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Autore: Deirbhile    08/12/2012    2 recensioni
Dalla storia:
“Magari è vero che le persone non sono mai come sembrano, Pirandello aveva perfettamente ragione. Ognuno di noi indossa una maschera. Solo che fino ad ora ero convinta che l'unica che usasse Roberta Della Corte fosse una maschera esfoliante per liberare i pori” constatò Chiara.
Chiara e Roberta sono due liceali qualunque: a Chiara piace leggere e studiare, stare in mezzo alla natura e portare i capelli rossi legati in una treccia. A Roberta piace ostentare la sua bellezza statuaria, mostrarsi in centro a fare shopping con il suo ragazzo e nascondere i propri pensieri in fondo all'alcol.
E allora perché, dopo quattro anni passati ad odiarsi, sentono lo strano desiderio di capirsi a vicenda?
Fra amiche iperprotettive, genitori sempre assenti, scontri diretti e qualche attacco di panico, Chiara e Roberta capiranno finalmente che c'è qualcuno disposto a cicatrizzare le loro ferite.
[STORIA CONCLUSA]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Chiara,ei, a che stai pensando

- Chiara,ei, a che stai pensando?-

Carmen le sventolò una mano davanti agli occhi e la guardò pensierosa. Chiara scosse la testa in un gesto nervoso, puntando gli occhi sul libro di filosofia e passandosi una mano sul viso, stanca. Carmen l’aveva invitata a casa sua quel giovedì pomeriggio con la scusa di ripassare gli ultimi paragrafi in vista dell’imminente interrogazione di metà aprile e lei non aveva fatto altro che annuire distratta ad ogni nozione, giusta o sbagliata che fosse, che le esponeva l’amica.

 

-Nulla, scusa… Sono solo stanca-  farfugliò, sfogliando le pagine con noia, fissando per un attimo il ritratto di San Tommaso e sospirando pesantemente.

 

- Ti ho appena detto che Campanella ha scritto “Orgoglio e Pregiudizio”, non puoi essere semplicemente stanca- mormorò preoccupata la mora, per poi aprirsi in una sincera risata.  No, non era solo stanca.

 

- Non è nulla…  Allora dicevamo? Campanella?-

Chiara fissò intensamente le pagine del libro, cercando di essere il più naturale possibile. Cosa estremamente impossibile quando nella sua testa infuriava il caos più totale.

Appena un giorno prima si sentiva bene, leggera, addirittura quasi dimentica delle sue pene con Riccardo, ma da quando, riflettendoci, aveva capito che la causa scatenante di quel benessere era stata la breve parentesi in quella tea room deserta con Roberta, aveva ricominciato ad agitarsi in una sorta di muta inquietudine. Come mai si era sentita così bene e aveva voglia di rivederla ancora e ancora? Di parlare con lei e camminarle al fianco, facendo magari una delle sue figuracce e sentirla ridere di gusto.

Lì, in quella stanza con Carmen, amica di vecchia data, si sentiva a disagio e la sensazione mai provata prima le causava un nervosismo che le faceva tremare le dita fra le pagine.

 

- In realtà ti stavo esponendo una roba tipo la sessualità secondo Foucault- replicò scettica Carmen, guardandola come se fosse uscita dai gangheri.

A quelle parole Chiara scattò seduta, rapida e rigida come una corda di violino.

Sessualità. No, decisamente non era il caso di parlarne. Non che avesse dei dubbi sulla sua, ovvio. A lei piaceva Riccardo, le era sempre piaciuto e le sarebbe continuato a piacere. Nulla era cambiato. Ma allora perché sentiva quel grillo nella sua testa che le diceva che, in realtà, le cose si stavano evolvendo? E perché aveva pensato automaticamente a Roberta?

Strinse i pugni e chiuse gli occhi, avrebbe giurato di aver sentito la punta di una lacrima scivolarle nell’occhio.

 

- Hei…- Carmen si avvicinò a lei, posando il libro sulla scrivania e togliendosi gli occhiali da vista.

Cercò di abbracciarla, ma Chiara si divincolò.

 

- Nardoni non lo chiede mai Foucault, non è necessario- deglutì, continuando a fissare il libro.

 

- E chi se ne frega! Stai per piangere- sentenziò l’altra, cercando di avvicinarsi a lei. - Ti conosco bene, lo sai-

 

- No, non è vero… se nemmeno io mi conosco!-  quasi urlò la rossa, alzandosi dalla sedia e cominciando a camminare da un lato all’altro della stanza, tremante. Doveva lavorarci ancora, sul nascondere le emozioni e essere discreta.

