Questa storia è basata
sul testo -e la musica, anche e soprattutto- di
"Marrakesh Night Market", Loreena McKennitt. E sul
mio amore per il Vicino Oriente antico...
E' la prima che scrivo per la writing community "Daisuki"
-ed apre quindi la mia raccolta "Aenigma", che
conterrà le dieci storie sulle opere delle CLAMP che
mi sono impegnata a scrivere. Il mio set di temi e
info sulla raccoltina? Li trovate
qui.
Ne approfitto per invitarvi a dare un'occhiata (e
magari iscriversi, chissà!^^) a questa nuova
iniziativa a tema CLAMP, che promette di regalarci
un sacco di altre belle storie sui personaggi delle
Quattro!
Tema scelto: (#48) 01.
I got lost in the sounds
Non aveva mai visto nulla del genere.
Aveva visitato tanti posti, in tante terre si era
fermato, ma non aveva mai visto tenere un mercato di
notte.
Il viaggio di ritorno era stato lungo, e quando con
suo padre avevano scorto la capitale tra le dune il
sole stava già tramontando. Eppure dalla città,
anche a quella distanza, arrivavano ancora rumori e
accenni di musiche, ventate di fumi e profumi che
non aveva mai sentito, e con il calare delle tenebre
la notte, invece di farsi scura, si era accesa
laggiù di luci, fiaccole sulle mura, sui ballatoi
del palazzo.
E quando erano arrivati, erano rimasti a bocca
aperta alla vista di una città sveglia e gremita
come a mezzogiorno. Le strade, incorniciate da
lampade e piccoli fuochi, erano scomparse dietro
file di bancarelle, sotto i tappeti distesi sul
selciato dai venditori. E l’aria era piena di suoni,
risate, di odori e di voci, sembrava che proprio
nessuno avesse voglia di andare a dormire, quella
notte.
--They're gathered in circles, the lamps light their
faces
The crescent moon rocks in the sky
The poets of drumming keep heartbeats suspended
The smoke swirls up and then it dies—
“Papà… cosa si festeggia oggi?”
Fujitaka mosse qualche passo, guardandosi attorno
stranito, e poi si fermò in mezzo alla via. “Non
capisco… non lo so proprio. Eppure non siamo ancora
al solstizio… che altro potrebbe essere?”
Shaoran provò anche lui a ricordarsi di qualche
festività del Regno di Clow, anche se una cosa così
strana come un mercato notturno non l’aveva mai
sentita. Percorrendo con gli occhi le bancarelle e
le luci, si avvicinò a suo padre. Ma, evidentemente,
quella di fermarsi in mezzo alla strada non era
stata una grande idea: un uomo barbuto, con un
grande involto in spalla, li spintonò per piazzarsi
al lato del marciapiede e srotolare a terra il suo
fagotto, che risultò contenere gioielli –e a quel
punto un sacco di donne si radunarono da ogni parte.
“Shaoran!”
Accidenti, in quell’invasione inattesa aveva perso
di vista suo padre… cercò di passare attraverso la
ressa, ma era troppo piccolo per far sentire i suoi
“permesso” tra tutta quella confusione, non vedeva a
un palmo dal suo naso e si guadagnò solo una bella
collezione di pestate e gomitate. In più, Fujitaka,
quando era riuscito a scorgerlo dall’altra parte
della strada, era già stato preso d’assalto da una
donna che offriva dei dolci da una cassetta.
“Shaoran!” gli gridò ancora, mentre tentava di dire
di no alla venditrice. “Fai il giro largo, ci
vediamo a casa!” Si sbracciò con ampi gesti per
farglielo capire; poi, ripensandoci, aggiunse:
“Oppure fatti una passeggiata! A dopo!”
E lì scomparve definitivamente alla vista del
ragazzo. Con un sospiro, Shaoran si rassegnò: gli
conveniva allontanarsi da quell’assembramento e
tornare verso le mura per prendere l’altra via.
Tutta quella gente… era davvero troppa, rifletté
mentre camminava, non sembrava solo la popolazione
della capitale, ma certamente l’evento aveva
attirato anche gli abitanti dei villaggi vicini.
Qualunque cosa fosse, quell’evento…
Ecco. Qualunque cosa fosse…gli aveva bloccato la
strada. Il viale era stato trasformato nel punto di
ristoro della festa: uomini e donne, seduti su
cuscini in piccoli cerchi, mangiavano e
chiacchieravano alla luce delle fiaccole. Il baccano
era indescrivibile: tra chi chiamava, chi cantava e
chi rideva forte… a Shaoran stava già venendo mal di
testa. E non poteva passare di là. Stava per
mettersi a sbuffare, ma poi invece inspirò
profondamente e si guardò intorno. Il chiarore delle
fiamme, l’allegria sui volti della gente, e tutti
quei profumi di cose buone… era tutto così… bello.
