Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: Shu    27/06/2007    7 recensioni
Una singolare festa notturna anima la capitale del Regno di Clow quando Shaoran vi fa ritorno, questa volta... Le strade sono un mercato colmo di oggetti di terre lontane: e qualcuno di questi oggetti, forse, può racchiudere un incantesimo... Ambientata un paio d'anni prima dell'inizio di "Tsubasa".
Songfic su "Marrakesh Night Market", Loreena McKennitt.
Genere: Sovrannaturale, Mistero, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Syaoran
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è basata sul testo -e la musica, anche e soprattutto- di "Marrakesh Night Market", Loreena McKennitt. E sul mio amore per il Vicino Oriente antico...
E' la prima che scrivo per la writing community "Daisuki" -ed apre quindi la mia raccolta "Aenigma", che conterrà le dieci storie sulle opere delle CLAMP che mi sono impegnata a scrivere. Il mio set di temi e info sulla raccoltina? Li trovate qui.
Ne approfitto per invitarvi a dare un'occhiata (e magari iscriversi, chissà!^^) a questa nuova iniziativa a tema CLAMP, che promette di regalarci un sacco di altre belle storie sui personaggi delle Quattro!
 

Tema scelto: (#48) 01. I got lost in the sounds

 

 

 

 

Non aveva mai visto nulla del genere.

Aveva visitato tanti posti, in tante terre si era fermato, ma non aveva mai visto tenere un mercato di notte.

Il viaggio di ritorno era stato lungo, e quando con suo padre avevano scorto la capitale tra le dune il sole stava già tramontando. Eppure dalla città, anche a quella distanza, arrivavano ancora rumori e accenni di musiche, ventate di fumi e profumi che non aveva mai sentito, e con il calare delle tenebre la notte, invece di farsi scura, si era accesa laggiù di luci, fiaccole sulle mura, sui ballatoi del palazzo.

E quando erano arrivati, erano rimasti a bocca aperta alla vista di una città sveglia e gremita come a mezzogiorno. Le strade, incorniciate da lampade e piccoli fuochi, erano scomparse dietro file di bancarelle, sotto i tappeti distesi sul selciato dai venditori. E l’aria era piena di suoni, risate, di odori e di voci, sembrava che proprio nessuno avesse voglia di andare a dormire, quella notte.

 

--They're gathered in circles, the lamps light their faces
The crescent moon rocks in the sky
The poets of drumming keep heartbeats suspended
The smoke swirls up and then it dies—

 

“Papà… cosa si festeggia oggi?”

Fujitaka mosse qualche passo, guardandosi attorno stranito, e poi si fermò in mezzo alla via. “Non capisco… non lo so proprio. Eppure non siamo ancora al solstizio… che altro potrebbe essere?”

Shaoran provò anche lui a ricordarsi di qualche festività del Regno di Clow, anche se una cosa così strana come un mercato notturno non l’aveva mai sentita. Percorrendo con gli occhi le bancarelle e le luci, si avvicinò a suo padre. Ma, evidentemente, quella di fermarsi in mezzo alla strada non era stata una grande idea: un uomo barbuto, con un grande involto in spalla, li spintonò per piazzarsi al lato del marciapiede e srotolare a terra il suo fagotto, che risultò contenere gioielli –e a quel punto un sacco di donne si radunarono da ogni parte.

“Shaoran!”

Accidenti, in quell’invasione inattesa aveva perso di vista suo padre… cercò di passare attraverso la ressa, ma era troppo piccolo per far sentire i suoi “permesso” tra tutta quella confusione, non vedeva a un palmo dal suo naso e si guadagnò solo una bella collezione di pestate e gomitate. In più, Fujitaka, quando era riuscito a scorgerlo dall’altra parte della strada, era già stato preso d’assalto da una donna che offriva dei dolci da una cassetta.

“Shaoran!” gli gridò ancora, mentre tentava di dire di no alla venditrice. “Fai il giro largo, ci vediamo a casa!” Si sbracciò con ampi gesti per farglielo capire; poi, ripensandoci, aggiunse: “Oppure fatti una passeggiata! A dopo!”

