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Autore: Avah    11/12/2012    3 recensioni
Jesfer è un ragazzo sveglio e intelligente con un grande sogno: lasciare Ferisle e andare per mare, scoprendo nuove terre, ma l'incontro con una ragazza stravolge la sua vita e i suoi piani. Una storia di amicizia e di amoreche si intreccia con la voglia di libertà e normalità.
«Perché lo stai facendo? Ti stai mettendo nei guai, e questo solo per causa mia.»
«Ho imparato dalla vita che bisogna inseguire i propri sogni, a qualunque costo. Quindi, ovunque andrai, io ti seguirò.»
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un posto lontano chiamato Ferisle

Erano le due di notte. Il biancore dell’ultimo quarto di luna rischiarava leggermente il paesaggio custodito nella vallata di Darkval, racchiusa tra le mura inespugnabili e invalicabili della catena montuosa di Blakill. Il freddo era pungente, la temperatura era arrivata a toccare lo zero verso mezzanotte, ma la maggior parte della popolazione che risiedeva nella piccola isola di Ferisle non se n’era nemmeno accorta, accoccolata in mezzo alle coperte di lana vicino al focolare. Nessuno se ne accorse, tranne una persona.
La donna continuò a correre, con il mantello scuro che svolazzava dietro di lei, voltandosi di continuo sperando che nessuno la stesse seguendo. Aveva lo sguardo ancora rivolto indietro e non si accorse di un’enorme radice che sporgeva dal terreno; senza accorgersene si ritrovò distesa per terra, con le gambe doloranti per lo sforzo della corsa e tutto il corpo che stava risentendo della lunga marcia attraverso la valle.
La donna si rimise in piedi, ma fece appena tre passi e si accasciò di nuovo a terra, ormai senza più forze. Come in un miraggio, la luna rischiarò, non molto lontano da lei, una piccola costruzione fatiscente a due piani; dalla finestra del piano inferiore si vedeva il brillare sinuoso di una candela accesa. La fede e la speranza rinacquero in lei, e con tutta la forza di volontà che possedeva riuscì ad avanzare faticosamente fino alla porta di ingresso, a cui batté qualche colpo fiacco. Dall’interno si sentì il rumore di una sedia che veniva spostata sul pavimento di legno e i passi avvicinarsi.
«Chi è?», disse una voce femminile, allarmata.
La donna cercò di rispondere, ma la voce non le usciva dalla gola.
«Aprite… Per favore…», provò a mormorare, ma le forze le stavano venendo meno.
Le gambe ormai distrutte non riuscivano più a sostenerla in piedi, perciò scivolò a terra, con la testa appoggiata allo stipite della porta. Qualche secondo dopo udì il rumore di un catenaccio che veniva aperto e la luce della candela le rischiarò per metà il volto stanco e sporco di fango.
«Aiuto…», mormorò.
L’ultima cosa che riuscì a distinguere fu una figura scura che si accovacciava su di lei, il volto allarmato e preoccupato, poi il buio l’avvolse nelle sue spire d’acciaio e l’oscurità si impossessò di lei.
 
L’alba sorse livida e scura, mentre la valle era ancora avvolta nelle spire fumose della nebbia notturna. La temperatura era ancora vicina allo zero, ma i primi raggi dorati si infiltravano tra le fessure delle travi delle case, avvertendo gli occupanti che era nato un nuovo giorno e che, ormai, era ora di alzarsi e di andare a lavorare.
La donna balzò a sedere sul pagliericcio, la fronte imperlata di sudore freddo, il fiato corto e gli occhi sbarrati per l’orrore del suo incubo.
«Va tutto bene, non ti preoccupare» una donna che aveva sicuramente qualche anno in più di lei le si avvicinò e le porse una tazza di terracotta, da cui si levava un leggero fumo profumato e inebriante. «Bevi questo, ti farà bene».
