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Autore: Claire Piece    10/12/2012    3 recensioni
Nell’oscurità della mia camera non me ne ero accorta, ma erano di un colore diverso da quello che avevo visto ore prima.
Ora era un vero colore, naturale.
Erano iridi rosse.
Fui capace di non spaventarmene e improvvisamente capii che nel fondo del pozzo non ci avrei trovato elementi naturali comuni, ma ci avrei trovato del sangue.
Lo vidi spostarsi lento, parlò ancora vicino e mormorando “ Ti spaventano vero?”
“No…” bisbigliai “Li trovo orrendamente pieni di verità.”
Mi riaccostai per cercare un nuovo bacio ma lui sorridendo sghembo si allontanò appena e sussurrò “ In parte hai colto nel segno. Ma tu non puoi minimamente immaginare quante verità vedano.” Mi fissò per molto, serio.
I capelli corvini e la maglia altrettanto nera, fecero risaltare come una luce quel cremisi dei suoi occhi. Li vidi iniettarsi di sangue mentre mi guardava, sembrò volermi divorare, ma forse non è questa la sensazione più giusta per dire cosa provasse e cosa volesse realmente fare in quel momento Beyond .
Continuò a fissarmi e io non abbassai lo sguardo, non avrei mai perso nemmeno un attimo di quegli occhi.
Tornò poi a parlare piano e con sofferenza tentava di trattenere un impulso irrefrenabile che lo voleva spingere a fare qualcosa, ma non capivo bene cosa. Disse sotto voce solo poche parole prima di andarsene “Povera cappuccetto rosso è finita dritta, dritta nella bocca del lupo.”

Nella vita di una ragazza senza problemi, se non quelli della sua età, appare un'improvvisa ombra che oscurerà il sole che rendeva la sua vita serena e con una positiva monotonia.
L'apparizione di un misterioso personaggio le farà cambiare idea.
Salve a tutti.
Questa è diciamo una fan fiction sperimentale.
Vorrei divertirmi ad approfondire il personaggio di Beyond Birthday e ci proverò scrivendo questa storia.
Da subito ringrazio chi leggerà e spero sia di vostro gradimento.
Genere: Dark, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beyond Birthday, L, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Come mi piacerebbe, come vorrei poter
trovare il vero amore stanotte.
Pensi che potresti
essere tu? [...]

Se ci penso con calma,
so che quello che faccio non è giusto,
ma non posso smettere di fare
ciò che amo.
Quindi uccido l’amore nella notte. [...]

Ti amo solo un po’ troppo.
Troppo, troppo, troppo.
Puoi vedermi bere la coca cola alla ciliegia,
dolce assassino.
Ho lasciato una nota d’amore,

Hai detto di essere consapevole che amo
il brivido della ressa. [...]

 

 

 

                                       ( Traduzione “Serial Killer” di Lana Del Rey )

 

                           Innesto

 

 

 

Weddy ed io facemmo ritorno verso casa e nell'auto c'era il più totale mutismo, nemmeno la donna al mio fianco si sforzò molto di parlare.

Nel attimo stesso in cui vidi le impronte delle dita di B sul mio collo, persi inconsapevolmente la parola, mi si era spento l’interruttore del cervello, e dritto, spedito al cuore, aveva arrestato anche tutte le buone sensazioni che avevo riacquistato grazie a Weddy e Abel.

Ero completamente sommersa dalla sofferenza. Esattamente quel giusto dolore, quell’intenso tormento con cui combattevo costantemente da ora mai più di un mese. Quel medesimo dolore che si sforzava di farmi notare con che fuoco stavo giocando ed io trovavo sempre più comodo soffocare quella pena così spinosa, la coprivo con la finzione di aver preso coscienza, di aver capito la mia inquietante circostanza, quando invece nel frattempo continuavo a volere tenacemente B.

A volerlo così imperfetto com’era.

Nauseata per me stessa in quell’istante ebbi perfino la voglia sfrenata di aprire la portiera dell’auto in corsa e di buttarmi fuori, sperando di tornare in dietro nel tempo, di svegliarmi nel mio letto come se niente fosse in quella fine del mese di Giugno 2002.

L aveva ragione, non doveva fidarsi di me e se aveva intenzione di usarmi come uno strumento per prendere B, allora aveva tutte le ragioni per farlo, tutte. Anche la più insulsa sarebbe valsa a dargli ogni diritto, anche se avesse voluto punirmi, per me  andava bene, me lo meritavo.

Mentre il mio riflesso sul vetro dello sportello si alternava con  giochi di luce di auto e illuminazioni esterne, ricordai di qualche minuto prima nella mia casa a Brentwood. Precisamente di quando salii le scale e andai nella mia camera a prendere una sciarpa molto leggera per coprire quel marchio che avevo stampato sulla pelle del collo. Arrivata nella mia stanza non notai nemmeno l’immobilità delle cose che avevo attorno, né di come le avessi lasciate, nel mio campo visivo c’era il nulla, vedevo solo quello che avevo davanti. Raggiunsi la cassettiera, ogni passo era come tirate chili e chili di metallo pesantissimo, gamba per gamba. Aprii il primo tiretto, estrassi il leggero rettangolo di stoffa e me lo avvolsi girandolo più volte al collo e  facendo ben attenzione a non scrutarmi nemmeno una volta allo specchio sopra la cassettiera. Se mi fossi osservata, anche solo per poco, avrei rivisto il mio sconforto e io non volevo spegnermi definitivamente.

“Io non posso amarti in questo modo?” Bisbigliai tra me e me incredula.

