Come mi piacerebbe, come vorrei poter
trovare il vero amore stanotte.
Pensi che potresti
essere tu? [...]
Se ci penso con calma,
so che quello che faccio non è giusto,
ma non posso smettere di fare
ciò che amo.
Quindi uccido l’amore nella notte. [...]
Ti amo solo un po’ troppo.
Troppo, troppo, troppo.
Puoi vedermi bere la coca cola alla ciliegia,
dolce assassino.
Ho lasciato una nota d’amore,
Hai detto di essere consapevole che amo
il brivido della ressa. [...]
( Traduzione
“Serial Killer” di Lana Del Rey )
Innesto
Weddy
ed io facemmo ritorno verso casa e nell'auto c'era il più totale mutismo,
nemmeno la donna al mio fianco si sforzò molto di parlare.
Nel
attimo stesso in cui vidi le impronte delle dita di B sul mio collo, persi
inconsapevolmente la parola, mi si era spento l’interruttore del cervello, e
dritto, spedito al cuore, aveva arrestato anche tutte le buone sensazioni che
avevo riacquistato grazie a Weddy e Abel.
Ero
completamente sommersa dalla sofferenza. Esattamente quel giusto dolore,
quell’intenso tormento con cui combattevo costantemente da ora mai più di un
mese. Quel medesimo dolore che si sforzava di farmi notare con che fuoco stavo
giocando ed io trovavo sempre più comodo soffocare quella pena così spinosa, la
coprivo con la finzione di aver preso coscienza, di aver capito la mia
inquietante circostanza, quando invece nel frattempo continuavo a volere tenacemente
B.
A
volerlo così imperfetto com’era.
Nauseata
per me stessa in quell’istante ebbi perfino la voglia sfrenata di aprire la
portiera dell’auto in corsa e di buttarmi fuori, sperando di tornare in dietro
nel tempo, di svegliarmi nel mio letto come se niente fosse in quella fine del
mese di Giugno 2002.
L
aveva ragione, non doveva fidarsi di me e se aveva intenzione di usarmi come
uno strumento per prendere B, allora aveva tutte le ragioni per farlo, tutte.
Anche la più insulsa sarebbe valsa a dargli ogni diritto, anche se avesse
voluto punirmi, per me andava bene, me
lo meritavo.
Mentre
il mio riflesso sul vetro dello sportello si alternava con giochi di luce di auto e illuminazioni
esterne, ricordai di qualche minuto prima nella mia casa a Brentwood.
Precisamente di quando salii le scale e andai nella mia camera a prendere una
sciarpa molto leggera per coprire quel marchio che avevo stampato sulla pelle
del collo. Arrivata nella mia stanza non notai nemmeno l’immobilità delle cose
che avevo attorno, né di come le avessi lasciate, nel mio campo visivo c’era il
nulla, vedevo solo quello che avevo davanti. Raggiunsi la cassettiera, ogni
passo era come tirate chili e chili di metallo pesantissimo, gamba per gamba.
Aprii il primo tiretto, estrassi il leggero rettangolo di stoffa e me lo
avvolsi girandolo più volte al collo e facendo ben attenzione a non scrutarmi nemmeno
una volta allo specchio sopra la cassettiera. Se mi fossi osservata, anche solo
per poco, avrei rivisto il mio sconforto e io non volevo spegnermi
definitivamente.
“Io
non posso amarti in questo modo?” Bisbigliai tra me e me incredula.
Ebbi
quasi la sensazione di averlo davanti mentre proferivo quelle parole.
A
fasi alterne continuavo ad avere quelle crisi d’incertezza!
Pensavo
di aver compreso che dovevo stargli lontana, lui era l’estratto essenziale del
pericolo, la goccia del veleno più letale, eppure mi attraeva in maniera immutabile.
Non importava quanto maledicessi l’idea di lui, non importava che lo
condannassi con delle parole come mostro o ripugnante, B era in me, e come
aveva dimostrato quel biglietto che mi aveva lasciato, ad ogni suo richiamo,
volente o nolente, avrei sempre risposto. Nella mia testa un flashback di
immagini partì senza il mio permesso: il suo viso, i suoi occhi rubicondi che
guardano il mio volto, seguono le linee delle mie guance, i miei occhi e poi
arrivano alla mia bocca…le mie mani che accarezzano i
suoi capelli setosi e scurissimi, scivolano sulle sue spalle robuste e tonde. Il
momento in cui mi bacia…le labbra roventi di B, le
sue mani non stringono il mio collo, ma lo accarezzano fino ad arrivare
all’avvallamento delle mie clavicole.
Le
stesse mani che avevano impugnato lame insanguinate di sangue innocente, le
mani che avevano staccato arti, le mani che avevano strappato occhi.
E
poi ancora nel ricordo la sua voce sospira calda“Leonor.”
Mi
stava chiamando, non distinsi se nella reminiscenza o da un luogo indefinito
dove il mio nome mi era arrivato via etere.
“Com’è
possibile? Io non sono normale. Io non voglio più amarti. Smettila.” Mormorai
di nuovo logorata dal tormento e mentre i miei nervi si sfinivano, guardai la
superficie imperfetta della mochettè. Ero in cerca di
una risposta plausibile, logica, che però mi era impossibile trovare. D’un
tratto mi sentii osservata e vidi Abel sulla soglia della mia stanza, mi
studiava fermo e timoroso. Cominciai a
veder muovere le sue labbra per parlarmi. Avvertivo la paura, non volevo la sua
comprensione o compassione in quel momento, non volevo sentirmi più miserabile
di quello che già ero stata e che già sapevo di essere.
