°°§The Beach§°°
Presi il primo treno che ho
trovato alla stazione indicante il luogo in cui dovevo dirigermi. O comunque
che mi ci portasse il più vicino possibile. Nemmeno mi chiesi se era giusto
abbandonare il tempio in quel modo. Ma ero diventato qualcosa di non puro ai
loro occhi. Non me ne importava più di tanto. Volevo solo portare la tragica
notizia. I giornali non fiatarono sul suicidio del Sanzo
Hoshi. Dal mio canto non faci molto caso a qualche
giornalista avvezzo al paparazzo intento a volermi
intervistare. Non me ne importava. Come non me ne importa. Sono
due giorni che sto qui in treno. Due lunghi giorni di viaggio e spero
davvero che sia la rotta giusta.
Dal finestrino di questa
piccola cuccetta riesco a vedere il paesaggio che cambia. Qualcosa di freddo,
solitario come può essere l’inverno. Gli alberi morti e
distese di prati sommersi dalle nubi della pioggia. Non si vede altro a
distanza di un miglio. Poi superati questi luoghi più
freddi piano piano si incomincia
a scorgere il primo guizzo di colore. Un albero di mele. Di arance.
Piccole distese di papaveri. Qui tutto è più nuovo e allegro. E quasi mi fa
rabbia l’idea di stare portando in un così strano e rigoglioso mondo, una notizia tanto tragica. Ma mi tranquillizzo. Si parla di un isola. Un isola deserta. Rido. Porto
una notizia in un posto in cui forse non c’è un cane. Ma lo farò.
Dopo altre poche ore di viaggio
qualcuno urla che stiamo per imbarcarci su di un traghetto. Aggrotto la fronte.
Nella lettera lasciata si parlava di scendere esattamente prima del traghetto.
Non capisco. Perché scendere adesso se è su di un
isola che devo andare? Mi sporgo un poco dal finestrino. Dovrei sbrigarmi.
Prendo in fretta l’unico borsone che ho con me ed esco dalla mia cuccetta. Ho
perso tempo. Credo non potrò più scendere ma tentar
non nuoce.
Becco il primo che mi possa aiutare e chiedo informazioni con un che di nervoso. Io di mio odio
viaggiare e per giunta non capisco nemmeno le indicazioni di un
morto.
“Mi scusi, dovrei scendere prima di salire sul
traghetto, è importante…” E’ sempre meglio non dare troppe spiegazioni, veloci
e coincisi sennò ti prendono per quello mezzo matto
che sta lì a raccontare la storia della sua vita.
“Mi dispiace, signore, sareste dovuto scendere
prima, arrivati dopo il traghetto potrete tornare indietro con un altro
traghetto.. ora la preghiamo di tornare nella sua
cuccetta…”
Sembrano sempre tutti gentili e cordiali, ma vedo spesso solo freddezza in questi gentili signori intenti al
dare informazioni. Potessi gli spaccherei il naso. Quasi quasi
mi sto ritrovando la rabbia di Sanzo nel sangue.
“Ma siamo ancora fermi… non posso scendere al volo?”
“No, non è possibile signore… ora
torni al suo posto…”
“No, non ha capito… è urgente non posso tornare
dopo il traghetto si tratta di aspettare altri tre
giorni.. e io non pos…”
“Non sono problemi di cui mi si riguardi…”
D’accordo. In fondo non me
ne dovrebbe importare molto. Che si fotta.
Per un attimo gli sembra che mi sia arreso. Mi volto e vado
per tornare nella mia cuccetta. Ma non posso proprio attendere oltre. Mi volto nuovamente di colpo e come forse si prende la carica un
ariete, spinge il tizio con il borsone. Devo scendere. Voglio che chi
avrà la notizia della morte di Sanzo,
possa avere il tempo di tornare per vederne solo il cadavere.
Corro come un felino. E dire che non sono mai stato tanto atletico, l’adrenalina spesso fa scherzi
impagabili. Mi butto praticamente fuori il treno dallo
sportello di entrata ancora aperto.
Sono sicuro di non avere mai avuto delle vertigini.
E dire che spesso si crede che mai si ci ritrovi come
nei cartoni animati a cercare di risalire il vuoto. A cercare
di rimanere lì in aria il tempo giusto per tornare indietro. Mi ritrovo
nel vuoto. A cercare di artigliare l’aria. Sotto di me il nulla. Una distesa d’acqua infinita e con me solo la speranza di
sopravvivenza. Ormai non si torna indietro. Ci si
butta soltanto.
E cado. Cado in quella distesa che è l’oceano. L’impatto
è tanto forte che rimango stonato per un po’. Sente
qualche urlo. Qualche voce che esclama di chiamare un
ambulanza. “Uomo in mare” Ma io non sento granchè.
Dopo poco solo mi rendo conto che le correnti del mare
lì sono fortissime e vengo trascinato via. Lontano dal traghetto. Lontano dal
treno. Alcuna voce ormai. Solo silenzio ed il rimbombo delle onde nella mia
testa che pulsa vista la botta sull’acqua.
Il borsone mi fa da salva gente. E’
strano pensare dove sono arrivato chiedendomi semplicemente tempo fa come
sarebbe la vita in un monastero. Tsè, assurda
la vita.
Passano ore. Forse giorni, ma non credo, non ho
visto calare la sera. Oppure non me ne sono accorto.
Solo trascinato dalle correnti del mare mi ritrovo ad essere
sballottato su degli scogli. Mi ferisco persino alla testa e urlo di rabbia per
la situazione. Finalmente serpeggiando tra gli scogli riesco
a trovare qualcosa di più morbido. Sabbia. Candida come la neve la
sabbia mi circonda. Terra vera finalmente. Non ricordo dove avevo letto che
quando la temperatura di un uomo si abbassa tende a
perdere forza anche fisica. Bè l’oceano è gelido. Spero solo di potere sopravvivere il tempo di capire dove cavolo
sono finito.
“EHI! C’E’ NESSUNO?” Sento la gola aprirsi in
quattro con l’urlo strozzato che mi esce forse a casa di qualche litro di
troppo bevuto. Crollo. Sono stanco ho bisogno di
riposare e sento la testa che sta per esplodere dal dolore.
“Non c’è bisogno di urlare in questo modo!” Una
voce matura, quasi sorniona quella che mi punge le orecchie. Alzo appena gli
occhi. Il rosso più puro mi acceca e troppo scosso perdo
i sensi.
Scusate ancora il ritardo… vi prego non uccidetemi… l’estate è crudele con me e mi ha
colpita alle spalle con tutto il mare il sole e gli amici *_* se volete punirmi
fatelo… eheheh
Ringrazio tutti quelli che commentano e anche quelli che solo
leggono sono pur sempre belle soddisfazioni e soprattutto è bello sapere che le
mie storie non sono così malate ehehe…
Un bacio a tutti e buona
estate..
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