Ebbi quasi la sensazione di averlo davanti mentre proferivo quelle parole.

A fasi alterne continuavo ad avere quelle crisi d’incertezza!

Pensavo di aver compreso che dovevo stargli lontana, lui era l’estratto essenziale del pericolo, la goccia del veleno più letale, eppure mi attraeva in maniera immutabile. Non importava quanto maledicessi l’idea di lui, non importava che lo condannassi con delle parole come mostro o ripugnante, B era in me, e come aveva dimostrato quel biglietto che mi aveva lasciato, ad ogni suo richiamo, volente o nolente, avrei sempre risposto. Nella mia testa un flashback di immagini partì senza il mio permesso: il suo viso, i suoi occhi rubicondi che guardano il mio volto, seguono le linee delle mie guance, i miei occhi e poi arrivano alla mia bocca…le mie mani che accarezzano i suoi capelli setosi e scurissimi, scivolano sulle sue spalle robuste e tonde. Il momento in cui mi bacia…le labbra roventi di B, le sue mani non stringono il mio collo, ma lo accarezzano fino ad arrivare all’avvallamento delle mie clavicole.

Le stesse mani che avevano impugnato lame insanguinate di sangue innocente, le mani che avevano staccato arti, le mani che avevano strappato occhi.

E poi ancora nel ricordo la sua voce sospira caldaLeonor.”

Mi stava chiamando, non distinsi se nella reminiscenza o da un luogo indefinito dove il mio nome mi era arrivato via etere.

“Com’è possibile? Io non sono normale. Io non voglio più amarti. Smettila.” Mormorai di nuovo logorata dal tormento e mentre i miei nervi si sfinivano, guardai la superficie imperfetta della mochettè. Ero in cerca di una risposta plausibile, logica, che però mi era impossibile trovare. D’un tratto mi sentii osservata e vidi Abel sulla soglia della mia stanza, mi studiava fermo e timoroso.  Cominciai a veder muovere le sue labbra per parlarmi. Avvertivo la paura, non volevo la sua comprensione o compassione in quel momento, non volevo sentirmi più miserabile di quello che già ero stata e che già sapevo di essere.

Non parlarmi Abel…non farlo, perché qualsiasi cosa tu dica, è come se lo dicessi a lui. Io sono sua! Sono perduta, senza ritorno. Lo vedi! Nonostante mi riempia di incubi, continuo inspiegabilmente a volerlo! Ad amarlo perfino. Sì, ma su cosa si basa il mio amore per lui.

La bocca di Abel rimase esitante, per poi buttare via l’aria e abbandonare ogni proposito di rivolgersi a me.

Opprimente.

Mi sembrò di sentire il peso del tetto della mia  casa spingermi sulle spalle, poi lo riconobbi, era quell’alone pesante e nero, lo stesso che avvertii nel capanno in cui si rifugiava Beyond.

“Ok, siamo arrivate.” La voce di Weddy mi distolse dal ricordo che era annegato in altre memorie e mi fece sollevare il capo di scatto.

Dei leggeri brividi mi scossero la schiena e sentii il desiderio di non voler tornare nell’appartamento di mio padre. Avrei preferito seguire Weddy, non sapevo minimamente come affrontare i miei genitori, avrei preferito mille volte di più rimanere a dormire in un altro luogo sentendolo come un rifugio inespugnabile perfino per i miei.

Scombussolata chiusi gli occhi e respirando profondamente mi portai una mano tra i capelli.

Leonor? Tutto bene? Devi rimanere rilassata.” Weddy a voce bassa e molto armoniosa, mi si avvicinò un po’, prese pacatamente le mie spalle con le sue mani guantate di pelle. “Lo so, è più facile a dirsi che a farsi, ma se i tuoi iniziassero a sospettare qualcosa, i nostri piani potrebbero non andare come vorremmo.” Poi si allontanò per guardarmi bene negli occhi e finì dicendo  “ Anzi no. Deve andare come pianificato da L.”

Annuii svelta con la testa e continuai ad ascoltarla, avrei fatto di tutto pur di prolungare l’ora del mio rientro.

“E poi ho notato che sei molto brava a nascondere le cose e non lasci trasparire nessuna emozione che potrebbe tradirti. Perfino dopo quello che ti è successo hai avuto una capacità di ripresa portentosa. Prima a casa tua, se L non mi avesse avvertito che avresti potuto nasconderci qualche elemento, probabilmente me l’avresti fatta sotto il naso. Sai, hai talento. Potresti diventare un’ottima spia in futuro.” Weddy trattenne un leggero riso.

“Direi che questo è uno degli ultimi problemi a cui vorrei pensare per sta sera. Weddy, potresti dirmi che ore sono?”  Rivolgendo uno sguardo perplesso alla donna rimasi in attesa della sua risposta.

“Sono le undici in punto. Perché?” Weddy in maniera apparentemente distratta osservò l’orologio digitale che indossava al polso.

“Credo proprio che dovrai lasciami il tuo numero di telefono, ne avrò bisogno.” Dissi chiudendo gli occhi arrendevole e presumendo cosa mi avrebbe aspettato, mentre pigramente prendevo dalla tasca della mia t-shirt il  telefono cellulare.

Annotato il numero di Weddy, tastai il collo per sentire se la sciarpa fosse ben sistemata e, a malincuore, scesi svogliatamente dall'auto con Molly miagolante nel suo trasportino.

Guardai dietro l’auto di Weddy sperando di trovarci Abel con la sua Mustang, mi ero completamente dimenticata del fatto che ci eravamo salutati, anche abbastanza freddamente, davanti la mia casa a Brentwood.