Non parlarmi Abel…non farlo, perché qualsiasi cosa tu dica, è come se lo
dicessi a lui. Io sono sua! Sono perduta, senza ritorno. Lo vedi! Nonostante mi
riempia di incubi, continuo inspiegabilmente a volerlo! Ad amarlo perfino. Sì,
ma su cosa si basa il mio amore per lui.
La
bocca di Abel rimase esitante, per poi buttare via l’aria e abbandonare ogni
proposito di rivolgersi a me.
Opprimente.
Mi
sembrò di sentire il peso del tetto della mia
casa spingermi sulle spalle, poi lo riconobbi, era quell’alone pesante e
nero, lo stesso che avvertii nel capanno in cui si rifugiava Beyond.
“Ok,
siamo arrivate.” La voce di Weddy mi distolse dal
ricordo che era annegato in altre memorie e mi fece sollevare il capo di
scatto.
Dei
leggeri brividi mi scossero la schiena e sentii il desiderio di non voler
tornare nell’appartamento di mio padre. Avrei preferito seguire Weddy, non sapevo minimamente come affrontare i miei
genitori, avrei preferito mille volte di più rimanere a dormire in un altro
luogo sentendolo come un rifugio inespugnabile perfino per i miei.
Scombussolata
chiusi gli occhi e respirando profondamente mi portai una mano tra i capelli.
“Leonor? Tutto bene? Devi rimanere rilassata.” Weddy a voce bassa e molto armoniosa, mi si avvicinò un
po’, prese pacatamente le mie spalle con le sue mani guantate
di pelle. “Lo so, è più facile a dirsi che a farsi, ma se i tuoi iniziassero a
sospettare qualcosa, i nostri piani potrebbero non andare come vorremmo.” Poi
si allontanò per guardarmi bene negli occhi e finì dicendo “ Anzi no. Deve andare come pianificato da L.”
Annuii
svelta con la testa e continuai ad ascoltarla, avrei fatto di tutto pur di
prolungare l’ora del mio rientro.
“E
poi ho notato che sei molto brava a nascondere le cose e non lasci trasparire
nessuna emozione che potrebbe tradirti. Perfino dopo quello che ti è successo
hai avuto una capacità di ripresa portentosa. Prima a casa tua, se L non mi
avesse avvertito che avresti potuto nasconderci qualche elemento, probabilmente
me l’avresti fatta sotto il naso. Sai, hai talento. Potresti diventare
un’ottima spia in futuro.” Weddy trattenne un leggero
riso.
“Direi
che questo è uno degli ultimi problemi a cui vorrei pensare per sta sera. Weddy, potresti dirmi che ore sono?” Rivolgendo uno sguardo perplesso alla donna
rimasi in attesa della sua risposta.
“Sono
le undici in punto. Perché?” Weddy in maniera
apparentemente distratta osservò l’orologio digitale che indossava al polso.
“Credo
proprio che dovrai lasciami il tuo numero di telefono, ne avrò bisogno.” Dissi
chiudendo gli occhi arrendevole e presumendo cosa mi avrebbe aspettato, mentre
pigramente prendevo dalla tasca della mia t-shirt il telefono cellulare.
Annotato
il numero di Weddy, tastai il collo per sentire se la
sciarpa fosse ben sistemata e, a malincuore, scesi svogliatamente dall'auto con
Molly miagolante nel suo trasportino.
Guardai
dietro l’auto di Weddy sperando di trovarci Abel con
la sua Mustang, mi ero completamente dimenticata del fatto che ci eravamo
salutati, anche abbastanza freddamente, davanti la mia casa a Brentwood.
Non
avevo il coraggio di muovermi oltre il raggio d'azione della coupè della collaboratrice di L. Chiusi lo sportello e
iniziai a camminare riluttante verso l'ingresso del palazzo, ma l’abbassarsi
stridente del finestrino dell'auto di Weddy richiamò
la mia attenzione.
La
donna calò di poco gli occhiali da sole dagli occhi e nonostante ciò non riuscii a vedere di che
colore e di che forma li avesse. L'unica sensazione che mi rimandarono fu di una
straordinaria convinzione. "Mi raccomando Leonor.
Rimani calma e acqua in bocca. Chiamami se ci sono problemi, ci vediamo tra due
giorni." Detto questo la donna rinfilò su gli occhiali da sole e ripartì
sicura mescolandosi nel canale di auto del traffico, sparì poi in un punto
lontano, nero e in seguito divenne totalmente indistinguibile.
Arrivata
sull’uscio di casa la sensazione di rifiuto non si era affievolita, avevo il
sentore che qualcosa quella sera non sarebbe andata.
Forse
perché a mio padre avevo promesso che sarei tornata per cena e invece ero in
ritardo di ben due ore? O forse perché gli avevo detto che sarei uscita con
qualcuno che lui non conosceva minimamente e per di più potevo essere data per
scomparsa dato che non rincasavo, appunto, da ben due ore?
Trascurando
i particolari terrificanti di quella giornata unici, nel mio e nel genere di B,
e che il ragazzo di cui ero innamorata era un killer seriale, che per di più mi
aveva richiusa viva in un loculo, tutto sommato le supposizioni e domande che
mi ero posta poco prima, erano la cosa più vicina ad una pseudo normalità e
sarebbero potute capitare ad una qualsiasi ragazza della mia età. Solo che la
mia vita stava raggiungendo la quantità più alta di bugie e recite che
nessun’altra comune adolescente avrebbe potuto minimamente immaginare di poter
proferire.