E lì scomparve definitivamente alla vista del ragazzo. Con un sospiro, Shaoran si rassegnò: gli conveniva allontanarsi da quell’assembramento e tornare verso le mura per prendere l’altra via. Tutta quella gente… era davvero troppa, rifletté mentre camminava, non sembrava solo la popolazione della capitale, ma certamente l’evento aveva attirato anche gli abitanti dei villaggi vicini. Qualunque cosa fosse, quell’evento…

Ecco. Qualunque cosa fosse…gli aveva bloccato la strada. Il viale era stato trasformato nel punto di ristoro della festa: uomini e donne, seduti su cuscini in piccoli cerchi, mangiavano e chiacchieravano alla luce delle fiaccole. Il baccano era indescrivibile: tra chi chiamava, chi cantava e chi rideva forte… a Shaoran stava già venendo mal di testa. E non poteva passare di là. Stava per mettersi a sbuffare, ma poi invece inspirò profondamente e si guardò intorno. Il chiarore delle fiamme, l’allegria sui volti della gente, e tutti quei profumi di cose buone… era tutto così… bello. Non c’era nessun motivo di perdere la pazienza. Bastava infilarsi nella festa, e prima o poi sarebbe riuscito a tornare a casa.

Scelse una direzione e si fece strada attraverso il mercato, pensando che intanto poteva provare a capire cosa stesse succedendo. Cercò di afferrare qualcosa dalle chiacchiere delle persone, ma erano tutti così impegnati, così allegri ed euforici, che si vergognava quasi a chiedere perché fossero lì –d’accordo, era una stupidaggine, ma s’immaginava che si sarebbero tutti immobilizzati di botto e l’avrebbero guardato ad occhi sgranati, o gli avrebbero riso in faccia. E poi c’erano le grida dei mercanti, e il fumo, che saliva dalle fiaccole e dagli incensieri, a rendere tutto vibrante e confuso; da qualche parte, qualcuno stava suonando dei tamburi –forse erano più persone, perché i ritmi s’intrecciavano tra di loro, ora densi e fitti, ora lenti come la malinconia, facevano fermare per un attimo il respiro, per poi riprendere in slanci d’esaltazione.

I banchi della merce erano diversi dai soliti, notò: niente frutta e verdura dai giardini del palazzo, ma ovunque facevano bella mostra di sé oggetti strani, che non si erano mai visti in quel paese, prodotti esotici o incredibilmente raffinati, e tra tutte quelle meraviglie occhieggiavano i volti stranieri dei venditori.

Shaoran si rese presto conto di essersi perso nella sua stessa città. Le case rotonde erano più o meno tutte uguali, ed era difficile distinguere quella del fabbro o quella della bambinaia nel buio e alla luce vacillante dei fuochi. Anche le strade sembravano tutte uguali e tutte diverse da come le ricordava, non riusciva proprio ad orientarsi.

E poi c’erano quei profumi, densi da appannare la vista e da far girare per un istante la testa. A volte le grida di mercanti e clienti impegnati nelle contrattazioni lo stordivano, a volte invece era qualcosa che vedeva esposto a distrarlo, una curiosità o un ricordo. Voci lo chiamavano, stralci di canzoni dalle piazze, e in qualche angolo si raccoglievano a ballare al suono dei tamburi danzatrici cariche di gioielli, dagli occhi a mandorla così scuri da mettergli addosso uno sconosciuto imbarazzo.

Alzò la testa per cercare di vedere a che distanza si trovava dal palazzo. I suoi occhi incontrarono i torrioni, poi i pinnacoli, e infine la falce della luna, che sembrava sorridere dall’alto del cielo.

 

--The stories are woven and fortunes are told
The truth is measured by the weight of your gold
The magic lies scattered on rugs on the ground
Faith is conjured in the night market's sound—

 

Si accorse così di essersi allontanato troppo, e provò a tornare indietro prendendo una strada laterale. Scansò un cerchio di uomini seduti a parlare, ma quando li ebbe superati si voltò un attimo indietro, un po’ perché aveva colto un profumo che non sentiva da tempo –tè alla menta, avrebbe potuto giurarci…- un po’ perché aveva sentito qualche frase…

“I venditori non hanno mai avuto tante cose belle come quest’anno…”

“Vero. Dovevi vedere mia moglie da quant’è che li aspettava! Contava i giorni…”

Forse si trattava di qualche festa per l’arrivo delle carovane dal deserto, allora… del resto, se ci ripensava, lui e suo padre non erano mai stati nel Regno di Clow in quel periodo dell’anno, quindi non potevano saperlo.

