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Autore: Blusshi    12/12/2012    1 recensioni
Estratto dal capitolo 1~
Kate- la fronte inondata di sudore- spingeva e gridava; percepiva i movimenti del bambino che si faceva strada nel canale del parto. Si augurò che andasse tutto bene e che finisse in fretta; si sentiva come una bambina spaventata anche se ormai, a venticinque anni e con due gemelli in arrivo più che imminente, una bambina non era più.
Sapeva che quella nascita stava presentando complicazioni: i dottori le stavano dicendo che il primo dei due bambini non riusciva a uscire e che di conseguenza l’altro stava soffrendo.
Ho fatto una scelta originale, narrando la storia dei due protagonisti a partire da un punto che in genere non viene scelto. Spero, davvero, di non doverla pagare troppo cara questa mia originalità :) ~ Blusshi
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: 17, 18, Altri, Dr. Gelo, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La musica della festa era alta.
Non era divertente dentro, c’era troppa gente. Troppa gente fuori di testa.
Alice chiacchierava con un gruppo di amici appena fuori dal capannone. Faceva freddo nella notte autunnale, ma era sempre meglio che starsene dentro.
Il ragazzo che quella sera le piaceva le chiedeva se aveva freddo, se voleva rientrare, ma lei voleva starsene lontana dal frastuono e in tutta tranquillità si fumava la sua sigaretta.
Delinquente sì, ma drogata mai.
Il ragazzo era più basso di lei ed era tutta la sera che non smetteva di cingerle i fianchi, appoggiando comodamente la testa sulla sua spalla. Alice era infastidita e cercava di farglielo capire.
“Io mi sto annoiando, me ne vado a casa” asserì, buttando per terra il mozzicone e schiacciandolo con la punta delle tennis.
“Di già?” le chiese una dei suoi amici.
“Aspetto solo che mio fratello torni indietro visto che guida lui”.
Sempre colpa di Carly. Eric l’aveva accompagnata a casa e adesso chissà dov’era…
Il cellulare le squillò e Alice trovò un messaggio: “Vengo tra un minuto”.
La ragazza lo lesse ad alta voce e si mise a ridere.
Accennò un passo e il ragazzo si mosse con lei, guidando i suoi movimenti sempre con quelle stramaledette mani.
“Ma allora! Non sono un manichino! So camminare anche da sola!” sbottò.
“Scusami” sussurrò piano lui, intimidito “quindi adesso te ne vai? Così?”
Alice soffocò una risata. Cosa sperava di fare con lei?
Mentre aspettava si mise a pensare a suo fratello e a Carly: chissà se Eric si era limitato ad accompagnarla a casa, dato il tempo che ci stava mettendo per ritornare lì alla casa di campagna in cui stavano facendo festa.
Eric arrivò di lì a poco, con la musica a palla e il finestrino abbassato.
“Andiamo via!” Alice gli fu subito accanto e lo supplicò, aggrappandosi al suo braccio.
“Aspetta! Io non sono stato qui nemmeno un’ora fra una cosa e l’altra! Lasciami bere qualcosa.”
Eric era sempre gentile quando le parlava, ciononostante Alice mise il broncio e tornò dal ragazzo: “Ricordati che tu devi guidare!”
 
Alice seguì Eric con lo sguardo e poi tornò ai suoi amici. Il ragazzo le stava alle costole e lei diventava sempre più nervosa: “Ok, va bene, ma le condizioni le metto io”.
Lo prese e lo trascinò per un braccio, passando davanti a Eric che in compagnia dei suoi amici del rally ingurgitava bicchieri di roba.
“Mi auguro solo che siano analcolici” pensò Alice, mettendosi in un angolo col ragazzo e iniziando a farsi baciare.
Il tipo era in gamba, dovette ammetterlo.
 Le sue mani scorrevano sapientemente sulle forme di Alice, sfiorandola teneramente come fosse una viola d’amore.
Lei si lasciava toccare e lo baciava con furia, conficcandogli le unghie nella nuca: si aggrappò incrociandogli le gambe attorno alla vita e lui la trasportò nello stanzino adibito a guardaroba.
Le mani delicate di lui l’adagiarono lentamente fra i cappotti caduti sul pavimento e Alice si sentì prendere da un furore estatico: sì, quella sera voleva uscire di sé, dimenticarsi di tutto per un momento.