Carmen la guardò fissa, ora seriamente preoccupata.

 

- Sei magari ti degni di dirmi cosa ti succede!-

- Francamente? Non lo so proprio…-  sbuffò Chiara, risiedendosi e rigirandosi fra le dita la copertina mangiucchiata del libro.

"Smettila di pensarci. Smettila di pensarci. Smettila di pensarci. Te lo leggerà in faccia." pensò.

 

- Hai problemi con Riccardo, eh?-

 

La rossa tirò un sospiro di sollievo nel constatare che Carmen non riusciva davvero, e per fortuna, a leggerle nel pensiero.

 

- Credo di si- mentì spudoratamente, mettendosi a contare le venature del pavimento in marmo bianco. Anche se avesse voluto essere sincera non avrebbe saputo cosa dirle.

Ho delle strane sensazioni con… No, non riusciva neanche a pensarci, figuriamoci dirlo ad alta voce! E poi il problema con Riccardo non era ancora stato risolto, quindi le aveva detto una mezza verità.

 

- La situazione è sempre la stessa immagino… Lui non si è ancora fatto avanti, vero?-

 

- E non ho intenzione di farlo io-

 

- E perché mai? Te l’ha detto persino Sabrina che secondo noi a lui piaci…-

 

In effetti persino a Chiara era ormai palese che Riccardo avesse una cotta per lei. Allora perché non sentiva più lo spasmodico bisogno che lui le confessasse i suoi sentimenti? Il solo pensiero di una sua eventuale dichiarazione oramai le faceva solo attorcigliare l’intestino per il nervosismo, non per il piacere. Magari era solo confusa, aveva letto su una rivista dall’estetista che spesso con l’arrivo della primavera capitava di avere sbalzi di umore per il cambiamento improvviso di clima. Forse era solo colpa del caldo della nuova stagione che si divertiva a metterle sotto sopra i pochi neuroni che non bruciava con lo studio ossessivo del greco e della filosofia e a mischiarli con i suoi già impazziti ormoni da sedicenne.

 

- Lo so, ma non so comunque cosa fare…- mormorò fra sé, senza guardare Carmen negli occhi, sentendo la testa sul punto di bruciare per autocombustione.

 

- Parla con lui, ma parlaci stavolta! Non limitarti a stare in silenzio come ogni volta che stai con lui… punzecchialo, cerca di fargli capire che anche a te piace! E’ un timidone, lo sai, non si butterà mai- spiegò con pazienza la mora, cercando di tastare la sua reazione.

 

- Perché i maschi sono così stupidi?-  si lamentò Chiara, piagnucolando. “Ma soprattutto perché non riescono a capirmi e a farmi innamorare?” aggiunse fra se “sarebbe tutto più semplice.”

 

- Il problema è solo Riccardo?- insisté Carmen, abbandonando oramai il pensiero di ripetere filosofia senza nemmeno tanti scrupoli di coscienza. Chiara sospettava che quel venerdì pomeriggio fosse stato organizzato non tanto per il ripasso quando perché a Carmen piaceva scandagliarle la mente di tanto in tanto.

 

- Non lo so, ti ripeto! Cos’è tutta questa curiosità?- Chiara alzò di poco il suo tono di voce, trasformandolo da timoroso ad inquisitore.

 

- Sono o non sono la tua migliore amica?- domandò retoricamente l’altra, evidentemente scocciata.

 

- Si, ma allora?-

-Allora ho il diritto di sorbirmi le tue paturnie!-

 

-Senti, non mi va…- sussurrò Chiara, giocherellando ora con il bordo della sua polo rosa.

Carmen le alzò il mento con due dita e le rivolse uno sguardo scettico.

 

- A te va sempre di parlare, non prendermi in giro-

 

-Si, ma ora non mi va! Quindi per favore… lasciami in pace e torniamo a studiare filosofia- si stizzì la rossa, sentendosi segretamente in colpa per comportarsi in questo modo con la sua migliore amica, la quale era del tutto innocente in quell’assurda situazione.

Nella sua testa vagavano impazzite un’infinità di cose e Chiara le sentiva sbatacchiare violentemente contro le tempie come pentole di ottone. Trattene a stento l’impulso di coprirsi le orecchie e chiudere gli occhi e riaprì il libro.