Non c’era nessun motivo di perdere la pazienza.
Bastava infilarsi nella festa, e prima o poi sarebbe
riuscito a tornare a casa.
Scelse una direzione e si fece strada attraverso il
mercato, pensando che intanto poteva provare a
capire cosa stesse succedendo. Cercò di afferrare
qualcosa dalle chiacchiere delle persone, ma erano
tutti così impegnati, così allegri ed euforici, che
si vergognava quasi a chiedere perché fossero lì
–d’accordo, era una stupidaggine, ma s’immaginava
che si sarebbero tutti immobilizzati di botto e
l’avrebbero guardato ad occhi sgranati, o gli
avrebbero riso in faccia. E poi c’erano le grida dei
mercanti, e il fumo, che saliva dalle fiaccole e
dagli incensieri, a rendere tutto vibrante e
confuso; da qualche parte, qualcuno stava suonando
dei tamburi –forse erano più persone, perché i ritmi
s’intrecciavano tra di loro, ora densi e fitti, ora
lenti come la malinconia, facevano fermare per un
attimo il respiro, per poi riprendere in slanci
d’esaltazione.
I banchi della merce erano diversi dai soliti, notò:
niente frutta e verdura dai giardini del palazzo, ma
ovunque facevano bella mostra di sé oggetti strani,
che non si erano mai visti in quel paese, prodotti
esotici o incredibilmente raffinati, e tra tutte
quelle meraviglie occhieggiavano i volti stranieri
dei venditori.
Shaoran si rese presto conto di essersi perso nella
sua stessa città. Le case rotonde erano più o meno
tutte uguali, ed era difficile distinguere quella
del fabbro o quella della bambinaia nel buio e alla
luce vacillante dei fuochi. Anche le strade
sembravano tutte uguali e tutte diverse da come le
ricordava, non riusciva proprio ad orientarsi.
E poi c’erano quei profumi, densi da appannare la
vista e da far girare per un istante la testa. A
volte le grida di mercanti e clienti impegnati nelle
contrattazioni lo stordivano, a volte invece era
qualcosa che vedeva esposto a distrarlo, una
curiosità o un ricordo. Voci lo chiamavano, stralci
di canzoni dalle piazze, e in qualche angolo si
raccoglievano a ballare al suono dei tamburi
danzatrici cariche di gioielli, dagli occhi a
mandorla così scuri da mettergli addosso uno
sconosciuto imbarazzo.
Alzò la testa per cercare di vedere a che distanza
si trovava dal palazzo. I suoi occhi incontrarono i
torrioni, poi i pinnacoli, e infine la falce della
luna, che sembrava sorridere dall’alto del cielo.
--The stories are woven and fortunes are told
The truth is measured by the weight of your gold
The magic lies scattered on rugs on the ground
Faith is conjured in the night market's sound—
Si accorse così di essersi allontanato troppo, e
provò a tornare indietro prendendo una strada
laterale. Scansò un cerchio di uomini seduti a
parlare, ma quando li ebbe superati si voltò un
attimo indietro, un po’ perché aveva colto un
profumo che non sentiva da tempo –tè alla menta,
avrebbe potuto giurarci…- un po’ perché aveva
sentito qualche frase…
“I venditori non hanno mai avuto tante cose belle
come quest’anno…”
“Vero. Dovevi vedere mia moglie da quant’è che li
aspettava! Contava i giorni…”
Forse si trattava di qualche festa per l’arrivo
delle carovane dal deserto, allora… del resto, se ci
ripensava, lui e suo padre non erano mai stati nel
Regno di Clow in quel periodo dell’anno, quindi non
potevano saperlo.
