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Autore: Claire Piece    09/10/2012    5 recensioni
Nell’oscurità della mia camera non me ne ero accorta, ma erano di un colore diverso da quello che avevo visto ore prima.
Ora era un vero colore, naturale.
Erano iridi rosse.
Fui capace di non spaventarmene e improvvisamente capii che nel fondo del pozzo non ci avrei trovato elementi naturali comuni, ma ci avrei trovato del sangue.
Lo vidi spostarsi lento, parlò ancora vicino e mormorando “ Ti spaventano vero?”
“No…” bisbigliai “Li trovo orrendamente pieni di verità.”
Mi riaccostai per cercare un nuovo bacio ma lui sorridendo sghembo si allontanò appena e sussurrò “ In parte hai colto nel segno. Ma tu non puoi minimamente immaginare quante verità vedano.” Mi fissò per molto, serio.
I capelli corvini e la maglia altrettanto nera, fecero risaltare come una luce quel cremisi dei suoi occhi. Li vidi iniettarsi di sangue mentre mi guardava, sembrò volermi divorare, ma forse non è questa la sensazione più giusta per dire cosa provasse e cosa volesse realmente fare in quel momento Beyond .
Continuò a fissarmi e io non abbassai lo sguardo, non avrei mai perso nemmeno un attimo di quegli occhi.
Tornò poi a parlare piano e con sofferenza tentava di trattenere un impulso irrefrenabile che lo voleva spingere a fare qualcosa, ma non capivo bene cosa. Disse sotto voce solo poche parole prima di andarsene “Povera cappuccetto rosso è finita dritta, dritta nella bocca del lupo.”

Nella vita di una ragazza senza problemi, se non quelli della sua età, appare un'improvvisa ombra che oscurerà il sole che rendeva la sua vita serena e con una positiva monotonia.
L'apparizione di un misterioso personaggio le farà cambiare idea.
Salve a tutti.
Questa è diciamo una fan fiction sperimentale.
Vorrei divertirmi ad approfondire il personaggio di Beyond Birthday e ci proverò scrivendo questa storia.
Da subito ringrazio chi leggerà e spero sia di vostro gradimento.
Genere: Dark, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beyond Birthday, L, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Buio, tutto era completamente ricolmo di nero

Se non ero me stessa

E tu eri qualcun’altro

Vorrei tanto dirti...

Io vorrei dirti la verità

È alto, quasi non respira. [...]

Io sono morta nella acqua

Ancora cercandoti

Io sono morta nell’acqua

Non lo vedi, non lo vedi.

 

                                          ( traduzione “Dead in the water” di Ellie Goulding )

 

                                   

                                                     Marionetta

 

 

Buio, tutto era completamente ricolmo di nero.

La morte.

Quindi è così? Non c’è nulla.

Sento comunque la mia anima che percepisce l’affanno del dispiacere.

Mamma, papà, mi dispiace di avervi mentito in tutta questa storia. Sono stata mostruosa, crudele e voi nemmeno avete potuto difendervi dal mio egoistico desiderio di amare qualcuno del livello di Beyond. Vorrei almeno, per l’ultima volta, avervi abbracciato, amato come si deve, senza l’interferenza di B.

Io vi amo, anche se siete così in disaccordo e distanti l’uno dall’altra, anche quando fingete che tutto vada bene, quando invece sapete entrambi che non è così.

Vi voglio bene, ecco cosa provoca questo persistente dolore che provo al petto.

Ora io non posso più sentire uno sterno, un cuore con cui poter soffrire. E allora perché sto sentendo tutto questo? Perché percepisco questo fastidio in maniera fisica?

“ Ti spaventano vero?”…

No… Delle voci nella mia testa, quella di B e la mia. Tornarono alla mente tutti gli istanti passati con Beyond. Il primo Beyond che avevo amato e non quella belva che mi aveva ucciso. Le frasi dette continuarono a tormentarmi mentre ero immersa in quel sonno senza appigli.

“Dovrei chiamarti B?”…

“ Promettimi che non te ne andrai prima del tuo tempo.”

Sì, B.

Io l’avrei mantenuta quella promessa, ma sei tu che l’hai infranta decidendo per me.

“ Non sforzarti, non riuscirai mai a vedere niente.”

I suoi occhi, avevano qualcosa che io non conoscevo, non li ho mai compresi, mai. Perché tornano alla mia mente, proprio ora che non avrò nessuna risposta?

Infine la voce di L si introdusse in modo aspro nel mio vagare in quell’oblio.

“Voglio che tu faccia tutto come se niente fosse...voglio che tu esegua le sue richieste.” 

L, non ho potuto aiutarti, avrei tanto voluto.

Avrei voluto che B venisse rinchiuso in un luogo lontano dal mondo di luce che mi circondava e che mi aveva sempre avvolto.

Ma non ce l’ho fatta.

Avrei voluto che B, venisse segregato in una bolla inespugnabile e trasparente, dove avrei voluto che vi  rimanesse, lì fermo, e che quell'invisibile barriera mi lasciasse vagare per sempre nei ricordi migliori di lui, cancellando le oscenità che aveva commesso.

