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Autore: AriiiC_    09/12/2012    10 recensioni
Finnick Odair aveva quattordici anni, un bel visetto e tanta paura.
Voleva solo tornare nel suo Distretto Quattro sano e salvo.
Non uccidere.
Finnick avrebbe voluto solo un altro giorno per giocare con Tess nella grande villa sul mare degli Odair. Avrebbe speso un po' del tempo per un'ultima nuotata o una notte sulla spiaggia. Avrebbe costruito una rete e portato a casa la cena come faceva di solito. Avrebbe solo voluto che uno di quegli armadi in prima fila gridasse "Mi offro volontario!", come ogni anno. Ma nessuno lo fece, e Finnick rimase in piedi su quel palco, calcolando quante probabilità avesse di tornare.
Poi, Finnick pianse.
Perchè Finnick era solo un bambino che aveva paura.
[Dal secondo capitolo]
Finnick non aveva scampo, non più.
Finnick aveva voglia di scappare, di correre.
Finnick aveva voglia di urlare al mondo che tutto ciò era ingiusto.
Finnick li voleva condannare.
Finnick voleva essere a casa; voleva morire per tornare vicino al mare in una cassa di legno sporca.
Ma Finnick non si mosse: semplicemente, tacque.
Assaporò ogni respiro preparandosi a quella che sarebbe potuta diventare la fine.
E che gli Hunger Games abbiano inizio, caro Finnick Odair.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Finnick Odair
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter six:
No light in your bright blue eyes.


 



 Penso sia doveroso un punto di vista diverso per spiegare al meglio gli avvenimenti dello scorso capitolo.
Capirete quando torno a Finnick.
Buona lettura :3

 

 

