Yak yak yak… un altro capitolo! Buona
lettura!
(solito) DISCLAIMER: Square-Enix, Final Fantasy
VII e i Linkin Park non sono miei.. ovvio!
Capitolo 3:
When this began I had nothing to say
And I get lost in the nothingness inside of me
I was confused and I let it all out to find
That I’m not the only person with these things in mind
Inside of me but all the vacancy the words revealed
Is the only real thing that I’ve got left to feel
Nothing to lose just stuck/ hollow and alone
And the fault is my own, and the fault is my own
I wanna heal, I wanna feel what I thought was never real
I wanna let go of the pain I’ve held so long
Erase all the pain till it’s gone
I wanna heal, I wanna feel like I’m close to something real
I wanna find something I’ve wanted all along
Somewhere I belong
Somewhere I belong –
Wutai, una delle
città più antiche del pianeta. Un paese lontano, bloccato a metà strada tra il
passato, fatto di tradizione e leggende, e il futuro, figlio di un’epoca di
terrore e conflitti. Il sole del mezzogiorno splendeva alto nel cielo, la sua
luce ricadeva come una cascata d’oro sulle case variopinte di rosso e di nero,
i colori tipici di Wutai, illuminando le piccole strade ricoperte di ciottoli
bianchi e le imponenti montagne rocciose di Da Chao,
scolpite a raffigurare le antiche divinità protettrici del villaggio e
ricoperte alla base da un fitto bosco.
Cid fece atterrare l’Highwind lontano dalle
porte della città, diffidente dell’animo poco ospitale degli abitanti di Wutai.
Era meglio evitare contrattempi inutili come sabotaggi o furti.
Tifa varcò le mura di Wutai al fianco di Cloud.
Mentre tutti i suoi compagni non indugiarono sul panorama pittoresco che li
circondava, Tifa non poté fare a meno di sostarsi per un attimo. I suoi occhi
castani si fermarono ad osservare con meraviglia i ciliegi in fiore, che scossi
dal vento lasciavano cadere a terra i loro petali rosa. Quei fiori così fragili
danzavano a mezz’aria come minuscole ballerine, si facevano cullare dal vento
prima di cadere sul terreno, dove la polvere e i passi incauti di molti
viaggiatori li avrebbero distrutti per sempre.
Che peccato.
“Sono belli i
ciliegi in fiore, ma quando arriva la stagione calda procurano solo fastidi..”
una voce roca echeggiò alle spalle di Tifa. La donna si voltò lentamente e vide
una vecchia signora, dai capelli argentati raccolti in una lunga treccia e
vestita in un elegante kimono scuro che stava spazzando la strada dai fiori
caduti. Il silenzio che regnava in quel momento fu interrotto dalla risata
dell’anziana signora, che aveva notato lo stupore di Tifa; malgrado l’interesse
per la straniera, la vecchia non smise mai il suo paziente lavoro.
“..Tifa?”
Tifa tornò a
girarsi verso il centro del villaggio, e vide che Cloud si era fermato per
aspettarla, mentre gli altri erano già andati oltre. La donna annuì e si
diresse verso il marito, affrettando il passo per evitare di dare spazio alla
sua voglia di osservare i dintorni. Dopotutto non erano venuti per una vacanza,
a differenza della maggior parte della gente che decideva di solcare l’oceano
per raggiungere Wutai. Dovevano avvertire Yuffie dell’accaduto e per suo
rispetto bisognava agire in fretta. Nonostante questo flusso rapido di
pensieri, Tifa, dopo aver percorso pochi passi dietro la figura di Cloud, tornò
a girarsi dove aveva visto l’anziana. La donna dai capelli argentati se n’era
andata, sparita nel nulla, lasciando la strada coperta da un soffice manto di
petali rosa.
“Tifa.. cosa
c’è?”
Tifa sobbalzò,
non appena Cloud le rivolse la parola. Che strana sensazione. Quella visione
era stata frutto della sua mente o c’era qualcosa di strano a Wutai?
“Nulla,
perdonami.” Tifa si scusò e riprese il cammino passando oltre Cloud. L’uomo la
fissò, sbigottito per questo suo strano comportamento, poi s’incamminò
anch’esso verso il palazzo.
