- Chiara,ei, a che stai pensando?-
Carmen le sventolò una mano davanti agli occhi e la guardò
pensierosa. Chiara scosse la testa in un gesto nervoso, puntando gli occhi sul
libro di filosofia e passandosi una mano sul viso, stanca. Carmen l’aveva
invitata a casa sua quel giovedì pomeriggio con la scusa di ripassare gli
ultimi paragrafi in vista dell’imminente interrogazione di metà aprile e lei
non aveva fatto altro che annuire distratta ad ogni nozione, giusta o sbagliata
che fosse, che le esponeva l’amica.
-Nulla, scusa… Sono solo stanca- farfugliò, sfogliando le pagine con noia,
fissando per un attimo il ritratto di San Tommaso e sospirando pesantemente.
- Ti ho appena detto che Campanella ha scritto “Orgoglio e
Pregiudizio”, non puoi essere semplicemente stanca- mormorò preoccupata la
mora, per poi aprirsi in una sincera risata.
No, non era solo stanca.
- Non è nulla… Allora
dicevamo? Campanella?-
Chiara fissò intensamente le pagine del libro, cercando di
essere il più naturale possibile. Cosa estremamente impossibile quando nella
sua testa infuriava il caos più totale.
Appena un giorno prima si sentiva bene, leggera, addirittura
quasi dimentica delle sue pene con Riccardo, ma da quando, riflettendoci, aveva
capito che la causa scatenante di quel benessere era stata la breve parentesi
in quella tea room deserta con Roberta, aveva ricominciato ad agitarsi in una
sorta di muta inquietudine. Come mai si era sentita così bene e aveva voglia di
rivederla ancora e ancora? Di parlare con lei e camminarle al fianco, facendo
magari una delle sue figuracce e sentirla ridere di gusto.
Lì, in quella stanza con Carmen, amica di vecchia data, si
sentiva a disagio e la sensazione mai provata prima le causava un nervosismo
che le faceva tremare le dita fra le pagine.
- In realtà ti stavo esponendo una roba tipo la sessualità secondo
Foucault- replicò scettica Carmen, guardandola come se fosse uscita dai
gangheri.
A quelle parole Chiara scattò seduta, rapida e rigida come
una corda di violino.
Sessualità. No, decisamente non era il caso di parlarne. Non
che avesse dei dubbi sulla sua, ovvio. A lei piaceva Riccardo, le era sempre
piaciuto e le sarebbe continuato a piacere. Nulla era cambiato. Ma allora
perché sentiva quel grillo nella sua testa che le diceva che, in realtà, le
cose si stavano evolvendo? E perché aveva pensato automaticamente a Roberta?
Strinse i pugni e chiuse gli occhi, avrebbe giurato di aver
sentito la punta di una lacrima scivolarle nell’occhio.
- Hei…- Carmen si avvicinò a lei, posando il libro sulla
scrivania e togliendosi gli occhiali da vista.
Cercò di abbracciarla, ma Chiara si divincolò.
- Nardoni non lo chiede mai Foucault, non è necessario-
deglutì, continuando a fissare il libro.
- E chi se ne frega! Stai per piangere- sentenziò l’altra,
cercando di avvicinarsi a lei. - Ti conosco bene, lo sai-
- No, non è vero… se nemmeno io mi conosco!- quasi urlò la rossa, alzandosi dalla sedia e
cominciando a camminare da un lato all’altro della stanza, tremante. Doveva
lavorarci ancora, sul nascondere le emozioni e essere discreta.
Carmen la guardò fissa, ora seriamente preoccupata.
- Sei magari ti degni di dirmi cosa ti succede!-
- Francamente? Non lo so proprio…- sbuffò Chiara, risiedendosi e rigirandosi fra
le dita la copertina mangiucchiata del libro.
"Smettila di pensarci. Smettila di pensarci. Smettila
di pensarci. Te lo leggerà in faccia." pensò.
- Hai problemi con Riccardo, eh?-
La rossa tirò un sospiro di sollievo nel constatare che
Carmen non riusciva davvero, e per fortuna, a leggerle nel pensiero.
- Credo di si- mentì spudoratamente, mettendosi a contare le
venature del pavimento in marmo bianco. Anche se avesse voluto essere sincera
non avrebbe saputo cosa dirle.