Non avevo il coraggio di muovermi oltre il raggio d'azione della coupè della collaboratrice di L. Chiusi lo sportello e iniziai a camminare riluttante verso l'ingresso del palazzo, ma l’abbassarsi stridente del finestrino dell'auto di Weddy richiamò la mia attenzione.

La donna calò di poco gli occhiali da sole dagli occhi  e nonostante ciò non riuscii a vedere di che colore e di che forma li avesse. L'unica sensazione che mi rimandarono fu di una straordinaria convinzione. "Mi raccomando Leonor. Rimani calma e acqua in bocca. Chiamami se ci sono problemi, ci vediamo tra due giorni." Detto questo la donna rinfilò su gli occhiali da sole e ripartì sicura mescolandosi nel canale di auto del traffico, sparì poi in un punto lontano, nero e in seguito divenne totalmente indistinguibile.

 

Arrivata sull’uscio di casa la sensazione di rifiuto non si era affievolita, avevo il sentore che qualcosa quella sera non sarebbe andata.

Forse perché a mio padre avevo promesso che sarei tornata per cena e invece ero in ritardo di ben due ore? O forse perché gli avevo detto che sarei uscita con qualcuno che lui non conosceva minimamente e per di più potevo essere data per scomparsa dato che non rincasavo, appunto, da ben due ore?

Trascurando i particolari terrificanti di quella giornata unici, nel mio e nel genere di B, e che il ragazzo di cui ero innamorata era un killer seriale, che per di più mi aveva richiusa viva in un loculo, tutto sommato le supposizioni e domande che mi ero posta poco prima, erano la cosa più vicina ad una pseudo normalità e sarebbero potute capitare ad una qualsiasi ragazza della mia età. Solo che la mia vita stava raggiungendo la quantità più alta di bugie e recite che nessun’altra comune adolescente avrebbe potuto minimamente immaginare di poter proferire.

Ed ora era un mio preciso compito dover apparire il più naturale possibile.

Forse avrei davvero dovuto prendere in considerazione di diventare una spia un giorno.

Presi forza e inserii le chiavi nella serratura.

Entrai sentendomi come una ladra che aveva rubato e presa dal rimorso era tornata indietro nella casa saccheggiata con tanto di refurtiva,  pronta  per l’arresto e al pentimento. Nel mio caso al posto del bottino tra le mani avevo Molly.

C’era silenzio, pensai che sia la mamma, che papà non fossero ancora rincasati. Sarebbe stato un vero colpo di fortuna se fosse stato così.

Adagiai la piccola gabbia a terra e liberai subito la povera  gatta esasperata dalla prigionia e viaggio in auto. Da prima  Molly fece capolino titubante, annusando, poi appena feci per prenderla e agevolarla nell'uscita, mi graffiò la mano.

Io gemetti  un po' di dolore e la osservai stupita, sentendomi tradita dalla sua azione.

Che diavolo le era preso?! In due anni di vita insieme non mi aveva mai fatto un solo graffio, a parte nel gioco. Ora ci si metteva anche lei ad aumentare l’anormalità di quella giornata?

Guardandomi la mano, senza pensare e leggermente irritata,  mi diressi verso la cucina. Avevo la gola che doleva, così pensai di bere dell’acqua e mettere del ghiaccio sulle more che avevo sul collo.

Avvicinandomi notai la luce della cucina accesa.

All’ingresso della stanza alzai lo sguardo dalla mano e mi trovai davanti l'immagine di mia madre seduta al tavolo in struttura metallica, con le braccia incrociate, poggiate sul lucido ripiano verde pallido, aveva un'espressione nera, preoccupata, notai subito che i suoi capelli biondi erano un po’ spettinati e portati tutti all’indietro. Mio padre invece, era intento a fumare una sigaretta appoggiato pesantemente con una spalla sulla credenza crema, che lui era  solito usare come dispensa. In quella inattesa osservazione mi accorsi per la prima volta che dei fili di grigio avevano fatto la loro comparsa sul suo castano scuro. Aveva  il viso molto severo, gli occhi mansueti e bruni, venivano sovrastati dalle folte sopraciglia corrucciate che enfatizzavano il suo stato agitato.

Non provai minimamente a dire nulla, sapevo che mi stavano aspettando in pena, sapevo che le loro reazioni sarebbero state adirate e mi sarebbero rimbalzate addosso senza riuscirmi a difendere come avrei dovuto. Ed io avendo i nervi a pezzi, in quel momento ero più che vulnerabile.

"Per fortuna che saresti dovuta tornare per l'ora di cena." Mio padre si rivolse a me con fare acido e sarcastico, nel frattempo spense la sigaretta schiacciandola energicamente sul posa cenere, sembrava volesse disintegrarla insieme al tavolo sotto la pressione delle dita.

Era più che furioso.

Rimasi immobile sull’entrata della cucina limitandomi ad abbassare lo sguardo, in silenzio e desolata.

"Leo, so che questa situazione non ti va a genio, ma credimi non possiamo permetterci di fare come più ci aggrada. Lo capisci tesoro? Ne abbiamo parlato tanto a casa, anche prima di venire qui." La mamma in maniera molto composta e  controllata parlò, mentre i suoi occhi azzurro intenso la tradivano esponendo un concentrato di angoscia per me.

"Sì..sì." Balbettai abbassando il capo e massaggiandomi la mano graffiata. "Vi giuro che...e assicuro che anch'io ho paura. Talmente tanta che ho voluto portare via Molly dalla nostra casa a Brentwood." Sollevando il capo trovai il coraggio di parlare.