L’altra prese il bicchiere e ne bevve l’infuso in piccoli sorsi, guardandosi attorno. Si trovava in una grande stanza che occupava tutto il piano; vicino al suo giaciglio si trovavano altri letti improvvisati, in quel momento vuoti; di fronte a lei c’era una piccola finestra senza vetri, chiusa soltanto da una tela trasparente; in fondo a sinistra c’era un’apertura sul pavimento, da cui spuntava una scala a pioli di legno; per il resto, la sala era completamente spoglia.
La donna appoggiò la tazza sul pavimento vicino a lei, poi si rimise giù, coprendosi con il mantello ancora sporco di fango, e chiuse gli occhi. Dietro le palpebre serrate rivide gli stessi orrori di molte ore prima, ancora nitidi e perfettamente scolpiti nella sua memoria: urla agghiaccianti, lingue di fuoco alte come due case una sopra l’altra, gente che scappava, e lei sola, in mezzo a quel marasma, mentre correva lontano, portando con sé solo ciò che aveva addosso e molte lacrime.
Nel frattempo, al piano inferiore, tre donne stavano discutendo a bassa voce per non farsi sentire dall’ospite al piano superiore; una delle tre era la padrona di casa, mentre le altre due erano ragazze molto giovani, sui quindici anni, che vivevano lì da un paio di mesi.
«Che possiamo fare per lei?», chiese una delle due ragazze, torturandosi le mani. «Non possiamo tenerla qui, ci potrebbero scoprire.»
«E’ ovvio che è scappata, forse proprio da lui», intervenne l’altra, lanciando di tanto in tanto un’occhiata fugace alla scala di pioli che conduceva di sopra.
«Ragazze, state calme», le ammonì la donna più anziana, mettendo fine all’agitazione delle altre due. «Conosco un paio di persone che possono aiutarci. Devo solo fare quattro chiacchiere con loro, vedrete che andrà tutto bene.»
«E se non fosse così?», riprese la prima. «Lui è capace di ucciderci tutte. Io l’ho visto con i miei occhi.»
«Non succederà niente a nessuno, ve lo prometto.»
 
«Allora Jesfer, ti vuoi dare una mossa con quei piatti? Non vanno al fiume da soli!»
Il ragazzo con i capelli biondi sbuffò, soffiando via dagli occhi una ciocca di capelli che gli copriva un occhio. Prese in mano la pila di stoviglie sporche e si avviò verso l’uscita. «Vado, vado!», urlò, sospirando.
Portare al fiume piatti e boccali di terracotta e lavarli non era certamente il lavoro migliore del mondo, ma in quel modo riusciva a mettere da parte qualcosa per potersene andare da Starlait. Da quando era bambino non faceva altro che sognare di andare per mare, scoprire nuovi posti, visitare località sconosciute di cui sentiva parlare da persone che venivano alla locanda per ristorarsi dopo i lunghi viaggi al di fuori di Ferisle. Era in quel modo che aveva scoperto che ciò che vedeva non era l’unico posto esistente: per lui quell’isola era sempre stata la sua casa, ma da quando aveva iniziato a capire i discorsi di quei uomini aveva cominciato a fantasticare sul suo futuro. Vedeva se stesso al comando di una grande nave, una di quelle che partivano e arrivavano al porto di Blufalls, dall’altro lato della Darkval, ed era proprio da lì che immaginava un nuovo inizio nella sua vita.
Molte volte aveva provato a esporre i suoi progetti ai suoi genitori, i proprietari della locanda in cui lavorava, ma i due anziani coniugi erano di stampo antico, radicati alle proprie origini. Quando erano riusciti a mettere su quell’attività non c’era stato nessun dubbio sul fatto che sarebbe passata di generazione in generazione, rimanendo così una loro proprietà, ma non avevano fatto i conti con le fantasticherie del ragazzo. Si erano resi conto che era sveglio, intelligente e un buon lavoratore, ma non sarebbe mai partito per mare, per nessuna ragione al mondo.
Jesfer sospirò di nuovo, pensando che non avrebbe mai trovato il modo di scappare. Per carità, voleva un mondo di bene ai suoi genitori, ma proprio non riusciva più a stare lì a Ferisle: si sentiva come una fiera in gabbia, che girava su stessa in cerca di una via di fuga, pur sapendo che non c’era.