Ed
ora era un mio preciso compito dover apparire il più naturale possibile.
Forse
avrei davvero dovuto prendere in considerazione di diventare una spia un
giorno.
Presi
forza e inserii le chiavi nella serratura.
Entrai
sentendomi come una ladra che aveva rubato e presa dal rimorso era tornata
indietro nella casa saccheggiata con tanto di refurtiva, pronta
per l’arresto e al pentimento. Nel mio caso al posto del bottino tra le
mani avevo Molly.
C’era
silenzio, pensai che sia la mamma, che papà non fossero ancora rincasati. Sarebbe
stato un vero colpo di fortuna se fosse stato così.
Adagiai
la piccola gabbia a terra e liberai subito la povera gatta esasperata dalla prigionia e viaggio in
auto. Da prima Molly fece capolino
titubante, annusando, poi appena feci per prenderla e agevolarla nell'uscita,
mi graffiò la mano.
Io
gemetti un po' di dolore e la osservai
stupita, sentendomi tradita dalla sua azione.
Che
diavolo le era preso?! In due anni di vita insieme non mi aveva mai fatto un
solo graffio, a parte nel gioco. Ora ci si metteva anche lei ad aumentare
l’anormalità di quella giornata?
Guardandomi
la mano, senza pensare e leggermente irritata,
mi diressi verso la cucina. Avevo la gola che doleva, così pensai di
bere dell’acqua e mettere del ghiaccio sulle more che avevo sul collo.
Avvicinandomi
notai la luce della cucina accesa.
All’ingresso
della stanza alzai lo sguardo dalla mano e mi trovai davanti l'immagine di mia
madre seduta al tavolo in struttura metallica, con le braccia incrociate,
poggiate sul lucido ripiano verde pallido, aveva un'espressione nera,
preoccupata, notai subito che i suoi capelli biondi erano un po’ spettinati e
portati tutti all’indietro. Mio padre invece, era intento a fumare una
sigaretta appoggiato pesantemente con una spalla sulla credenza crema, che lui
era solito usare come dispensa. In
quella inattesa osservazione mi accorsi per la prima volta che dei fili di
grigio avevano fatto la loro comparsa sul suo castano scuro. Aveva il viso molto severo, gli occhi mansueti e
bruni, venivano sovrastati dalle folte sopraciglia corrucciate che
enfatizzavano il suo stato agitato.
Non
provai minimamente a dire nulla, sapevo che mi stavano aspettando in pena,
sapevo che le loro reazioni sarebbero state adirate e mi sarebbero rimbalzate
addosso senza riuscirmi a difendere come avrei dovuto. Ed io avendo i nervi a
pezzi, in quel momento ero più che vulnerabile.
"Per
fortuna che saresti dovuta tornare per l'ora di cena." Mio padre si
rivolse a me con fare acido e sarcastico, nel frattempo spense la sigaretta
schiacciandola energicamente sul posa cenere, sembrava volesse disintegrarla
insieme al tavolo sotto la pressione delle dita.
Era
più che furioso.
Rimasi
immobile sull’entrata della cucina limitandomi ad abbassare lo sguardo, in
silenzio e desolata.
"Leo,
so che questa situazione non ti va a genio, ma credimi non possiamo permetterci
di fare come più ci aggrada. Lo capisci tesoro? Ne abbiamo parlato tanto a
casa, anche prima di venire qui." La mamma in maniera molto composta
e controllata parlò, mentre i suoi occhi
azzurro intenso la tradivano esponendo un concentrato di angoscia per me.
"Sì..sì."
Balbettai abbassando il capo e massaggiandomi la mano graffiata. "Vi giuro
che...e assicuro che anch'io ho paura. Talmente tanta che ho voluto portare via
Molly dalla nostra casa a Brentwood." Sollevando
il capo trovai il coraggio di parlare.
Mia
madre chiuse gli occhi e per poco non impallidì, abbassò le testa sulle sue
braccia conserte, mentre mio padre impulsivo, esplose.
"Leonor, è assurdo! Cosa sarebbe potuto accadere ad un
gatto? Tu ti rendi conto che è da oggi pomeriggio che non abbiamo tue notizie?
Né una chiamata? Né un messaggio? Sapevo soltanto che eri uscita con questo tuo
amico A...Ab…” Mio padre preso dalla rabbia non
ricordava il nome.
Così
glielo imboccai io “Abel, papà.”
“Esatto,
Abel. Ma a parte questo non sapevo
nient'altro. Chi ci dice che questo tizio non sia il famoso serial
killer? Eh? Non so se te lo ricordi, ma questo qualcuno potrebbe essere lo
stesso che ha compiuto quell'omicidio davanti casa vostra."
Istantaneamente
pensai a quanto mio padre, accecato dall'ira, stesse facendo le sue ipotesi da
poliziotto poco arguto ed ebbi anch'io la mia un’ondata di rabbia.
"Lui
non lo è. Te lo posso assicurare papà." Di scatto lo guardai contrariata,
non riuscii a controllare la mia reazione irritata e il mio tono fu brusco. Mio
padre poteva schernirmi, dirmi ciò che voleva nel modo più cattivo possibile,
ma non avrei tollerato che Abel venisse spacciato per ciò che non era. Lui che
aveva subito, non poteva passare per colpevole e quell’ingiustizia mi fece
iniziare a perdere la calma.