In un bacio infuriato gli morse le labbra, ma lui non parve accorgersene e quando lei –come per scusarsi- gli posò le sue sulle palpebre chiuse, le posò gratamente le mani sul seno palpitante.
Lei gli posò il dito sulla linea scura che correva sotto l’ombelico e scese sempre più giù, finchè lui non l’afferrò e le loro labbra tornarono ad unirsi.
 
Eric inghiottì l’ultimo sorso di birra e si mise a cercare con gli occhi la sorella.
Nella stanza la cercò in pista fra la gente che ballava, ritornò al bancone dei drink, poi uscì dal capannone e guardò anche nel parcheggio.
“Avete visto Ali?” domandò ai suoi amici.
“Sì, ho visto che entrava là dentro con uno” gli rispose svelta la barista, indicando il guardaroba.
Eric trasalì: “Nel guardaroba…ok…grazie…” si diresse con lo sguardo fisso verso il fondo dell’enorme stanza.
“Ciao bello” ammiccò la barista, ma lui non se ne accorse nemmeno.
In quello stesso momento, le mani da violinista del ragazzo avevano afferrato con tenace garbo i seni morbidi di Alice per estrarli dallo scollo della maglia. Le mani della ragazza erano ancora impegnate ad accarezzarlo, ma quando lui protese il viso verso il suo petto, qualcosa la bloccò; ritrasse immediatamente le mani dal corpo del ragazzo e protesse il proprio.
Non sapeva spiegarsi, ma in quel momento stava succedendo qualcosa che a lei non piaceva, qualcosa di strano e sottile che non voleva le succedesse e restasse nella sua memoria.
“Basta!” urlò, spingendo via il ragazzo e ricomponendosi la scollatura.
Lui rimase attonito a guardarla mentre si alzava in fretta, correva verso la porta del guardaroba e usciva: “Ti saluto”.
Lasciatasi il guardaroba alle spalle, Alice fece un paio di metri a ritroso come un gambero e quando si volse di scatto sbatté sul petto di Eric.
“Eccoti!” dissero all’unisono, poi lui le sorrise: “Eccoti, dov’eri finita?”
“Ero con uno: possiamo andare a casa? Sei contento ora?”
Eric sospirò allargando le spalle: “Ah, sì! Adesso andiamo, volevo venirtelo a dire io”.
Alice guardò l’orologio: “Due e mezza, direi di sì, altrimenti la Kathryn ci fa il sermone”.
Eric soffiò via una lunga ciocca di capelli che gli cadeva su un occhio, ricordandosi con disappunto che Kate si sarebbe scocciata a vederli tornare la mattina dopo: “Sicura di voler andare?”
“Sicurissima”.
“Scusami, aspettiamo un attimo” disse lui. Sentiva che non era il momento migliore per guidare, all’improvviso gli era calata la stanchezza, era affamato e aveva anche il singhiozzo.
Se Alice se ne fosse accorta, avrebbe cominciato a dirgli che aveva bevuto quando invece non era vero.
 Che noia Alice, a volte: voleva troppo fare la maestrina, come se ne sapesse più di lui.
“Cosa c’è? Non stai bene?” gli chiese, parlando con dolcezza e preoccupazione.
“Non tanto…”
Eric le rispose con sincerità, visto che non era nelle sue intenzioni rimproverarlo e che non riusciva a trattenere il singhiozzo: “Vorrei aspettare un attimo”.
“Scommetto che sei brillo” sorrise maliziosa “vuoi mangiare?”
Eric annuì e lei rise: “Va bene, ci faremo la pizza delle 3. Però anche tu eh…”
Poco dopo erano pronti per partire.
“Certo che siamo proprio dei maiali!” rise Alice, chiudendo la portiera.
“Quando ci vuole ci vuole!” ribattè lui.
Non erano tanto in ritardo, a tornare a casa avrebbero impiegato una ventina di minuti.
Eric alzò la musica al massimo e tutti e due iniziarono a cantare. Alice distese i piedi sul cruscotto e chiuse gli occhi: suo fratello guidava proprio bene, anche se non andava per niente piano. La strada era deserta, la nebbia pesante nei campi ai lati della carreggiata.