Mia madre chiuse gli occhi e per poco non impallidì, abbassò le testa sulle sue braccia conserte, mentre mio padre impulsivo, esplose.

"Leonor, è assurdo! Cosa sarebbe potuto accadere ad un gatto? Tu ti rendi conto che è da oggi pomeriggio che non abbiamo tue notizie? Né una chiamata? Né un messaggio? Sapevo soltanto che eri uscita con questo tuo amico A...Ab…” Mio padre preso dalla rabbia non ricordava il nome.

Così glielo imboccai io “Abel, papà.” 

“Esatto, Abel. Ma a parte questo non sapevo  nient'altro. Chi ci dice che questo tizio non sia il famoso serial killer? Eh? Non so se te lo ricordi, ma questo qualcuno potrebbe essere lo stesso che ha compiuto quell'omicidio davanti casa vostra."

Istantaneamente pensai a quanto mio padre, accecato dall'ira, stesse facendo le sue ipotesi da poliziotto poco arguto ed ebbi anch'io la mia un’ondata di rabbia.

"Lui non lo è. Te lo posso assicurare papà." Di scatto lo guardai contrariata, non riuscii a controllare la mia reazione irritata e il mio tono fu brusco. Mio padre poteva schernirmi, dirmi ciò che voleva nel modo più cattivo possibile, ma non avrei tollerato che Abel venisse spacciato per ciò che non era. Lui che aveva subito, non poteva passare per colpevole e quell’ingiustizia mi fece iniziare a perdere la calma.

"E come fai a dirlo? Hai le prove Leonor? Avanti! Mi puoi assicurare che è a posto? Leonor non bastano le buone parole per confermare una cosa del genere, me le sento dire tutti i giorni questa tipologia di affermazioni. " Mio padre mi si avvicinò ancora più nero, duro in volto e puntandomi l’indice contro. Ricambiai il suo sguardo con uno di sfida e vidi sfuggire dai suoi occhi cioccolato un’impercettibile sfumatura di preoccupazione nei miei riguardi. Sono più che sicura che qualcuno, vedendo quella tensione nervosa, non conoscendo la situazione e guardandoci dall’esterno, avrebbe pensato che si stesse preparando una vera e propria rissa.

Non ero mai arrivata fino a quel punto con papà, conobbi un lato del suo carattere che mi fece andare in bestia.

"Dawson, ti prego non esagerare. Leonor ha sbagliato e lo sa. Ora però non infierire. Anch'io ho paura per lei, per noi, ma non sarà di certo questo Abel il tipo di persona che sta sconvolgendo Los Angeles con questo caso. Non puoi vedere minacce dove non ci sono, Dawson. Non serve che tu faccia il poliziotto con tua figlia." La mamma riuscì a portare la mia attenzione su di lei e mi guardò più addolcita " Sono sicura che Leonor sa riconoscere il buono o il cattivo nelle persone e da ciò che dice, Abel è davvero un buon ragazzo." Poi piano si alzò dalla sedia, abbandonò il tavolo e venne da me, prese delicatamente la spalla di mio padre e lo guardò proseguendo autoritaria " Credo che Leo abbia capito."

Rimasi piacevolmente colpita dal controllo che cercava di mantenere mia madre, lei che di solito ha crisi di panico e isterismo per un non nulla, in quel momento si faceva forza e affrontava mio padre per placare la sua collera. Per quanto riguarda me, mi sentii come nuda di fronte le affermazioni fatte dalla mamma. Lei non poteva minimamente sapere quanto fossi millimetricamente vicina alla minaccia da cui stavano cercando di tenermi lontana.

Papà la scrutò facendosi persuadere dai suoi gesti e divincolandosi dalla leggera presa, tornò a guardare me. "Ok, va bene, ma comunque non te la lascio passare liscia Leo." Asserì accorciando insolitamente il mio nome, cercando di calmarsi e grattandosi nervosamente la testa.

Lo guardai con aria interrogativa e poco convinta "Che significa papà?"

"Significa che la prossima settimana non uscirai da questa casa." Mio padre allontanandosi da me e dalla mamma iniziò ad armeggiare con il pacchetto di sigarette che teneva poggiato sul tavolo e dove vicino c'era il suo posa cenere di plastica celestino pieno di filtri piegati.

"Cosa?!" Esclamai attonita " Papà, maledizione! No! La prossima settimana torna Jesse e ho anche i corsi di recupero a scuola!" Addussi quelle reali scuse per scampare  a quella, sebbene giustificata, assurda punizione. Iniziai a respirare agitata, sentivo che la serenità recuperata pochi secondi prima, e che dovevo conservare gelosamente per il bene di tutti, stava per scivolarmi ancora di dosso.

"Leo, tranquilla." La mamma mi tenne per un braccio evitando che mi gettassi su mio padre furiosa. Poi nel voltarsi in maniera insolitamente elegante verso papà, i suoi capelli d’oro e profumati sfiorarono appena le mie guancie e per un istante riuscii a comprendere il perché avesse deciso di rompere con mio padre.

Erano due persone su due livelli di maturità e maniere diverse, ma non me ne ero mai accorta prima di quel momento, in quella discussione. Nel vedere mia madre voltarsi risoluta mi fece capire che sapeva perfettamente come prendere in contro piede mio padre. Lei non sopportava quei suoi modi poco giusti ed agì meglio che poteva per aiutarmi.

"Dawson, il fatto che tu veda molto poco Leo e che questo ti faccia soffrire, mi dispiace. So che le vuoi bene e fai del tuo meglio per proteggerla, ma non ti da comunque il diritto di trattarla in questo modo." Mia madre con una camminata quasi oscillante si avvicinò con fare intimidatorio a mio padre.