"E
come fai a dirlo? Hai le prove Leonor? Avanti! Mi
puoi assicurare che è a posto? Leonor non bastano le
buone parole per confermare una cosa del genere, me le sento dire tutti i
giorni questa tipologia di affermazioni. " Mio padre mi si avvicinò ancora
più nero, duro in volto e puntandomi l’indice contro. Ricambiai il suo sguardo
con uno di sfida e vidi sfuggire dai suoi occhi cioccolato un’impercettibile
sfumatura di preoccupazione nei miei riguardi. Sono più che sicura che
qualcuno, vedendo quella tensione nervosa, non conoscendo la situazione e
guardandoci dall’esterno, avrebbe pensato che si stesse preparando una vera e
propria rissa.
Non
ero mai arrivata fino a quel punto con papà, conobbi un lato del suo carattere
che mi fece andare in bestia.
"Dawson,
ti prego non esagerare. Leonor ha sbagliato e lo sa.
Ora però non infierire. Anch'io ho paura per lei, per noi, ma non sarà di certo
questo Abel il tipo di persona che sta sconvolgendo Los Angeles con questo
caso. Non puoi vedere minacce dove non ci sono, Dawson. Non serve che tu faccia
il poliziotto con tua figlia." La mamma riuscì a portare la mia attenzione
su di lei e mi guardò più addolcita " Sono sicura che Leonor
sa riconoscere il buono o il cattivo nelle persone e da ciò che dice, Abel è
davvero un buon ragazzo." Poi piano si alzò dalla sedia, abbandonò il
tavolo e venne da me, prese delicatamente la spalla di mio padre e lo guardò
proseguendo autoritaria " Credo che Leo abbia capito."
Rimasi
piacevolmente colpita dal controllo che cercava di mantenere mia madre, lei che
di solito ha crisi di panico e isterismo per un non nulla, in quel momento si
faceva forza e affrontava mio padre per placare la sua collera. Per quanto
riguarda me, mi sentii come nuda di fronte le affermazioni fatte dalla mamma.
Lei non poteva minimamente sapere quanto fossi millimetricamente
vicina alla minaccia da cui stavano
cercando di tenermi lontana.
Papà
la scrutò facendosi persuadere dai suoi gesti e divincolandosi dalla leggera
presa, tornò a guardare me. "Ok, va bene, ma comunque non te la lascio
passare liscia Leo." Asserì accorciando insolitamente il mio nome,
cercando di calmarsi e grattandosi nervosamente la testa.
Lo
guardai con aria interrogativa e poco convinta "Che significa papà?"
"Significa
che la prossima settimana non uscirai da questa casa." Mio padre
allontanandosi da me e dalla mamma iniziò ad armeggiare con il pacchetto di
sigarette che teneva poggiato sul tavolo e dove vicino c'era il suo posa cenere
di plastica celestino pieno di filtri piegati.
"Cosa?!"
Esclamai attonita " Papà, maledizione! No! La prossima settimana torna Jesse e ho anche i corsi di recupero a scuola!"
Addussi quelle reali scuse per scampare
a quella, sebbene giustificata, assurda punizione. Iniziai a respirare
agitata, sentivo che la serenità recuperata pochi secondi prima, e che dovevo
conservare gelosamente per il bene di tutti, stava per scivolarmi ancora di
dosso.
"Leo,
tranquilla." La mamma mi tenne per un braccio evitando che mi gettassi su
mio padre furiosa. Poi nel voltarsi in maniera insolitamente elegante verso
papà, i suoi capelli d’oro e profumati sfiorarono appena le mie guancie e per
un istante riuscii a comprendere il perché avesse deciso di rompere con mio
padre.
Erano
due persone su due livelli di maturità e maniere diverse, ma non me ne ero mai
accorta prima di quel momento, in quella discussione. Nel vedere mia madre
voltarsi risoluta mi fece capire che sapeva perfettamente come prendere in
contro piede mio padre. Lei non sopportava quei suoi modi poco giusti ed agì
meglio che poteva per aiutarmi.
"Dawson,
il fatto che tu veda molto poco Leo e che questo ti faccia soffrire, mi
dispiace. So che le vuoi bene e fai del tuo meglio per proteggerla, ma non ti
da comunque il diritto di trattarla in questo modo." Mia madre con una
camminata quasi oscillante si avvicinò con fare intimidatorio a mio padre.
Incredibile
come riuscissi a pensare che in tutta quella situazione potesse esserci una
scappatoia, un diversivo perfetto. Il fulcro della discussione e i pretesti del
diverbio, stavano diventando quelli di una normalissima famiglia con divorzio.
Ebbi
una fulminea illuminazione; da quel momento in poi il mio compito era quello di
riuscire ad approfittarmi di quella situazione. Come mi disse Jesse alla sua festa per il diploma, avevo la possibilità
di usare certe circostanze a mio favore essendo figlia di genitori separati, ma
non credevo che al posto di farmi riempire di regali, avrei dovuto sfruttare
quella mia particolarità per far funzionare l’ingranaggio di L. Questo era
l’unico modo per preservare, sia la mamma che il papà, da quello che mi stava
accadendo.
La
cosa che mi sbalordii nel vivere quel dibattito, era proprio che vi stavo
assistendo. Fino a quel giorno non ne ero mai stata partecipe. Quando accadeva,
spesso venivo mandata in camera o fuori a giocare, leggere, facevo un qualsiasi
tipo di attività ma mai nel perimetro bellico dei miei. Non avevo mai visto o
vissuto il contrasto vero e proprio tra mia madre e mio padre.