 Il piccolo Zeph tremava nel suo nascondiglio spoglio: una buca con solo delle foglie a coprirlo. La sera non era certo calda, neppure tiepida, e la tuta era leggerissima. Come essere nudo. Se i suoi alleati – o meglio dire ex alleati – avessero voluto ucciderlo, non ci sarebbe stato assolutamente niente a fermarli. L’unica cosa in grado di salvarlo era un aiuto, un qualche capitolino ricco che avesse provato compassione per il povero favorito tredicenne. Tutto ciò di cui aveva bisogno era un qualcosa da bruciare, dato che aveva già raccolto un paio di pietre da sfregare per mandare tutto in fiamme. Pregò silenziosamente che Enobaria sapesse cosa fare, nonostante era noto che non fosse chi sa quale genio. E s’addormentò con ancora le lacrime agli occhi. Fece freddo quella notte, sentì come se la terra tremasse. Sapeva che, se l’avrebbero voluto ammazzare, sarebbe dovuto essere ben sveglio. Così si costrinse a non pensarci: sarebbe arrivato alla sua fine a testa alta, abbracciandola e convivendoci. Ma ancora non era il momento. O almeno, questo fu ciò che lo cullò in un sonno senza sogni, così che non fossero incubi.
 Il sole timido dell’alba fece capolino anche per lui. I suoi occhi ci misero un po’ ad abituarsi alla luce fioca ma non troppo di quel cielo che pareva bruciare. Forse moriva dalla voglia di vedere fuoco, o forse quella fu solo una sua impressione. Decise di alzarsi senza un vero perché. Quando un paracadute argenteo arrivò col suo scampanellio e lo beccò in testa, si ricordò di essere nell’arena. Lo aprì e vi trovò una matassa di uno strano filo, qualcosa di simile ad una miccia. Lesse il bigliettino in allegato: “Fagli vedere quanto vali”. La calligrafia era sghemba, pendente, per niente femminile. Era stata la sua mentore a inviarlo, pareva ovvio. E, quando in fine si guardò meglio attorno, capì che non aveva fatto solo quello: ciò che al crepuscolo era niente più che un manto d’erba, ora era una foresta grande, piena di piante da far bruciare per divertimento e per la vita. Le ombre che creavano davano all’ambiente un aspetto, se possibile, ancora più spettrale di quanto già non fosse. Ma, per il bambino, era appena diventato il paradiso: finalmente quelle poche possibilità che aveva di tornare si stavano concretizzando, facendolo sorridere. Pianse un paio di lacrime - per la felicità - e ringraziò quella donna un po’ ottusa che gli aveva appena salvato la pelle. O l’aveva condannato, dipende dai punti di vista. Senza pensarci si mise a correre verso un salice. Si arrampicò agilmente fino ai rami più alti e guardò il panorama: era pieno di piante dalla corteccia morbida e dalle foglie larghe. Non come gli aghi dei pini, che per bruciare ci mettono un’eternità: solo una piccola scintilla sarebbe significata un incendio di dimensioni bibliche. Tutto perché qualcuno aveva scommesso su di lui. Piccolo e indifeso Zeph, mingherlino e senza armi da maneggiare se non la sua conoscenza in fatto di fiamme. Sorridendo al mondo, si mosse tra le chiome dei vari alberi srotolandola bobina attento a farla passare bene tra i rami, in modo che tutto si accelerasse. Lui sarebbe rimasto accanto al fiume, sentendo le urla degli sciagurati che sarebbero bruciati vivi a causa sua. Non sapeva se fosse splendido o semplicemente orrendo: non era mai capitato che scottasse qualcuno – a parte suo fratello Cato che si divertiva a prenderlo in giro, nonostante in casa fosse lui il maggiore, ovviamente – perciò non capiva come avrebbe potuto reagire: urla disperate, lacrime o semplicemente ghigni diabolici. Avrebbe riso mentre guardava Junior morire, forse? O sarebbe stato il contrario? Non lo sapeva, ma conosceva bene la regola del Carpe diem, cogli l’attimo in qualche strana lingua antica. E quello era il suo attimo, pronto a diventare qualcosa di mostruosamente grande. Sfregò rapido le due pietre, e la miccia s’infiammò, rendendo i salici prima verdi scuri e poi rossi. Si gettò rapido in acqua, mentre osservava il suo sogno di gloria prendere forma. Piano iniziò a risalire il fiumiciattolo controcorrente, per sbucare nel lago vicino alla Cornucopia, dove il rigagnolo sfociava. Pensava. Se niente fosse andato storto, allora avrebbe avuto salva la pelle. Altrimenti il suo compagno dell’1 non avrebbe avuto scrupoli e l’avrebbe fatto chiedere venia per ore, prima di dargli il colpo di grazia o prima che, semplicemente, fosse morto a causa delle ferite o del dissanguamento. Il letto del torrente era alto, il ragazzino era bagnato solo fino alla vita. Non sarebbe stata una buona via di fuga, dato che non permetteva di dare bracciate per nuotare o di muovere mesto le gambe per correre. Sentì il calore blandire l’erba accanto alla sua spalla, e sorrise beato mentre i favoriti stavano sicuramente scappando dalla sua trappola. Aveva corso intorno alla Cornucopia, in modo che tutto prendesse fuoco, stritolandoli nella sua morsa bollente. Lo stagno che stava attorno al corno d’oro non era lontano. Il tredicenne si abbassò ulteriormente in modo che solo la testa facesse capolino. Tutto era calmo, in un primo momento. Poi il caos. Junior corse fuori dalla foresta seguito dalle ragazze del 2 e del 4. Diamine, non era riuscito a farli bruciare vivi. Ma qualcosa di positivo c’era: il Figlio del Mare e la ragazza albina non s’erano ancora fatti vivi. Zeph sentì una morsa stringergli lo stomaco, a quel pensiero. In fondo, loro erano stati gli unici a non penalizzarlo per la sua giovane età e a non condannarlo per la sua paura. Inoltre Finnick aveva solo un anno in più di lui. Non sapeva esattamente cosa sperare: se fossero stati tutti interi, ci sarebbero stati due tributi in più da uccidere per tornare a casa. Se fossero morti, non se lo sarebbe perdonato. Eppure, in cuor suo, sperava di non vederli uscire dal folto, per non vedersi costretto ad ammazzarli in un’altra occasione. – In fondo, - pensò. – crederanno che questo sia stato solo un tiro mancino degli strateghi. – 


 

