Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Andrew R Tyler    11/12/2012    9 recensioni
È la storia, la semplice storia di una ragazza che si suicida in un'anonima vasca da bagno, in un mondo che non sente più suo. Non è importante il perché, quanto il come. Non ha nome, non ha volto. Ma ha un'anima.
Dedicato a una mia carissima amica.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Sentì l'acqua con una mano. Era calda. Almeno, era calda abbastanza.
Si spogliò, lentamente. Non aveva nessuna fretta. Gettò i suoi vestiti nel solito posto, sopra al grande cestone di vimini che stava nell'angolo sinistro di quel suo enorme bagno rosa. L'aveva fatto ripiastrellare sua madre, pensò.
Chiuse il grosso rubinetto d'acciaio in stile barocco, che si arrestò cigolando. Anche da completamente ruotato continuava a gocciolare. Ormai faceva così da anni. Ci era abituata. Anzi, mentre ti rilassavi diventava anche un rumore piacevole. Ora invece il rumore della goccia che continuava incessantemente a frangersi su altra acqua la distraeva. La impauriva. Sembrava quasi che ci fosse qualcun altro in bagno con lei. La irritava.
Si appoggiò al lavandino, nuda. Si guardò allo specchio. Tutto quello che riusciva a vedere era un enorme, gigantesco, terribile buco nero. I tarli che la divoravano dall'interno non le davano pace, ormai tutto quello che riusciva a vedere di sé stessa era null'altro che una sagoma nera. Abbassò gli occhi. Detestava guardare le persone negli occhi. Anche lei stessa. Soprattutto lei stessa. Paulo Coelho diceva che quando guardi qualcuno negli occhi, questo non può nascondere quello che prova. È per questo che lei girava sempre guardando quell'asfalto crepato che tanto le era famigliare, e che tanto le sarebbe mancato. Quelle maledettissime piastrelle a fiorellini, quel parquet rigato e consunto, del quale sarebbe stata capace di riprodurre perfettamente tutti i segni e le crepe. Tutte le ferite.
Afferrò la lametta, insicura. Si passò il filo sulle dita, grattugiandosi. Un rivolo rosso scese denso e lento fino allo scarico, intaccando il purissimo bianco della ceramica, invadendo le cromature perfette del tappo nel quale lei si specchiava, deformandola orribilmente in una macchia scarlatta. Aveva paura. Aveva una fottuta paura.
Il telefono squillò. La suoneria, che tanto le piaceva, aveva improvvisamente assunto un tono incredibilmente stupido e storpiato. Allungò una mano alla cieca, controvoglia. Una lunga striscia vermiglio andava formandosi sulla mensola di marmo, fino a giungere al cellulare. Lo prese, quasi intimorita, spaventata dal pensiero irrazionale che potessero averla scoperta. David. Quello stronzo. Non stavolta. Chiuse le dita attorno al telefono, e lo scagliò con violenza contro il muro. Il cellulare si sbriciolò in una miriade di minuscoli pezzettini, che si sparsero per il bagno. Fece molto meno rumore di quanto si fosse aspettata. Si girò nuovamente verso lo specchio, e rabbrividì nell'infinitesimale istante in cui incrociò il suo stesso, penetrante, profondo, sofferente sguardo.
Riabbassò nuovamente la faccia, guardando il fiumiciattolo di sangue che andava ingrossandosi, lentamente, goccia dopo goccia. Senza fretta. Come lei.
Prese la lametta saldamente. Le tremava la mano. Iniziò a piangere. Ma doveva continuare, si disse. Non poteva bloccarsi proprio ora. Prese anche una lametta di riserva. Non voleva lasciare il lavoro a metà. In nessun caso.
Si girò di scatto. Si asciugò le lacrime con il polso insanguinato. Ora il sangue colava giù per tutto il braccio, e dal gomito fino a terra, sul tappeto di sua madre. Le venne quasi da ridere pensando alla maniacalità con la quale quella donna lo puliva, e come avrebbe reagito a vederlo ora, imbrattato di sangue.
Trasse un respiro profondo, prese coraggio e fece un passo avanti. Il freddo glaciale del pavimento la assalì, la fece trasalire. Mise il piede sinistro davanti al destro. Non si fece fermare. Come un robot, continuò. Entrò nella vasca. L'acqua calda iniziò a sciabordare, lambendole i fianchi. Per qualche secondo, si sentì bene. Poi la realtà le ripiombò addosso come una tonnellata di mattoni, investendola, ferendola, travolgendola, schiacciandola. Le mancò l'aria. Per un attimo, volle isolarsi dal mondo. Si immerse completamente, rilassando il diaframma. Ora era finalmente calma.
Riemerse, ed inspirò profondamente. Impugnò la lametta, sicura di volerlo fare, eppure titubante ed impaurita. Scese. Ora era completamente sott'acqua, rannicchiata in modo naturale. Si distese, lasciando sporgere le ginocchia. Sentiva freddo. Dovette risalire a prendere aria un'altra volta. Ridiscese. Girò la lametta nel palmo, poi si mise nella medesima posizione di prima. Trattenne il fiato. Appoggiò la lama alla pelle, e spinse. Chiuse gli occhi.
Quando li riaprì la sua vena non esisteva più. Si era trasformata un enorme, gigantesco fiume di un rosso profondo, magnetico, attraente. Faceva molto meno male di quanto si fosse aspettata. Anzi, era quasi piacevole.
Il sangue fluttuò nell'acqua della vasca, senza peso. Le mancava l'aria.
David diceva che era una insignificante puttanella.
Una ragazza come tante altre.
E questo era l'insulto peggiore che le potessero arrecare.
Inspirò.
L'acqua bollente le entrò nell'esofago, e scese nei polmoni.
Fu come se un miliardo di microscopici aghi le penetrassero nella carne.
L'ultima cosa che si ricordò di aver pensato era “vaffanculo David. Vaffanculo mondo.”
 
Era stato tutto così fottutamente, incredibilmente e dolorosamente facile.
 
Non sono debole.
  
Leggi le 9 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Andrew R Tyler