"So
che non ti va giù tutta questa storia, da sempre. Ora però non vedo la necessità
di farla scontare a Leo. E' una situazione pericolosa. Ok. Ma non andare oltre
il tuo ruolo Dawson. Impara a conoscere tua figlia prima di infliggerle certe
punizioni." La mamma decisa distolse i suoi occhi vispi da papà e mi
guardò continuando a parlare. "Quindi faremo un compromesso. Da oggi fino
al venti quattro rimarrai a casa..." Interruppì
mia madre. "Mah! Mamma, non..." Venni bloccata a mia volta da lei.
"Leo.
Non lo faccio per assecondare tuo padre o per punirti. A parte il tuo ritardo,
non hai fatto nulla di male, lo so che hai detto la verità. Ad ogni modo, tu, Leonor Grace White, per i prossimi giorni rimarrai qui,
perché è troppo pericoloso per te uscire. Altrimenti non avrebbe avuto senso
trasferirci in questo appartamento. So che non è un rimedio che risolverà
questa storia, ma almeno ti terrà buona per un po’. Basta. Non c'è altro da
dire in proposito."
Abbattuta
accettai le parole della mamma e mi lasciai cadere le spalle, con fare teso
serrai la mascella guardando altrove in un punto qualsiasi delle pareti giallo
pallido della cucina.
"Ok,
come volte." Guardai mio padre che se ne stava fermo in piedi davanti al
tavolo, forse più avvilito di me dopo le frasi taglienti della mamma. Mi dispiacque
vederlo in quel modo. Come sempre era indifeso di fronte mia madre e per di
più, da come mi aveva appena accennato riguardo il caso di B, intuii che la
polizia non ne stava cavando un ragno dal buco, probabilmente per lui tutta
quella storia era ancora più frustrante. Avrei voluto abbracciarlo, ma orgogliosa
non lo feci. Quel casino in parte me lo aveva creato lui. Voltandomi osservai
la mamma che avendo battuto il martelletto e dato la sentenza con pena, aveva
già iniziato ad armeggiare con la teiera per mettere a bollire dell’acqua per
un tè.
Rose Summers 1 – Leonor e
Dawson White 0.
Camminai
verso la mia camera, da prima con un passo lento poi sempre più spedito e
arrivata a destinazione mi chiusi dentro.
Quella
traditrice di Molly si era già sistemata ai piedi del mio letto e mi scrutò
quasi scocciata per via del fatto che dovevo averla infastidita col mio
frenetico arrivo in camera. Poggiandomi di spalle alla porta pensai: Però il
classico clichè adolescenziale. La mamma e il papà
che ti aspettano al varco per la strigliata e conseguente punizione. Questa mi
mancava. Ottima copertura, peccato che a causa della punizione mi impediranno
di agire come devo per L.
Che diavolo devo fare?
Iniziai
a massaggiare le tempie e cercai di spremermi le meningi, ma stremata volevo
lasciare alla notte l’onore di portarmi consiglio. Ero troppo traumatizzata e
furiosa per pensare in maniera razionale e decente.
Indispettosita
decisi sfacciatamente di mettermi a letto, senza aver cenato, senza aver fatto
una doccia, senza essermi guardata allo specchio per lenire il fastidio che
sentivo sul collo. La visione di quelle impronte avrebbe alimentato il panico e
messo fretta alla strategia che avrei dovuto trovare per uscire da quella casa
la mattina del 22 Agosto. Inoltre sapevo già che gli occhi di B sarebbero venuti
a tormentarmi pieni di lacrime, come li avevo visti l’ultima volta che li
incrociai sotto le luci cremisi del suo nascondiglio e quella notte avrebbero
messo a dura prova il mio sonno.
Il
21 Agosto, non avevo né la voglia, né forza di alzarmi dal letto, per di più Molly
non mi era d’aiuto col suo fare le fusa e col suo accoccolarmisi
vicino. La fortuna di avere un climatizzatore in casa, permette di poterti
tenere sfrontatamente appiccicato il gatto in piena estate senza avere paura di
perdere litri e litri d’acqua a contatto con il pelo caldo dell’animale.
Nel
dormi veglia, sentendomi solleticare dalla coda di Molly, mi girai dall’altra
parte, ma un fascio di luce rovente tipico di Los Angeles, riuscì a farmi
imprecare una qualche forma di maledizione alla luce solare. A coronare e
rendere ancora più rilassante
quell’idillio mattutino fu il suono del mio cellulare poggiato sul
comodino proprio davanti a me. Il problema fu distinguere se il suono fosse per
una chiamata o per un messaggio, per mia fortuna il suo disturbante trillare
finì subito.
“Messaggio.”
Boffonchiai con la testa ancora affondata per metà
nel cuscino.
Ormai
arresa all’evidenza di dovermi svegliare, mi sollevai appena e mi poggiai sui
gomiti. Presi quella maledetta sveglia non autorizzata e aprii lo sportelletto per leggere la missiva.
Mitt: Sconosciuto.
Ieri sera avresti dovuto essere molto
più accondiscendente, hai alzato troppo la cresta.
Sbarrai
gli occhi.
“Che
diavolo?” Ero confusa e improvvisamente mi sentii completamente scossa dal
torpore del sonno.