Sulla strada che, sperava, doveva portarlo a casa
sembravano essersi radunati banchetti di chiromanti
e indovini. Passando, carpiva brandelli di storie
incredibili –qualcuno parlava di un dragone color
dell’oro, una vecchia raccontava una leggenda sullo
spirito di una montagna che lui aveva già sentito in
un paese vicino… C’era chi dispensava consigli, e si
era formata una fila per entrare in una tenda
illuminata. Sparsi sui tappeti c’erano amuleti,
pietre colorate e oggetti bizzarri, esposti dai
mercanti venuti da lontano ma anche da quelli della
città. Shaoran pensò che in nessun posto aveva visto
un interesse così singolare e disordinato per la
magia come nel Regno di Clow. I veri maghi erano
pochi, ma si mescolavano senza problemi agli
imbonitori, e la gente ascoltava gli uni e gli
altri. Gli abitanti compravano con entusiasmo dalle
bancarelle idoli venuti da lontano così come le
immagini dei loro dei locali, era così strano…
Accoglienti e bendisposti verso tutto e tutti,
chissà in cosa credevano davvero… Ma forse era solo
che si accontentavano di quello che avevano, a loro
bastava una scintilla di magia, di curiosità, per
una notte sola.
Aveva appena deciso di accelerare il passo, forse di
mettersi anche a correre per fare più presto, quando
si fermò di botto. Aveva visto qualcosa… qualcosa di
strano… forse una specie di riflesso da una
bancarella al lato della strada.
La luce che gli aveva catturato lo sguardo proveniva
da uno specchio. Seminascosto tra un fascio di piume
d’uccello dai colori incredibili e una minacciosa
maschera d’ebano, il piccolo specchio con la cornice
di legno mandava singolari bagliori, vivi, come luci
sull’acqua.
-"Would you like my mask? Would you like my mirror?"
Cries the man in the shadowing hood
You can look at yourself, you can look at each other
You can look at the face, the face of your god-
“Volete il mio specchio, giovane signore?”
Il venditore era avvolto in un mantello col
cappuccio, e la scarsa illuminazione non faceva
vedere di lui altro che un’ombra di sorriso, ma
quando aveva parlato la sua voce si era rivelata
gentile e rassicurante. Così decise di rispondere.
“Oh, no, grazie. Ma… come mai brilla in questo modo
strano? ”
“Perché, mi chiedete? Perché questo è uno specchio
magico… uno vero, intendo.”
Shaoran trattenne una risatina –beh, avrebbe dovuto
aspettarsela, quella risposta. “Ah, sì?” chiese,
cercando di suonare comunque educato. “Magico in che
senso?”
La voce dell’uomo restò tranquilla. “In molti sensi,
direi… se ti ci guardi dentro, qualche volta ti
mostra la verità, qualche volta quello che vuoi
vedere. Altre volte solo cose incomprensibili… Ma
potete provare, se volete.”
Il ragazzo sorrise, scuotendo la testa. Pensò di
dare un’occhiata al resto della merce, tanto per non
andarsene subito e sembrare scortese, ma quando
abbassò gli occhi, il riverbero dello specchio lo
colpì di nuovo.
Sulla superficie, tra i bagliori, vide il suo volto,
un’espressione perplessa e un ciuffo un po’
spettinato. Ma quando sollevò la mano per sistemarsi
i capelli, il riflesso non lo seguì.
“Ma cosa…”
Il ragazzo sul vetro continuava a rimanere
assurdamente immobile, sbattendo solo ogni tanto le
palpebre. Non ricambiava il suo sguardo, come se
fosse perso nella contemplazione di qualcos’altro, o
non avesse la capacità di vedere. Quel ragazzo… sì,
era lui, eppure… a tratti gli sembrava molto più
piccolo, un ricordo di tempi, di sogni che aveva
quasi dimenticato, a tratti addirittura un’altra
persona, con i suoi lineamenti ed uno sguardo
sconosciuto.
All’improvviso, l’immagine alzò una mano a coprirsi
l’occhio destro, e poi si perse subito dietro una
cascata d’azzurro, spuma e bolle d’aria, e lui si
sentì precipitare con essa in verticale, giù, in una
massa compatta d’acqua… Respirare… guardare… le
bolle salivano verso l’alto, confondendo la sua
visuale, ma attorno a lui non c’era il paesaggio
marino che si era aspettato… c’era invece una
stanza, alta, dalle pareti squadrate, senza le curve
dolci delle architetture a cui era abituato. Era
tutta nera, decorata di enormi simboli che non aveva
mai visto, disposti con una meticolosità
inquietante. Ma quella scena gli sfuggiva…
continuava a cadere, e i grappoli di bolle gli
scorrevano veloci davanti agli occhi, e gli sembrava
che qualcosa gli alterasse la vista, come se tra lui
e quello che aveva intorno si frapponesse… un vetro.
