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Autore: La Mutaforma    10/12/2012    3 recensioni
“La cosa che più mi fa rabbia è che non riesco ad odiarti completamente. Ho paura di essermi innamorata come una stupida”
Altair tacque, e la osservò. “Nessuno si innamora in modo intelligente”
[...] La nave non giungeva e fuori la pioggia si versava sui tetti e sulle persone. Non era un bel giorno per cominciare il suo viaggio. E allora rimandava. E ogni volta che rimandava Altair la osservava in silenzio, chiedendosi quanto ancora sarebbe durato.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Maria Thorpe
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Al tocco dell'amore, tutti diventano poeti

-Platone

 

 

Maria lo sorprese con una serie di pergamene sul tavolo, nella stanza dove soleva chiudersi per fare-chissà-cosa. Pensare, probabilmente. Anche se lo faceva spesso.

Quando arrivò sulla porta si chiese cosa l’avesse condotta fin lì, perché si trovasse davanti a quella porta di legno.

Sospirando, si disse che era troppo tardi per tornare indietro.

Non è troppo tardi. Sei ancora fuori.

Spinse la porta con leggerezza e tranquillità, e gettando uno sguardo dentro la stanza ebbe il tempo di vedere l’assassino che si voltava verso la porta. I suoi occhi turbati si accesero di una vaga consapevolezza quando la vide sulla soglia.

“Problemi?”

Ecco, ora è troppo tardi.

Maria sussultò, ma cercò di mantenere un certo contegno; prese un grosso respiro, così grosso che quasi si strozzò, e Altair se ne accorse. Un sorrisino si dipinse sul suo volto scoperto.

Scoperto.

S c o p e r t o.

Aveva dei begli occhi, dal taglio lievemente obliquo, ma grandi e scuri. Inespressivi.

“Oh, non sapevo fossi qui” mormorò lei in risposta. Si maledisse per il tono limpido, e la voce sconnessa; sembrava si stesse scusando.

“Tranquilla” disse. Senza infierire. Avrebbe potuto umiliarla. Era una brava persona “Dai, entra”

Forse non era esattamente una brava persona.

Disgraziato.

“Mi dicesti che avevi letto qualcosa di filosofia”

“Sì”

Quando il mio istruttore mi reputava ancora meritevole per capirla. Allora era diverso.

Altair le mostrò con un mezzo sorriso trionfante le varie pergamene. Sembravano antiche e consumate, e puzzavano. Di muffa. Terribilmente.

Forse lui era troppo soddisfatto per rendersene conto.

“Me le ha vendute un mercante per pochi soldi. Sai cosa sono?”

“Non capisco questa lingua. Cos’è?” chiese Maria, sporgendosi sulla sua spalla, per vedere meglio. Ebbe un vago senso di vertigine, e non seppe dire con certezza se fosse per la sua vicinanza o l’odore di vecchio.

“Greco. Sono degli scritti di Platone”

Chissà perché la sua voce era orgogliosa e ammirata. Quelle carte vecchie dovevano avere un grande valore per lui.

“Sembrano interessanti” disse, paradossalmente con disinteresse.

“Lo sono”

“Non conosco il greco, e non so chi sia Platone” pronunciò la donna, apparentemente senza vergogna  “Ma..”

“Puoi restare lo stesso” disse, secco.

Lei fece per replicare, poi sorrise, poggiandogli una mano sulla spalla.

“Corro il rischio di imparare qualcosa?” fece lei, ironica, sedendosi con leggerezza su una sedia di legno scricchiolante. Gli strappò un sorrisino, mentre metteva ordine tra le sue pergamene.

“Solo se decidi di aprire la tua mente” disse “O il tuo cuore”

Maria sgranò gli occhi. “Il mio cuore?”

Lui annuì, sorridendo al suo smarrimento, e scivolò dalla mano leggera di Maria poggiata sulla sua spalla, spostandosi verso la scrivania.

“Vuoi che legga?”

“Sentiamo”

Altair fece scorrere rapidamente gli occhi sulla pergamena ingiallita, poi sorrise.

Così, incomprensibilmente.

“Questo è un brano del Fedro”

Maria esitò. “E’ molto difficile da tradurre?”