Incredibile come riuscissi a pensare che in tutta quella situazione potesse esserci una scappatoia, un diversivo perfetto. Il fulcro della discussione e i pretesti del diverbio, stavano diventando quelli di una normalissima famiglia con divorzio.

Ebbi una fulminea illuminazione; da quel momento in poi il mio compito era quello di riuscire ad approfittarmi di quella situazione. Come mi disse Jesse alla sua festa per il diploma, avevo la possibilità di usare certe circostanze a mio favore essendo figlia di genitori separati, ma non credevo che al posto di farmi riempire di regali, avrei dovuto sfruttare quella mia particolarità per far funzionare l’ingranaggio di L. Questo era l’unico modo per preservare, sia la mamma che il papà, da quello che mi stava accadendo.

La cosa che mi sbalordii nel vivere quel dibattito, era proprio che vi stavo assistendo. Fino a quel giorno non ne ero mai stata partecipe. Quando accadeva, spesso venivo mandata in camera o fuori a giocare, leggere, facevo un qualsiasi tipo di attività ma mai nel perimetro bellico dei miei. Non avevo mai visto o vissuto il contrasto vero e proprio tra mia madre e mio padre.

"So che non ti va giù tutta questa storia, da sempre. Ora però non vedo la necessità di farla scontare a Leo. E' una situazione pericolosa. Ok. Ma non andare oltre il tuo ruolo Dawson. Impara a conoscere tua figlia prima di infliggerle certe punizioni." La mamma decisa distolse i suoi occhi vispi da papà e mi guardò continuando a parlare. "Quindi faremo un compromesso. Da oggi fino al venti quattro rimarrai a casa..." Interruppì mia madre. "Mah! Mamma, non..." Venni bloccata a mia volta da lei.

"Leo. Non lo faccio per assecondare tuo padre o per punirti. A parte il tuo ritardo, non hai fatto nulla di male, lo so che hai detto la verità. Ad ogni modo, tu, Leonor Grace White, per i prossimi giorni rimarrai qui, perché è troppo pericoloso per te uscire. Altrimenti non avrebbe avuto senso trasferirci in questo appartamento. So che non è un rimedio che risolverà questa storia, ma almeno ti terrà buona per un po’. Basta. Non c'è altro da dire in proposito."

Abbattuta accettai le parole della mamma e mi lasciai cadere le spalle, con fare teso serrai la mascella guardando altrove in un punto qualsiasi delle pareti giallo pallido della cucina.

"Ok, come volte." Guardai mio padre che se ne stava fermo in piedi davanti al tavolo, forse più avvilito di me dopo le frasi taglienti della mamma. Mi dispiacque vederlo in quel modo. Come sempre era indifeso di fronte mia madre e per di più, da come mi aveva appena accennato riguardo il caso di B, intuii che la polizia non ne stava cavando un ragno dal buco, probabilmente per lui tutta quella storia era ancora più frustrante. Avrei voluto abbracciarlo, ma orgogliosa non lo feci. Quel casino in parte me lo aveva creato lui. Voltandomi osservai la mamma che avendo battuto il martelletto e dato la sentenza con pena, aveva già iniziato ad armeggiare con la teiera per mettere a bollire dell’acqua per un tè.

Rose Summers 1 – Leonor e Dawson White 0.

Camminai verso la mia camera, da prima con un passo lento poi sempre più spedito e arrivata a destinazione mi chiusi dentro.

Quella traditrice di Molly si era già sistemata ai piedi del mio letto e mi scrutò quasi scocciata per via del fatto che dovevo averla infastidita col mio frenetico arrivo in camera. Poggiandomi di spalle alla porta pensai: Però il classico clichè adolescenziale. La mamma e il papà che ti aspettano al varco per la strigliata e conseguente punizione. Questa mi mancava. Ottima copertura, peccato che a causa della punizione mi impediranno di agire come devo per L.

Che diavolo devo fare?

Iniziai a massaggiare le tempie e cercai di spremermi le meningi, ma stremata volevo lasciare alla notte l’onore di portarmi consiglio. Ero troppo traumatizzata e furiosa per pensare in maniera razionale e decente.

Indispettosita decisi sfacciatamente di mettermi a letto, senza aver cenato, senza aver fatto una doccia, senza essermi guardata allo specchio per lenire il fastidio che sentivo sul collo. La visione di quelle impronte avrebbe alimentato il panico e messo fretta alla strategia che avrei dovuto trovare per uscire da quella casa la mattina del 22 Agosto. Inoltre sapevo già che gli occhi di B sarebbero venuti a tormentarmi pieni di lacrime, come li avevo visti l’ultima volta che li incrociai sotto le luci cremisi del suo nascondiglio e quella notte avrebbero messo a dura prova il mio sonno.

 

 

Il 21 Agosto, non avevo né la voglia, né forza di alzarmi dal letto, per di più Molly non mi era d’aiuto col suo fare le fusa e col suo accoccolarmisi vicino. La fortuna di avere un climatizzatore in casa, permette di poterti tenere sfrontatamente appiccicato il gatto in piena estate senza avere paura di perdere litri e litri d’acqua a contatto con il pelo caldo dell’animale.

Nel dormi veglia, sentendomi solleticare dalla coda di Molly, mi girai dall’altra parte, ma un fascio di luce rovente tipico di Los Angeles, riuscì a farmi imprecare una qualche forma di maledizione alla luce solare. A coronare e rendere ancora più rilassante  quell’idillio mattutino fu il suono del mio cellulare poggiato sul comodino proprio davanti a me. Il problema fu distinguere se il suono fosse per una chiamata o per un messaggio, per mia fortuna il suo disturbante trillare finì subito.