Ho delle strane sensazioni con… No, non riusciva neanche a
pensarci, figuriamoci dirlo ad alta voce! E poi il problema con Riccardo non
era ancora stato risolto, quindi le aveva detto una mezza verità.
- La situazione è sempre la stessa immagino… Lui non si è
ancora fatto avanti, vero?-
- E non ho intenzione di farlo io-
- E perché mai? Te l’ha detto persino Sabrina che secondo noi
a lui piaci…-
In effetti persino a Chiara era ormai palese che Riccardo
avesse una cotta per lei. Allora perché non sentiva più lo spasmodico bisogno
che lui le confessasse i suoi sentimenti? Il solo pensiero di una sua eventuale
dichiarazione oramai le faceva solo attorcigliare l’intestino per il
nervosismo, non per il piacere. Magari era solo confusa, aveva letto su una
rivista dall’estetista che spesso con l’arrivo della primavera capitava di
avere sbalzi di umore per il cambiamento improvviso di clima. Forse era solo
colpa del caldo della nuova stagione che si divertiva a metterle sotto sopra
i pochi neuroni che non bruciava con lo studio ossessivo del greco e della
filosofia e a mischiarli con i suoi già impazziti ormoni da sedicenne.
- Lo so, ma non so comunque cosa fare…- mormorò fra sé,
senza guardare Carmen negli occhi, sentendo la testa sul punto di bruciare per
autocombustione.
- Parla con lui, ma parlaci stavolta! Non limitarti a stare
in silenzio come ogni volta che stai con lui… punzecchialo, cerca di fargli
capire che anche a te piace! E’ un timidone, lo sai, non si butterà mai- spiegò
con pazienza la mora, cercando di tastare la sua reazione.
- Perché i maschi sono così stupidi?- si lamentò Chiara, piagnucolando. “Ma
soprattutto perché non riescono a capirmi e a farmi innamorare?” aggiunse fra
se “sarebbe tutto più semplice.”
- Il problema è solo Riccardo?- insisté Carmen, abbandonando
oramai il pensiero di ripetere filosofia senza nemmeno tanti scrupoli di
coscienza. Chiara sospettava che quel venerdì pomeriggio fosse stato
organizzato non tanto per il ripasso quando perché a Carmen piaceva
scandagliarle la mente di tanto in tanto.
- Non lo so, ti ripeto! Cos’è tutta questa curiosità?-
Chiara alzò di poco il suo tono di voce, trasformandolo da timoroso ad
inquisitore.
- Sono o non sono la tua migliore amica?- domandò
retoricamente l’altra, evidentemente scocciata.
- Si, ma allora?-
-Allora ho il diritto di sorbirmi le tue paturnie!-
-Senti, non mi va…- sussurrò Chiara, giocherellando ora con
il bordo della sua polo rosa.
Carmen le alzò il mento con due dita e le rivolse uno
sguardo scettico.
- A te va sempre di parlare, non prendermi in giro-
-Si, ma ora non mi va! Quindi per favore… lasciami in pace e
torniamo a studiare filosofia- si stizzì la rossa, sentendosi segretamente in
colpa per comportarsi in questo modo con la sua migliore amica, la quale era
del tutto innocente in quell’assurda situazione.
Nella sua testa vagavano impazzite un’infinità di cose e
Chiara le sentiva sbatacchiare violentemente contro le tempie come pentole di
ottone. Trattene a stento l’impulso di coprirsi le orecchie e chiudere gli
occhi e riaprì il libro.
- Almeno sabato ti va ancora di accompagnarmi al centro
commerciale? Me l’avevi promesso…-
Chiara si gelò sul posto. Sabato. Sabato c’era la festa di
Roberta. Lo stomaco fece un rumore sordo e il suo viso sbiancò di colpo. Nella
sua testa volavano le peggiori parolacce.
- Sabato? Questo sabato?- balbettò, sentendosi in trappola.
Cosa le avrebbe detto?
-Si, perché, hai impegni?- domandò scettica Carmen.
-Io.. ehm.. no, figurati. Solo che non mi sento tanto bene
in questo periodo, sai… il ciclo…- mormorò sconnessamente Chiara in risposta.
Come avrebbe fatto ad andare alla festa di Roberta di nascosto ai suoi genitori
e Carmen? Si sentì soffocare.