 

- Almeno sabato ti va ancora di accompagnarmi al centro commerciale? Me l’avevi promesso…-

Chiara si gelò sul posto. Sabato. Sabato c’era la festa di Roberta. Lo stomaco fece un rumore sordo e il suo viso sbiancò di colpo. Nella sua testa volavano le peggiori parolacce.

 

- Sabato? Questo sabato?- balbettò, sentendosi in trappola. Cosa le avrebbe detto?

 

-Si, perché, hai impegni?- domandò scettica Carmen.

 

-Io.. ehm.. no, figurati. Solo che non mi sento tanto bene in questo periodo, sai… il ciclo…- mormorò sconnessamente Chiara in risposta. Come avrebbe fatto ad andare alla festa di Roberta di nascosto ai suoi genitori e Carmen? Si sentì soffocare.

 

-Sei proprio strana oggi… chissà che ti passa per la testa- sbuffò sconfitta l’amica, fissandola

 

 

-Su, dimmi quello che sai su Campanella…- bofonchiò la rossa, lasciandosi di nuovo cadere sulla sedia. Aveva bisogno di pace.

 

-Me ne parlerai prima o poi, non mi arrendo- sussurrò delusa Carmen, cominciando a brontolare nozioni frammentarie sulla vita e filosofia di Tommaso Campanella.

 

Dopo aver ripetuto inaspettatamente tutto il programma di filosofia, senza essersi nemmeno scambiate più una parola sull’argomento “malumore di Chiara”, si separarono sul far della sera e la rossa tornò mogia a casa, attraversando la città a piedi e zigzagando fra le persone che ancora si aggiravano fra i negozi del Corso, ormai già senza sciarpe e cappotti, guardando abbattuta lo scintillio delle insegne nelle pozzanghere. Giunta al suo vialetto, gettò un’occhiata scocciata alla finestra del suo vicino, Marco, dalla quale proveniva musica haevy metal ad alto volume, e sibilò a vuoto un’imprecazione. Quello stato di pessimismo nero le sembrava quasi comico. Aprì il cancelletto con la sua copia personale di chiavi, altra piccola conquista, e lo sbatté premurandosi di far più rumore possibile, in modo da manifestare al mondo il suo profondo stato di isteria, senza accorgersi di una familiare Ford Fiesta magenta parcheggiata di fronte.

Una volta in casa, gettò sul divano di pelle lo zainetto e la giacca di jeans senza tanti complimenti e, accorgendosi che suo padre e sua madre erano già stranamente tornati a casa, li avvisò della sua presenza urlandogli dalle scale uno stridulo saluto.

 

- Chiara, piccola, va tutto bene?- le sorrise raggiante la madre, facendo capolino dalla cucina con le mani sporche di farina. Probabilmente stava facendo una torta. La giornata non poteva andare peggio! Quando Margaret cucinava dolci c’era di sicuro qualcosa di losco sotto. O voleva darle una brutta notizia, sperando di addolcirgliela con un pezzo di torta bruciacchiato, oppure una notizia fantastica. Chiara sperò con tutto il cuore che fosse per il secondo motivo, non aveva proprio voglia di sentire altri problemi quella sera.

 

-Hai fatto una torta? Che è successo ancora?- sbuffò esasperata, allargando le braccia. Margaret mutò il suo sorriso in un’espressione di disappunto.

 

-Ti sembra questo il modo di salutare la tua sorellina?- le domandò, scettica, indicando con una mano imbiancata la porta della cucina. Chiara strabuzzò gli occhi, non riuscendo a contenere un sorrisone spontaneo e una risata cristallina.

 

-Ben, sei qui?! Mamma, dici sul serio?- chiese incredula, strillando come una bambina che il giorno di Natale trova sotto l’albero il suo giocattolo preferito. Si diresse in cucina senza aspettare una risposta e corse ad abbracciare sua sorella, placidamente seduta su uno sgabello del bancone intenta a bere un succo d’arancia e a chiacchierare con Matteo.

 

- Calma, calma, mi sei mancata anche tu- rise Benedetta, stringendo anch’ella emozionata sua sorella minore.

 

-Cosa diavolo ci fai qui? Potevi avvisarmi, avrei sistemato la camera, è…-

 

-E’ in uno stato pietoso, lo so, ho già sistemato i bagagli… Non sei cambiata per nulla da quando non vivo più qui, sei sempre la solita casinista- completò per lei Benedetta, rimproverandola bonariamente e dandole un buffetto sul naso. Chiara l’abbracciò di nuovo, felice, e poi si sporse per dare un bacio sulla guancia anche a suo padre, gesto più unico che raro. L’arrivo di sua sorella le aveva davvero risollevato il morale e si vedeva. I suoi occhi scintillavano di euforia e saltellava per la cucina chiedendo ogni dieci minuti quando la torta sarebbe stata pronta. Non vedeva sua sorella dalle vacanze di Natale e, col buio periodo delle interrogazioni del secondo quadrimestre e soprattutto con lo sviluppo dello strano rapporto fra lei e Roberta, le erano mancati particolarmente  i suoi consigli e la sua presenza rassicurante.