×
 

 - Corri, Kae, forza! Corri! –urlò il quattordicenne a squarciagola. La ragazza era caduta sbattendo il naso contro una pietra. Aveva le labbra – quelle che un secondo prima il giovane Odair stava per baciare – tinte dal sangue che continuava a perdere. Non riusciva ad alzarsi. – Kae, avanti, so che puoi farcela! –
 Ma Kae non ce la faceva. Guardò, con le lacrime che minacciavano pericolosamente di scendere dai suoi occhi vitrei, il ragazzo, facendogli cenno con la mano di andare al sicuro senza di lei. – Finnick, salvati! Non pensare a me! – Quelle parole fecero più male del previsto. Come poteva lasciarla lì, ora che tutto sembrava prendere la giusta piega tra loro? Sarebbe morta, come l’avrebbe fatto lui – in cuor suo, lo sapeva – ma non era questo il momento, e soprattutto non perché aveva preferito salvarsi la vita piuttosto che aiutarla. E poi, in realtà, la ragazza albina avrebbe anche potuto vincere: era bella, tanto bella e capace di fare tutto. Di combattere. Di uccidere. In un attimo le gambe del biondo si fermarono e fece dietrofront, incontro al fuoco. Tutto, per lei. Le arrivò accanto fulmineo, la prese in braccio ed iniziò a scappare. Fortunatamente il tragitto era breve e lui forte e veloce, nonostante il “peso” sulle braccia poco muscolose. Quando la lanciò nel laghetto per farle disinfettare la ferita, gli si lanciò al collo baciandogli la guancia.
 Ne era decisamente valsa la pena. E poi, lo sguardo del Rosso era uno spettacolo più unico che raro. Finnick avrebbe riso volentieri, alla vista del gigante del Distretto 1 geloso perché il quattordicenne gli aveva rubato la scena, salvando la sua “amata” – non l’aveva mai detto esplicitamente, ma era chiaro che la ragazzina piacesse ad entrambi. Questo avrebbe tranquillamente potuto portare il diciottenne ad ucciderlo nel sonno. Ma l’ira di Kae non sarebbe stata una cosa contenibile, quindi sapeva che non lo avrebbe fatto.
 - Come ti senti? –le chiese, con tono amorevole. Non sapeva dove avesse trovato quella voce che pareva appartenergli così poco, ma gli piacque. Così come parve piacere a lei.
 - Meglio, grazie. E grazie anche per essere tornato indietro. Ti devo la vita. –
 Junior esplose in una risata tanto glaciale quanto sprezzate, da far gelare il sangue nelle vene. In meno di un secondo quattro paia di occhi – cinque, se contiamo l’infiltrato ancora nascosto nel fiume - furono puntati su di lui, che continuò a ridere, imperterrito. Era evidente che voleva essere sentito, per una volta al centro dell’attenzione. Li guardò con sguardo assassino, prima di tuonare un: - Niente di meglio da dire, ragazza? – 
 Provò a non darlo a vedere, ma quella risposta così inaspettata le fece male davvero. Si alzò, uscendo mesta dall’acqua con il naso ancora sanguinante. Dovette mettersi in punta di piedi per guardare meglio il ragazzo, e ancora non arrivò all’altezza dei suoi occhi. Si avvicinò pericolosamente a lui prima di sussurrare: - Problemi, per caso? Ci tengo a ricordarti che la mia vita sentimentale non ti riguarda. –
 Le guance del destinatario della domanda diventarono dello stesso colore della sua chioma. Stava per lanciarle un’altra frecciatina, quando il suo sguardo si scontrò con quello azzurro ghiaccio del tredicenne nascosto nel fiume. Nulla importò più, mentre Zeph cercava di scappare nell’acqua, dando bracciate disperate e Junior corse verso di lui costeggiando il ruscello.  Tutti si voltarono un secondo attoniti senza capire che stesse accadendo, quando lo raggiunse e lo sollevò per la chioma scura, divincolante e piangente.
 - Jun, Jun, lasciami Jun! Ti prego… -disse tra le lacrime.
 - Tu mi preghi? –quasi sembrava divertito. – Vigliacco che non sei altro! Avevi paura. Ci hai abbandonato per poi farci bruciare vivi? –
 Nella mente di Finnick i pezzi non si collegarono fino a che Junior non pronunciò quella frase. Il ragazzino che si divertiva a dare fuoco ad oggetti a caso al centro d’addestramento. Gli alberi apparsi nel bel mezzo della notte. Il terrore sul suo viso e il fatto che li stesse pregando per farlo tornare nel loro gruppo, anche solo come pedina. Per un attimo, si immedesimò in lui: si vide scappare, si vide escogitare un piano per ammazzarli tutti. Si vide morto. Vide tutto il dolore che avrebbe provato Zeph.