-Sei proprio strana oggi… chissà che ti passa per la testa-
sbuffò sconfitta l’amica, fissandola
-Su, dimmi quello che sai su Campanella…- bofonchiò la
rossa, lasciandosi di nuovo cadere sulla sedia. Aveva bisogno di pace.
-Me ne parlerai prima o poi, non mi arrendo- sussurrò delusa
Carmen, cominciando a brontolare nozioni frammentarie sulla vita e filosofia di
Tommaso Campanella.
Dopo aver ripetuto inaspettatamente tutto il programma di
filosofia, senza essersi nemmeno scambiate più una parola sull’argomento
“malumore di Chiara”, si separarono sul far della sera e la rossa tornò mogia a
casa, attraversando la città a piedi e zigzagando fra le persone che ancora si
aggiravano fra i negozi del Corso, ormai già senza sciarpe e cappotti,
guardando abbattuta lo scintillio delle insegne nelle pozzanghere. Giunta al
suo vialetto, gettò un’occhiata scocciata alla finestra del suo vicino, Marco,
dalla quale proveniva musica haevy metal ad alto volume, e sibilò a vuoto
un’imprecazione. Quello stato di pessimismo nero le sembrava quasi comico. Aprì
il cancelletto con la sua copia personale di chiavi, altra piccola conquista, e
lo sbatté premurandosi di far più rumore possibile, in modo da manifestare al
mondo il suo profondo stato di isteria, senza accorgersi di una familiare Ford
Fiesta magenta parcheggiata di fronte.
Una volta in casa, gettò sul divano di pelle lo zainetto e
la giacca di jeans senza tanti complimenti e, accorgendosi che suo padre e sua
madre erano già stranamente tornati a casa, li avvisò della sua presenza
urlandogli dalle scale uno stridulo saluto.
- Chiara, piccola, va tutto bene?- le sorrise raggiante la
madre, facendo capolino dalla cucina con le mani sporche di farina.
Probabilmente stava facendo una torta. La giornata non poteva andare peggio!
Quando Margaret cucinava dolci c’era di sicuro qualcosa di losco sotto. O
voleva darle una brutta notizia, sperando di addolcirgliela con un pezzo di
torta bruciacchiato, oppure una notizia fantastica. Chiara sperò con tutto il
cuore che fosse per il secondo motivo, non aveva proprio voglia di sentire altri
problemi quella sera.
-Hai fatto una torta? Che è successo ancora?- sbuffò
esasperata, allargando le braccia. Margaret mutò il suo sorriso in
un’espressione di disappunto.
-Ti sembra questo il modo di salutare la tua sorellina?- le
domandò, scettica, indicando con una mano imbiancata la porta della cucina.
Chiara strabuzzò gli occhi, non riuscendo a contenere un sorrisone spontaneo e
una risata cristallina.
-Ben, sei qui?! Mamma, dici sul serio?- chiese incredula,
strillando come una bambina che il giorno di Natale trova sotto l’albero il suo
giocattolo preferito. Si diresse in cucina senza aspettare una risposta e corse ad
abbracciare sua sorella, placidamente seduta su uno sgabello del bancone
intenta a bere un succo d’arancia e a chiacchierare con Matteo.
- Calma, calma, mi sei mancata anche tu- rise Benedetta,
stringendo anch’ella emozionata sua sorella minore.
-Cosa diavolo ci fai qui? Potevi avvisarmi, avrei sistemato
la camera, è…-
-E’ in uno stato pietoso, lo so, ho già sistemato i bagagli…
Non sei cambiata per nulla da quando non vivo più qui, sei sempre la solita
casinista- completò per lei Benedetta, rimproverandola bonariamente e dandole
un buffetto sul naso. Chiara l’abbracciò di nuovo, felice, e poi si sporse per
dare un bacio sulla guancia anche a suo padre, gesto più unico che raro.
L’arrivo di sua sorella le aveva davvero risollevato il morale e si vedeva. I
suoi occhi scintillavano di euforia e saltellava per la cucina chiedendo ogni
dieci minuti quando la torta sarebbe stata pronta. Non vedeva sua sorella dalle
vacanze di Natale e, col buio periodo delle interrogazioni del secondo
quadrimestre e soprattutto con lo sviluppo dello strano rapporto fra lei e
Roberta, le erano mancati particolarmente
i suoi consigli e la sua presenza rassicurante.
-Sembri allegra- le fece notare Benedetta, quando si
sedettero in salotto dopo aver mangiato torta a sazietà, stiracchiandosi sul
divano e passandosi una mano fra i fluenti capelli biondi.