Lo volevo rinchiuso per avere un ritratto meno spaventoso del mio B.

Residui del mio amore, non me ne libererò mai più.

Del caldo mi attraversò gli angoli degli occhi e si adagiò placidamente nell’incavo del mio orecchio.

Lacrime! Io non posso piangere, sono morta!

Non esisto più e il pensiero che lui è fuori a fare dell'altro male…ecco, il tormento. Continua questa tortura anche in questa condizione.

A quella sola riflessione, si smoveva qualcosa in me. Quell’idea mi pungeva e riusciva ad istigare un risveglio che non avrei mai potuto ottenere. Quei pensieri volevano scuotermi da quello stato silenzioso e di nera pace che iniziava a piacermi. Era bello lasciarsi andare, sentirsi incollare a terra, sentire di diventarne parte.

Quando da bambina mio padre mi portava al museo per tenermi buona, o semplicemente per farmi leggere tutte le targhette delle antichità ed opere in esposizione, ricordo con perfezione di due statue marmoree murate sulle colonne all’entrata del museo. Un uomo dal torso nudo, dal viso severo, sul pilastro di sinistra e una donna con dei drappeggi a coprirle i seni, con un'espressione addolcita in volto, su quello di destra. Tenevano saldi i capitelli sovrastanti delle colonne e ne erano parte integrante, come assorbiti dal granito.

Ecco io in quel momento ero e mi sentivo come loro.

Forse Beyond se la prenderà  anche con mia madre e mio padre e…la mia Jesse! Ed io non potrei comunque fare nulla per salvarli!

Ecco di nuovo la stilettata!!

Ancora un’orrida prospettiva.

Il mio petto iniziò a muoversi lentamente, come i rintocchi di un orologio a cui si era fermato il meccanismo per pochi secondi. Pian, piano percepii il miei polmoni introdurre  aria, ricominciavano a muoversi involontariamente e naturalmente, ma c’era ancora qualcosa che ostruiva il mio respiro. Come uno strato d’aria inrespirata, rimasta bloccata nella mia trachea.

Ebbi l’esigenza, un urgente bisogno di aprire gli occhi.

Come se fosse possibile farlo!

Come se fosse stato naturale farlo.

Mi parve di destarmi da un lungo sonno e fu orribile constatare che intorno a me, tutto era ancora più buio di quanto non lo fosse stato tenendo gli occhi serrati. Avvertii la pesantezza del mio corpo, come se la mia anima avesse ripreso il suo posto terreno, come se mi fosse stato scaraventato addosso un peso opprimente.

Mossi lentamente i miei piedi.

Ancora completamente stordita, mi accorsi che il luogo in cui mi trovato era stretto. Non più largo di ottanta centimetri, in lunghezza mi superava di molto, probabilmente poteva contenere qualcuno delle dimensioni di un uomo. Quello strano cunicolo, era alto sì e no un metro scarso. Attentai con le mani nell’oscurità, da prima le pareti fredde e marmoree, poi la superficie sopra di me anch’essa un blocco gelido.

Lentamente iniziai a sentire le gambe tremarmi, il respiro riprese ritmo in maniera frenetica e troppo poco graduale per quello che avevo subito, iniziai a tossire.

Ero chiusa in una specie di loculo in pietra e c’ero stata riposta viva.

Muovendo le mani a tentoni provai a sentire dove spuntasse uno spiraglio, una piccola sporgenza per spostare il blocco che mi sovrastava e sigillava. Vedendo l’immobilità della lastra e l’inutilità dei miei sforzi, persi la ragione e il panico mi inondò. Mi dimenai cercando di far rumore, di urlare, ma la mia voce non usciva come doveva, era bassa, roca, spezzata precedentemente dalla forza della presa di B e probabilmente quando sarebbe tornata sarei morta davvero, lì, di asfissia.

Andai avanti a mugulii, lamenti e gesti frenetici, tremanti, nel tentativo di aprire quel pesante lastrone.

Le mie orecchie, come se fossero prese da un istinto animale, udirono dei rumori esterni nonostante le pareti spesse del loculo. Arrestandomi ascoltai attentamente, pregando che chiunque fosse là fuori non fosse B. In quel momento non sarei stata in grado di difendermi da lui, né fisicamente, né mentalmente.

L’unico suono vicino, che potevo sentire era il mio respiro affannato e,  in maniera ovattata, il muoversi di qualcuno all’esterno.

Leonor! Sei qui?” La voce familiare di Abel arrivò diretta alle mie orecchie.

Immediatamente non esitai e cominciai a battere le mani sulla lastra.

Sì…Ah, sono qui Abel!” Dissi passando da un tono di voce sordo ad uno improvvisamente stridulo per via del terrore e per il poco controllo dovuto al disturbo che avevo alla gola.

“Ora ti apriamo.” Affermò con sicurezza Abel, infondendomi così un senso di tranquillità immediato.