“Messaggio.” Boffonchiai con la testa ancora affondata per metà nel cuscino.

Ormai arresa all’evidenza di dovermi svegliare, mi sollevai appena e mi poggiai sui gomiti. Presi quella maledetta sveglia non autorizzata e aprii lo sportelletto per leggere la missiva.

 

Mitt: Sconosciuto.

Ieri sera avresti dovuto essere molto più accondiscendente, hai alzato troppo la cresta.

 

Sbarrai gli occhi.

“Che diavolo?” Ero confusa e improvvisamente mi sentii completamente scossa dal torpore del sonno.

Che B volesse comunicarmi dell’altro?

Però sarebbe stato poco prudente farmi avere informazioni in quel modo, avrebbero potuto rintracciarlo in qualche maniera, dato che aveva tutta la polizia di Los Angeles alle calcagna e non solo.

Mittente sconosciuto.

“Aspetta.” Mormorai chiudendo gli occhi e ributtandomi sul cuscino. “ E’ Lui.

Poi il trillo di un nuovo messaggio ricevuto.

 

Mitt: Sconosciuto.

Esatto.

Cominci a capire le differenze.

E’ un buon segno.

 

Mi soffermai a pensare che Lui  mi stesse rispondendo tramite messaggio alla mia affermazione.

Di nuovo ebbi un sentore di un sospetto.

“Cimici.” Dissi piano per non farmi sentire dai miei e per dispetto a L.

Ancora un messaggio.

 

Mitt. Sconosciuto.

Sì.

Le ho fatte installare appena ti sei trasferita da tuo padre. Ed è inutile che parli a bassa voce, sono apparecchiature altamente sensibili a qualsiasi tipo di suono. Non rispondere a questi sms, il tuo messaggio andrebbe a vuoto. Non posso restare per molto con te a parlare, quindi ti dirò come agiremo…

 

Supposi che quegli strani messaggi potessero provenire da un sistema di messaggistica più avanzato di un semplice scambio di sms, non potevo escludere che fosse anche criptato. Essere la figlia di un poliziotto apre un ventaglio più ampio di opzioni nel caso tu riceva un messaggio strano da un tizio che non conosci nemmeno. Mi domandai se non avessi un particolare propensione ad attrarre soggetti altamente pericolosi grazie alla mia sola persona. Di nuovo valutai l’attendibilità del suggerimento che mi aveva fatto Weddy la sera prima.

Aprii bocca per rispondere, il messaggio però mi  precedette mettendomi a tacere e continuò fluido.

 

…dunque, oggi te ne starai buona e farai quello che fai in una qualsiasi giornata: studia, leggi,  chiama e parla con la tua amica Jesse, fai quello che vuoi, ma non tornare mai sul discorso punizione e non parlare di e con il tuo amico Abel. I tuoi genitori potrebbero peggiorare la situazione ed io ho bisogno che tu domani sia fuori di lì.

Ti spiegherò come.

Farò in modo che sia tuo padre, che tua madre, abbiano entrambi molto lavoro da sbrigare quel giorno. Manderò da te  Weddy nel solito ruolo di agente che verrà assegnata alla tua protezione in assenza di tuo padre, quasi sicuramente lui vorrà che  qualcuno ti guardi mentre rimarrà fuori tutto il giorno, quindi farò risultare Weddy tra gli agenti del suo distretto, facendo così non si insospettirà.

Ovviamente dovrai fingere di non conoscere Weddy, per te dovrà essere come se fosse la prima volta che la incontri.

Non ho altro da dirti Leonor, a parte di fare attenzione e che posso capire che questa condizione non è delle più congeniali per te.

Questi messaggi si cancelleranno appena  scollegherò la comunicazione con te.

Leonor…

Beyond Birthday, non ti sarà mai chiaro.

 

Lessi ogni singola frase, ma l’ultima parte del messaggio di L mi fece davvero male.

Poi di nuovo parlai tra me e me “Che strano. Birthday…Beyond.” Il nome completo di B formava il singolare significato di ‘Al di là del compleanno.’

Accennai un leggero sorriso ma si fermò prima che potesse aprirsi del tutto.

“E’ così simile…” Farfugliai.

L mi teneva sotto controllo, muoveva la regia di quello spettacolo in maniera magistrale, forse anche meglio di B, non ci sarebbero stare  interruzioni e tutto si sarebbe dovuto svolgere nella sua prima e ultima esibizione quel 22 Agosto; ed io, che pensavo di essere una semplice comparsa, il personaggio nascosto per tutto il tempo nell’anonimato, dietro le quinte, mi ero improvvisamente riscoperta la protagonista.

 

 

22 Agosto 2002

 

Per tutta quella notte non avevo chiuso occhio, non lo pensai mai per paura di cedergli anche solo nel ricordo, ed ora mi trovavo ferma, alle sei del mattino  ad osservare fuori dalla mia finestra.

Il sole era sorto da più di un’ora e ancora riuscivo a percepire la frescura della notte estiva passare fluida per la finestra completamente spalancata. Le strade erano semi deserte e poco trafficate, passava di tanto in tanto qualche passante che si recava a lavoro e c'era chi ancora vagava in preda al disorientamento dopo una notte brava. Per un attimo quella passerella fatta di comparizioni sporadiche, mi ricordò la vista che c’era del marcia piede davanti la mia camera a Brentwood. Ricordai il furgoncino di fronte la casa del signor Morrison proprio il giorno in cui lo vidi per la prima volta.