Sulla strada che, sperava, doveva portarlo a casa sembravano essersi radunati banchetti di chiromanti e indovini. Passando, carpiva brandelli di storie incredibili –qualcuno parlava di un dragone color dell’oro, una vecchia raccontava una leggenda sullo spirito di una montagna che lui aveva già sentito in un paese vicino… C’era chi dispensava consigli, e si era formata una fila per entrare in una tenda illuminata. Sparsi sui tappeti c’erano amuleti, pietre colorate e oggetti bizzarri, esposti dai mercanti venuti da lontano ma anche da quelli della città. Shaoran pensò che in nessun posto aveva visto un interesse così singolare e disordinato per la magia come nel Regno di Clow. I veri maghi erano pochi, ma si mescolavano senza problemi agli imbonitori, e la gente ascoltava gli uni e gli altri. Gli abitanti compravano con entusiasmo dalle bancarelle idoli venuti da lontano così come le immagini dei loro dei locali, era così strano… Accoglienti e bendisposti verso tutto e tutti, chissà in cosa credevano davvero… Ma forse era solo che si accontentavano di quello che avevano, a loro bastava una scintilla di magia, di curiosità, per una notte sola.

Aveva appena deciso di accelerare il passo, forse di mettersi anche a correre per fare più presto, quando si fermò di botto. Aveva visto qualcosa… qualcosa di strano… forse una specie di riflesso da una bancarella al lato della strada.

La luce che gli aveva catturato lo sguardo proveniva da uno specchio. Seminascosto tra un fascio di piume d’uccello dai colori incredibili e una minacciosa maschera d’ebano, il piccolo specchio con la cornice di legno mandava singolari bagliori, vivi, come luci sull’acqua.

 

-"Would you like my mask? Would you like my mirror?"
Cries the man in the shadowing hood
You can look at yourself, you can look at each other
You can look at the face, the face of your god-

 

“Volete il mio specchio, giovane signore?”

Il venditore era avvolto in un mantello col cappuccio, e la scarsa illuminazione non faceva vedere di lui altro che un’ombra di sorriso, ma quando aveva parlato la sua voce si era rivelata gentile e rassicurante. Così decise di rispondere. “Oh, no, grazie. Ma… come mai brilla in questo modo strano? ”

“Perché, mi chiedete? Perché questo è uno specchio magico… uno vero, intendo.”

Shaoran trattenne una risatina –beh, avrebbe dovuto aspettarsela, quella risposta. “Ah, sì?” chiese, cercando di suonare comunque educato. “Magico in che senso?”

La voce dell’uomo restò tranquilla. “In molti sensi, direi… se ti ci guardi dentro, qualche volta ti mostra la verità, qualche volta quello che vuoi vedere. Altre volte solo cose incomprensibili… Ma potete provare, se volete.”

Il ragazzo sorrise, scuotendo la testa. Pensò di dare un’occhiata al resto della merce, tanto per non andarsene subito e sembrare scortese, ma quando abbassò gli occhi, il riverbero dello specchio lo colpì di nuovo.

Sulla superficie, tra i bagliori, vide il suo volto, un’espressione perplessa e un ciuffo un po’ spettinato. Ma quando sollevò la mano per sistemarsi i capelli, il riflesso non lo seguì.

“Ma cosa…”

Il ragazzo sul vetro continuava a rimanere assurdamente immobile, sbattendo solo ogni tanto le palpebre. Non ricambiava il suo sguardo, come se fosse perso nella contemplazione di qualcos’altro, o non avesse la capacità di vedere. Quel ragazzo… sì, era lui, eppure… a tratti gli sembrava molto più piccolo, un ricordo di tempi, di sogni che aveva quasi dimenticato, a tratti addirittura un’altra persona, con i suoi lineamenti ed uno sguardo sconosciuto.

All’improvviso, l’immagine alzò una mano a coprirsi l’occhio destro, e poi si perse subito dietro una cascata d’azzurro, spuma e bolle d’aria, e lui si sentì precipitare con essa in verticale, giù, in una massa compatta d’acqua… Respirare… guardare… le bolle salivano verso l’alto, confondendo la sua visuale, ma attorno a lui non c’era il paesaggio marino che si era aspettato… c’era invece una stanza, alta, dalle pareti squadrate, senza le curve dolci delle architetture a cui era abituato. Era tutta nera, decorata di enormi simboli che non aveva mai visto, disposti con una meticolosità inquietante. Ma quella scena gli sfuggiva… continuava a cadere, e i grappoli di bolle gli scorrevano veloci davanti agli occhi, e gli sembrava che qualcosa gli alterasse la vista, come se tra lui e quello che aveva intorno si frapponesse… un vetro.