 

-Sembri allegra- le fece notare Benedetta, quando si sedettero in salotto dopo aver mangiato torta a sazietà, stiracchiandosi sul divano e passandosi una mano fra i fluenti capelli biondi.

 

-Beh, mi fa molto piacere rivederti- le sorrise Chiara, giocherellando con il telecomando della televisione.

 

-Lo vedo… Non è che c’entra qualcosa Riccardo?- insinuò maliziosamente la sorella maggiore, sfidandola a confessare con il suo caratteristico sguardo “so tutto, è inutile che continui a negare”. Chiara continuò imperterrita a rigirarsi l’apparecchio fra le mani, ignorando spudoratamente la provocazione. Riccardo, ecco un altro dei problemi che doveva assolutamente risolvere.

 

-No- rispose piatta, cambiando di colpo umore. C’erano troppe cose nella sua testa e, se la sorpresa di Benedetta l’aveva aiutata ad allentare notevolmente la tensione, ora tornavano nuovamente  a sfilarle una per una davanti agli occhi. C’era la situazione con Roberta, quegli occhi che l’ultima volta l’avevano trafitta lasciandole una sensazione di insoddisfatto languore, la festa della sera successiva con tutti i problemi annessi e connessi e poi c’era Riccardo, con quel suo timido corteggiamento, che per quanto timoroso, testimoniava apertamente l’interesse del migliore amico verso di lei.

Benedetta allungò il collo per guardarla meglio in volto. Il viso di Chiara era corrucciato e si torturava le labbra senza sosta.

 

-E’ successo qualcosa di cui non mi hai informata?- si sentì in dovere di chiedere l’altra a quel punto, cercando una spiegazione all’improvviso mutamento della sorellina.

 

-No, tutto come prima. Penso che Riccardo abbia una cotta per me- confessò sconfitta, pensando che se si fosse confidata con sua sorella qualcosa sarebbe pur riuscita a risolvere.

 

-E…?-

 

-E nulla, te l’ho detto… Sai qual è il problema? Che probabilmente ho confuso l'amicizia con qualcos'altro... Cioè, all'inizio ero convita che lui mi piacesse, sul serio! In gita a Vienna non ho fatto altro che pensarci, ma... Vedi, una volta tornata è successo che... anzi, meglio dire che non è successo assolutamente nulla. Siamo stati soli in un sacco di occasioni e anche se lui è palesemente attratto da me e penso mi veda come più di un'amica, io mi sentivo a disagio. Cos'ho di sbagliato?- farfugliò confusamente la rossa, rannicchiandosi e portandosi le gambe al petto. Si sentiva davvero nervosa e fece di tutto pur di non lasciarsi scivolare nemmeno una lacrima.

 

-Hey, Chiara, non fare così... non c'è assolutamente nulla di sbagliato in te. Semplicemente Riccardo è il tuo migliore amico e tu vuoi che resti tale. Non c'è nulla di sbagliato in questo, sai?- la confortò Benedetta, con la sua voce carezzevole.

 

-Si, ma... Ho passato praticamente tutta la mia adolescenza a cercare un ragazzo come Riccardo, qualcuno che mi capisse e che mi accettasse in tutte le mie stranezze, proprio come fa lui, eppure ora che ce l'ho non riesco a provare assolutamente nulla! Dicono tutti che saremmo una coppia perfetta, che fra di noi c'è un'armonia pazzesca e che inevitabilmente finiremo insieme, questo lo pensavo anche io, ne ero convinta, ma... La verità è che non è Riccardo quello che voglio!-

 Chiara poggiò il mento sulle ginocchia e si lasciò andare ad un paio di lacrime, le prime in tutti quei mesi. Tirò violentemente su col naso e chiuse gli occhi, cercando di ricomporsi. No, questa volta non voleva ricomporsi. Questa volta voleva assecondare il suo corpo e la sua mente. Così a quelle due lacrime iniziali se ne aggiunsero altre, gocce copiose e piene di tutta la rabbia e l'incertezza di quegli ultimi mesi. Benedetta rimase lì di fianco a lei finché, esausta, non si addormentò.