“No, non molto. Parla dell’amore”

Lei sbuffò, annoiata, e incrociò le braccia. “Ne so più di tutti i tuoi amati filosofi. Passa avanti”

“Dubito che la nostra idea di amore sia simile a quella degli antichi. Nella tua immensa saggezza ti renderai conto che sapere qualcosa in più potrebbe essere utile. Chissà, magari lo troverai interessante”

Maria aprì la bocca per ribattere, ma l’assassino non attese il suo permesso, perché ebbe cura di cominciare a leggere subito. Il greco su quelle labbra non sembrava una lingua strana. Era quasi dolce, musicale.

Aveva un bel suono. Altair doveva aver studiato molto.

“Tu sai che non ho capito niente, vero?”

“Sei impaziente, noto” ridacchiò il siriano “Forse conviene compiacere non coloro che chiedono con insistenza, ma coloro che sono maggiormente in grado di contraccambiare il favore; e non coloro che si limitano a chiederlo, ma coloro che ne sono degni; non quanti godranno della tua giovinezza, ma quanti ti renderanno partecipe dei loro beni quando sarai diventato vecchio ; non coloro che, raggiunto lo scopo, se ne vanteranno con gli altri, ma coloro che, per pudore, non faranno parola con nessuno; non quelli che si curano di te per poco tempo, ma quelli che ti saranno amici allo stesso modo per tutta la vita; non coloro che, una volta appagato il desiderio, cercheranno un pretesto per litigare, ma coloro che, quando sarà sfiorita la tua giovinezza, proprio allora ti mostreranno il loro valore. Ricordati quindi di quanto ti ho detto e rifletti sul fatto che, mentre gli amici rimproverano gli innamorati pensando che il loro sia un comportamento negativo, al contrario mai nessuno dei familiari critica coloro che non sono innamorati dicendo che a causa della loro condizione curano male i propri interessi”

Seguì un attimo di silenzio, come se la stanza stessa volesse assimilare meglio quelle parole. Anche Maria taceva, sia per incomprensione sia per stupore. Altair aveva una bella voce, e sapeva parlare, come chi comprende le parole che pronuncia.

“Come ti sembra?”

“Gli antichi avevano una strana idea dell’amore” commentò sarcastica la templare.

“Non credo. Non è molto diverso da come lo intendiamo. Dopotutto ha scritto delle cose molto chiare e accettabili. L’idea di fondo è che l’amore esista solo tra le anime”

Maria sbuffò, e le sue mani si contrassero sulla tunica bianca, fino a farsi sbiancare le nocche.

“Un amore così non esiste”

Era una sentenza pesante, non buttata lì per caso. Altair pensò che dentro di essa vi fossero un po’ riassunte le sue motivazioni, il suo modo di essere.

Il siriano cercò di non guardarla, per metterla in disagio.

“Hai ragione. Forse un amore non esiste. Però esistono le persone”

“Le persone fanno schifo”

Lui rise leggermente. “Probabile. Ma la vita mi ha insegnato che le persone sono difficili, e dobbiamo comprendere i loro motivi. I loro perché. Sono sicuro che molti templari sono entrati nell’ordine perché credevano davvero in quello che facevano, non per malvagità, come mi hanno insegnato. Converrai anche tu che non tutti gli assassini sono così male”

Sbuffò ancora, sprezzante.

“Non entriamo in questi discorsi, assassino”

“Speravo che dopo tanto tempo, avrei ottenuto l’onore di essere chiamato per nome”

 “Non conosco altri assassini. Solo il peggiore” Maria sorrise.

“Come puoi dirlo?”

“Hai ucciso Robert”

Era la prima volta che Altair si vergognava, pur non provando rimorso per quello che aveva fatto. Agiva nel giusto. Era sicuro di sé.

Un giorno anche lei avrebbe capito.  

“Lo amavi molto?”

“A chi ti riferisci?”

“A Di Sable” precisò Altair. La sua voce tremò nel pronunciare quel nome.

Anche lei sussultò, ma per ben altre ragioni. Abbassò gli occhi. “No. Non l’ho mai amato. Non ho mai amato nessuno. Però avevo uno strano legame con lui. Pensavo che mi avrebbe fatta sentire migliore di quello che sono” sul suo bel viso si materializzò una maschera di amarezza “Come avrebbe potuto lui farmi diventare migliore?”

“Penso che tu abbia ragione”

Maria sorrise lievemente, e lo guardò negli occhi. “Tu invece hai mai amato qualcuno?”