“Cosa fai domani?” gli chiese.
“Starò da Carly, penso. Tu?”
“Boh…andrò con la mamma a comprare i vestiti. Sai, non ho una vita sentimentale intensa come la tua” rispose lei, con una punta di risentimento.
Eric trasse un sospiro: “Ancora…” si volse e le gettò un’occhiata “guarda che non dipende da te: sei bella e intrigante, giuro! Deve solo arrivare il tuo momento”.
Alice stava per rispondergli, quando in un lampo vide qualcosa di bianco attraversare velocissimamente la strada: “GATTO!” strillò.
Eric non fece in tempo a chiederle niente, che per lo spavento improvviso perse il controllo del volante: la macchina zigzagò nella corsia opposta e finì col muso in un campo.
Alice scese immediatamente e non appena realizzò che non era accaduto nulla di grave corse dall’altro lato della macchina e aprì la: “Stai bene? Eric!”
Anche lui scese e constatò che poteva ancora camminare con le sue gambe: “Sì, io sì! Tu?”
“Anche io! Meno male…” la ragazza sentiva le lacrime che le inondavano gli occhi: l’ansia iniziò ad abbandonarla e lei si sedette sulla terra trattenendo il pianto.
“No, su, non piangere! Va tutto bene, non è successo nulla” Eric l’abbracciò e l’aiutò ad alzarsi “stiamo bene, stai tranquilla”.
“Ma tu sanguini!”
Il ragazzo si guardò e scorse un filo di sangue che gli macchiava un ginocchio. Alzò le spalle, aveva solo picchiato la gamba contro qualcosa.
Alice si asciugò le lacrime: “Sei proprio una merda Eric…sei uscito di strada”.
Lui mise le mani sui fianchi e la fissò: “Ah sì, io? Non mi pare che sia stato io a strillare come un’aquila, all’improvviso! Scusa eh, ma mi hai fatto venire un infarto!”
“C’era un gatto!” si difese lei “ha attraversato la strada e noi gli stavamo passando sopra!”
Eric scavalcò il basso argine del campo e scrutò la strada; non c’erano segni di un incidente con un gatto: “Lo so, l’avevo appena visto anche io e tra quello e il tuo urlo ho sbandato. Comunque non l’ho investito, se ne sarà andato”. Si volse verso la macchina e guardò la sorella.
“Beh? E adesso?”
Alice rispose allo sguardo, constatando le condizioni in cui versavano: la strada era deserta, non avevano modo di avvisare nessuno, la macchina era mezza dentro e mezza fuori da un campo -la macchina oltretutto  era la jeep di Kate- ,erano quasi le 4 della mattina, loro due avevano sforato abbondantemente la tabella di marcia e casa distava un buon quarto d’ora di macchina.
“Andiamo a piedi: oppure tiriamola fuori di qui” buttò lì Alice.
“Stai scherzando spero” rise lui.
Era quasi inverno e c’era la nebbia, andare a piedi su una strada come quella sarebbe stato estremamente pericoloso. Avrebbero fatto la fine di un gatto.
Ormai erano lì e non potevano fare niente, tanto valeva provare a tirarla fuori: i gemelli afferrarono il paraurti della jeep e tirarono con tutte le loro forze, finchè non venne loro caldo per la fatica. E, com’era nelle loro previsioni, la macchina non si mosse di un centimetro.
“Inutile, è troppo pesante!” ansimò Eric “porca miseria!”
Diede un calcio al paraurti e ritornò nell’abitacolo. Fece ripartire la musica e ritornò al fianco di Alice: “Almeno aiuterà a rendere meno inquietante questo posto”.
La ragazza osservò i contorni indistinti della campagna, nascosti nella bruma: “Eric, andiamo sulla strada. Qui è davvero inquietante con tutta la nebbia e poi nessuno ci vedrebbe”.
Con la musica alta, i due ragazzi si misero sul bordo della strada e aspettarono, ma non passò nessuno.
Tornarono vicino alla jeep: “Ma secondo te è sempre così deserto?” Alice guardò il fratello con apprensione.
“Non ne ho idea…”
“Ti immagini? Se proprio adesso saltasse fuori…il nostro amico…”
Eric scosse la testa: “No, Ali, no: per stasera è già abbastanza”.