Non appena ebbe chiuso gli occhi gonfi e arrossati nella sua mente si formò, con precisione quasi analitica, la proiezione onirica del volto di Roberta. Per Chiara era sempre stato difficile descrivere un sogno e l'argomento l'aveva così affascinata da portarla a leggere a lungo le opere di psicanalisti come Freud a riguardo. Eppure, mentre dormiva serena, non poteva sapere che sognare Roberta, in tutto lo splendore angelico caratteristico dei sogni, e bearsi di quella visione era una cosa sbagliata. La sognò mentre erano per strada e il cielo era di un azzurro così intenso da accecarle la vista, con le mani intrecciate e una lieve brezza che se fosse stata sveglia le avrebbe di sicuro ricordato le giornate di vacanza passate a casa dei suoi nonni irlandesi. Nessuna delle due parlava, solo si guardavano certe volte, con uno sguardo così intenso da farla rabbrividire nel sonno, tanto che Benedetta pensò fosse il freddo e salì al piano di sopra per prenderle una coperta. Era tutto così pacifico e ovattato finché Chiara, nel sogno, non si sporse a dare un bacio all'altra e allora il cielo diventò più scuro e un fulmine squarciò il cielo e un vento impetuoso le separò, fra le urla di entrambe.

Chiara si svegliò improvvisamente dopo quelli che le parvero giorni, ma che in realtà erano solo poche ore, visto l'orologio da polso segnava appena la mezzanotte. Sentì uno scalpiccio provenire dalla cucina e si girò spaventata alla luce di un lampo che penetrava dalla finestra il buio del salotto. Spuntò Benedetta, in vestaglia primaverile e ciabatte, con l'aria frustrata di chi non riesce a prendere sonno e una tazza di té caldo. Si accorse di strar tremando e nascose la mani gelate sotto il plaid giallo, rannicchiandosi contro lo schienale del divano e poggiandoci la testa che rimbombava di immagini, residui del sogno. Il viso spaventato di Roberta ancora l'angosciava. Benedetta le si sedette al fianco e, sorseggiando il suo té, sembrò scrutarla intensamente, come a capire il motivo di tanta agitazione.

-Neanche tu riesci a dormire?-

Fu Chiara a rompere il silezio, con voce tremula e roca dal sonno. La sorella scosse la testa sconfitta e si appoggiò allo schienale, con un sospiro.

-Stai bene?- le chiese e Chiara alzò le spalle.

-Io? Certo...- asserì debolmente, sfregandosi le mani che non volevano smetterla di agitarsi impazzite, così come i battiti del suo cuore.

-Ti ho sentito urlare dalla cucina, hai avuto un incubo?-

-Un sogno orribile-

-Ti va di parlarne?-

-No, perferisco andare a dormire, scusa-

-Ne sei sicura? Sembra che tu stia per scoppiare di nuovo a piangere... E' successo qualcosa, per caso? Mamma e papà hanno ripreso a discutere?- chiese di nuovo Benedetta, apprensiva. La rossa si alzò, agguantando il plaid e dirigendosi verso le scale.

-No- tuonò di nuovo, secca.

-Aspetta... Un'ultima cosa. Chi è la Roberta di cui parlavi nel sonno? Della Corte?-

Chiara si gelò sul posto, sentendo una lacrima premerle per uscire. Ingoiò a vuoto, sentendo una nausea prenderle la bocca dello stomaco.

-Lasciami stare, ti prego, non mi va di parlarne- singhiozzo, scappando su per le scale e fiondandosi nella sua camera.

Quella notte nessuna delle due riuscì a prendere sonno.

                                                                                             ***

 La mattina successiva Chiara e Benedetta scesero a colazione più tardi del solito, una con gli occhi arrossati dal pianto e l'altra con il viso cereo di chi non trova pace, tanto che Margaret dovette chiamarle tre volte, ricordando alla figlia minore che quella mattina aveva la scuola.

 -Ben, mi accompagni tu, vero?- chiese la rossa alla sorella maggiore mentre addentava una toast con la marmellata. L'altra annuì complice, probabilmente con l'intenzione di strapparle qualche informazione su ciò che era successo la notte precedente in cambio.

Dopo essersi coperte a dovere le occhiaie con una quantità industriale di fondotinta, uscirono di casa salutando la madre e rivolgendosi occhiate preoccupate.

