Trecentonovantatré
You hate,
you scream, you swear
And still you never reach him
Tu odi, tu gridi, tu giuri
E non riesci ancora
a raggiungere lui
Ma tu dentro di me non muori più
Sparta, 9 Aprile 1844
-Amore... Amore mio? Stai ancora dormendo?-
Erano le undici e quaranta
del 9 Aprile 1844 e Natal'ja stava accarezzando e coprendo di baci il bel volto
ancora assonnato di suo marito, che aveva aperto giusto in quel momento un
occhio, con il quale la stava fulminando.
-Nikolaj... Senofonte... Le Elleniche...- furono le uniche parole, sconnesse e strascicate,
che riuscì a mormorare come esigua risposta.
Lys aggrottò le
sopracciglia dorate.
-Да?-
-Tutta la notte... A leggere... Quel
delinquente... Nostro figlio...-
-Niko ha passato tutta la
notte a leggere? Dio quanto ti
somiglia...-
-Oh, no... Io ho passato la notte a leggere per lui! Tutte
le Elleniche... E adesso...-
-Oh, il mio povero
Georgij... Mi aiuti a pettinarmi?-
-Eh?-
-Pettinarmi...-
-Ma sparati!-
-Sei nervoso stamattina,
Georgij?-
-Sì!-
-Beh, allora vado a
chiederlo a Theo...-
-Ma tu credi di poter monopolizzare tutto
l'Esercito Spartano?-
Lys lo guardò sorpresa.
-Non è così?-
Gee riaffondò la testa nel
cuscino, esasperato.
-Καληνύχτα-
Natal'ja gli lasciò un ultimo bacio a fior di labbra e poi, sorridendo con aria trasognata, si avviò fuori dalla camera.
Era più allegra e
irriverente che mai, Natal’ja, di prima mattina, anche quando i programmi della
giornata erano un autentico strappo al cuore.
E Alja agli strappi al
cuore a modo suo c’era abituata, si era dovuta abituare, ma aveva qualcosa dentro
e qualcuno fuori che glieli faceva sentire di meno, un coraggio e un amore che
glieli cicatrizzava in tempo, un marito da svegliare che non aveva nessuna
intenzione di essere svegliato e un sorriso che proprio non riusciva a
trattenere.
Si era fatta e sciolta la
treccia almeno una decina di volte, prima di uscire, e aveva risolto
raccogliendo e intrecciando solo alcune ciocche di capelli che aveva poi
adagiato su quelli sciolti, soluzione che l’aveva lasciata discretamente
soddisfatta.
Sulla porta di casa
l’aveva colta un brivido, fatto inspiegabile pensando ai quarantasette gradi
che incombevano in città, ma quando i brividi venivano da dentro potevano far
male seriamente, lo sapeva bene, Lys.
Era il luogo, il luogo in
cui era diretta, a farla rabbrividire.
Il Cimitero di Sparta, la tomba di Lisandro.
Perché posare gli occhi
sulla lapide di un figlio faceva male anche a una che gli occhi li aveva belli
come i suoi e a prima vista si pensava che neanche ce l’avesse un figlio, né un
figlio né un motivo per piangerlo.
Lisandro Fëdor Gibson, Sparta, 27 Gennaio 1844 -
Sparta, 27 Febbraio 1844.
Un mese.
E quel mese era finito col
suo compleanno.
Ma in realtà non avrebbe dovuto finire mai.
Aveva paura, Natal’ja,
perché davanti a quella tomba quel giorno ci doveva andare da sola.
Perché Gee dormiva, e a
Line, Niko e Aiace non se la sentiva di togliere il sorriso.
Non era obbligata ad
andarci tutti i giorni, ma lei doveva farlo.
Lei... Lei poteva anche
sembrare una frivola ragazzina con più capelli biondi che sale in zucca, una
sciocca sciacquetta siberiana da niente, ma era molto meno spensierata di
quanto sembrasse, Natalys.
Non lo dava a vedere quasi
mai, perché la infastidiva il vittimismo isterico e molte altre cose di chi
aveva troppa paura di soffrire.
Lei di paura ne aveva
avuta tanta, a suo tempo, ma non c’era mai stata via di scampo e la forza se
l’era dovuta inventare.
Non era una cosa poi così
straordinaria.
Lo facevano in tanti, e
molti anche meglio di lei.
Natal’ja però, più di ogni
altra cosa, avrebbe voluto capire.
Perché con una come lei,
che di errori ne aveva fatti, ce la si poteva prendere, ma con Lisandro no.
Perché un solo mese di vita non bastava per
sbagliare.