Aveva detto ‘apriamo’.

Allora c’era qualcuno con lui?

Magari papà che si era davvero insospettito della mia bugia e lo aveva rintracciato in qualche modo.

Il rumore  della pietra che veniva spostata  rimbombò cupo dentro la mia bara.

Vidi una leggera spaccatura di luce e inalai l’aria pulita che c’era fuori, ma quell’aria era insolita. Odorava di funereo, d’incenso e potevo sentire un nauseante aroma di fiori, non il normale loro profumo fresco, trascinava con se l’odore della morte stessa.

Man mano che la pietra veniva scansata, vedevo la flebile luce della sera illuminare il luogo in cui ero stata rinchiusa. Vidi i volti di Abel e di una donna, ma in quel preciso istante non ebbi il tempo di analizzarla. Perfino il viso di Abel mi apparve un’immagine sfocata e poco chiara, come se non lo avessi mai visto prima di quel momento.

Osservandomi, mentre ero stesa e impietrita dalla paura, aprirono del tutto la bara e lasciarono cadere fragorosamente la lastra di pietra a terra.

“Dio mio…” Abel mormorò sconvolto. Poi mi sollevò con cura,  mentre io tremando e con un leggero pianto, cercavo di seguirlo nel movimento che mi portava in su per sedere.

Ah…Dobbiamo andare a...casa. La mamma e…papà…Oh, Jesse…” Balbettai quella frase alternando profondi respiri agitati e con una leggera raucedine.

“Sì, ci andremo Leonor. Devi calmarti prima.” La donna vicino ad Abel mi parlò e accarezzò le guance asciugando le mie lacrime.

Dopo aver recuperato un po’ d’aria, alzai lo sguardo e vidi i biondi capelli che le ricadevano tra il collo e le spalle, sulle punte prendevano una mossa all’insù. Il suo viso era allungato ed elegante, nonostante la semi oscurità del luogo in cui ci trovavamo, sui suoi zigomi sporgenti poggiavano degli occhiali da sole. Le sue rosse, morbide e carnose labbra si mossero in maniera calma mentre mi parlava. Lei era inginocchiata accanto alla tomba e vicino ad Abel, potei notare che fisicamente era molto tonica e sensuale. Indossava dei jeans stretti, una maglia violacea, un giubbotto da motociclista in pelle nera, con delle linee gialle che andavano dalle spalle alle fine delle maniche e degli stivali altrettanto scuri e lucidissimi.

Vide la mia reazione disorientata e prontamente colse l'occasione per presentarsi.

“Io sono Weddy. Sono un agente del distretto in cui lavora tuo padre. Sono qui perché mi ha chiesto di tenerti d’occhio. Ultimamente era molto preoccupato.” La donna tirò fuori il distintivo e nell’inflessione della voce di Weddy percepii nella parola ‘padre’ un altro messaggio. Non era stato davvero mio padre e chiedergli di seguirmi, ma qualcun'altro e avevo capito chi.

“Oh...meno male…  Ansimando risposi tenendo il gioco, altrimenti Abel avrebbe potuto intuire qualcosa riguardo L o comunque sospettato qualche stranezza. E da quel che avevo capito quel L era un personaggio top secret.

Abel, vedendomi sconvolta mi prese la mano e la strinse. Lo guardai di rimando e cercai di farmi coraggio. Aveva infuso in me un po’ di calma, in quel momento mi sentii al sicuro.  Abbassando il viso accennai un leggero sorriso e chiusi gli occhi stringendoli forte.

Anche lui mi rispose sorridendo e tornando attento domandò “Ce la fai ad alzarti?”

Io annuii rimanendo comunque aggrappata alla sua mano e di seguito arrivò anche quella di Weddy, quando vide che stavo per perdere l’equilibrio nel rialzarmi.

In piedi girovagai col capo e osservai il luogo in cui ero rimasta rinchiusa. Era una piccola cappella funebre con un'unica bara al centro.

La bara in pietra in cui ero stata rinchiusa.

Non potei notare tutti i particolari di quel gelido luogo, si stava facendo buio e i miei occhi nell’oscurità del loculo non si erano assuefatti granché alle tenebre, quindi non mi agevolarono nell’identificare cosa avessi attorno. Intuii solo che la cappella era di forma circolare, con il soffitto ricurvo, forse era una cupola. Il tutto era fatto in finissimi mattoni lavorati. Uscendo intravidi dei fregi a forma di gigli intrecciati sulle colonne portanti e sulle colonnine all’entrata. Il resto della visuale mi fu ignota e la tralasciai volontariamente.

Inorridii soltanto all’idea di dove mi aveva isolata B.

Questa orrida sensazione si rafforzò, quando fuori accompagnata e appoggiata ad Abel e Weddy, scesi le scale sentendo affiorare un senso di nausea.

Beyond mi aveva sepolta, murata in una tomba di puro marmo. Forse aveva davvero pensato che fossi morta e così preso dai suo soliti irragionevoli ragionamenti, aveva, a modo suo, deciso di darmi lui l’estremo saluto.