Wutai portava
ancora i segni del lutto per la scomparsa della giovane erede della casata
dell’Imperatrice. I pochi passanti che Tifa e Cloud avevano incontrato erano
tutti vestiti di scuro, e le strade erano ancora costellate di pali di legno,
sopra ai quali erano stati issati dei lunghi drappi neri e bianchi. Il vento
scuoteva le insegne funebri con delicatezza e il candore della fioritura dei
ciliegi contrastava fortemente con i colori morti del villaggio. Tifa non
osservava nemmeno che strada stesse seguendo o dove stesse appoggiando i piedi.
Era completamente assorta nel contemplare Wutai, così diversa dalla sua lontana
Nibelhime.
Wutai è come un ragno: cattura chiunque
caschi nella sua tela.
Tifa sorrise per
il pensiero stupido e riprese a scrutare i luoghi circostanti. Le costruzioni
erano molto eleganti e raffinate, realizzate in legno e dai tetti a punta.
Dalla finestra semi aperta di una casa vicino a Tifa si affacciò un uomo,
vestito di nero anch’esso, che dopo aver squadrato velocemente Cloud richiuse
gli scuri, barricandosi all’interno.
Di cosa hanno paura?
Anche Cloud notò
l’aria di diffidenza che avvolgeva ogni angolo di Wutai. Le strade erano
deserte, il silenzio regnava sovrano e il vento continuava a soffiare senza
cedimenti, portando con sé uno strano profumo d’incenso e il lontano tintinnio
degli scacciaspiriti appesi alle porte di ogni abitazione. Tifa e Cloud
proseguirono, sollecitati dall’inquietudine che la calma di Wutai incuteva
loro. Le abitazioni divennero sempre più rade fino a sparire, lasciando spazio
alla fitta vegetazione del bosco, antecedente alla piazza. In lontananza
spiccava già tra le fronde degli alberi, la cima della pagoda, ovvero la torre
sede delle cinque divinità di Wutai. Tifa si rattristò sempre più, man mano che
la distanza tra lei e Yuffie si accorciava, presagendo che cosa la stesse per
attendere. E poi…si depresse perchè i suoi occhi non vedevano più nemmeno un
ciliegio in fiore, l’unica cosa incantevolmente dolce in quel momento.
Con un ultimo
sforzo, Cloud e Tifa accelerarono il passo e finalmente videro il sentiero
allargarsi fino ad accompagnarli davanti la piazza, il centro di Wutai.
“Finalmente!”
Cid sbottò con la sua solita sigaretta in bocca, mentre andava incontro ai
compagni ritardatari. Anche Barrett lasciò il suo appostamento, ovvero la
colonna sinistra che reggeva il gong dorato che scandiva il tempo di Wutai. Red
era già davanti l’ingresso del palazzo Imperiale, pronto ad entrare senza tanti
indugi.
“Ma dove eravate
finiti?” Cid proseguì, trovandosi faccia a faccia con Cloud.
“Colpa mia Cid,
mi sono distratta un attimo.” Tifa ammise, scostandosi i capelli dal viso.
Cid rivolse lo
sguardo verso l’amica e distese le labbra in un sorriso.
“Andiamo? Sono
stanco d’aspettare!” Barrett inveì, avendo già raggiunto Red davanti l’ingresso.
“D’accordo,
d’accordo!” Cid rispose con foga mentre buttava a terra la sua sigaretta,
pestandola per spegnere il mozzicone.
Fu Cloud a far
strada a Cid e Tifa. Quando i cinque furono insieme davanti al palazzo, Cloud
fece cenno agli amici di fermarsi e salì la scalinata da solo, percorrendo
l’elegante porticato in cedro che conduceva alla porta del palazzo. Ad ogni
passo di Cloud, il legno produceva un flebile scricchiolio, accompagnato dalla
musica dei campanelli appesi al soffitto, scossi dal vento.
Due guardie,
vestite di un’armatura più che splendente, erano appostate di fianco
all’imponente portone, dove vi era stato inciso l’emblema intarsiato d’oro di
un dragone, probabilmente Leviathan, la divinità protettrice e madre delle
leggende di Wutai. Appena videro avvicinarsi l’estraneo, le due sentinelle
brandirono le loro lance, incrociandole per sbarrare l’entrata al palazzo.
Cloud aveva già
avuto esperienze passate a Wutai: sapeva che certi atteggiamenti o
semplicemente certe parole potevano risultare offese enormi all’orecchie di
questa gente, e il loro risentimento era capace di provocare conflitti mortali.