Arrivò fino al fiume che scorreva non molto lontano dalle mura di Starlait, scendendo direttamente dalle vette delle Blakill. L’acqua era fresca e pulita, e scivolava velocemente sui sassi bianchi levigati che si adagiavano sul fondo; alcuni spruzzi bagnavano i fiori gialli e viola che crescevano lungo le rive, avvisando dell’arrivo imminente dell’estate.
Jesfer immerse i cocci uno alla volta, strofinandoli con cura, fino ad avere le mani congelate e le giunture delle dita arrossate per il freddo eccessivo. Quand’ebbe finito, mise le mani a coppa e bevve a lungo, asciugandosi poi la bocca nel mantello scuro. Rimase per un po’ lì, in riva al fiume, osservando la natura attorno a lui. Era il solito paesaggio che vedeva ogni giorno: da una parte, dietro di lui, c’erano le mura e i tetti di Starlait, mentre di fronte i confini delle montagne, preceduti da immensi campi coltivati e, più in là, i boschi di Wudvor.
«Jesfer!»
Il ragazzo si voltò, sentendosi chiamare, e si alzò poi in piedi. Attraverso uno sterminato campo di grano avanzava una donna che si reggeva la lunga gonna per non essere ulteriormente impacciata dalle spighe che stavano nascendo. Lui alzò una mano in segno di saluto, poi le andò incontro, in modo da renderle più facile il cammino.
«Sapevo che ti avrei trovato qui», sorrise la donna, baciandolo sulle guance. «Ti trovo bene, ragazzo.»
«Anche tu sei in forma, Koci», rispose lui, ricambiando il sorriso. «Come mai da queste parti?»
«Ho bisogno di parlarti», riprese la donna, tornando subito seria. «E’ una cosa di estrema importanza.»
«D’accordo», il ragazzo inarcò un sopracciglio. «Di che si tratta?»
Koci si mise a sedere in mezzo alle spighe verdi, e con un gesto della mano lo invitò a fare lo stesso. «Ricordi quando ti chiesi di aiutarmi per sopravvivere alle angherie di Lord Reventy?», disse con voce appena udibile.
Jesfer annuì, non capendo ancora a cosa voleva arrivare.
«Ecco, è arrivato il momento», continuò. «Ieri sera è arrivata a casa mia una ragazza. Era in pessime condizioni, a malapena riusciva a tenersi sulle gambe. Sembra non mangi da giorni, è scheletrica e denutrita.»
«Cosa devo fare?»
«Tienila con te per un po’, almeno fino a che non si sarà ripresa. Da me ci sono già Raki e Qelyl, non posso tenere altre fuggitive in casa. Mi scoprirebbero e sarebbe la fine per tutti.»
«Aspetta solo un secondo, Koci», disse Jesfer dopo un momento di silenzio. «Come posso tenere nascosta una ragazza quando vivo ancora con i miei genitori? Se ne accorgerebbero subito.»
«Ti prego Jesfer, ho bisogno del tuo aiuto», la donna lo guardò con occhi imploranti. «Sai bene quante persone stanno soffrendo a causa di Lord Reventy. Non vuoi porre fine a questo strazio? Non vuoi che Ferisle torni ad essere quell’isola felice delle scorse ere?»
«Koci, sai bene che io voglio andarmene di qui. Sinceramente, non mi interessa che fine farà Ferisle, voglio solo vivere altrove.»
La donna sospirò. «So bene che vuoi andartene, ma so anche che tu ami questo posto, che ci tieni davvero, qualunque cosa tu dica.» Fece una pausa. «Vuoi davvero che altre ragazze facciano la stessa fine di Verliq?»
Jesfer tacque, colpito al cuore da quel nome. Sospirando, annuì. «D’accordo, ti aiuterò. Cercherò di cavarmela.»
«Bene.» Koci si alzò in piedi, scrollandosi di dosso la terra che le si era attaccata alla gonna. «Porterò da te la ragazza stasera stessa.»

  
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