Per un attimo mi sembrò di aver avuto un assaggio di quella nebbia nera che circondava la mente e la persona di B, quella inquietante foschia che dava il sentore della fine. Tutto questo era paragonabile al sentirsi vicino a un dio della morte. Alla morte stessa.

Mi prese una morsa alla bocca dello stomaco, iniziai a serrare le mascelle, sentii prendermi i nervi e l’angoscia. In quel momento nel miscuglio d’acqua e fiocchi candidi della mia solita ampolla nel petto, spiccò una vena vermiglia.

Stavo sanguinando dentro.

Mio dio! Io lo amavo ancora nonostante fosse il male puro.

Lo avevo sempre temuto, ma dopo il tentativo mal riuscito di uccidermi, dedussi anch'io che era impossibile amarlo. Cos’era la mia? Compassione? Pietà? Come potevo ancora provare amore per lui? Cos'ero una pia e santa creatura?

Come aveva potuto farmi quella cosa? Come aveva potuto uccidermi? Come aveva potuto fare tutto quello che aveva fatto?

Riflettei sul particolare che da quel momento in poi avrei letto Giulietta e Romeo con molto più distacco. Come si può essere vittime dell’inganno!

Perché quella stramaledetta morte apparente doveva far vacillare un amore?! Perché Romeo non ha atteso che Giulietta si svegliasse? Almeno un po’avrebbe potuto sperare, avrebbe potuto illudersi e piangere vicino al suo capezzale. Lei sarebbe tornata sicuramente da lui!

Perché doveva essere tutto così tremendamente doloroso e al limite del drammatico per amarlo? Come aveva potuto B essere stupido quanto Romeo!

Credere nella mia fine. Non aveva lottato. Semplicemente mi aveva lasciato annegare da sola, mi aveva abbandonata, mi aveva reso il pezzo in disparte di una scacchiera, la sua malata scacchiera.

B, era stato peggiore di Romeo. Io non potevo credere all'amore di uomo del genere.

Leonor. Tutto bene?” Abel mi risvegliò dal mio stato catatonico e corrucciato.

“Sì. Voglio solo andare a casa.” Abbassai la testa mentre a stento cercavo di camminare ben eretta.

“Che cosa ti ha fatto?” Domandò leggermente rabbioso Abel.

Io voltai il viso in tutt’altra direzione  pur di non guardarlo in faccia ed essere tentata dal raccontare tutto.

Non volevo parlare di quello che era successo in quel vecchio capanno. Almeno non in quel momento.

“Ok. Tranquilla Leonor. Non ne parleremo. Ora andiamo a casa, tuo padre ti starà aspettando.” Weddy interruppe quella impercettibile tensione che si era creata tra me ed Abel.

“Aspetta. Quando dicevo casa, io intendevo la mia casa. Quella a Brentwood.” Mi scostai di poco guardando Weddy con aria supplichevole.

“Non è sicuro andarci ora. Lui potrebbe essere lì.” Abel intervenne lesto.

“No, lui non è lì. Te lo posso assicurare.” Ero convinta di quello che dicevo, come se avessi una connessione mentale con B. Lui non aveva motivo di andare nella mia casa a Brentwood.

Poi venni colta improvvisamente da un infantile pensiero. Avevo lasciato sola la mia Molly in quella casa, pensando che non sarei rimasta per molto da mio padre e invece era passato più tempo di quanto potessi immaginare. Mi sentii cattiva con lei, sebbene fosse un gatto e capacissima di badare a se stessa, in quella situazione in cui mi sentivo vulnerabile, venni presa da quella puerile sensazione e volevo assecondarla.

“Vi prego…” mi rivolsi ad entrambi i miei salvatori “Non voglio lasciare la mia gatta Molly in quella casa, almeno finché lui è in giro. Lo so sembra una stupidaggine, ma ho bisogno di farlo. Devo portarla via di lì. Vi scongiuro.”

Abel rimase interdetto e smorzò il suo stupore con un sorriso imbarazzato e divertito, quasi per prendermi in giro.

“Va bene.” Rispose seccamente Weddy “ Però non rimarremo più di cinque minuti. Ok?”

“Ok.” Risposi bisbigliando per non sforzare la voce.

Attraversammo tutto il cimitero di Los Angeles, non mi voltai mai per guardarmi intorno o indietro. La notte stava calando e le sagome nere delle tombe mi mettevano inquietudine. Il solo suono dei nostri passi che rieccheggiava fastidiosamente, metteva i brividi. Mentre spezzava quel silenzio quieto mi rendeva ancora più nervosa.

Raggiungemmo l’uscita a passo spedito. La mia andatura pian, piano era divenuta più rapida e aveva influenzato quella di Abel e Weddy.

Davanti la cancellata del cimitero c’erano parcheggiate due auto, la Ford Mustang di Abel ed un’altra auto nera stile coupè ma con un assetto molto più basso.

