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Autore: Kuruccha    11/12/2012    4 recensioni
«Io non ho paura.»
Tobia, continuando a camminare, osservò il profilo dell'amica. La sua espressione era appena visibile sotto i pallidi raggi di uno spicchio di luna.
«Nemmeno io» le rispose. «E perché dovremmo averne?»

Una notte fredda. Una buca da scavare. Una lezione da imparare.
Genere: Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La prima


«Io non ho paura.»
Tobia, continuando a camminare, osservò il profilo dell'amica. La sua espressione era appena visibile sotto i pallidi raggi di uno spicchio di luna.
«Nemmeno io» le rispose. «E perché dovremmo averne?»
Prima tenne lo sguardo fisso sul vialetto, le suole degli stivali che scricchiolavano al contatto col suolo.
«Gli altri ce l'hanno.»
Tobia sollevò gli occhi al cielo, guardando le nuvole che coprivano la luce biancastra già fioca. Sospirò, emettendo uno sbuffo di fumo.
«Non è detto che debba essere per forza spaventoso.»
«Mh.»
«La verità è che gli altri sono delle pappemolle. Non ascoltarli.»
«La fai facile, tu.»
«Forse la faccio facile, ma sei con me. Non aver paura.»
Prima strinse più forte il manico della vanga e continuò a camminare. Così fece anche Tobia, senza nemmeno guardarla.
 
«Credo che qui andrà bene.»
«Qui?»
«Sì. Là davanti c'è la cava. Presto ci sarà un po' più di luce e lo noterai anche tu.»
Prima si guardò intorno, cercando di cogliere le sagome degli escavatori, ma ai suoi occhi era ancora buio pesto. Le spie rosse degli allarmi inseriti sui mezzi erano gli unici segni di vita.
«Fidati di me e accendi il GPS, così gli altri ci localizzeranno. Ci basterà restare qui un paio d'ore.»
Prima rabbrividì e si strinse le braccia sul petto. Il cappotto le sembrò improvvisamente troppo leggero per la temperatura che c'era lì fuori.
Tobia si era seduto poco distante da lei; ne intravedeva il profilo illuminato debolmente dalla luce gialla del localizzatore GPS. Gli unici suoni che si potevano sentire erano i bip emessi dai tasti che lui schiacciava.
«Pensi che due ore saranno sufficienti?»
«Probabilmente sì.»
«Mh.»
Il paesaggio si schiarì per un attimo, illuminando la distesa bianca tutt'intorno a loro, per poi tornare a scurirsi al passaggio di un'altra nuvola.
Il freddo saliva dal terreno e cominciava già a penetrare negli stivali di Prima.
 
«Dammi la vanga.»
«Perché?»
«Iniziamo.»
Il manico di legno dell'attrezzo era posato a terra, scuro sulla superficie bianca e fredda, visibile chiaramente anche al buio. Prima ci mise un piede sopra per tenerlo fermo lì.
«No. Devo farlo io.»
«Prima lezione: mai rifiutare l'aiuto che ti viene offerto.»
Tobia scaricò tutto il proprio peso sul piede poggiato sulla lama della vanga, facendo leva e sollevandola in un solo colpo senza lasciare a Prima nemmeno il tempo di capire cos'era successo.
«Andiamo.»
«Lo faccio io. Lascia che lo faccia io. Insegnami» gli chiese, stringendo tra le dita la stoffa del suo giubbotto imbottito. «E' compito mio.»
Tobia cercò il suo sguardo, ma era impossibile trovarlo, lì in mezzo al buio. La sua stretta, però, era ancora decisa.
«Come vuoi.»
 
«Lì.»
«Eh?»
«Lì. Vedi? Dove c'è quel buchino.»
Prima aguzzò la vista, ma la distesa bianca la confondeva. Ora che la sagoma della luna calante era ben visibile sopra l'orizzonte, il riverbero del paesaggio era perfino accecante per i suoi occhi abituati al buio.
«Ma dove? Io non vedo proprio niente!»
«Qui.»
Tobia colpì il terreno con il dito. Poco distante dalla sua unghia c'era un buchino grande come la capocchia di uno spillo.
«Scava qui. Vedrai.»
Prima stava per dire qualcosa, ma il triplo bip del ricevitore GPS la interruppe prima che potesse farlo.
«Abbiamo ancora un'ora. Sta' tranquilla.»
«Solo un'ora» rispose Prima, posizionando attentamente il piede sul fulcro d'appoggio della vanga; poi spinse con forza. Il terreno imbiancato non cedette. «Ce la faccio» aggiunse, vedendo Tobia che si sporgeva verso di lei. Tobia annuì, infilandosi le mani in tasca.
 
