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Autore: _yulen_    09/12/2012    1 recensioni
Era tempo che volevo fare una FF su CoD ma per un motivo o per l'altro ho sempre rimandato perchè non avevo l'ispirazione. Poi mi sono resa conto che il CoD non si vedono quasi mai ragazze e quindi ho deciso di inserirne una io anche perchè secondo me è una cosa ingiusta U__U
Fine della Terza Guerra Mondiale, Praga. Una ragazza, ex spia e ora Spetsnaz, è in giro per la città alla ricerca di sopravvissuti e si imbatte nel corpo quasi senza vita di un soldato.
Una nuova guerra all'orizzonte e un'altro nemico da affrontare. Sembra che per la Task Force 141, alla quale poi si aggiungerà anche la stessa ragazza, la pace non sia destinata a durare molto e anche il mondo, guarda il sole sorgere all'alba di una nuova guerra.
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Un incubo spezzò il mio sonno, decisi di alzarmi per verificare le condizioni del ferito, ma come mi affacciai alla luce naturale che entrava dalla finestra, fui costretta a coprirmi gli occhi.
Andavo peggiorando e avevo lasciato i miei occhiali a Prace, mi avvicinai alla branda cercando di tenere gli occhi aperti.
Osservai attentamente il corpo immobile e poi alzai la maglia, notai che la fascia era intrisa di sangue, la tolsi e la mia preoccupazione si fece più intensa quando vidi che la ferita si stava infettando, se non fossi riuscita a ripulirla e a curarla del tutto sarebbe morto.
-Price!-chiamai a gran voce.
Vidi l’uomo apparire da una porticina che dava su un’altra stanza e quando incrociò il suo sguardo con il mio preoccupato, si avvicinò velocemente.
-La  situazione sta peggiorando, la ferita si sta infettando velocemente-dissi aprendo con i denti una busta per prendere delle garze.
-Che devo fare?-chiese preoccupato.
-Bhè, come minimo tenere pulita la ferita-dissi passandogli le garze e allontanandomi.
-E tu dove vai?-
-A prendere una cosa in infermeria-risposi uscendo dalla stanza.
Sbuffai mentre percorrevo il corridoio, sarebbe morto, ne ero sicura, eppure lui nonostante quella brutta ferita, nonostante il dolore, stava lottando.
Sapevo come si sentiva perché anche io provai la stesse sue sensazioni. Quando mi spararono a bruciapelo, sapevo di morire ma speravo ugualmente che fosse tutto un brutto sogno, la pelle mi bruciava e il sangue stava colorando di rosso la neve fresca sotto di me, il dolore era insopportabile. Mi sono sentita pervadere da una stanchezza acuta, avevo sonno ma sapevo che non potevo chiudere gli occhi altrimenti non li avrei più riaperti, in quei pochi istanti, ripercorsi in poco tempo tutta la mia vita e non era stata un granché.
Mi scossi per cacciare via quei ricordi ed entrai in una stanza, presi alcuni barattoli da un cassetto e poi tornai in armeria.
Appoggiai tutto quello che avevo su un tavolo, presi alcune garze e le bagnai con del disinfettante per poi passarle sul bordo della ferita. Dovetti premere un po’ più forte e questo causò smorfie di dolore e scatti che non mi agevolavano il lavoro, sapevo che faceva male ma se continuava così, ci avrei messo più tempo, presi una siringa e gli somministrai altra morfina.
-Tenetelo fermo-dissi guardando Price e Nikolai girandomi per prendere ago e filo.
Infilai l’ago nella pelle e facendo rapidi movimenti come se dovessi riparare un maglione scucito, richiusi la ferita. Mi girai per prendere un piccolo barattolo.
Price mi guardò ancora più incuriosito, fece per dire qualcosa ma lo fermai per tempo.
-Polvere cicatrizzante antibiotica-risposi spargendola sopra la ferita. -Dovrebbe funzionare ma non ha effetto immediato-continuai fasciandolo nuovamente.
Mi allontanai per prendere il mio fucile e uscire.
-Vado a dare un’occhiata in giro-avvisai prima di sparire completamente.
A dire il vero, avevo bisogno di stare con me stessa. Tornai alla sala computer sperando che funzionassero ancora e che ci fosse un collegamento a internet, volevo sapere le ultime novità ma visto che la sfortuna mi perseguitava, fui costretta a cercare il generatore per ripristinare la corrente e sperare che la centrale elettrica non fosse stata abbattuta.
Ripresi la cartina e la guardai nuovamente, ancora un po’ e avrei imparato a memoria la nuova disposizione delle stanze.
Scesi le scale e percorsi un corridoio che sembrava non volesse finire mai, sbottai quando inciampai su alcune macerie.
Diedi un’altra rapida occhiata alla cartina ed entrai in una stanza, l’unica forse a essere ancora in buono stato, accesi la torcia e guardai in giro fino a che il mio sguardo si posò sul generatore, lo azionai e tornai in sala computer.  Avevo risolto il problema della corrente, ma non quello del collegamento a internet, per quello fui costretta a forzare non so quanti server. Stando bene attenta a non lasciare scoperta la fascia del server che stavo usando io, riuscii a stabilire un collegamento.
A parte piccole guerriglie, nel mondo sembrava essere tornata la pace. Tirai un respiro di sollievo, speravo davvero che fosse tutto finito, eppure c’era qualcosa che non mi convinceva molto, chiamiamolo pure intuito femminile ma io non mi sentivo tranquilla.
I membri della 141 non erano più dei ricercati, il presidente Vorshevsky, dopo che fu salvato dalla miniera in Siberia e tornò in Russia, raccontò tutti gli avvenimenti e diede il via al trattato di pace. Almeno loro potevano girare tranquilli senza il rischio di essere uccisi.
Gettai la testa all’indietro e mi rialzai per andare a fare un giro della città.
Odiavo quel posto, segnava il mio cambiamento da ragazza spensierata che credeva che ci fosse del buono in ogni persona, a stronza, fredda e insensibile.
Ero ingenua a credere che nel profondo di qualsiasi essere vivente ci fosse un briciolo di umanità, le persone tradiscono e io me ne accorsi troppo tardi per poter salvare chi mi era vicino, questo non me perdonerò mai. Mi sono sentita responsabile allora, e continuo a farlo anche adesso.
Se io mi trovavo a San Pietroburgo a curare un soldato mezzo morto e pregare che nessun’altro sapesse che io mi trovavo lì, era solo colpa mia. Cercai di incolpare Makarov per quello che mi era successo, ma se avessi scelto una vita più normale, un lavoro più normale, non mi sarei ritrovata in quella situazione che dire merda, era davvero poco.
Mi odiavo perché sapevo che la vita che vivevo era tutta una menzogna, a partire dal mio nome, Selena era il nome di mia madre, era di origine greca. Io non sono mai stata in Grecia ed è una vergogna. Dopo che fui costretta a cambiare identità, decisi di scegliere il nome di mia madre conscia del fatto che per chi mi cercava sarebbe stato facile ritrovarmi, ma quel nome mi faceva sentire meno la sua mancanza.
Non mi accorsi nemmeno di essermi addentrata troppo in città, era meglio sparire, mi voltai e tornai verso la caserma. 

   
 
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