Uscita dal cimitero, non mi ero accorta di essere ancora aggrappata a Weddy ed Abel. Spostai gli occhi sulle mie mani congiunte a quelle delle persone vicino a me. Le disincastri dalle loro come se fossero tenute insieme da un potente magnete. Nel mio stato non mi ero resa conto che avevo stretto le mani talmente forte, da rendere perfino difficile il semplice lasciarle libere.

“Sicura che vada tutto bene Leonor?” L'attenzione di Abel si manifestò come sempre e i suoi vispi occhi azzurri si addolcirono un poco. Ormai quando lo guardavo in viso non notavo nemmeno più la sua cicatrice, per me era intatto, immacolato. Quando una persona ha una splendida interiorità sparisce ciò che vedi all’esterno.

Qualcuno in quella situazione avrebbe potuto giudicare Abel petulante o troppo assillante con il suo chiedere costante. La verità è che lui sente profondamente la preoccupazione, vive per aiutare e togliere il malessere delle persone a cui si affeziona. Come si poteva biasimarlo dopo quello che era successo a Backyard.

Alzai lo sguardo e tentai di riprendere un’espressione serena.

“Sì, tutto bene. Andiamo.” Feci per avvicinarmi all’auto di Abel.

“Aspetta.” Weddy mi fermò con voce calma e gentile, ma nascondeva una forma di autorità comparabile ad un ordine avuto su richiesta e non venuto direttamente da lei. Come se avesse avuto un suggeritore lì, pronto a dirle cosa fare.

“Che succede? Hai cambiato idea?” Con perplessità scostai i miei capelli e mi accorsi che le ciocche si erano leggermente sporcate di terriccio e di fogliame secco, probabilmente quel misto di sporcizia era penetrato nel tempo nella bara vuota in cui ero stata rinchiusa.

“No, andremo tranquilla. Ma voglio che tu venga con me. Se vuoi che venga anche il tuo amico con c’è problema, ci seguirà con la sua auto fino a casa tua. Per me è molto più sicuro in questo modo.” Weddy a passo elegante e risoluto si diresse alla portiera della sua auto aprendola, poi con fare spavaldo poggiò un piede dentro l’autovettura in attesa della mia risposta. Dal mio canto vedendo quel modo di porsi, capii che non sarebbe stato accettato un rifiuto.

“Ok, per me va bene...” Mi voltai in direzione di Abel in cerca di un assenso.

Il ragazzo si avvicinò alla sua auto molto serio e impensierito ma rispose pacatamente “Certo. Non c’è nessun problema. Vi seguo.” Sorrise appena e entrò in macchina avviando il motore.

Pensai che quel sorriso finale di Abel fosse così forzato per quella strana situazione. Si stava sforzando di darmi coraggio, doveva avergli fatto davvero male avermi lasciato sola in quella fabbrica abbandonata, sopratutto viste le conseguenze a cui aveva portato il nostro maldestro piano. Probabilmente era corroso dai sensi di colpa.

Non bastava solo Backy ora mi ci ero messa anche io.

Sospirai facendomi scappare qualche piccolo colpo di tosse e mi diressi alla macchina di Weddy, presi la maniglia dell’auto tenendo lo sguardo basso su di essa e sulla presa della mia mano.

“Tu non sei un poliziotto. E’ Lui che ti manda. Vero?” Di scatto guardai la donna che si stava accomodando al posto di guida, ma la mia constatazione la bloccò.

“Sì. Però! Sei perspicace ragazzina.” Weddy sorrise un poco e le sue labbra fecero illuminare il rosso vivo del suo rossetto, poi salì a bordo.

Io feci lo stesso e per poco non sbattei la testa per quanto era basso il tettuccio di quell’auto.

Il motore della felina coupè si accese aggressivo, gradualmente si trasformò una morbida e silenziosa vibrazione.

“Bene. Ora possiamo parlare.” Weddy con fluidità mosse il volante e si avvicinò alla strada.

Nel frattempo io osservai lo specchietto sul lato del mio sportello per vedere se Abel ci stesse seguendo.

“Di cosa?” Dissi ancora scrutando dietro di noi, poi ripiegai le gambe al petto e mi rannicchiai sul sedile.