Gli abitanti di Wutai erano famosi non solo per la loro proverbiale
inospitalità ma anche per le loro conoscenze accurate di diverse e letali arti
marziali. Perciò Cloud, essendo temporaneamente disarmato doveva calcolare
molto bene le sue azioni. Inoltre era sicurissimo che altre guardie, molte
guardie, fossero nascoste in luoghi ben protetti, pronte ad attaccare al minimo
segno di pericolo.
Si fermò a circa
due metri di distanza dai sorveglianti: intuendo la loro impassibilità, Cloud
fece il primo tentativo di approccio.
“Sono Cloud
Strife, membro del W.R.O. L’Imperatrice era stata
avvertita del nostro arrivo e desidera incontrare me e i miei compagni.” La guardia a sinistra dell’entrata aggrottò
le sopracciglia.
“E dovremmo
crederti?” la guardia a destra dell’entrata rispose sogghignando.
Cloud alzò gli
occhi al cielo e si infilò una mano dentro la sua maglia blu scuro. La guardia
a sinistra dell’ingresso strinse la presa sulla sua lancia e fece un passo
avanti.
“Cosa fai?”
urlò, temendo che Cloud potesse nascondere un’arma all’interno del suo
abbigliamento.
Cloud sentì poi
un leggero fruscio alle sue spalle: non si voltò perché aveva già capito che
altre guardie erano arrivate, pronte a difendere il palazzo dalla sua presenza.
In realtà voleva mostrare loro la splendida collana di sfere di materia che
Yuffie gli aveva regalato e che portava sempre con sè:
sarebbe stato il suo lasciapassare, la prova inconfutabile della sua amicizia
con l’Imperatrice di Wutai. Cloud fu costretto a bloccare ogni movimento quando
avvertì che qualcosa di appuntito gli era stato puntato contro la schiena.
“Sono disarmato,
non c’è motivo di agitarsi.” Cloud spiegò parlando lentamente e scandendo ogni
parola.
“E’ a posto.
Lasciatelo passare.” L’oggetto appuntito si ritirò dalla schiena di Cloud,
mentre le guardie dell’ingresso si ritirarono, piegandosi in un profondo
inchino.
Cloud si voltò e
finalmente vide un volto familiare. Tutte le sentinelle si fecero da una parte,
omaggiando il nuovo arrivato.
“Provvidenziale
come al solito, Vincent…” Cloud affermò, dopo aver salutato l’amico con un
cenno del capo. Vincent si fece di lato, mostrando a Cloud che Tifa e gli altri
lo avevano seguito.
“Grazie per
Cloud, Vincent” Tifa dichiarò, posando lo sguardo su Vincent.
Il tempo non passa per lui.
Ed era proprio
vero. Vincent non mostrava alcun segno di invecchiamento, era rimasto
semplicemente lo stesso. Forse era l’unico vantaggio che Hojo gli aveva
procurato dopo tanti, innominabili esperimenti. Tifa lo osservò solo per
qualche istante, anche perché sapeva quanto Vincent odiasse essere fissato.
Fortunatamente aveva smesso di indossare quei vestiti cenciosi che chissà per quanto
tempo aveva portato… nessun mantello, nessun collare, nessuna fascia sulla
fronte… solo un’elegante giacca scura con delle rifiniture argentate dal taglio
tipicamente orientale e dei lunghi pantaloni neri. Tifa notò che da sotto la
manica sinistra pendeva qualcosa di dorato, senza alcun dubbio si trattava del
suo guanto metallico.
Aveva smesso di indossarlo tanto tempo fa…
Tifa cessò la
sua contemplazione non appena gli occhi scarlatti di Vincent la osservarono di
sfuggita.
Impossibile reggere il suo sguardo.
“Possiamo
entrare allora?” Cid chiese, incalzato da Barrett.
“Abbiamo parlato
con Yuffie, c’è qualcosa che dovete sapere.” Cloud si intromise tenendo lo
sguardo fisso su Cid. Il pilota mormorò qualcosa e si voltò verso l’apertura sotto
il porticato per calmare la sua irrequietezza.
“E’ importante e
purtroppo non c’è molto tempo.” Red aggiunse, avanzando con il suo passo
felpato verso Vincent.
Tifa tornò a
guardare il volto pallido di Vincent, notando con un certo piacere che non vi
era alcuna emozione che gli stesse modificando l’espressione, come al solito.