Eccolo! Il cedimento. Somigliava ad una ferita costantemente aperta, che mi faceva  barcollare, inginocchiare e poi rialzare per continuare a camminare.

Percepii una sensazione di immobilità tra il mio petto e la pancia, qualcuno avrebbe potuto pensare che fossi morta in  piedi.

Sospirai e mi distrassi pensando ad altro.

Non credevo fosse così difficile interpretare una parte così importante.

Cosa sarei dovuta essere? Leonor la terrorizzata? Leonor la bugiarda? Oppure la  Leonor incosciente e innamorata?

“Credi che non lo capirò come dici?” Asserii ad alta voce.

Non so per quale motivo, ma pensai che L potesse sentirmi mentre parlavo al sole che sorgeva. Non ricevevo nessuna risposta e sentendomi ancora più insana di B nel comportarmi a quel modo, mi misi subito all’opera per prepararmi a quel giorno.

Facendo colazione il crepitio dei cereali al miele a contatto con il latte freddo, era il sottofondo della mia distratta osservazione del girovagare di mio padre e mia madre nel piccolo ambiente della cucina. Dal giorno prima non si erano minimamente rivolti la parola, a parte quando erano costretti dalle circostanze, ovvero il passarsi il succo d’arancia oppure sapere se il bagno fosse libero. Al di fuori di questo i loro contatti verbali erano cessati dalla sera della discussione.

Mi sentii amareggiata e mentre buttavo il mio sguardo sofferente sulle palline dorate nella mia ciotola.

Leo…” Mia madre mi chiamò sorridente, mi baciò la guancia e mi guardò intenerita “Tranquilla, è tutto ok.”

Mio padre invece mi sedette vicino, non mi parlò, mi apparve molto pentito e mi prese la mano stringendola forte.

Sorpresa dal loro atteggiamento pacifico, riacquistai un po' di sollievo, sentivo quasi le lacrime agli occhi ma mi trattenni e a stento dissi “Vi voglio bene.”

“Anche noi te ne vogliamo tesoro mio.” La mamma mi strinse forte al suo ventre e mio padre sfoggiò un sorriso smagliante.

La mamma mi sfiorò lievemente il collo e si spostò per osservarmi in maniera divertita e più attenta. Io pregai perché non toccasse ancora quella zona, altrimenti avrei lanciato lamenti di dolore, misti all’ansia che mi stava mettendo in quel momento.

“Leo, come mai hai su questa sciarpina al collo? Eppure fuori ci sono quasi quaranta  gradi all’ombra.” Mia madre stava per prendermi un  lembo della sciarpa ed io prontamente intervenni prima che iniziasse a indagare oltre; magari riuscendo anche a togliendomi di colpo il pezzo di stoffa dal collo e scoprendo l’orrore che avevo sotto.

“Ah, questa l’ho indossata per via del fatto che l’altro ieri avevo una raucedine dolorosissima. Ho scoperto che non mi fa bene lo sbalzo di temperatura provocato dall’aria condizionata.” Toccandomi il collo accennai un sorriso di convinzione pura.

“Già. Hai ragione, infatti avevo notato, mentre discutevamo l’altra sera, che avevi la voce un po’ rauca. Abbassa la refrigerazione del condizionatore oggi, ok?” Riabbracciandomi sorridente la mamma lasciò cadere lì la cosa e nonostante la mia solita bugia, finalmente potevo risentire quella sensazione serena dello stare con i miei genitori in quel modo e  che mi era mancata tanto, ma venne interrotta dal suono del campanello.

“Vado io. Deve essere l’agente che viene a tenerti d’occhio mentre siamo via.” Papà lasciando la mia mano, si alzò dalla tavola imbandita per la colazione e si diresse all’ingresso per aprire a Weddy.

“Che strano…effettivamente proprio oggi doveva capitare che tutte e due lavorassimo fino a tarda sera?” La mamma guardando in direzione del salone espose i suoi pensieri con aria accorta.

“Sarà sicuramente un caso mamma e poi ci sarà questo agente con me, quindi non c’è da preoccuparsi…” sorrisi leggermente e poi prendendo col cucchiaio i cereali, proseguii scherzando “ E  magari è anche il tuo tipo.”

“Leo! Sei sempre la solita, ti piace proprio prendermi in giro.” La mamma cominciò a ridere e il momento in cui vidi scoppiare la sua risata, mi fece capire che qualunque cosa fosse successa quel giorno sarei stata comunque felice, qualunque fosse stata la mia sorte.

Papà irruppe in cucina con Weddy ed io finsi interesse per la visita inattesa  “Ragazze questo è l’agente Kate Wilson e starà con te Leonor finché non rincaseremo. Kate è molto brava nel dare ripetizioni. Leo, se vuoi  ti aiuterà con la matematica.”

“ Certo. Perché no?” Dissi io guardandola appena sorridendo.

“A dirla tutta sono molto più portata per l’educazione fisica. Amo battere il tempo in velocità” Weddy sorridente mi guardò e velocemente mi fece intuire che non avevamo ancora molto tempo, ma la sua affermazione riuscì a distrarre la mamma e il papà, che rapidi osservarono l’orologio appeso sopra il piano cottura della cucina.

“Oh, diamine! Sono le otto. Adesso dobbiamo andare.” La mamma corse ad arraffare la sua borsa poggiata  su uno dei divani in salone, mentre mio padre date le disposizioni della giornata a Weddy,  uscì di casa insieme alla mamma.