“L, mi ha detto di seguirti e di sapere cosa B ti avrebbe chiesto o detto di fare, ma sinceramente non si aspettava una mossa avventata come quella di oggi pomeriggio. Hai rischiato grosso ragazzina. Se non vi avessi seguito quando tu e Abel siete andati in quella zona industriale, a quest’ora potresti essere realmente morta in quella bara in marmo...” Raggelai mentre Weddy in maniera così diretta mi faceva notare un’evenienza così orribile e che si sarebbe potuta avverare davvero “Ma da quello che dice il Capo, quel B non dovrebbe ucciderti o per lo meno non è nelle sue intenzioni. E’ stato L a dirmi di aspettare prima di entrare in quel capanno. Era sicuro che non ti avrebbe fatto nulla di irreparabilmente fatale. Testuali parole, ha detto: – Lei è un suo mezzo. Non le farà nulla.- Se L non ne fosse stato così sicuro, sarei dovuta davvero entrare a salvarti ed affrontare quel pazzo da manicomio. Appena ho visto quel tizio rientrare nella sua vecchia fabbrica, per sicurezza, sono andata da quel Abel. Dovevo dirgli in che guaio ti eri infilata, in più dovevo fargli credere che ero una collega di tuo padre e raccontare la bugia che ti seguivo per altri motivi. Poi abbiamo spiato insieme quel B, fino a scoprire che ti aveva nascosta al Westwood Village Memorial Park Cemetery. Sarebbe stato improbabile che ti tumulasse nel cimitero delle Star* ...” Weddy ironizzò e proseguì “ Alla fin fine, le frottole dette ad Abel non discostano molto dalla realtà di questa messa in scena. Cambia solo il committente per la tua protezione e per l’indagine stessa.”

Non riuscii a reagire alle parole di Weddy, ero in subbuglio.

Rabbia, paura e stupore.

Girai le testa ad osservare la strada, guardai in basso. L’asfalto si muoveva in un’unica massa grigia, e a momenti, comparivano le bianche linee che bordavano le corsie a interrompere la monotonia di quello scorrere veloce.

Mi sentivo come un pupazzo, una marionetta nelle mani di qualcuno.

Non capivo se nelle mani di B, come lo ero sempre stata, o se nelle mani di L.

Chi diavolo era quest’individuo così freddo da non pensare minimamente che non solo la mia vita, ma anche la mia psiche, la mia emotività, avevano un prezzo? E Che le stavo perdendo tutte e tre in un sol colpo.

Mai come in quel momento ebbi l’esigenza di averlo davanti e capire cosa fosse, di urlargli contro quello che pensavo. Volevo affondarlo di insulti.

Eppure quando lo sentii in quella telefonata, non sembrava così privo di sensibilità o tatto. Sembrava semplicemente qualcuno incapace di capire, percepire o esprimere certi stati emotivi.

Possibile che Beyond avesse ragione su di Lui?

Se L voleva fermare B, doveva per forza essere il suo opposto o forse qualcuno di migliore. Sì, ma quanto diverso?

Cosa c’era di B in L e quanto di L in B? 

Che ruolo avevo io in quel loro gioco?

Di nuovo delle domande, da quando mi ero risvegliata ero stata capace solo di farmi domande. Da quando avevo conosciuto Beyond ero stata unicamente in grado di pormi domande. Mai una sola replica sensata, solo continue strade sbagliate.

Direzioni sbagliate.

“Non farci caso.” Le parole di Weddy mi destarono da quello stato di rabbia e riflessione.

“E’ vero, sembra uno senza cuore quando ci si mette. Ma è una brava persona....” La donna   esitò per un secondo, sembrò rievocare nella sua mente l’immagine di questo L “...anche se, da quello che fa o dice, non sembra darlo a vedere.”

Weddy spostò la sua mano destra dal volante e la poggiò sulla mia che stringeva il mio ginocchio. Mi calmai un po’ e feci per annuire a ciò che mi aveva appena detto.

Però dentro di me covavo la curiosità di vederlo, conoscerlo, di averlo davanti un giorno e dirgli di tutto.

 

Arrivati davanti la mia casa a Brentwood ormai era calata la sera.

Scendemmo dalle auto e ci incamminammo nel bianco vialetto che delimitava i floridi lati del mio giardino. Weddy precedette me e Abel per controllare che non ci fosse nulla di anomalo o pericolo.

“E’ una tipa a posto come sembra?” Mi domandò Abel mormorando al mio orecchio, mentre avvicinandomisi, mise le mani nelle tasche dei suoi logori pantaloni da lavoro.

 “Sì e molto direi…” Abbozzai un sorriso e proseguii guardando davanti a me “Sono davvero contenta che siate venuti a salvarmi.” Feci quell’ultima affermazione per smorzare il senso di colpa che assillava Abel e che notavo ad ogni suo gesto di  premura nei miei confronti.

Ma il mio tranquillizzarlo non ebbe ottimi risultati, lo feci rabbuiare ulteriormente.

Sulla porta di casa, iniziai ad armeggiare con la base di un pesante vaso, sotto cui tenevamo le chiavi di riserva nel caso in cui  io o la mamma, fossimo rimaste fuori senza chiavi.

La particolarità di questo vaso è di avere un piccolo buco sul retro del suo fondo, dove solo una piccola mano poteva passare e toccare l’interno vuoto. Ancora più singolare era il fatto che la terra contenuta nel tondo recipiente sovrastante, soprattutto nei giorni di pioggia, lascia cade giù in questa base un modesto mucchio di terra a coprire le chiavi e quindi è quasi impossibile ritrovarle se non si è al corrente di questo piccolo ‘difetto’.

Infilai la mia mano nel foro, ma da subito sentii che il mucchio di terriccio era stato smosso e che le chiavi erano state riposte sopra al piccolo cumulo di terra.