-Ora mi dici ieri sera che ti è successo?- domandò per l'ennesima volta Benedetta, voltando a sinistra e imboccando la strada che portava direttamente al centro del paese.

-Ho sognato Roberta... stasera c'è la sua festa di compleanno e lei mi ha invitata. Insomma, ho passato tutto il giorno a pensare a che scusa inventare per sgattaiolare fuori casa alle nove di stasera ed evitare Carmen, visto che sia mamma sia lei non vogliono assolutamente che io abbia a che fare con Della Corte, forse è per questo che ho fatto quell'incubo- spiegò velocemente Chiara, raccontandole una mezza verità e tralasciando l'ambigua parte in cui la baciava. Lo stomaco si contorse di piacere a quel pensiero. Baciare le sue labbra, almeno in sogno, le aveva dato una scarica di adrenalina pazzesca. Ma ancora non era il momento di fare quella chiacchierata con sè stessa riguardo al loro rapporto e ai suoi nuovi sentimenti. Un problema alla volta.

-Quindi siete diventate amiche- le sorrise Benedetta, tirando un sospiro di sollievo. Lei annuì e continuò a parlare.

-E se tu mi coprissi? Tanto lo sai che sono una ragazza responsabile e bla bla bla. Puoi dire a mamma che andiamo a farci un giro al cinema o dove vuoi, poi mi lasci a casa sua e alle undici e mezzo giuro che torniamo a casa sane e salve- si illuminò Chiara, sentendole il cuore scoppiarle in petto al solo pensiero di dover vedere Roberta a scuola. Benedetta scoppiò a ridere.

-Sei proprio una piccola peste, io a sedici anni non ero così diabolica! Giuro, non ho mai fatto nulla di nascosto, raccontavo alla mamma ogni cosa... Ma va bene, ci sto. Solo promettimi di stare attenta, okay?-

-Promesso. Grazie, Ben, sei la migliore- si allungò per dare un bacio sulla guancia alla sorella e, una volta che ebbero sostato davanti al liceo, scendere e dirigersi a passo frenetico verso l'entrata.

Appena entrata in classe, fu fulminata dalla visione di Roberta che, evidentemente, si era resa ancora più bella per l'occasione e rimase imbambolata a fissarla. Era bastata una sola sera, anzi, solo tre o quattro ore, per farle schiarire le idee. Non era Riccardo che voleva. Decisamente.

 

 

                                                                                                       ***

 

 Nel pieno della sua riflessione, stesa a pancia in su sul letto e con la testa lievemente sotto sopra, Chiara cercava di reprimere l’istinto ti mandare un messaggio a Roberta, stropicciandosi fra le mani il biglietto col suo numero che aveva lasciato qualche sera prima. Sentiva in sangue formicolarle nelle orecchie da almeno due minuti, ma non era decisa ad raddrizzarsi da quella posizione decisamente poco salutare. Starsene così, come fluttuando, la aiutava a svuotare la testa di pensieri. E di immagini. Soprattutto di immagini. Immagini di Roberta che le sorrideva dall’altro lato della classe, con quel suo sorriso bianco e naturale e perfet- “Basta!” si intimò, digrignando i denti per la frustrazione e stringendo i pugni dal nervosismo. Era circa mezz’ora che si crogiolava in quello stato semi-comatoso, nella sua mente si alternavano ora la chioma color ebano e la roca voce strascicata di Roberta, ora il ciuffo di capelli biondi e la voce morbida e scherzosa di Riccardo. Le domande le affollavano la testa e reclamavano attenzione come tanti piccoli picchi che le battevano le tempie esauste col loro becco aguzzo.

"Benedetta ha ragione, Riccardo è il tuo migliore amico. Punto! Devi solo dirglielo chiaramente e... concentrarti su altri fronti" pensò fra sè, massaggiandosi le tempie una volta tornata in posizione eretta. Guardò l'orologio e si accorse che erano già le otto. Sarebbe stato meglio muoversi se non voleva fare tardi alla festa. Nascose ben bene il libro che aveva regalato a Roberta nella borsa, un'edizione illustrata di "Lo Hobbit" che aveva trovato nella libreria del Signor Lovati, fece per dirigersi in bagno per spazzolarsi i capelli e indossare il delizioso abitino blu notte che Benedetta le aveva prestato, ma a metà strada tornò indietro e afferrò il cellulare.

Si fece coraggio e compose il messaggio.

"Non vedo l'ora di essere lì" inviò e, col cuore in gola dall'emozione, cominciò a prepararsi.

  
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