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Autore: Vegeta_Sutcliffe    09/12/2012    2 recensioni
Non era per tutti la libertà.
L’universo si basava sulla dura legge della supremazia: c’erano i sottomessi e c’erano i sottomettenti.
La sua onnipotenza ignorava, sottovalutava volutamente la forza dei Saiyan. Troppo superiore lui, troppo bestiali loro, troppo stupidi loro.
Solo il popolo saiyan poteva ancora obbedire a una corona venduta e credere in un futuro riscatto dell’erede al trono, anche quando era impossibile confondere la realtà con la speranza.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Freezer, Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Barbare scimmie prive di quell’intelletto che gli gonfiava il petto. Solo animali che, eccitati dal sangue, combattevano senza senso per la pura brama di menar le mani e di sentirsi signori della morte.
Che idiozie!
La sua praticità sapeva, temeva la rivalità di quelle scimmie antropomorfe. Il loro potenziale, la loro rissosità, la loro pazzia per e nella guerra e l’animo di ribelli, amanti della libertà.
Giusta la loro insofferenza verso quel collare troppo stretto e quel bastone che li percuoteva anche quando agivano nell’interesse del padrone: essenziale! Senza uno scopo, senza un obiettivo si perdeva quello stimolo bruciante che rende invincibili agli altri.
Giusta la causa della loro ribellione, ma sbagliati loro. La libertà era un alto principio, un astratto concetto dalla connotazione non ben precisa, un privilegio che doveva essere concesso solo a chi se lo meritava.
E, ovviamente, meritevoli di tale grazia potevano essere solo coloro i quali pensavano e ragionavano.
Non era per tutti la libertà.
L’universo si basava sulla dura legge della supremazia: c’erano i sottomessi e c’erano i sottomettenti.
La sua onnipotenza ignorava, sottovalutava volutamente la forza dei Saiyan. Troppo superiore lui, troppo bestiali loro, troppo stupidi loro.
Solo il popolo saiyan poteva ancora obbedire a una corona venduta e credere in un futuro riscatto dell’erede al trono, anche quando era impossibile confondere la realtà con la speranza.
Zarbon con zelo stava riempiendo due calici di cristallo con la bevanda rossa e profumata, accompagnando ogni suo movimento con grazia ed eleganza, come usava solitamente.
Era una presenza discreta, agile e di poco disturbo.  Un ottimo aiuto, un ottimo soldato, un ottimo consigliere, ma era troppo obbediente.
La porta metallica si aprì con un leggero sbuffo e Dodoria si inchinò con tutta la sua mole. Era una fortuna che usasse stare di spalle alla porta per osservare il cielo: si risparmiava certe turpitudini.
“Signore, il principe è arrivato.”
Non c’era bisogno di pronunciare il nome. Non doveva essere pronunciato quel nome.
Quel bambino era il suo personale gioiello e il suo gioiello non doveva essere denominato con il nome di un essere inferiore. Non tollerava il nome Vegeta e non tollerava il titolo di principe dei Saiyan. Troppo costrittivo, troppo riduttivo.
“Uscite entrambi dalla stanza e fatelo accomodare.” Zarbon appoggiò la pregiata caraffa sul tavolino e, piegandosi avanti, salutò il suo signore prima di eseguire gli ordini.
L’universo conosceva Freezer. Freezer era il padrone. E i padroni comandavano non obbedivano.
Il principe entrò nella stanza e si sedette su una poltrona, senza cerimonie né eleganze nei saluti.
Era stanco ed era appena tornato da una missione. Aveva avuto solo il tempo di lavarsi lo scempio del sangue degli indegni sul suo corpo e poi era stato chiamato da Freezer.
A Freezer interessava il profitto. Quando era in riunione con il re del pianeta Vegeta, si interessava solo ai nuovi possedimenti, alle nuove ricchezze, ai nuovi schiavi. I soldati morti sul campo per la sua cupidigia non gli importavano, non gli importava nemmeno la goliardia dei vivi che si vantavano di essere immortali.
‘Com è andata?’ Questa era la frase standard e asettica con cui soleva rivolgersi al sovrano. Diffidava delle sue capacità.
“Ti sei divertito?” Il principe non poteva fallire. Era un assioma matematico che egli non avrebbe commesso errori. Era troppo orgoglioso per tornare da fallito.
“Mmmh.” Incrociò le braccia e fissò lo stesso punto che stava fissando l’altro. Freezer osservava sempre lo spazio, le stelle i pianeti e non riusciva a capire perché.
Erano belli, avevano una strana forza attrattiva, ma dopo un po’ lo annoiavano. Visto una stella, viste tutte le altre.
“Mio tesoro, vieni un attimo qui. Voglio farti vedere una cosa.” Era curioso, l’ammetteva.
Si alzò e lo affiancò. Quell’oblò inquadrava il suo pianeta. Solamente il suo pianeta. Non c’erano stelle nè satelliti né l’infinità del cielo. Solo un pianeta rosso, all’apparenza sterile.
“Che cosa vedi?”