Ma certo…un vetro. C’era, un vetro spesso, rotondo,
davanti a lui. La sensazione di claustrofobia, di
essere sospeso ad un’altezza vertiginosa, senza
pavimento né pareti… E dall’altra parte del
cristallo vide di nuovo… se stesso. Nei suoi
vestiti, il suo mantello verde più logoro del
solito, gli occhi disperati, batteva con i pugni
contro la superficie, e gridava, ma lui non poteva
sentirlo…
-"Would you like my mask? Would you like my mirror?"
Cries the man in the shadowing hood
You can look at yourself, you can look at each other
You can look at the face, the face of your god...-
Batteva, batteva e gridava, senza sosta, era
qualcosa di estremamente importante che stava
cercando di dirgli, eppure lui non riusciva a capire
nulla, perché non c’erano suoni. Si avvicinò, si
concentrò con tutte le sue forze nel tentativo di
cogliere il messaggio, sentiva che non c’era più
tempo… E nell’ultimo istante, nel respiro del suo
doppio che appannava il vetro, lesse sulle labbra
dell’altro una parola sola…
Sa…ku…ra.
Riemerse tutto d’un colpo dalla cascata d’acqua,
dalla visione. Si ritrovò di nuovo, senza fiato, in
mezzo ai suoni e alle chiacchiere, nella notte del
mercato, davanti al piccolo specchio e al sorriso
calmo del mercante che si delineava tra le ombre del
mantello.
“Allora? Lo comprate il mio specchio, signore?”
“No… non credo, no.” rispose, senza quasi rendersene
conto. Si guardò intorno sbattendo le palpebre,
cercando di riacquistare la presa sul mondo reale e
di disperdere quelle sensazioni da allucinazione. Il
venditore stava già mostrando a lui e a delle donne
che si erano fermate là altri oggetti, il mazzo di
piume variopinte, una clessidra piena di una strana
sabbia, quello che sembrava un sestante. Shaoran
rifiutò, ancora confuso, finché l’uomo non tirò
fuori un sottile diadema fatto di fiorellini
smaltati e qualche pendaglio, di una gentile
tonalità di rosa.
“Che… che cos’è?”
“Oh, solo un piccolo gioiello… non è molto prezioso,
ma viene da una terra lontanissima. Vedete questi
fiori? Sbocciano in primavera a decine e decine
sugli alberi, e quando soffia il vento riempiono
l’aria dei loro petali. Si chiamano fiori di
ciliegio… nella lingua di quel paese, sakura.”
Sa…ku…ra.
“Vi piace? Avete qualcuno a cui regalarlo, eh?
Sappiate che anche questo ha in sé un po’ di magia…
fa sembrare qualsiasi ragazza che lo indossi una
principessa!”
Shaoran rivolse al mercante un largo sorriso.
Contrattò un po’ il prezzo, e qualche minuto dopo
era di nuovo sulla strada di casa, con un
pacchettino tra le mani e nella mente il ricordo
della voce dello straniero. Lo smarrimento delle
immagini nello specchio era dimenticato. E lui si
sentiva felice.
Finalmente riconobbe, tra le sagome a cupola delle
abitazioni, quella della sua. E mentre si faceva
largo tra le ultime ondate di folla, in mezzo alla
gente, ai colori e ai suoni, incontrò il sorriso di
un paio di occhi verdi che avrebbe riconosciuto tra
mille.
“Eccoti! Sei arrivato!”
Il piccolo viso nascosto dentro un mantello, la
risata di gioia che intuiva anche se non poteva
vedere, e il brillare di quegli occhi… più preziosi
di qualsiasi merce esposta quella notte nelle
strade, scioglievano nella loro limpidezza il
mistero di ciò che il suo doppio aveva cercato di
dirgli in quella visione.
Sakura…
il nome di un fiore di terre remote, l’unica parola
che era riuscito ad afferrare, perché era l’unica
che avesse veramente importanza… Se avesse tenuto
per sempre il fuoco del suo cuore ancorato a quel
nome, avrebbe dissolto ogni disperazione dallo
sguardo dell’altro, di se stesso, avrebbe potuto
attraversare ogni paese e ogni mondo senza mai
smarrire la strada.
E mentre vedeva lo stupore e la felicità dipingersi
sul viso della principessa che scartava il regalo,
mentre sentiva il tintinnio del gioiello e quello
della sua risata, e arrossiva nell’improvviso
abbraccio, pensò che quell’oggetto un po’ di magia
doveva racchiuderla davvero.
Un frammento dell’infinita magia dell’universo, una
scheggia di luce che scintillava soltanto per
quell’istante, soltanto per loro. |