Mi bloccai e pensai a chi potesse aver toccato le chiavi non sapendo cosa ci fosse sotto il fondo del vaso. Era praticamente impossibile prenderle per chi non fosse al corrente della peculiarità di quell’oggetto.

Mantenni  la calma, altrimenti sia Weddy che Abel, mi avrebbero trascinato via di lì per i capelli se avessero minimamente notato il mio volto cambiare improvvisamente espressione.

Presi le chiavi, disinserii l’allarme ed entrammo tutti in casa.

Accesi le luci del corridoio e mi guardai attorno provando molta nostalgia. L’odore della mia casa era sempre lo stesso, una via di mezzo tra il profumo dello zucchero e quello floreale di mia madre. Erano solo due settimane che mancavo da lì e provavo un senso di appagamento che in casa di mio padre non avevo mai nutrito. Quello era il mio nido, il mio fulcro di sicurezza, l’ancora, quell’angolo di vita che amavo fare nella mia Brentwood.

Chiusi gli occhi e inspirai, poi li riaprii, mi girai verso i miei accompagnatori e parlai “Potete aspettarmi qui? Farò subito.”

“Va bene, per qualsiasi cosa sai dove siamo.” La bionda Weddy si sistemò i capelli dietro la nuca con fare audace.

Io annuii e mi diressi verso la cucina.

Appena superai la soglia del piccolo arco d’ingresso alla stanza, ebbi subito la visuale aperta della mia cucina. Tutto era rimasto com’era; gli sportelli in giallo opaco, il lavello perfettamente in ordine e lucido, la porta finestra coperta dalla tenda veneziana totalmente serrata. I miei occhi vagarono perfino sul soffitto bianco e lentamente superarono tutti i più piccoli particolari, finché non piombarono sul ripiano in marmo al centro della cucina.

Le mie iridi rimasero catturate a scrutare il centro del tavolo in marmo, sbarrai appena lo sguardo e mi avvicinai.

Sullo scuro ripiano spiccava un barattolo in vetro di marmellata di fragole.

Non c‘era nient’altro, solo il contenitore ricolmo di salsa cremisi.

Corsi verso la cappa del piano cottura e accesi la sua flebile luce, ritornai al tavolo e sollevai il contenitore di vetro. Sotto vidi risaltare un minuscolo foglietto di carta.

Poggiai il barattolo e aprii con agitazione il foglio, che era stato ripiegato per tre volte, e lessi il contenuto.

 

Vieni il 22 Agosto a Pasadena, al numero di approvazione del condominio 061550, stanza 404 alle ore 08:30.

 

Vidi solo il bianco della carta e il nero di quel messaggio.

Recepii tutte le informazioni alla prima occhiata. Anche avessi riletto più e più volte, sarebbe stato un inutile spreco di tempo e di energie. Quelle parole erano state incise nel mio cervello, non appena avevo sillabato la prima lettera nella mia mente.

Capii in un lampo che era stato Beyond a prendere le chiavi di riserva nel sotto vaso.

B, lo aveva fatto di nuovo.

Dopo molto tempo risentii quella scomoda sensazione dell’essere violata in casa mia, percependo ancora la disarmante impressione di non essere al sicuro. Inoltre provai ira, perché  proprio come avevo pensato, ero la sua marionetta, mi aveva riposta di proposito in una scatola di pietra. Voleva farmi compiere quelle azioni, voleva farmi andare a casa mia a Brentwood. Sapeva che avrei temuto per ciò che amavo, sapeva che sarei tornata lì, sapeva che avrei preso quel messaggio.

Sapeva che avrei eseguito ciò che mi chiedeva, come lo sapeva anche L.

Improvvisamente avvertii il fragoroso rumore di una ciotola in alluminio cadere a terra e venni distolta dal mio giro di pensieri e da quella missiva. Il cuore mi finì nel cervello per quanto batté forte.

Adagio Molly fece capolino dal ripiano vicino al lavandino su cui tenevamo poggiate le stoviglie e ciotole per cucinare. Muoveva la coda nervosamente e il suo sguardo sembrava voler trasparire una scusante per il danno provocato.

“Oh, mio Dio! Molly! Mi hai fatto prendere un colpo. Oggi è destino che ci debba lasciare le penne.” Nervosamente chiusi gli occhi e mi portai la mano, in cui ancora tenevo il biglietto, in testa in segno di sollievo.

Velocemente ripiegai il foglio, lo misi in tasca e mi diressi verso l’angolo in cui tenevamo il trasportino di Molly. Nella sua solita maniera ruffiana la gatta mi seguì, si strusciò sulle mie caviglie, io mi cucciai e la presi. “Adesso andiamo dalla mamma e dal papà. E dovremo inventare una buona scusa per il casino di oggi.” Sussurrai carezzandola, poi la infilai nel gabbiotto e chiusi per bene per evitare che mi sfuggisse.

In fretta e furia mi rialzai, raggiunsi Weddy e Abel che erano rimasti in mia attesa all’ingresso.