Alzò un sopracciglio scettico e pensò alla risposta. Freezer non era stupido e non avrebbe mai potuto fare domande stupide. Ma la semplicità e l’ovvietà di quella l’avevano spiazzato.
“Il pianeta Vegeta.”
Gli mise una mano tra i capelli e glieli scompigliò paterno.
“Io vedo tutti i vinti che tremano al solo pensiero del mio nome, vedo tutti quelli che anche se non comando, obbediscono ai miei ordini.”
I saiyan erano conosciuti come i signori della morte. Che importanza aveva quel titolo? La loro leggenda veniva narrata negli inferi e ricordata da cadaveri imputriditi. Solo loro potevano essere tanto idioti da auspicare a questa sorte. Ovunque andavano essi lasciavano terra bruciata, desolazione e morte.
Lui viveva la vita. E in quel frangente il potere più grande si aveva a controllare la vita, la memoria.
Il potere la gloria erano per sempre. Non erano loro piaceri caduchi, caduchi erano i viventi e le loro esistenze.
L’eternità esisteva, ma gli uomini non potevano averla.
“I forti possono scegliere quello che vogliono essere.”
Il principe aveva lo sguardo perso nel vuoto e il cervello che si districava nel tutto.
Andò al tavolino e prese in mano i due bicchieri. I saiyan avevano conquistato il pianeta di Saise e il loro re era stato gentilmente invitato al cospetto di Freezer per sancire la loro annessione al suo spropositato impero.
In quei calici c’era il sangue del sovrano dei vinti. Morto per tenere in vita lui.
“Signore della morte o dio della vita?”
Non tradiva nessuno. Lui era solo e non apparteneva a un popolo, apparteneva a sé stesso.
L’unica eternità che l’uomo poteva avere era quella che gli altri decidevano di dargli.
Lui sarebbe morto, ma l’impero sarebbe continuato, se affidato a chi avrebbe saputo comandarlo.
Zarbon era fedele e leale e non gli avrebbe mai affidato il suo potere. Zarbon era fatto per obbedire non per comandare.
“Secondo te?” Il principe gli strappò il calice dalle mani e lo tracannò, gettandolo poi alle sue spalle.
Ci avrebbe pensato Dodoria a pulire.
Freezer scoppiò a ridere. Forse neanche il suo stesso seme avrebbe potuto dargli tanta soddisfazione.
I saiyan si sarebbero estinti. I signori della morte non avevano importanza nella vita.
I saiyan sarebbero scomparsi dall’universo e il colpevole non sarebbe stato lui.
Si abbassò e schiuse le sue labbra sulla fronte del bambino. “Quanto ti amo, figlio mio”.
E tra i capelli neri del principe si perse un diabolico sorriso di vittoria.



Tutto l’universo era suo, ma era abitato dagli altri.
Amava quell’unico posto suo e solamente suo, dove l’ingresso era vietato ai comuni, dove nessun aveva mai messo piede…nessuno tranne uno.
Entrò senza annunciarsi con un qualsiasi rumore e senza porgerli nessun tipo di saluto. Si buttò a peso morto sul morbido materasso e affondò la testa tra i morbidi guanciali.
Quel letto era esagerato per chiunque, soprattutto per chi non aveva un bisogno vitale di dormire. Ma aveva imparato che Freezer era grande in tutto: nei controsensi e nelle apparenze.
Se non ci si sente grandi, non lo si è veramente, perché l’uomo è il critico più severo per sé stesso.
“Grande Freezer sono qui solamente per voi.” Calcò l’aggettivo ‘grande’ con grande ironia.
Grande Freezer. I suoi sudditi usavano quella formula per celebrare la sua magnificenza, la sua grandiosità; quel ragazzino spocchioso lo scherniva per la sua statura.
Curvò le nere labbra con orgoglio e si girò a guardarlo in faccia.
Quel bambino adorante era cresciuto, diventando un uomo arrogante e convinto.
“Quale onore, mio principe.” Rispose con lo stesso tono.
Fece ondeggiare il vino nel bicchiere e poi vi bagnò la lingua, assaporando quelle note  fruttate.
Era senza armatura. Quel giorno non aveva voglia di farsi vedere. Tanto un dio c’è anche quando non c’è.
“Non è usanza offrire qualcosa agli ospiti?” Perché l’aveva fatto venire, se non intendeva calcolarlo?
Vegeta aveva perso la pazienza, man mano che aveva trovato i piaceri nelle donne e nel potere.
Tutto e subito. Era la sua abitudine, era la loro abitudine.
Si avvicinò al proprio letto e versò il contenuto del bicchiere, direttamente nella bocca del principe già aperta.
Quel ragazzo era viziato. Lo sapeva, l’aveva viziato lui.
“Quindi, mio principe, come va la congiura? Hai trovato qualcuno pronto a morire per te?”
Scattò a sedere e lo guardò negli occhi, con uno sguardo allegro e sornione.
“Mi ha molto stupito questa scoperta, ma molti dei tuoi sudditi ti sono veramente fedeli.”