 - Alliyah, Mary, portatemi tutti i tipi di lame che abbiamo all’accampamento. Qui c’è da divertirsi. – guardò il corpicino implorante del tributo del Distretto 2 con una luce sadica negli occhi neri.
 Come obbedienti soldatini di piombo, tornarono dal ragazzo dopo pochi minuti con una schiera di coltelli, lance e spade che sarebbero bastati per un esercito. Per prima cosa, usarono quattro pugnali per impalarlo al terreno, facendogli trapassare le sue mani e i suoi piedi. Urlò. Kae era combattuta, così come il Figlio del Mare. Se non avessero assistito alla tortura, gli avrebbero dato dei codardi. Se l’avessero fatto, avrebbero avuto incubi su quel corpo senza vita fino a che il paradiso non li avrebbe accolti. Lei lo abbracciò mentre il coltello recideva la tempia di quello che era stato uno splendido viso, ora dilaniato dalla rabbia e dalla cattiveria di quei ragazzi. Solo l’interno del Corno d’Oro pareva un posto sicuro. Il ragazzo sollevò la sedicenne da terra, portandola in braccio fin dove non  avrebbero più visto nulla. Le lacrime le arrossarono gli occhi, mentre le grida del tributo si facevano ora più forti ora più deboli. Alle volte si sentivano parole, suppliche strillate al cielo. – Vigliacco. – era la risposta più nitida e frequente. – Non riesci neppure ad andare incontro alla fine a testa alta. –
 Risate. Non di quelle che era capitato di sentire la sera, o quando si trovava del cibo e non si doveva attingere alle scorte. Risate di quelle che ti fanno rizzare i capelli in testa e venire la pelle d’oca. Risate di assassini che bramano nel vedere la loro vittima chiedere perdono per non si sa quale peccato. La ragazza albina si strinse sempre di più a Finnick, fin quasi a strozzarlo. – Scusa. – mormorò con le guance calde. La sua risposta, fu un semplice bacio sulla fronte.
 Ci vollero ore – che parvero giorni ai due Favoriti rintanati nella Cornucopia – prima che il cannone sparasse. Uscirono dal loro nascondiglio trovando gli alleati gongolanti.
 - E’ morto. –sentenziarono, come se qualcuno avesse dubbi. Non era semplicemente morto: tutto ciò che rimaneva di lui era un ammasso di pelle informe, privo di ogni tipo di organo. Le ossa in vista e gli occhi aperti. Li aveva guardati in volto mentre traeva l’ultimo respiro. Rendevano quello spettacolo ancora più raccapricciante. Mentre il fuoco bruciava ancora gli alberi, un hovercraft si decise a raccogliere quello scempio. Cato, il fratellino del defunto, piangendo davanti alla televisione giurò vendetta.
 Quando qualcuno si degnò di spegnere il tutto, rimase semplicemente cenere nera pronta a volare via col primo alito di vento. Nera come i capelli del bambino appena strappato al mondo. Nera come i ricordi che gli avevano annebbiato la mente. Nera come la morte, ma non come il sangue.
 Perché, il sangue, è rosso.



 










 My (little) spacee:
 Eccomi quaaa!
 Sinceramente, penso che questo sia il meglio riuscito dei miei obrobri :3
 Ma devo ringraziarvi! Sono al TERZO posto nella classifica del sito per la media più alta di parole per recensione! (': Diciamo che mi piacerebbe continuaste a scrivermi pareri taaaaaaaaaaanto lunghi, anche magari dicendomi che avete mangiato per cena e come è stato preparato (?)
 Sapete cosa? 
 Voglio dire GRAZIE anche ai 10 (10, gente, mica pochi!) che mi hanno messo nei preferiti, agli 8 nelle seguite e ai 2 nelle ricordate!
 Opss D:
 Zeph è morto, xoxo♥
 E nel prossimo ci sarà un altro avvenimento sconvolgente D: (Spoooooooooooooiler! :D)
 Ora che sto iniziando a dire cavolate!
 Recensite in tantiiiii miei ancilli! (?)
 Un bascio e a presto♥
 Ariii, Jared, Shannon, Tomo e Marshall♥




 ps. chiedo scusa a tutti gli autoi incazzati a cui non ho ancora recensito la storia. E' un periodo che sono occupatissima, ma mi impegnerò per farcela!

  
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