“Tutto bene? Abbiamo sentito del rumore.” Affermò Abel mentre si massaggiava timidamente il braccio muscoloso.

“Sì, tutto ok. Era Molly che ha fatto cadere una ciotola…adess…” Mentre ero intenta a parlare, misi la mano nella mia tasca interna e non trovai il mio cellulare. “Ma…eppure lo avevo messo qui dentro.” Ebbi paura di averlo perso nel nascondiglio di B o che mi fosse caduto chissà dove nel caos di avvenimenti.

“Che succede Leonor?” Domandò curioso e adombrato Abel.

“Cerchi questo?” Weddy alzò il braccio teso dove nella mano sfoggiava  il mio cellulare.

“Come? Quando?” Ero meravigliata.

Come aveva fatto a prendermelo? Era nella mia tasca segreta e interna per di più.

“Tranquilla. So fare molto meglio.” Disse la donna sorridendo beffardamente “Non potevo lasciarti sola con questo e nel momento delicato in cui ci troviamo. Devi scusarmi ma dobbiamo essere prudenti.” La bionda donna chinò il capo aprendo lo sportelletto del mio cellulare con fare annoiato e poi lo richiuse.

Avevo capito! Mi aveva sfilato il telefono in macchina, togliendo la mano dalla mia dopo quel gesto di gentilezza. Insieme a questa scoperta, capii anche un’altra cosa.

L, non si fidava completamente di me. Mi aveva fatto togliere il cellulare per paura che avrei potuto modificare qualche mossa di B.

L, sapeva che sotto l’influenza dei miei sentimenti, avrei potuto rovinargli tutto il sottile incastro che aveva messo su per prendere B. Sarei potuta diventare il bastone che invece di spingere l’ingranaggio nel giusto modo, lo avrebbe potuto bloccare.

Ero una collaborazione e un’arma pericolosa, dovevo essere tenuta sotto controllo. E forse non aveva tutti i torti.

Un po’ seccata per quella dimostrazione di sfiducia, presi il pezzo di carta trovato sul ripiano della mia cucina e lo porsi a Weddy ed Abel.

La donna lesse attentamente, mentre Abel serrò la mascella e abbassò lo sguardo.

“Molto bene. Possiamo andare…Weddy risoluta mi restituì il biglietto con il mio cellulare e continuò “ Prima però direi che dovresti coprire quello, altrimenti tuo padre si preoccuperà davvero molto.” La donna in maniera delicata indicò verso il mio collo.

Incuriosita il mio viso si corrugò in espressione interrogativa.

Poggiai il gabbiotto con Molly a terra, mi diressi verso lo specchio dell’ingresso e mi esaminai.

Fino a quel momento nessuno di noi se ne era accorto a causa del buio, ma sul mio collo spiccavano delle evidenti echimosi  che avevano la forma di mani.

Le mani di B.

Di quell’istante su quel riflesso, ricordo solo il mio sguardo sbigottito, sorpreso e d’intenso dolore.

 

 

 

 

* In questa affermazione che fa Weddy, mi riferisco al cimitero di Los Angeles delle celebrità. Una mia amica che è stata in California, mi ha spiegato che ci sono due cimiteri a Los Angeles; quello delle persone comuni il  Westwood Village Memorial Park Cemetery e quello delle star l'Hollywood Forever Cemetery. Quindi ecco spiegata l'ironia di Weddy.

 

 

Ciao a tutti! Finalmente ce l'ho fatta a pubblicare!

Questo capitolo e il prossimo erano nella mia testa già da quando avevo pubblicato il precedente, però per via dei miei impegni di lavoro non ho potuto scrivere molto. Anzi, dovevo proprio scrivere il capitolo a singhiozzi, con la paura che non risultasse continuativo e omogeneo, ma più una specie di roba spezzata e incomprensibile (XD ahahahah).

Perdono quindi se non è proprio chiaro. L'ho letto più volte nella speranza che ci si capisse qualcosa.

Che dire, è un capitolo di passaggio, non compaiono né B, né L o meglio ci sono ma indirettamente (proprio nel loro stile -.- ahahahahhaah).

Ad ogni modo spero vi piaccia e spero non vi abbia annoiato, ho giocato molto di fantasia e mi sono discostata un po' dalla storia del romanzo, forse, ma mi piace giocare, ecco tutto. Sopratutto con Weddy e Abel è stato divertente, in questo capitolo sono stati le guardie del corpo di Leonor XD.

Il prossimo capitolo sarà l'ultimo, credo. E spero di poterlo scrivere il prima possibile, ad ogni modo se non mi vedrete prima, è perché sarò sommersa di lavoro fin sopra i capelli con la mia associazione, quindi ci rivedremo per il periodo post lavoro.

Grazie ancora per essere state/i qui a leggere, per il vostro sostegno, per l’attesa e per avermi inserito nelle varie sezioni. Siete preziosissime/i  e vi voglio bene.

Grazie di cuore.

 

Baci baci KiaraAma

 

 

   
 
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