Che
B volesse comunicarmi dell’altro?
Però
sarebbe stato poco prudente farmi avere informazioni in quel modo, avrebbero
potuto rintracciarlo in qualche maniera, dato che aveva tutta la polizia di Los
Angeles alle calcagna e non solo.
Mittente sconosciuto.
“Aspetta.”
Mormorai chiudendo gli occhi e ributtandomi sul cuscino. “ E’ Lui.”
Poi
il trillo di un nuovo messaggio ricevuto.
Mitt: Sconosciuto.
Esatto.
Cominci a capire le differenze.
E’ un buon segno.
Mi
soffermai a pensare che Lui mi stesse
rispondendo tramite messaggio alla mia affermazione.
Di
nuovo ebbi un sentore di un sospetto.
“Cimici.”
Dissi piano per non farmi sentire dai miei e per dispetto a L.
Ancora
un messaggio.
Mitt. Sconosciuto.
Sì.
Le ho fatte installare appena ti sei
trasferita da tuo padre. Ed è inutile che parli a bassa voce, sono
apparecchiature altamente sensibili a qualsiasi tipo di suono. Non rispondere a
questi sms, il tuo messaggio andrebbe a vuoto. Non posso restare per molto con
te a parlare, quindi ti dirò come agiremo…
Supposi
che quegli strani messaggi potessero provenire da un sistema di messaggistica
più avanzato di un semplice scambio di sms, non potevo escludere che fosse
anche criptato. Essere la figlia di un poliziotto apre un ventaglio più ampio
di opzioni nel caso tu riceva un messaggio strano da un tizio che non conosci
nemmeno. Mi domandai se non avessi un particolare propensione ad attrarre
soggetti altamente pericolosi grazie alla mia sola persona. Di nuovo valutai
l’attendibilità del suggerimento che mi aveva fatto Weddy
la sera prima.
Aprii
bocca per rispondere, il messaggio però mi
precedette mettendomi a tacere e continuò fluido.
…dunque, oggi te ne starai buona e farai
quello che fai in una qualsiasi giornata: studia, leggi, chiama e parla con la tua amica Jesse, fai quello che vuoi, ma non tornare mai sul discorso
punizione e non parlare di e con il
tuo amico Abel. I tuoi genitori
potrebbero peggiorare la situazione ed io ho bisogno che tu domani sia fuori di
lì.
Ti spiegherò come.
Farò in modo che sia tuo padre, che tua
madre, abbiano entrambi molto lavoro da sbrigare quel giorno. Manderò da
te Weddy nel
solito ruolo di agente che verrà assegnata alla tua protezione in assenza di
tuo padre, quasi sicuramente lui vorrà che
qualcuno ti guardi mentre rimarrà fuori tutto il giorno, quindi farò
risultare Weddy tra gli agenti del suo distretto,
facendo così non si insospettirà.
Ovviamente dovrai fingere di non
conoscere Weddy, per te dovrà essere come se fosse la
prima volta che la incontri.
Non ho altro da dirti Leonor, a parte di fare attenzione e che posso capire che
questa condizione non è delle più congeniali per te.
Questi messaggi si cancelleranno
appena scollegherò la comunicazione con
te.
Leonor…
Beyond Birthday,
non ti sarà mai chiaro.
Lessi
ogni singola frase, ma l’ultima parte del messaggio di L mi fece davvero male.
Poi
di nuovo parlai tra me e me “Che strano. Birthday…Beyond.”
Il nome completo di B formava il singolare significato di ‘Al di là del compleanno.’
Accennai
un leggero sorriso ma si fermò prima che potesse aprirsi del tutto.
“E’
così simile…” Farfugliai.
L
mi teneva sotto controllo, muoveva la regia di quello spettacolo in maniera
magistrale, forse anche meglio di B, non ci sarebbero stare interruzioni e tutto si sarebbe dovuto
svolgere nella sua prima e ultima esibizione quel 22 Agosto; ed io, che pensavo
di essere una semplice comparsa, il personaggio nascosto per tutto il tempo
nell’anonimato, dietro le quinte, mi ero improvvisamente riscoperta la
protagonista.
22
Agosto 2002
Per
tutta quella notte non avevo chiuso occhio, non lo pensai mai per paura di
cedergli anche solo nel ricordo, ed ora mi trovavo ferma, alle sei del
mattino ad osservare fuori dalla mia
finestra.
Il
sole era sorto da più di un’ora e ancora riuscivo a percepire la frescura della
notte estiva passare fluida per la finestra completamente spalancata. Le strade
erano semi deserte e poco trafficate, passava di tanto in tanto qualche
passante che si recava a lavoro e c'era chi ancora vagava in preda al
disorientamento dopo una notte brava. Per un attimo quella passerella fatta di
comparizioni sporadiche, mi ricordò la vista che c’era del marcia piede davanti
la mia camera a Brentwood. Ricordai il furgoncino di
fronte la casa del signor Morrison proprio il giorno in cui lo vidi per la
prima volta.
Eccolo!
Il cedimento. Somigliava ad una ferita costantemente aperta, che mi faceva barcollare, inginocchiare e poi rialzare per
continuare a camminare.
Percepii
una sensazione di immobilità tra il mio petto e la pancia, qualcuno avrebbe
potuto pensare che fossi morta in piedi.
Sospirai
e mi distrassi pensando ad altro.
Non credevo fosse così
difficile interpretare una parte così importante.