La prerogativa di Vincent era la sua leggendaria inespressività.
“Così importante
da venire sin qui senza un preavviso decente?” Vincent chiese con la sua voce
profondamente calma e piatta.
“Lo sappiamo che
Wutai non è incline ali imprevisti.. ma ti prego, portaci da Yuffie..” Tifa
mormorò quasi inconsciamente.
Nessuno aprì
bocca per qualche istante. Il rumore dei campanelli sotto il porticato
interruppe casualmente il silenzio tra i compagni. Le sentinelle si prepararono
ad aprire il portone.
“D’accordo..”
Vincent rispose quasi bisbigliando. Si voltò velocemente, lasciando che i suoi
lunghi capelli neri fossero scossi dal vento, così come la sua lunga giacca.
Tifa, Cloud,
Cid, Barrett e Red seguirono in un silenzio quasi rituale Vincent, lasciandosi
guidare sino all’interno del palazzo.
Un forte tuono
scosse le vetrate delle finestre, facendo trasalire Eve da sopra il divano
della sala. Gaia si era andata a coricare dopo pranzo, mentre Shelke si era
seduta sul tavolo in cucina per lavorare col suo portatile. Il compito di
Shelke era quello di intromettersi nel data bank della Shinra e trovare qualche
informazione utile su Coley. Impresa impossibile ma comunque degna di un tentativo.
Lo schermo della
piccola televisione nel salotto mostrava il notiziario del giorno, l’immagine
disturbata dalla tempesta magnetica del temporale. Eve ascoltava senza molta
attenzione le notizie, riguardanti gli sviluppi a Midgar e le ennesime promesse
improbabili da realizzare da parte dei vertici Shinra.
“Bastardi..
siete solo dei bastardi..” Eve mugugnò dopo aver spento per l’esasperazione la
televisione. Lo schermo dell’apparecchio, ora nero e lucido, rifletteva la sua
immagine come uno specchio distorto. Eve si alzò dal divano e si diresse in
cucina, per vedere i progressi di Shelke. Prima di accomodarsi di fianco alla
donna, prese una mela dal portafrutta sul tavolo e la addentò con un grosso
morso.
“Niente di
nuovo?” Eve chiese, con la bocca piena.
“Cosa?” Shelke
domandò, tenendo lo sguardo fissò sullo schermo del computer. Il suo viso era
completamente illuminato dalla luce bluastra del monitor.
Eve ingoiò il
boccone prima di ripetere la sua domanda.
“Hai scoperto
qualcosa di nuovo?”
“Uhm.. no. Entrare negli archivi della Shinra è un vero problema..
troppe password da decifrare.. ci vorranno giorni prima di trovare uno straccio
di informazione..”
“Che
seccatura..” Eve aggiunse fissando lo schermo ed addentando un altro morso di
mela.
“Tua sorella si
è ritirata?”
“E’ andata a
letto.. l’intera faccenda di Coley è capitata così all’improvviso.. è stato un
colpo duro per lei..” Eve rivelò,
sedendosi di fianco a Shelke. Lo sguardo della giovane si posò senza volere
sugli occhi velati da un riflesso innaturalmente arancione della ricercatrice.
I suoi genitori conoscevano Shelke da molto tempo ormai, ma Eve non aveva mai
estrapolato nulla riguardo quel curioso particolare.
“Si riprenderà,
non temere..” Shelke affermò, voltandosi verso Eve. La ragazza distolse
l’attenzione dal volto di Shelke, ma non abbastanza velocemente da non essere
vista dalla donna. Shelke inarcò un sopracciglio, in attesa della fatidica
domanda.
“Ma.. i tuoi
occhi…” Eve iniziò la frase, bloccandosi all’improvviso.
Shelke sospirò.
“E’ una storia
lunga.”
“Scusami, io
non..”
“Non ti
preoccupare.. sarebbe meglio se andassi a dare un’occhiata a tua sorella..”
Eve annuì e
lasciò Shelke al suo lavoro. La ricercatrice si sgranchì le braccia e poi tornò
con l’attenzione verso il computer.
E’ una storia lunga.