“Al contrario di te.”
“Non sono un tuo suddito.”
La fedeltà era una virtù che il potere non poteva e non doveva avere. Bisognava avere fede in qualcosa di più grande e chi era al potere era quel qualcosa di più grande.
I sudditi erano fedeli, perché non credevano in loro stessi, perché avevano l’ovvia conoscenza di un qualcuno a loro superiore.
“Chi sei, dunque?”
 Forse Vegeta era l’unico chi in un oceano di cose. Tutti erano cose, non persone per Freezer.
“Che domande fai, papino?” Aveva una voce suadente e cattiva e perfetta e un sorriso, che gli tagliava la faccia, suadente e cattivo e perfetto.
 Essere chiamato padre da Vegeta era stata la soddisfazione più grande che avesse avuto sui Saiyan. Il ragazzo aveva rinnegato il suo vero padre per riconoscere come unico genitore il potere ambizioso.
“E allora non ha motivo questa tua voglia di spodestarmi a tutti i costi. Una volta che io morirò, tutto questo sarà tuo, figlio mio.” Si chinò in avanti e appoggiò le sue labbra sul sorriso del principe.
Quel bambino senza voglia, era diventato, una volta scoperto il sesso, un uomo compiaciuto e appagato.
Ricambiò il bacio con trasporto e senza turbamento. Succhiò avido la sua bocca e gli morse la lingua che invano cercava di violare la sua cavità orale.
“Ci stai troppo a morire, papà.”
Era risaputo che Vegeta cospirasse contro di lui. Era ovvio: l’aveva sempre immaginato, l’aveva sempre sperato.
Solo un vero re non aveva patria, né origini. Un re era solo un re e non poteva essere schiavo.
Vegeta era re, ma non poteva ancora dimostrarlo. Sopra di lui c’era ancora Freezer e lui non avrebbe potuto trovare mai un modo per spodestarlo.
L’impero di Freezer un giorno sarebbe stato l’impero di Vegeta senza alcun dubbio, ma questo non turbava il tiranno, anzi lo rallegrava.
Non aveva paura del Principe. Il principe era superiore agli altri, ma così terribilmente inferiore a lui.
E dubitava che la situazione sarebbe cambiata.
Alla sua morte gli sarebbe succeduto Vegeta e lui non sarebbe mai morto: la vita eterna esisteva, la vita eterna era Vegeta.
Il principe gli morse il lobo dell’orecchio e lo succhiò.
“Devo andare. Io a differenza tua lavoro, padre mio.” Aveva un insultante senso dell’umorismo quel ragazzo. “Quanto ti amo, figlio mio.”



Perché? Perché aveva deciso di tradirlo? Quel bastardo sapeva quanta era la sua brama di diventare immortale!
Non aveva mai avuto paura di Vegeta, ma aveva paura di perdere il suo desiderio. Un drago che poteva donargli la vita eterna? E chi ci avrebbe mai creduto?
Avrebbe regnato per sempre, sarebbe stato dio per sempre senza bisogno di terze parti. E Vegeta, come sempre, sarebbe stato per sempre al suo fianco.
Ma quel figlio di puttana aveva deciso che al suo fianco ci sarebbero dovuti stare l’alterigia e la pazzia e si era messo contro il nemico sbagliato.
“Vegeta- quasi mai aveva usato il suo nome e, quando lo usava, era per esprimere il suo profondo disprezzo- mi hai profondamente deluso.”
Il ragazzo era di fronte a lui con il sorriso amaro della quasi vittoria e l’incoscienza della baldanzosa giovinezza. Dietro di lui quelle fecce terrestri e quel moccioso verde.
“Hai ancora la possibilità di scegliere: Morto signore della morte o figlio mio?” ringhiò tra i denti.
Stava abbracciando il suicidio, ma preferiva morire che avere il potere non per merito suo. Non voleva esistere all’ombra di Freezer, lui sarebbe dovuto essere Freezer.
E l’impazienza della gioventù l’aveva convinto a cercare l’immortalità pur di vedere morto l’altro. Sarebbe morto prima o poi, ma non aveva voglia di aspettare.
Dei Saiyan gli importava poco o nulla. Lui era Vegeta e non aveva radici e non aveva genitori fatti di carne.
Sua madre era la gloria, suo padre era l’orgoglio. La guerra era lui.
“Io sono il principe dei Saiyan.”






Buona Domenica gente!
Bene, questa era una vaga ideuzza nella mia testa da circa una settimana e non ho non potuto scriverla e pubblicarla.
Chi mi conosce sa che amo Vegeta e sa che amo Freezer e sa che li amo assieme. <3 <3
Ho sempre immaginato il loro rapporto mooolto sfaccettato e malato, ma la vera verità è che forse malata ci sono io. Malata e visionaria. xD
Spero di non essere caduta nell’OOC e di non aver reso tutto molto superficiale.
Ringrazio tutti coloro che la leggeranno, che non si schiferanno e che eviteranno di linciarmi. xD
Buona giornata a tutti! :DDD


  
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