-Beh, mi fa molto piacere rivederti- le sorrise Chiara,
giocherellando con il telecomando della televisione.
-Lo vedo… Non è che c’entra qualcosa Riccardo?- insinuò
maliziosamente la sorella maggiore, sfidandola a confessare con il suo
caratteristico sguardo “so tutto, è inutile che continui a negare”. Chiara
continuò imperterrita a rigirarsi l’apparecchio fra le mani, ignorando
spudoratamente la provocazione. Riccardo, ecco un altro dei problemi che doveva
assolutamente risolvere.
-No- rispose piatta, cambiando di colpo umore. C’erano
troppe cose nella sua testa e, se la sorpresa di Benedetta l’aveva aiutata ad
allentare notevolmente la tensione, ora tornavano nuovamente a sfilarle una per una davanti agli occhi.
C’era la situazione con Roberta, quegli occhi che l’ultima volta l’avevano
trafitta lasciandole una sensazione di insoddisfatto languore, la festa della
sera successiva con tutti i problemi annessi e connessi e poi c’era Riccardo,
con quel suo timido corteggiamento, che per quanto timoroso, testimoniava
apertamente l’interesse del migliore amico verso di lei.
Benedetta allungò il collo per guardarla meglio in volto. Il
viso di Chiara era corrucciato e si torturava le labbra senza sosta.
-E’ successo qualcosa di cui non mi hai informata?- si sentì
in dovere di chiedere l’altra a quel punto, cercando una spiegazione
all’improvviso mutamento della sorellina.
-No, tutto come prima. Penso che Riccardo abbia una cotta
per me- confessò sconfitta, pensando che se si fosse confidata con sua sorella
qualcosa sarebbe pur riuscita a risolvere.
-E…?-
-E nulla, te l’ho detto… Sai qual è il problema? Che
probabilmente ho confuso l'amicizia con qualcos'altro... Cioè, all'inizio ero
convita che lui mi piacesse, sul serio! In gita a Vienna non ho fatto altro che
pensarci, ma... Vedi, una volta tornata è successo che... anzi, meglio dire che
non è successo assolutamente nulla. Siamo stati soli in un sacco di occasioni e
anche se lui è palesemente attratto da me e penso mi veda come più di un'amica,
io mi sentivo a disagio. Cos'ho di sbagliato?- farfugliò confusamente la rossa,
rannicchiandosi e portandosi le gambe al petto. Si sentiva davvero nervosa e
fece di tutto pur di non lasciarsi scivolare nemmeno una lacrima.
-Hey, Chiara, non fare così... non c'è assolutamente nulla
di sbagliato in te. Semplicemente Riccardo è il tuo migliore amico e tu vuoi
che resti tale. Non c'è nulla di sbagliato in questo, sai?- la confortò
Benedetta, con la sua voce carezzevole.
-Si, ma... Ho passato praticamente tutta la mia adolescenza
a cercare un ragazzo come Riccardo, qualcuno che mi capisse e che mi accettasse
in tutte le mie stranezze, proprio come fa lui, eppure ora che ce l'ho non
riesco a provare assolutamente nulla! Dicono tutti che saremmo una coppia
perfetta, che fra di noi c'è un'armonia pazzesca e che inevitabilmente finiremo
insieme, questo lo pensavo anche io, ne ero convinta, ma... La verità è che non
è Riccardo quello che voglio!-
Chiara poggiò il
mento sulle ginocchia e si lasciò andare ad un paio di lacrime, le prime in
tutti quei mesi. Tirò violentemente su col naso e chiuse gli occhi, cercando di
ricomporsi. No, questa volta non voleva ricomporsi. Questa volta voleva
assecondare il suo corpo e la sua mente. Così a quelle due lacrime iniziali se
ne aggiunsero altre, gocce copiose e piene di tutta la rabbia e l'incertezza di
quegli ultimi mesi. Benedetta rimase lì di fianco a lei finché, esausta, non si
addormentò.