Ed era quasi certa che suo
figlio fosse stato ucciso per i suoi errori o per quelli di Gee, o forse per
quelli di entrambi, ma continuava a non sopportare l’idea che fosse stato
spinto giù dal burrone al posto di uno di loro, che avesse dovuto pagare per uno
di loro, che non avesse vissuto per colpa
di uno di loro.
La pietà Lys l’aveva persa
presto, ma il figlio di un nemico no, lei non l’avrebbe mai toccato, e neanche
Gee.
Non perché fossero
migliori dei loro nemici.
Forse erano solo più illusi, più ingenui.
Forse perché la guerra non
la sapevano davvero combattere.
Forse perché non avevano ancora capito niente.
E lei, soprattutto, non aveva ancora capito che i torti fatti si
dovevano pagare.
You
come, you stay, you go
It
really doesn't matter
You've
done it all before
By
now they'll know the pattern
Tu vieni, tu resti, tu vai
Davvero non importa
Tu hai già fatto tutto questo prima
Ormai loro sapranno come regolarsi
(Elaine, Abba)
Inginocchiata davanti alla
tomba di Lisandro, Natal'ja sfiorava le lettere in rilievo del nome di suo
figlio incise sulla lapide, trattenendo il respiro.
Non c'era nessun ritratto,
non avevano fatto in tempo a farglielo, un ritratto.
Accanto a quella di
Lisandro, c'erano altre tre tombe terribilmente care ai Kléftes.
Eris Dounas, Sparta, 1 Maggio 1814 - Sparta, 13
Novembre 1814, la primogenita dei
Dounas e la figlia prediletta di Eiréne, quella bambina bionda annegata nell'Eurota
dalla sua stessa madre.
Meletis Dounas,
Sparta, 13 Novembre 1801 - Sparta, 9 Giugno 1841.
Ferito a morte in duello
da Geórgos, ma ucciso l'ultimo giorno di agonia da suo figlio, Theodorakis.
L'unico che l'aveva sempre creduto un eroe, un uomo
da ammirare e da imitare, e per questo aveva sbagliato tutto.
Ucciso a trentanove anni
dal figlio ventiseienne, per aver tradito la sua fiducia.
Nel ritratto, datato 1840,
era esattamente come Lys se lo ricordava.
Con gli stessi capelli
biondi e gli stessi occhi verdi di Theo, ma uno sguardo del tutto diverso,
nonostante tutto.
E infine, l'ultima tomba della
serie.
Dekapolites Calie, Sparta, 13 Agosto 1786 - Mar
Egeo, 29 Dicembre 1841.
Il migliore amico di Leonida,
il padre di Eiréne, il nonno di Theo e il maestro di Gee.
Perdutamente
innamorato di una donna che lo disprezzava, che non lo considerava all'altezza,
mai abbastanza, e che aveva
ucciso a coltellate per tradimento.
Sua moglie, Adrasteia,
bella quanto crudele.
Un uomo che non era mai
spiccato per gentilezza, ma che a Lys era sempre stato simpatico.
Strappato via
dalla tempesta, dalla furia del mare e del cielo a cinquantacinque anni, nelle vicinanze
di Cipro, ma non dai cuori dei Kléftes.
Questo mai.
Nel ritratto sulla lapide
era ancora giovane, i suoi capelli ricci erano neri come quelli di Leonida e
Gee e non grigi e i suoi occhi grigiazzurri, incredibilmente simili a quelli di
Lys, più luminosi che mai.
Era del 1823, quando
Dekapolites aveva trentasette anni.
L'aveva scelto Theo, quel
ritratto.
Theo che nel '23 aveva otto anni, e il Dekapolites giovane e
relativamente spensierato l'aveva conosciuto.
Alja lo riconobbe
ugualmente, anche se lì, effettivamente, aveva tutta un'altra luce.
Una luce invidiabile.
Il 1823 era l'anno
dell'Assedio di Missolungi da parte dei Turchi Ottomani, nel pieno della Guerra
d'Indipendenza Greca.
Dekapolites sorrideva così
perché sapeva che, anche se a Missolungi nel 1827 avrebbero perso, alla fine avrebbero vinto
loro.
Avrebbero conquistato la Libertà.
Poi i Greci la guerra
l'avevano vinta, nel 1829, ma Dekapolites aveva perso il sorriso.
Aveva capito che non
bastava la libertà di un Paese, per liberare un uomo.
Aveva capito che non
bastava la gloria di Sparta, per guarire il suo amore per una donna che
apparentemente aveva già tra le braccia, ma non aveva lui nel suo cuore.
E una figlia data in sposa
all'uomo sbagliato, una figlia che non l'avrebbe mai perdonato davvero.