Cosa
sarei dovuta essere? Leonor la terrorizzata? Leonor la bugiarda? Oppure la Leonor incosciente
e innamorata?
“Credi
che non lo capirò come dici?” Asserii ad alta voce.
Non
so per quale motivo, ma pensai che L potesse sentirmi mentre parlavo al sole
che sorgeva. Non ricevevo nessuna risposta e sentendomi ancora più insana di B
nel comportarmi a quel modo, mi misi subito all’opera per prepararmi a quel
giorno.
Facendo
colazione il crepitio dei cereali al miele a contatto con il latte freddo, era
il sottofondo della mia distratta osservazione del girovagare di mio padre e
mia madre nel piccolo ambiente della cucina. Dal giorno prima non si erano
minimamente rivolti la parola, a parte quando erano costretti dalle
circostanze, ovvero il passarsi il succo d’arancia oppure sapere se il bagno
fosse libero. Al di fuori di questo i loro contatti verbali erano cessati dalla
sera della discussione.
Mi
sentii amareggiata e mentre buttavo il mio sguardo sofferente sulle palline
dorate nella mia ciotola.
“Leo…” Mia madre mi chiamò sorridente, mi baciò la guancia e
mi guardò intenerita “Tranquilla, è tutto ok.”
Mio
padre invece mi sedette vicino, non mi parlò, mi apparve molto pentito e mi
prese la mano stringendola forte.
Sorpresa
dal loro atteggiamento pacifico, riacquistai un po' di sollievo, sentivo quasi
le lacrime agli occhi ma mi trattenni e a stento dissi “Vi voglio bene.”
“Anche
noi te ne vogliamo tesoro mio.” La mamma mi strinse forte al suo ventre e mio
padre sfoggiò un sorriso smagliante.
La
mamma mi sfiorò lievemente il collo e si spostò per osservarmi in maniera
divertita e più attenta. Io pregai perché non toccasse ancora quella zona,
altrimenti avrei lanciato lamenti di dolore, misti all’ansia che mi stava mettendo
in quel momento.
“Leo,
come mai hai su questa sciarpina al collo? Eppure
fuori ci sono quasi quaranta gradi
all’ombra.” Mia madre stava per prendermi un
lembo della sciarpa ed io prontamente intervenni prima che iniziasse a
indagare oltre; magari riuscendo anche a togliendomi di colpo il pezzo di
stoffa dal collo e scoprendo l’orrore che avevo sotto.
“Ah,
questa l’ho indossata per via del fatto che l’altro ieri avevo una raucedine
dolorosissima. Ho scoperto che non mi fa bene lo sbalzo di temperatura
provocato dall’aria condizionata.” Toccandomi il collo accennai un sorriso di
convinzione pura.
“Già.
Hai ragione, infatti avevo notato, mentre discutevamo l’altra sera, che avevi
la voce un po’ rauca. Abbassa la refrigerazione del condizionatore oggi, ok?”
Riabbracciandomi sorridente la mamma lasciò cadere lì la cosa e nonostante la
mia solita bugia, finalmente potevo risentire quella sensazione serena dello
stare con i miei genitori in quel modo e
che mi era mancata tanto, ma venne interrotta dal suono del campanello.
“Vado
io. Deve essere l’agente che viene a tenerti d’occhio mentre siamo via.” Papà
lasciando la mia mano, si alzò dalla tavola imbandita per la colazione e si
diresse all’ingresso per aprire a Weddy.
“Che
strano…effettivamente proprio oggi doveva capitare
che tutte e due lavorassimo fino a tarda sera?” La mamma guardando in direzione
del salone espose i suoi pensieri con aria accorta.
“Sarà
sicuramente un caso mamma e poi ci sarà questo agente con me, quindi non c’è da
preoccuparsi…” sorrisi leggermente e poi prendendo
col cucchiaio i cereali, proseguii scherzando “ E magari è anche il tuo tipo.”
“Leo!
Sei sempre la solita, ti piace proprio prendermi in giro.” La mamma cominciò a
ridere e il momento in cui vidi scoppiare la sua risata, mi fece capire che
qualunque cosa fosse successa quel giorno sarei stata comunque felice,
qualunque fosse stata la mia sorte.
Papà
irruppe in cucina con Weddy ed io finsi interesse per
la visita inattesa “Ragazze questo è l’agente Kate Wilson e
starà con te Leonor finché non rincaseremo. Kate è
molto brava nel dare ripetizioni. Leo, se vuoi
ti aiuterà con la matematica.”
“
Certo. Perché no?” Dissi io guardandola appena sorridendo.
“A
dirla tutta sono molto più portata per l’educazione fisica. Amo battere il
tempo in velocità” Weddy sorridente mi guardò e
velocemente mi fece intuire che non avevamo ancora molto tempo, ma la sua
affermazione riuscì a distrarre la mamma e il papà, che rapidi osservarono
l’orologio appeso sopra il piano cottura della cucina.
“Oh,
diamine! Sono le otto. Adesso dobbiamo andare.” La mamma corse ad arraffare la
sua borsa poggiata su uno dei divani in
salone, mentre mio padre date le disposizioni della giornata a Weddy, uscì di casa
insieme alla mamma.
Quando
il chiudersi placido della porta arrivò alle nostre orecchie, Weddy sporgendosi verso il salone con prudenza, controllò
che fossero davvero usciti di casa.
“Bene.
Sei pronta Leonor?” Weddy
tornò su di me che ero ancora seduta imbambolata, con in mano il cucchiaio
immerso nella mia colazione e completamente intorpidita dal timore.
