cuciture invisibili. Il pacchetto di sigarette non c'è.
Impreco tra i denti; lo spiffero sibilato s'infrange contro il fruscio degli alberi, nascondendosi in quel muoversi felino fra una foglia e un'altra.
Piton alza un sopracciglio - il ghigno di vittoria gli increspa i lineamenti.
[E' sporco.
Eppure non striscia].
Una nube plumbea s'innalza dalle sue labbra, e noto distintamente una sigaretta fra le sue dita. Quasi spenta, certo, ma pur sempre una sigaretta.
Il sapore mi arriva rapido sino alla gola, come veleno.
Lo percepisco, ma non concretamente.
[E' il fumo?]
Sapete quando quell'effluvio di pioggia diviene gravoso di profumi? E gli echi che produce si espandono nella grandiosità della natura, sfidando colori e suoni con la sua fragranza? Ecco.
Tanto ubriaco da non gioire nel veder Piton tossire dopo un secondo e incerto tiro.
E' buio.
La sfida sancita, invisibile.
Ma la pioggia continua ad illuminarci.
Ed io continuo a sognare.


- Uh, Piton, ti sei dato al fumo? - freccio divertito, urlando per farmi sentire.
La maglietta bagnata aderisce al mio petto ora tiepido: non ho bisogno di nulla da stringere, per riscaldarmi. Il mio torso è nudo, pronto per essere colpito, accolto, ferito.
Le mani scivolano ai miei fianchi, morte, senza alcun ordine da eseguire e che è stato loro impartito.
Severus Piton, al mio contrario, non nasconde un certo nervosismo.
Il fremente bisogno vivo di aggrapparsi a qualcosa - a qualunque cosa - pur di mettere barriera fra me e lui.
- Cosa vuoi, Potter? - mi chiede, alzandosi di scatto dalla sua postazione. La voce non nasconde il disprezzo, ma tutto è calcolato.
Tutto rispecchia la normalità, ciò che deve essere e non può cambiare.
- Nulla, Piton. - replico, fissando i suoi polsi sottili, troppo sottili, che sembra non possano reggere le mani sproporzionate, - Come mai qui? -
Le unghie sono sporche, le pieghe delle dita nascondono piccoli granelli di polvere.
Io non lo vedo - non riesco a vederlo, sebbene abbia stretto ostinatamente gli zigomi - anche se mi piacerebbe.
- Potrei chiedere lo stesso di te, Potter. - sibila Severus, - Mi da' enormemente fastidio il tuo sguardo, sai? -
Alzo le spalle, noncurante.
- Fatti una doccia, Piton, ti conviene. - gli consiglio, ridendo.
Nessuna risposta da parte dei miei compagni. Scordavo che i miei fratelli non sono con me... solo vento e pioggia, solo loro.
E Lui.
- Molto spiritoso, Potter. -
Potter. Potter. Potter.
Il mio cognome si dilania nella mia mente senza fermarsi. Mi sorge il dubbio che, per questa notte, potrei provare a chiamarlo per nome, perché forse anche lui sente il suo cognome rimbombare senza sosta nella sua testa.
Carico di astio.
- Al tuo contrario, io sono divertente. -
Scoppia in un riso sarcastico, ma la mascella serrata lo contraddice. Chiudendo gli occhi, non nego che mi piacerebbe sentirlo ridere più spesso.
Sarà la notte.
La pioggia.
Il vento.
I miei compagni.
Voglio troppo da un Piton che non mi ha mai dato nulla, se non insulti gratuiti e odio ben oltre l'immaginabile.
Eppure, continuo a volerlo.


- Cos'è, Potter, stanotte mi fissi incessantemente... - la voce ironica dal timbro basso, la parlantina veloce.
Il nero desiderio che non lascia trasudare un minimo di malizia, perché io - lo sa - potrei deriderlo.
- Saranno le tue scarpe sporche, come tutto in te. -
L'ammissione involontaria di una scheggia di verità.
Il mantello che indossa è pesante; le gocce d'acqua scivolano in continuazione nel buio della notte: attraversano le sue minute spalle, le sue braccia esili, sino alle sue nocche bianche. Nel cappuccio spiegazzato ristagna un po' d'acqua.
Le scarpe scure, di seconda mano, sono sordide come le mie, lo ripeto, cercando di convincermi.
- Ah si? - corruga piano la fronte, - E con questo? -
- Niente. -
Il fango copre le apparenze, ma sotto - al di sotto della buccia sporca - noi siamo simili.
Ma tu questo non lo puoi capire...
Tu crederai sempre che la pioggia leggera porterà via ogni cosa, come anch'io pensavo e confidavo.
Crederai che l'orgoglioso vento che sfida chiunque, spazzerà via da te ogni sentimento che reputi fittizio, erroneo.
Crederai che questi compagni, di notte, ti staranno vicino e ti faranno dimenticare, illudere, sino all'alba.
Ma io so che non è così.
Che non può essere così.

Perché quelle scarpe sono infangate, la loro suola tanto sporca che un semplice incantesimo non basterebbe per pulirla interamente, e i lacci cadono distratti trascinandosi nel terreno.
Come le mie.
Identiche.
Gemelle.
Solo una marca, un tessuto, un passato diverso a distinguerle.
Nulla più.

Scoppio a ridere, buttando la testa indietro. I capelli sono appiccicatici, mossi flessuosamente verso sinistra.
Mi tolgo le scarpe, continuando ininterrottamente a ridere. Piton mi fissa con aria interrogativa, schiudendo appena le labbra secche, aride.
I calzini bianchi cadono fra la vegetazione erbosa con un leggero fruscio di approvazione.
E' caldo, il terreno.
Anche se piove, anche se il vento minaccia di screpolare la mia pelle.
[Sono miei compagni?]
- Che diavolo fai? -
- Vieni. Togliti le scarpe... -
Lui si allontana di un passo, schifato.
Eppure è sporco - mi ripeto - è così sporco che anche se mi gettassi nel fango non raggiungerei il suo livello.
- Tu sei pazzo, Potter. - proferisce, dopo un attimo di riflessione, - Io... -
- Entra, Piton, che ti costa! Tanto resterai qua fino a domani mattina, io lo so... -
Occhi neri, tanto neri da sembrare privi di cornea.
Occhi morti, tanto morti da sembrare privi di anima.
- No. -
Il rifiuto.
La mera verità.
Lo vedo allontanarsi di corsa, le braccia graffiate dagli alberi, il volto nascosto nell'ombra.

Crederà sempre che la pioggia scivolerà sul suo scudo, ripulendolo da chi - come me - ha provato ad infrangerlo.
Crederà che quello scudo di sporcizia, di alterigia, di disprezzo lo distingua da me.
Dagli altri.

Ma io so che non è così.
Perché sotto quel fango siamo simili.
L’ho visto.
Il mio sguardo si posa ferreo su quel paio di scarpe ormai inutilizzabili.

Le prendo e le getto oltre.
Dove lui - se vorrà - potrà trovarle.

E il mio scudo, d’improvviso, s’infrange in migliaia di frammenti.
Simili a luminose gocce di pioggia.
Sfaccettati come diamanti.
Taglienti come lacrime.
E mi accorgo di non aver mai volato.




Grazie a Giulia, la mia mammaReki, che ha trovato il tempo di betare le mie innumerevoli bozze nonostante la scuola e gli esami.
E grazie anche a Hiei, che ho tanto maltrattato per la lentezza nella pubblicazione dei risultati e che invece è stata più rapida del previsto.
I miei complimenti alla RoSs e a Cetty.
Linnie
  
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