Non appena ebbe chiuso gli occhi gonfi e arrossati nella sua
mente si formò, con precisione quasi analitica, la proiezione onirica del volto
di Roberta. Per Chiara era sempre stato difficile descrivere un sogno e
l'argomento l'aveva così affascinata da portarla a leggere a lungo le opere di
psicanalisti come Freud a riguardo. Eppure, mentre dormiva serena, non poteva
sapere che sognare Roberta, in tutto lo splendore angelico caratteristico dei
sogni, e bearsi di quella visione era una cosa sbagliata. La sognò mentre erano
per strada e il cielo era di un azzurro così intenso da accecarle la vista, con
le mani intrecciate e una lieve brezza che se fosse stata sveglia le avrebbe di
sicuro ricordato le giornate di vacanza passate a casa dei suoi nonni
irlandesi. Nessuna delle due parlava, solo si guardavano certe volte, con uno
sguardo così intenso da farla rabbrividire nel sonno, tanto che Benedetta pensò
fosse il freddo e salì al piano di sopra per prenderle una coperta. Era tutto
così pacifico e ovattato finché Chiara, nel sogno, non si sporse a dare un
bacio all'altra e allora il cielo diventò più scuro e un fulmine squarciò il
cielo e un vento impetuoso le separò, fra le urla di entrambe.
Chiara si svegliò improvvisamente dopo quelli che le parvero
giorni, ma che in realtà erano solo poche ore, visto l'orologio da polso
segnava appena la mezzanotte. Sentì uno scalpiccio provenire dalla cucina e si
girò spaventata alla luce di un lampo che penetrava dalla finestra il buio del
salotto. Spuntò Benedetta, in vestaglia primaverile e ciabatte, con l'aria
frustrata di chi non riesce a prendere sonno e una tazza di té caldo. Si
accorse di strar tremando e nascose la mani gelate sotto il plaid giallo,
rannicchiandosi contro lo schienale del divano e poggiandoci la testa che
rimbombava di immagini, residui del sogno. Il viso spaventato di Roberta ancora
l'angosciava. Benedetta le si sedette al fianco e, sorseggiando il suo té,
sembrò scrutarla intensamente, come a capire il motivo di tanta agitazione.
-Neanche tu riesci a dormire?-
Fu Chiara a rompere il silezio, con voce tremula e roca dal
sonno. La sorella scosse la testa sconfitta e si appoggiò allo schienale, con
un sospiro.
-Stai bene?- le chiese e Chiara alzò le spalle.
-Io? Certo...- asserì debolmente, sfregandosi le mani che
non volevano smetterla di agitarsi impazzite, così come i battiti del suo
cuore.
-Ti ho sentito urlare dalla cucina, hai avuto un incubo?-
-Un sogno orribile-
-Ti va di parlarne?-
-No, perferisco andare a dormire, scusa-
-Ne sei sicura? Sembra che tu stia per scoppiare di nuovo a
piangere... E' successo qualcosa, per caso? Mamma e papà hanno ripreso a
discutere?- chiese di nuovo Benedetta, apprensiva. La rossa si alzò,
agguantando il plaid e dirigendosi verso le scale.
-No- tuonò di nuovo, secca.
-Aspetta... Un'ultima cosa. Chi è la Roberta di cui parlavi
nel sonno? Della Corte?-
Chiara si gelò sul posto, sentendo una lacrima premerle per
uscire. Ingoiò a vuoto, sentendo una nausea prenderle la bocca dello stomaco.
-Lasciami stare, ti prego, non mi va di parlarne-
singhiozzo, scappando su per le scale e fiondandosi nella sua camera.
Quella notte nessuna delle due riuscì a prendere sonno.
***
La mattina successiva
Chiara e Benedetta scesero a colazione più tardi del solito, una con gli occhi
arrossati dal pianto e l'altra con il viso cereo di chi non trova pace, tanto
che Margaret dovette chiamarle tre volte, ricordando alla figlia minore che
quella mattina aveva la scuola.
-Ben, mi accompagni
tu, vero?- chiese la rossa alla sorella maggiore mentre addentava una toast con
la marmellata. L'altra annuì complice, probabilmente con l'intenzione di
strapparle qualche informazione su ciò che era successo la notte precedente in
cambio.
Dopo essersi coperte a dovere le occhiaie con una quantità
industriale di fondotinta, uscirono di casa salutando la madre e rivolgendosi
occhiate preoccupate.
-Ora mi dici ieri sera che ti è successo?- domandò per
l'ennesima volta Benedetta, voltando a sinistra e imboccando la strada che
portava direttamente al centro del paese.