Il tempo passava. Per eludere la piattezza di quella sinistra notte nebbiosa i gemelli ascoltavano la musica, salivano in macchina cercando di dormire ma erano troppo inquieti.
Eric si mise a controllare la macchina per vedere se avesse subito dei danni: “Chissà nostra mamma…se non è andata a letto sclererà”.
Alice annuì, scrutando il mare di nebbia; sentì uno scricchiolio, come se la paglia che ricopriva il suolo venisse calpestata.
“No Eric non ti allontanare! È pericoloso!”
“No infatti!”
Alice non riuscì a trattenere un gemito di sgomento, quando Eric si sporse dalla macchina.
Non si era allontanato di un passo! Eppure quel rumore proveniva dalla parte di campo innanzi a lei, e lei l’aveva ben sentito!
“Eric…andiamocene…” gemette “ho sentito dei passi”.
“Sicura?” le rispose, senza staccarsi dall’auto “Spero non siano gli sbirri. Ci prenderebbero subito “.
Alice trasalì: non sapeva se pensare al vecchio, che ormai non era che un lontano ricordo, oppure alla polizia, che invece era concreta e li braccava da tempo.
“Oddio…se ci prendono adesso siamo finiti, ci sbatteranno in cella” sussurrò lei.
Qual’era l’ultima che aveva combinato? Ah sì, lei e Eric avevano dato fuoco ad un treno.
La polizia non li aveva colti sul fatto, ma ormai erano due noti delinquenti e sicuramente qualcuno li stava cercando.
Alice sentì chiaramente un nuovo scricchiolio e trasse dalla borsa lo spray al peperoncino.
Eric si mise in ascolto al suo fianco; il rumore di fece più insistente e la ragazza ritirò lo spray, frugò veloce nella borsa e puntò la pistola dritto davanti a sé.
“Ehi! Quella è mia!” Eric gliela tolse di mano e le si parò davanti  “dai, spostati”.
“No, stai indietro!” Alice si spostò a proteggere Eric.
Entrambi erano spaventati, il rumore di passi era ormai inequivocabile.
Eric reggeva la pistola: “Adesso sparo”.
Lo scricchiolio proseguì e il ragazzo premette il grilletto.
Il proiettile fendette la nebbia e si perse lontano, senza colpire niente.
“Ho paura, gli sbirri…” Alice nascose il viso fra i capelli di Eric, le unghie piantate nel suo braccio.
Quando i vaghissimi contorni di una figura si intravidero lontano nella nebbia, Alice chiuse gli occhi e si strinse a Eric, che continuò a sparare senza un bersaglio. La figura di dissolse.
Eric, col fiato corto, vide un piccolo oggetto rotolare da chissà dove vicino ai suoi piedi.
 Sembrava una prugna, era di metallo. Il ragazzo la guardò e all’improvviso si spaccò in due: dall’apertura iniziò a uscire un vapore senso.
“Cosa succede?” Alice si sporse appena dalle spalle del gemello per guardare.
Questi iniziò a vacillare, indietreggiò di qualche passo e si accasciò riverso fra le braccia di Alice.
Lei urlò di spavento, senza riuscire a reggere Eric che crollandole addosso a peso morto la fece cadere a terra: “ERIC! Oh Dio! Oh Dio! Alzati! Che hai?”
La ragazza si mise in ginocchio, urlando e iniziando a piangere. La situazione le stava sfuggendo di mano, si sentiva stanca e debole, stava  perdendo lucidità: “Eric…lasciatelo stare…ti prego!….la polizia! Eric svegliati! La mamma…”
Col respiro sempre più corto e affannoso scuoteva forte il gemello e lottava lei stessa contro un incomprensibile intontimento che la stava facendo addormentare. Ciondolò in avanti con la testa, sforzandosi di tenere gli occhi aperti.
“No,no! Ci hanno presi…la polizia…no” cadde su un fianco sopra a Eric, mentre tutto intorno a lei sfumava.

eeccoci arrivati al punto di svolta: penso che ormai sia chiaro cosa succederà e chi è il vecchio. spero di non avervi annoiati tirando così il lungo...vi aspetto con le vostre recensioni  e vi ringrazio in anticipo ;) :)

   
 
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