Quando il chiudersi placido della porta arrivò alle nostre orecchie, Weddy sporgendosi verso il salone con prudenza, controllò che fossero davvero usciti di casa.

“Bene. Sei pronta Leonor?” Weddy tornò su di me che ero ancora seduta imbambolata, con in mano il cucchiaio immerso nella mia colazione e completamente intorpidita dal timore.

“Sì..sì. Dammi solo un secondo.” Alzandomi sgattaiolai veloce verso il soggiorno completamente luminoso e assolato.

Mancava solo mezz’ora ed io ero come  una condannata a morte. Cercavo di prendere il mio tempo per raccimolare forza e sicurezza per riuscire a salire sul patibolo.

“Leon…” Lo squillare del mio telefono cellulare arrestò  Weddy.

Sedendomi sul sofà che era di spalle alle finestre del salone, presi il telefono dal bassissimo tavolino su cui era poggiato e risposi “Pronto.”

- E’ oggi vero? – Dall’altra parte Abel mi prese di sorpresa.

“Sì.” Replicai annuendo.

- Molto bene vengo con voi. -  Disse il ragazzo determinato.

“Ma Abel non è il cas…Weddy velocemente mi strappò via il telefono dall’orecchio.

“Senti ragazzo, non possiamo permetterci ulteriori complicazioni personali nel caso. Cos…? Chi? Maledizione! ” La donna da un tono diretto passò ad uno molto teso riuscendo comunque a conservare il suo auto controllo.

Afferrai che qualcosa non andava secondo i piani.

“Ok. Tu rimani lì. Appena riusciremo a liberarci saremo da te.” Weddy innervosita riagganciò il mio telefono.

“Che succede Weddy?” Guardai la donna impensierita.

“Tuo padre sta risalendo. Non so quale sia il fottuto motivo, ma ora ci creerà parecchio ritardo. Se non fosse stato per quel moccioso là fuori, ci avrebbe beccato proprio mentre stavamo uscendo.” Weddy imbronciata incrociò le braccia al petto e si buttò sul divano di fronte a me, estrasse dalla tasca dei suoi attillatissimi jeans il cellulare e iniziò a digitare qualcosa.

Probabilmente un messaggio a L per dirgli cosa stava succedendo.

Nervosa mi diressi lesta verso la finestra del soggiorno e guardai automaticamente sul marciapiede della parte opposta al mio appartamento.

Abel era poggiato sulla vetrina della lavanderia a gettoni, sollevò appena il viso nascosto dalla sua solita t-shirt con cappuccio blu e mi fece un cenno leggero di saluto; risposi al suo salto titubante e incerta.

Il senso d’agitazione non mi aveva abbandonata dal giorno prima e quella circostanza aveva aggravato la crescita di quella sensazione.

Weddy, perché starà risalendo?” Chiesi alla donna voltandomi verso di lei.

“Non ne ho idea. Speriamo solo che vada via il prima possibile.” Weddy rispose prendendo a sfogliare distrattamente un mio libro che era poggiato lì sul sofà da più di una settimana. D’un tratto la vidi farsi attenta sentendo i rumori esterni del pianerottolo, mio padre era sul ciglio della porta e il tintinnare delle chiavi aumentò la mia tensione nervosa.

“Non devi farti vedere così. Devi fare qualcosa…Weddy in un bisbiglio mi lanciò il libro e si alzò scattante. “ Presto scambiamoci i ruoli. Tu mettiti a sedere qui e io vado  alla finestra. Forza!” Sibilò mettendosi in azione.

Prendendo al volo il libro mi precipitai  a sedere ben eretta sul divano, dando di spalle alla porta, mi appoggiai il libro sulle gambe, lo aprii e feci un respiro profondo “Ok. Andrà bene.” Dissi auto convincendomi.

Lo scatto della serratura mi fece sobbalzare, poi voltare velocemente e il movimento della porta che si apriva mi sembrò lentissimo ed i secondi che passavano in quell’azione così insulsa erano altrettanto decelerati.

Ma mai come in quell’istante pensai così tanto intensamente, che avrei dovuto raggiungerlo subito.

 

 

 

 

Ciao, ciao a tutti/e

Finalmente!

Ce l’ho fatta, perdonate la mia lentezza e ritardo nell’aggiornare la storia, ma oltre  i miei impegni di lavoro, ho dovuto concedermi un momento di ripresa e stacco dal pc, constringendomi a non poter lavorare nell’immediato sia con il disegno, che con la scrittura. Questo capitolo è frutto di elucubrazioni fatte lontana dal pc (appuntate barbaramente sull’ipod davanti al camino) e se vi sembrerà noioso o senza senso avete tutta la mia comprensione. Perdonatemi se non è proprio un gran bel capitolo, spero di rifarmi nei prossimi.

Sì, i prossimi. Perché scrivendo questo capitolo ho notato che sarebbe venuto un po’ più lunghetto di quello che mi aspettavo. Così ho proprio paura che dovrete sopportarmi per uno o due capitolo ancora -.-‘.

Vi faccio ancora le mie scuse per il ritardo.

Scrivete se dovessero venirvi delle perplessità, perché adesso come adesso, ne ho anch’io ahahahahah e non so nemmeno cosa ho creato ( parlo sotto i fumi del sonno e stanchezza da addobbo selvaggio Natalizio XD).

Detto questo vi esprimo la mia gratitudine e vi ringrazio sin da ora per le recensioni, i vostri inserimenti nelle varie sezioni preferiti, ricordati e seguiti.

Vi auguro una buon proseguimento e ci sentiamo al prossimo capitolo.

 

Baci baci KiaraAma

 

 

 

 

 

   
 
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