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Autore: Marty_Winchester    09/12/2012    2 recensioni
Jessica è una donna forte e sicura, ma dentro di sè è segnata da un profondo e misterioso dolore. Non si affeziona a nessuno: "tutti, prima o poi, muoiono"
Un giorno incontra un uomo in un bar, dolce e affascinante, bevono e finisco a letto insieme. Successivamente scoprirà il suo nome: Dean.
L'amore può far soffrire, ma vivere senza affetto è come esser già morti
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Sangue. Dolore. Sangue. Dolore. Sangue. Dolore.

I minuti sono scanditi dal battito del mio cuore; ogni secondo che passa dalle mie ferite fuoriesce un tessuto connettivo fondamentale alla sopravvivenza: il sangue.

Non ricordo cosa c’era prima, il mio unico ricordo è il dolore, tanto dolore.

Ogni respiro diventa sempre più difficoltoso, mi basterebbe poco per mollare e in poco tempo annullerei ogni sofferenza, ma qualcosa che non riesco a identificare mi spinge a non cedere alla stanchezza.

«Jessica»

Una voce, che al mio corpo sembra familiare, ma alla mente no, mi chiama con rilevante preoccupazione.

«Jessica, mio dio, svegliati!»


Il mio corpo reagisce a quella richiesta.
Aprire gli occhi è difficoltoso, ma alla fine riesco e mi trovo a specchiarmi in un paio di occhi splendenti come gli smeraldi.

«Ciao tesoro! Ti libero subito, resisti»

Mi trovo al centro di una stanza, debolmente illuminata; davanti a me ci sono due uomini, molto affascinanti: uno alto e muscoloso, l’altro ha occhi magnetici, capelli lucenti e labbra seducenti. Sfiora la mia mano per slegarmi i polsi e la mia pelle si incendia, ma è una sensazione bellissima dopo tanta sofferenza.

Davanti agli occhi mi passano delle immagini, dei ricordi, delle emozioni molto intense.

«Ecco»

Mormora, appena mi ha liberato dalla corda che mi teneva inchiodata a una sedia, vecchia e imbrattata di rosso. Cerco di appoggiare un piede per terra, ma appena ci provo un dolore lancinante mi sale fino alla rotula. Tiro un urlo intenso che riecheggia nel silenzio quasi assoluto della casa, ricado pesantemente sulla sedia e mi appoggio le mani sulla gamba dolorante: qualcuno mi ha fratturato la tibia. Mi sale un conato, ma il dolore per la rottura della gamba lo fa passare in secondo piano.

«Chiunque sia stato, pagherà»

La voce dell’uomo muscoloso è dura, quasi di pietra.

«Vieni, piano»

Appena l’uomo dagli occhi magnetici appoggia le sue mani sul mio corpo, mi tornano alla mente altre informazioni, troppe tutte insieme.

«Dean»

Mormoro, la mia voce è appena un sussurro, prima di perdere i sensi.

 

***

Non c’è dolore, non ci sono ansie o paure. So perfettamente di non essere morta, sono sotto l’effetto di qualche antidolorifico: mi è successo tante volte.
Avevo dieci anni quando un demone uccise la mia famiglia, da allora ho avuto a che fare con mostri, sovrannaturali e umani, che mi hanno fatto sperare con tutta me stessa che fosse vera la frase “Dio è morto”.
Quando quel demone si introdusse in casa mia, segnò la fine della mia infanzia. Sono dovuta crescere molto in fretta, in dieci minuti circa.
Avevo chiamato la polizia, due agenti erano arrivati, ma qualcosa di strano era successo: i corpi insanguinati e dilaniati dei miei genitori erano scomparsi. Mi avrebbero domandato il motivo della mia chiamata, ma come potevo spiegare quello che era successo?
Non mi fecero domande, invece; prima che me ne rendessi conto, mi ritrovai in terra, uno di loro era sopra di me e l’altro faceva un filmato. Stava per stuprarmi, ma una luce accecante ci circondò e quando tutto torno nella semioscurità, ero rimasta sola. Presi le mie cose e scappai. Andai a stare da uno zio di famiglia che mi accolse senza fare domande, lui era un cacciatore: mi insegnò tutto ciò che c’è da sapere e a soli undici anni cacciavo, molto spesso da sola. Era un ubriacone, ho rischiato l’osso del collo un trilione di volte, ma almeno avevo un tetto sulla testa e cibo caldo nello stomaco.

Riprendo coscienza in maniera fulminea. I ricordi del mio passato bruciano, come se fossero marchiati a fuoco sulla mia retina. Mi ritrovo catapultata in una stanza dalle pareti bianche, anonime, tutto in questa stanza trasmette sterilità.

«Jessica!»

Dean mi abbraccia, stare tra le sue rassicuranti braccia fa diminuire l’adrenalina che ho in circolo. Dopo un tempo infinitamente breve, ci sciogliamo dall’abbraccio e l’ansia torna ad avvolgermi, più stretta di una morsa.

«Dean, che è successo? Perché sono qui? Non, non posso… io, io devo andare via. È importante, devo fare una cosa, Dean io…»

Inizio ad agitarmi, così Dean è costretto a tenermi ferma o rischio di strapparmi i punti e la flebo.

«Hey, calmati. È tutto apposto»

«No! Niente è apposto! Lasciami andare, devo fare una cosa: è importante!»
 

Nella stanza entra un medico, seguito da un paio di infermiere.

Mi iniettano qualcosa, ben presto inizio a sentirmi debole, ho le palpebre pesanti e tutto diventa scuro.

 

L’incoscienza non dura molto questa volta; quando apro gli occhi, mi trovo davanti due uomini che non ho mai visto. Uno ha occhi di un colore indefinito, capelli castani pettinati all’indietro e un sorrisetto stampato in volto. L’altro ha profondi occhi blu, capelli mori e un trench a coprirli il fisico magro e asciutto.

«Chi siete voi? Che cosa volete?»

Mi ritraggo con espressione terrorizzata: sono ancora sotto shock.

«Quindi non ti ricordi quello che è successo in quella casa?»

«è tutto confuso…»

«Allora dobbiamo ripresentarci: io sono Gabriele, l’arcangelo, e questo è Castiel, il mio… definiamo socio»

 

**angolo dell'autrice**
scusate il ritardo >.<
allora, che ne pensate? Alla prossima!

   
 
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