Una vita che non era come aveva immaginato.
Eppure, Dekapolites non
avrebbe mai voluto morire.
E non meritava di morire.
L'unico che lo meritava
tra di loro era Meletis.
Con un sospiro, Alja tornò
a guardare la tomba di Lisandro.
Il suo Lisandro.
Forse non avrebbe mai
capito...
Cos'era successo e perché,
chi...
Ma lei ce l'aveva ancora dentro come prima che
nascesse, quel bambino.
Natal'ja accennò un lieve,
debole sorriso e fece per alzarsi, ma di colpo si sentì afferrare per i capelli,
tirati fortissimo.
-Vuoi sapere perché? Vuoi sapere perché ho ucciso tuo figlio,
piccola Natal'ja?-
Lys non vide i suoi occhi azzurri
né i suoi capelli rossi, ma riconobbe la sua voce, una voce gelida come una lama
di ghiaccio, e quelle parole, ho ucciso
tuo figlio, le diedero la più tremenda della fitte al cuore.
-Anasthàsja...-
-Dovrei essere io, la
madre dei suoi figli. Non tu, Natal'ja di
Krasnojarsk.
Adesso sai cosa significa
perdere un figlio. Adesso lo sai anche
tu.
Lui non ti ama davvero... Tu non capisci che io ho solo lui!
Sei venuta dalla Siberia a
portarmelo via... Tu non hai cuore, Natal'ja!
Tu non meritavi quel
bambino... Come non meritavi il mio Geórgos!-
-Позвольте мне идти...-
Pozvol’te mne idti...
Lasciami andare...
Avrebbe potuto finire lì.
Davvero, sarebbe bastato.
Lacrime che bruciavano
come gocce di sangue scorrevano sul volto di Natal'ja, su quei bei lineamenti
slavi che Anasthàsja vedeva negli incubi, e la disperata madre greca credette che
la piccola sgualdrina russa fosse finalmente pentita di quello che le aveva
fatto.
Non aveva mai conosciuto una donna più indegna di
rubare la sua felicità.
Per questo, per farle
pagare quell'affronto, perché lei era impazzita per quell'amore impossibile con
suo figlio, era impazzita davvero, non esitò ad affondare lo xiphos nel
corpicino esile e candido della sua indegna rivale, indegna di aver sposato un
ragazzo meraviglioso come suo figlio, indegna di aver avuto tre figli da lui, indegna di essere amata da lui.
Era accecata dalla follia,
Anasthàsja, non vedeva bene dove colpiva, non poteva essere certa di averla uccisa.
Erano queste, però, le sue
intenzioni.
Le intenzioni con cui la lasciò svenuta e quasi
esangue sulla tomba di Lisandro.
George dormiva.
Aiace e Nikolaj erano all’Αθάνατος
con Theo e Celine guardava i loro allenamenti seduta sui gradini della
palestra.
Anasthàsja guardò il
sangue della fiammiferaia siberiana sulle sue mani, turbata.
Le girava la testa, non era
pienamente cosciente della sue azioni.
Lei una volta non era così.
Era sempre stata una ragazzina
viziata ed egoista, ma non era così.
Non era mai stata veramente
cattiva.
Natal'ja, però, l'aveva costretta...
Perché Natal'ja aveva infranto i suoi sogni.
Anche se erano i sogni di
una pazza.
Perché ormai era pazza,
lei.
Ma non lo voleva sapere.
Natal'ja era sola al
Cimitero, suo marito e i suoi figli non sarebbero venuti a cercarla, non
subito. Era tutta una questione di tempo.
Forse ce l'aveva fatta, ad ucciderla.
Note
You hate, you scream, you
swear, and still you never reach him -Tu odi, tu gridi, tu giuri, e non riesci
ancora a raggiungere lui: Elaine, Abba.
Riferito sia a Natal’ja e
Lisandro sia ad Anasthàsja e Geórgos.
Ma tu dentro di me non
muori più: Celeste Nostalgia, Riccardo Cocciante.
Riferito a Natal’ja e
Lisandro ;)
Allora...
Oggi sono stata a casa con
la febbre, ed è uscito questo capitolo anch’esso febbricitante, ma che
stranamente è venuto esattamente come speravo ;)
Non è stato un capitolo
facile, assolutamente, è il capitolo in cui è stato svelato l’assassino, l’assassina di Lisandro, e il finale non
è proprio rassicurante, però...
Io ce l’ho messa tutta, e
spero davvero che vi sia piaciuto ;)
Sui contenuti non faccio
altri commenti, lascio tutto a voi ;)
A presto!
Marty