Rifletté. Pensò che non valeva la pena di mentire. “Sì, una volta. Fu molto tempo fa. Si chiamava Adha”

“Ti ha piantato quando ha scoperto che sei un assassino?”

Altair respirò forte. “E’ morta”

A quelle parole la ragazza deglutì rumorosamente; avrebbe voluto darsi della stupida, e prendersi a schiaffi.

“Perdonami. Non volevo deriderti”

“Tranquilla. E’ passato molto tempo”

Gli sorrise dolcemente, e fece scivolare una mano tra le sue. “Questo non vuol dire che io ti possa sbeffeggiare. Scusami”

Le sue dita erano infreddolite, sottili e affusolate. Ma erano dure, abituate alla violenza, e non all’affetto. Qualcosa di quella mano però lo fece sussultare, e non ebbe il coraggio di stringerla tra le sue. Avrebbe potuto restare a guardarla a lungo, e a perdonarla molte altre volte per il suo atteggiamento poco rispettoso.

Fuori, su Kyrenia aveva ricominciato a piovere. Maria accolse il ticchettio della pioggia con un moto di stizza, e si sollevò per andare alla finestra.

“Maledizione”

“Cosa c’è? La pioggia ti infastidisce? Dicono che in Inghilterra piova molto”

“La pioggia mi infastidisce quando devo partire. Non prenderò mai quella nave…” sospirò la ragazza, poggiando i gomiti al davanzale. E sembrava così bella, così poetica, con quegli occhi intensi e il viso corrucciato.

Guardava la pioggia e aspettava sul davanzale che tornasse il sole. Sembrava un dipinto.

“Altair” cominciò lei, titubante.

“Dimmi, Maria”

Il suo cuore ebbe una convulsione. Lo aveva chiamato per nome. E detto da lei aveva un bel suono. Meno duro, meno diretto. Sembrava fluttuare su quelle labbra, per giungere al suo udito come una carezza, come un bacio.

“Desideri mai fuggire?”

Lui indugiò, chiudendo gli occhi. “Dipende da cosa fuggire”

“Fuggire dal mondo” precisò.

Nella stanza umida si condensò un sospiro. Di entrambi.

Altair aprì gli occhi scuri come la notte. “Continuamente”

 

Quella notte, Maria stava seduta nel suo letto, tremante sotto la camicia di lino che aveva comprato al mercato sul porto per poche monete in vista della partenza.

Si strinse le mani in grembo; sull’anulare, dove l’anello pulsava e bruciava dolorosamente, pur non essendo più lì.

Si chinò verso il pavimento, dove aveva ammucchiato i suoi vestiti, e trasse dai calzoni quel dono, l’ultimo anello che la legava alla catena dei templari.

Si vergognò di sé stessa, e di tutte le sue aspettative passate.

Lo lanciò con rabbia verso la finestra.

Non lo rivide mai più.

 

Maria non era la sola a non dormire. L’assassino nella stanza di fianco stava sdraiato nelle lenzuola, gli occhi aperti a scrutare il buio.

Si sollevò piano, stancamente, con un mormorio confuso, ma abbastanza silenzioso da non far rumore.

Si sedette alla scrivania e accese una candela, dicendosi che avrebbe tradotto qualche altra pergamena. La filosofia avrebbe occupato la sua mente, avrebbe coperto quella parte lesa dei suoi pensieri. Sarebbe stato più sereno.

Come da sempre, per stare meglio studiava. Il mondo nelle parole dei filosofi sembrava meno pesante. E sufficientemente complicato a livello metafisico per dimenticare tutto il resto.

Prese un foglio e intinse la penna nell’inchiostro, ma non fu per scrivere. Fece prima lo schizzo di un corpo, aggraziato, morbido. Un corpo di donna.

Sorrise, pensando che era la sua mano a desiderarla, mentre con la penna accarezzava quel corpo leggiadro, quelle spalle coperte dai lunghi capelli lisci, che terminavano a volte in alcuni boccoli sciolti, spontanei.

E lui la desiderava. Desiderava essere parte di quel disordine, di quel caos, che vedeva dentro di lei, dentro i suoi occhi.  

Quando terminò di disegnarle il viso, le fece un piccolo sorriso; poco veritiero, in base a ciò che sapeva di Maria.

Quanto avrebbe dato per un sorriso…

Gli occhi, rivolti verso di lui, sembravano osservarlo dolcemente. Maria sorrideva. 

   
 
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