Ma certo…un vetro. C’era, un vetro spesso, rotondo, davanti a lui. La sensazione di claustrofobia, di essere sospeso ad un’altezza vertiginosa, senza pavimento né pareti… E dall’altra parte del cristallo vide di nuovo… se stesso. Nei suoi vestiti, il suo mantello verde più logoro del solito, gli occhi disperati, batteva con i pugni contro la superficie, e gridava, ma lui non poteva sentirlo…

 

-"Would you like my mask? Would you like my mirror?"
Cries the man in the shadowing hood
You can look at yourself, you can look at each other
You can look at the face, the face of your god...-

 

Batteva, batteva e gridava, senza sosta, era qualcosa di estremamente importante che stava cercando di dirgli, eppure lui non riusciva a capire nulla, perché non c’erano suoni. Si avvicinò, si concentrò con tutte le sue forze nel tentativo di cogliere il messaggio, sentiva che non c’era più tempo… E nell’ultimo istante, nel respiro del suo doppio che appannava il vetro, lesse sulle labbra dell’altro una parola sola…

Sa…ku…ra.

Riemerse tutto d’un colpo dalla cascata d’acqua, dalla visione. Si ritrovò di nuovo, senza fiato, in mezzo ai suoni e alle chiacchiere, nella notte del mercato, davanti al piccolo specchio e al sorriso calmo del mercante che si delineava tra le ombre del mantello.

“Allora? Lo comprate il mio specchio, signore?”

“No… non credo, no.” rispose, senza quasi rendersene conto. Si guardò intorno sbattendo le palpebre, cercando di riacquistare la presa sul mondo reale e di disperdere quelle sensazioni da allucinazione. Il venditore stava già mostrando a lui e a delle donne che si erano fermate là altri oggetti, il mazzo di piume variopinte, una clessidra piena di una strana sabbia, quello che sembrava un sestante. Shaoran rifiutò, ancora confuso, finché l’uomo non tirò fuori un sottile diadema fatto di fiorellini smaltati e qualche pendaglio, di una gentile tonalità di rosa.

“Che… che cos’è?”

“Oh, solo un piccolo gioiello… non è molto prezioso, ma viene da una terra lontanissima. Vedete questi fiori? Sbocciano in primavera a decine e decine sugli alberi, e quando soffia il vento riempiono l’aria dei loro petali. Si chiamano fiori di ciliegio… nella lingua di quel paese, sakura.”

Sa…ku…ra.

“Vi piace? Avete qualcuno a cui regalarlo, eh? Sappiate che anche questo ha in sé un po’ di magia… fa sembrare qualsiasi ragazza che lo indossi una principessa!”

Shaoran rivolse al mercante un largo sorriso. Contrattò un po’ il prezzo, e qualche minuto dopo era di nuovo sulla strada di casa, con un pacchettino tra le mani e nella mente il ricordo della voce dello straniero. Lo smarrimento delle immagini nello specchio era dimenticato. E lui si sentiva felice.

Finalmente riconobbe, tra le sagome a cupola delle abitazioni, quella della sua. E mentre si faceva largo tra le ultime ondate di folla, in mezzo alla gente, ai colori e ai suoni, incontrò il sorriso di un paio di occhi verdi che avrebbe riconosciuto tra mille.

“Eccoti! Sei arrivato!”

Il piccolo viso nascosto dentro un mantello, la risata di gioia che intuiva anche se non poteva vedere, e il brillare di quegli occhi… più preziosi di qualsiasi merce esposta quella notte nelle strade, scioglievano nella loro limpidezza il mistero di ciò che il suo doppio aveva cercato di dirgli in quella visione.

Sakura… il nome di un fiore di terre remote, l’unica parola che era riuscito ad afferrare, perché era l’unica che avesse veramente importanza… Se avesse tenuto per sempre il fuoco del suo cuore ancorato a quel nome, avrebbe dissolto ogni disperazione dallo sguardo dell’altro, di se stesso, avrebbe potuto attraversare ogni paese e ogni mondo senza mai smarrire la strada.

E mentre vedeva lo stupore e la felicità dipingersi sul viso della principessa che scartava il regalo, mentre sentiva il tintinnio del gioiello e quello della sua risata, e arrossiva nell’improvviso abbraccio, pensò che quell’oggetto un po’ di magia doveva racchiuderla davvero.

Un frammento dell’infinita magia dell’universo, una scheggia di luce che scintillava soltanto per quell’istante, soltanto per loro.

   
 
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