“Sì..sì.
Dammi solo un secondo.” Alzandomi sgattaiolai veloce verso il soggiorno
completamente luminoso e assolato.
Mancava
solo mezz’ora ed io ero come una
condannata a morte. Cercavo di prendere il mio tempo per raccimolare
forza e sicurezza per riuscire a salire sul patibolo.
“Leon…”
Lo squillare del mio telefono cellulare arrestò
Weddy.
Sedendomi
sul sofà che era di spalle alle finestre del salone, presi il telefono dal
bassissimo tavolino su cui era poggiato e risposi “Pronto.”
-
E’ oggi vero? – Dall’altra parte Abel mi prese di sorpresa.
“Sì.”
Replicai annuendo.
-
Molto bene vengo con voi. - Disse il
ragazzo determinato.
“Ma
Abel non è il cas…” Weddy
velocemente mi strappò via il telefono dall’orecchio.
“Senti
ragazzo, non possiamo permetterci ulteriori complicazioni personali nel caso.
Cos…? Chi? Maledizione! ” La donna da un tono diretto passò ad uno molto teso
riuscendo comunque a conservare il suo auto controllo.
Afferrai
che qualcosa non andava secondo i piani.
“Ok.
Tu rimani lì. Appena riusciremo a liberarci saremo da te.” Weddy
innervosita riagganciò il mio telefono.
“Che
succede Weddy?” Guardai la donna impensierita.
“Tuo
padre sta risalendo. Non so quale sia il fottuto motivo, ma ora ci creerà
parecchio ritardo. Se non fosse stato per quel moccioso là fuori, ci avrebbe
beccato proprio mentre stavamo uscendo.” Weddy
imbronciata incrociò le braccia al petto e si buttò sul divano di fronte a me,
estrasse dalla tasca dei suoi attillatissimi jeans il
cellulare e iniziò a digitare qualcosa.
Probabilmente
un messaggio a L per dirgli cosa stava succedendo.
Nervosa
mi diressi lesta verso la finestra del soggiorno e guardai automaticamente sul
marciapiede della parte opposta al mio appartamento.
Abel
era poggiato sulla vetrina della lavanderia a gettoni, sollevò appena il viso
nascosto dalla sua solita t-shirt con cappuccio blu e mi fece un cenno leggero
di saluto; risposi al suo salto titubante e incerta.
Il
senso d’agitazione non mi aveva abbandonata dal giorno prima e quella
circostanza aveva aggravato la crescita di quella sensazione.
“Weddy, perché starà risalendo?” Chiesi alla donna
voltandomi verso di lei.
“Non
ne ho idea. Speriamo solo che vada via il prima possibile.” Weddy
rispose prendendo a sfogliare distrattamente un mio libro che era poggiato lì
sul sofà da più di una settimana. D’un tratto la vidi farsi attenta sentendo i
rumori esterni del pianerottolo, mio padre era sul ciglio della porta e il
tintinnare delle chiavi aumentò la mia tensione nervosa.
“Non
devi farti vedere così. Devi fare qualcosa…” Weddy in un bisbiglio mi lanciò il libro e si alzò
scattante. “ Presto scambiamoci i ruoli. Tu mettiti a sedere qui e io vado alla finestra. Forza!” Sibilò mettendosi in
azione.
Prendendo
al volo il libro mi precipitai a sedere
ben eretta sul divano, dando di spalle alla porta, mi appoggiai il libro sulle
gambe, lo aprii e feci un respiro profondo “Ok. Andrà bene.” Dissi auto
convincendomi.
Lo
scatto della serratura mi fece sobbalzare, poi voltare velocemente e il
movimento della porta che si apriva mi sembrò lentissimo ed i secondi che
passavano in quell’azione così insulsa erano altrettanto decelerati.
Ma
mai come in quell’istante pensai così tanto intensamente, che avrei dovuto
raggiungerlo subito.
Ciao, ciao a tutti/e
Finalmente!
Ce l’ho fatta, perdonate la mia lentezza e
ritardo nell’aggiornare la storia, ma oltre
i miei impegni di lavoro, ho dovuto concedermi un momento di ripresa e
stacco dal pc, constringendomi
a non poter lavorare nell’immediato sia con il disegno, che con la scrittura.
Questo capitolo è frutto di elucubrazioni fatte lontana dal pc
(appuntate barbaramente sull’ipod davanti al camino) e
se vi sembrerà noioso o senza senso avete tutta la mia comprensione.
Perdonatemi se non è proprio un gran bel capitolo, spero di rifarmi nei
prossimi.
Sì, i prossimi. Perché scrivendo questo capitolo
ho notato che sarebbe venuto un po’ più lunghetto di quello che mi aspettavo.
Così ho proprio paura che dovrete sopportarmi per uno o due capitolo ancora -.-‘.
Vi faccio ancora le mie scuse per il ritardo.
Scrivete se dovessero venirvi delle
perplessità, perché adesso come adesso, ne ho anch’io ahahahahah
e non so nemmeno cosa ho creato ( parlo sotto i fumi del sonno e stanchezza da
addobbo selvaggio Natalizio XD).
Detto questo vi esprimo la mia gratitudine e
vi ringrazio sin da ora per le recensioni, i vostri inserimenti nelle varie
sezioni preferiti, ricordati e seguiti.
Vi auguro una buon proseguimento e ci sentiamo
al prossimo capitolo.
Baci baci KiaraAma