«Quanto devo scavare?»
«Quanto a fondo, intendi dire?»
«Mh.»
«Cinquanta, forse sessanta centimetri. Dovrebbero bastare.»
Prima strinse i denti osservando il terreno bianco compattato dagli escavatori, duro come cemento; in un quarto d'ora era riuscita appena a scheggiarne la superficie.
Il cielo era tornato a essere nero come la pece; la luna era scomparsa dietro l'ennesima nuvola, tanto che se ne poteva intravedere solo l'alone luminoso.
«Ricordi quel che ti ho detto prima?» le chiese Tobia.
«Certo.»
«Nella prima lezione c'è il tuo nome. Vuol dire che è fatta per te.»
«Certo. Come no.»
«Ci deve pur essere una ragione per cui ti chiami così anche se hai tre sorelle maggiori. Stanotte l'abbiamo trovata» le rispose, semplicemente. La sua risata cristallina riverberò ancora e ancora nel silenzio della cava.
«Non sarò la prima a farsi aiutare, questo è poco ma sicuro» borbottò, spingendo più forte sul fulcro.
«Sarai la prima che aiuterò.»
«Bah» sbottò lei, continuando a scavare.
 
Il triplo bip del cercapersone segnalò il passaggio della terza mezz'ora e lo spuntare della terza vescica sui palmi di Prima. La buca ora era profonda trenta centimetri. Lo spicchio di luna risplendeva di nuovo alto nel cielo.
«Vuoi una mano?»
«Ti ho già detto di no.»
«Vuoi che ti racconti una storia?»
«Perché dovrei?»
«Il tempo passa più velocemente quando pensi ad altro. Sentiresti meno anche la fatica.»
Prima ansimò, fermandosi un momento; poi ricominciò a scavare. Il sudore, sempre più freddo, le si ghiacciava addosso.
«Non importa. Manca poco.»
«Come vuoi.»
Tobia si zittì, infilandosi le mani in tasca. L'unico rumore era quello della pala di Prima che raschiava contro il suolo bianco e lucido.
 
«Una volta qui c'era il mare» disse Tobia, improvvisamente, rompendo il silenzio.
«Sai che novità.»
«Prova a immaginarlo. Dev'essere stato bello, no?»
«Non vorrei mai avere a che fare con una massa d'acqua così grande» gli rispose Prima, abbracciando con lo sguardo tutta l'area della cava. Si era fermata un attimo; era finalmente arrivata a penetrare lo strato inferiore di terreno, meno compatto di quello che lo copriva, ma aveva bisogno di una pausa.
«E' solo perché non hai mai imparato a nuotare.»
«L'acqua sta bene esattamente dov'è: nel sottosuolo.»
«Dicono che una volta ci fosse acqua dolce anche in superficie.»
«Beh, sì... il mare, no?»
«Non essere stupida. Il mare non era fatto di acqua dolce... il mare era salato. Altrimenti da dove verrebbe tutta questa roccia bianca? Il sale è rimasto qui perché l'acqua è evaporata.»
«Mh.» gli rispose lei, facendo morire il discorso.
Rimasero in silenzio. L'unico movimento fino all'orizzonte era lo sfarfallare dei led rossi degli escavatori.
Tobia stava per riprendere a parlare, ma fu interrotto da un cronk. La vanga aveva cozzato contro qualcosa di diverso.
 
«E'...?»
«Penso di sì» le rispose, sorridendo. «Non può essere altro.»
Prima sollevò lo sguardo, incontrando gli occhi di Tobia.
«Mi aiuterai?» gli chiese.
«Sarai la prima» le disse, afferrando la vanga.
 