-Ho sognato Roberta... stasera c'è la sua festa di
compleanno e lei mi ha invitata. Insomma, ho passato tutto il giorno a pensare
a che scusa inventare per sgattaiolare fuori casa alle nove di stasera ed
evitare Carmen, visto che sia mamma sia lei non vogliono assolutamente che io abbia
a che fare con Della Corte, forse è per questo che ho fatto quell'incubo-
spiegò velocemente Chiara, raccontandole una mezza verità e tralasciando
l'ambigua parte in cui la baciava. Lo stomaco si contorse di piacere a quel
pensiero. Baciare le sue labbra, almeno in sogno, le aveva dato una scarica di
adrenalina pazzesca. Ma ancora non era il momento di fare quella chiacchierata
con sè stessa riguardo al loro rapporto e ai suoi nuovi sentimenti. Un problema
alla volta.
-Quindi siete diventate amiche- le sorrise Benedetta,
tirando un sospiro di sollievo. Lei annuì e continuò a parlare.
-E se tu mi coprissi? Tanto lo sai che sono una ragazza
responsabile e bla bla bla. Puoi dire a mamma che andiamo a farci un giro al
cinema o dove vuoi, poi mi lasci a casa sua e alle undici e mezzo giuro che
torniamo a casa sane e salve- si illuminò Chiara, sentendole il cuore
scoppiarle in petto al solo pensiero di dover vedere Roberta a scuola.
Benedetta scoppiò a ridere.
-Sei proprio una piccola peste, io a sedici anni non ero
così diabolica! Giuro, non ho mai fatto nulla di nascosto, raccontavo alla mamma
ogni cosa... Ma va bene, ci sto. Solo promettimi di stare attenta, okay?-
-Promesso. Grazie, Ben, sei la migliore- si allungò per dare
un bacio sulla guancia alla sorella e, una volta che ebbero sostato davanti al
liceo, scendere e dirigersi a passo frenetico verso l'entrata.
Appena entrata in classe, fu fulminata dalla visione di
Roberta che, evidentemente, si era resa ancora più bella per l'occasione e
rimase imbambolata a fissarla. Era bastata una sola sera, anzi, solo tre o
quattro ore, per farle schiarire le idee. Non era Riccardo che voleva.
Decisamente.
***
Nel pieno della sua
riflessione, stesa a pancia in su sul letto e con la testa lievemente sotto
sopra, Chiara cercava di reprimere l’istinto ti mandare un messaggio a Roberta,
stropicciandosi fra le mani il biglietto col suo numero che aveva lasciato
qualche sera prima. Sentiva in sangue formicolarle nelle orecchie da almeno due
minuti, ma non era decisa ad raddrizzarsi da quella posizione decisamente poco
salutare. Starsene così, come fluttuando, la aiutava a svuotare la testa di
pensieri. E di immagini. Soprattutto di immagini. Immagini di Roberta che le
sorrideva dall’altro lato della classe, con quel suo sorriso bianco e naturale
e perfet- “Basta!” si intimò, digrignando i denti per la frustrazione e
stringendo i pugni dal nervosismo. Era circa mezz’ora che si crogiolava in
quello stato semi-comatoso, nella sua mente si alternavano ora la chioma color
ebano e la roca voce strascicata di Roberta, ora il ciuffo di capelli biondi e
la voce morbida e scherzosa di Riccardo. Le domande le affollavano la testa e
reclamavano attenzione come tanti piccoli picchi che le battevano le tempie
esauste col loro becco aguzzo.
"Benedetta ha ragione, Riccardo è il tuo migliore
amico. Punto! Devi solo dirglielo chiaramente e... concentrarti su altri
fronti" pensò fra sè, massaggiandosi le tempie una volta tornata in
posizione eretta. Guardò l'orologio e si accorse che erano già le otto. Sarebbe
stato meglio muoversi se non voleva fare tardi alla festa. Nascose ben bene il
libro che aveva regalato a Roberta nella borsa, un'edizione illustrata di
"Lo Hobbit" che aveva trovato nella libreria del Signor Lovati, fece
per dirigersi in bagno per spazzolarsi i capelli e indossare il delizioso
abitino blu notte che Benedetta le aveva prestato, ma a metà strada tornò
indietro e afferrò il cellulare.
Si fece coraggio e compose il messaggio.
"Non vedo l'ora di essere lì" inviò e, col cuore in gola dall'emozione, cominciò a prepararsi.