Quando suonarono gli ultimi bip del GPS, i tre che segnalavano il passaggio definitivo delle due ore di tempo, né Tobia né Prima li sentirono. Le mani di Prima erano gonfie e livide per il freddo e per il sale, ma stringevano finalmente il prezioso oggetto estratto dal mare bianco. Tobia sorrideva anche per lei.
«Ce l'hai fatta!»
Prima osservò attentamente la vongola poggiata sul suo palmo. Lei non lo sapeva, ma era stata fortunata; non a tutti capitava di trovarne una chiusa già al primo tentativo. Una volta tornata, l'avrebbe mostrata ai grandi, l'avrebbe bollita e mangiata. Era l'ultimo passo, l'ultima cosa: un mollusco vecchio di cent'anni.
«Sono salva anch'io» sussurrò piano a Tobia.
«Non sei certo la prima» le rispose, facendo il verso al discorso che avevano avuto.
 
«Perché i grandi vogliono che troviamo una cosa come questa?» chiese all'amico.
Mentre Prima recuperava le forze osservando le venature impresse sul guscio della conchiglia, Tobia stava richiudendo la buca. Nessuno doveva sapere che erano stati lì; quello era il territorio degli escavatori, ed entrare alla cava era ancora assolutamente proibito.
«Non lo so. Parlavano di anticorpi o di cose di quel genere.»
«Un immunizzante contro qualche malattia?»
«Può essere. Non lo so. Qualcosa di utile, però.»
«Mh.»
«Ehi, Prima» la chiamò. «Vieni qui.»
«Che c'è?»
«Aiutami a compattarlo» le spiegò, pestando il sale che aveva coperto la buca.
Prima si tolse uno dei guanti e vi avvolse la vongola, infilandola poi nella tasca interna del cappotto. Senza farselo ripetere, si unì all'amico nella sua strana danza fatta di salti e batter di piedi.
«Sai, Tobia» disse poi, «Dicono che sotto le scarpe il sale scricchioli come la neve.»
«Allora stiamo provando la stessa sensazione degli esseri umani di cinquecento anni fa» le rispose.
«E' così tanto che non cade la neve?»
«Tu non stai mai attenta quando i grandi fanno lezione, vero?»
«E' che di solito non mi interessa quel che dicono. E poi... vedila così: almeno c'è sempre qualcosa di nuovo.»
«Questo è quel che si dice pensare positivo!» concluse lui, stringendola a sé e iniziando a ballare.
 
«Tobia, è vero che dopo questo incarico diventerò una Seconda e sarai riassegnato?»
«Che razza di follie ti passano per quella testa?»
«Perciò tu non sei un robot e non ti riprogrammeranno nel momento in cui sarò passata di livello?»
«Non stai attenta alle lezioni dei grandi e ricordi solo le stupidate. Non è un buon segno, eh.»
Prima sbilanciò il peso sulla destra, mollando a Tobia una spallata degna di nota.
«Ehi, mi hai fatto male.»
«Quindi non sei un robot per davvero
«E perché mai dovrei, scusa?»
«Così... verificavo. Tutto qui.»
 
Mentre percorrevano la strada del ritorno, il paesaggio bianco intorno a loro era ancora silenzioso come nel momento in cui erano arrivati. I led rossi degli allarmi degli escavatori lampeggiavano a intermittenza, come se stessero comunicando in un linguaggio segreto noto solamente a loro.
La luna era di nuovo coperta dalle nuvole scure. Forse, di lì a poco tempo, avrebbe cominciato a piovere. Il freddo si era fatto ancora più pungente.
«Hai avuto paura?»
«No.»
«Bugiarda!»
«Forse un po'. All'inizio. Poi... non più.»
Le suole degli stivali di Prima scricchiolavano al contatto con il sale posato sulla strada.
«E' ora di rientrare. Andiamo a raccontare tutti ai grandi» disse Tobia.
Prima annuì.


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11.12.2012
Non scrivo spesso storie originali, ma alcune nascono da sole. E' il caso di questa: concepita nel tragitto dall'ufficio al parcheggio della macchina, plottata durante il ritorno a casa, scritta nell'arco di una serata. Forse è anche per questo mi ha dato così tanta soddisfazione. :)
Da un lato vorrei scrivere ancora su questi due personaggi e su questo mondo; dall'altro, però, non mi va davvero di lasciare in sospeso l'ennesima storia incompleta. Proprio per questo, nell'indecisione, questo capitolo è formulato come una one-shot e come tale è fruibile da solo. Forse resterà così, o forse no.... chi vivrà vedrà. :D
Nel frattempo, grazie davvero per essere arrivati fino a qui. o/
Kuruccha

   
 
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