Vincent si fermò
di fronte ad una porta scorrevole, ricoperta di una sottile carta di riso che
raffigurava alcuni ciliegi in fiore adagiati al fianco un bellissimo lago. Tifa
mentre attendeva che Vincent aprisse la porta guardò uno per uno i suoi
compagni e gli fece capire con il suo sguardo di rimprovero di mantenere la
calma più assoluta.
Un leggero
fruscio annunciò alla donna che la porta era stata aperta e così entrò nella nuova
stanza, seguita dai suoi amici. Vincent attese che tutti fossero entrati e
richiuse la porta alle spalle.
Cloud, il primo
ad essere entrato nella stanza, fu di conseguenza il primo a notare la presenza
di Yuffie. L’ambiente era privo di ogni arredo, solo una grande camera dove al
centro vi era un tavolo molto basso, mentre la parete opposta all’entrata i
realtà non c’era, era solamente un specie di colonnato che dava su di uno
splendido giardinetto. Yuffie era seduta per terra a gambe piegate, tenendo le
mani attorno una tazza di tè fumante appoggiata sul tavolo. La ragazzina solare
e intrattenibile, maliziosa e dai modi di fare completamente privi di
femminilità era totalmente svanita. Davanti agli occhi di Cloud si trovava una
Yuffie diventata donna troppo velocemente ed inasprita dal destino che chissà
perché le aveva riservato una vita estremamente difficile. Il vestito nero, in
segno di lutto, di Yuffie era bellissimo e parte della gonna copriva tutto il
pavimento intorno ad essa.
Cloud notò come
Yuffie fosse dimagrita, ed in viso mostrasse evidenti segni di stanchezza
fisica, nonostante i suoi lunghi capelli neri cercassero in qualche modo di
coprire la sua sofferenza.
Il suono di
chiusura della porta attirò l’attenzione di Yuffie che distolse lo sguardo
assente dal tavolo verso Cloud e gli altri. I suoi occhi grigi si illuminarono
per un attimo.
“Cloud.. così
presto..?” le parole di Yuffie furono simili ad un fruscio impercettibile. La
giovane Imperatrice si alzò a fatica da terra, facendo segno a Vincent di non
preoccuparsi, dato che era già pronto a correre in suo aiuto. Dopo aver ripreso
fiato, malgrado avesse compiuto un minimo sforzo, Yuffie si aggiustò il vestito
e si avvicinò a Tifa. Un elegante fiocco bianco girava intorno alla vita di Yuffie,
e parte di esso ricadeva sullo strascico nero. Tifa notò che praticamente non
c’era differenza tra il colore di quel nastro e la carnagione dell’amica.
“Che piacere
vederti” Tifa affermò, abbracciando Yuffie.
“E’ lo stesso
per me..” Yuffie rispose con un filo di voce.
Notando le
difficoltà della giovane Imperatrice, Cid, Barrett e Red si avvicinarono di
propria spontanea volontà verso Yuffie. Dopo un paio di abbracci e di saluti,
il tempo di rivelare la scomoda verità era arrivato.
“La città porta
ancora i segni del lutto…” Red finì la frase sedendosi vicino al porticato. Gli
occhi dell’animale indugiarono sui drappi neri che spuntavano dal giardinetto,
prima di tornare ad osservare i suoi compagni. Yuffie abbassò lo sguardo,
scostandosi da Cid.
“.. già..” fu
l’unica parola che uscì dalle sue piccole labbra dopo qualche attimo di
esitazione.
“Credo sia tempo
di rimuoverli, Yuffie” Cloud aggiunse, fissando lo sguardo sull’amica. Vincent
sembrò molto urtato da quelle parole e suoi occhi si spalancarono per un
istante, prima che il suo crescente rancore lo facesse sospirare.
“E’ una
decisione che non ti riguarda.” Vincent non riuscì a controllare le sue parole.
Era strano come l’argomento del lutto di Wutai lo innervosisse a tal punto.
Quelle parole nascondevano una sottile minaccia, che fece letteralmente
rabbrividire Tifa. La donna infatti guardò Cloud e gli lanciò uno dei suoi
soliti sguardi di rimprovero.
Non dare ordini Cloud, non qui e non con
Vincent.
Yuffie era
rimasta immobile, le mani raccolte in un pugno e i suoi occhi persi a fissare
il vuoto.
Cid avrebbe
voluto urlare e mettere fine a quella straziante ansia, dire a chiare lettere e
senza tanti giri di parole che Coley, l’unica erede della casata imperiale, era
viva. Salva, ma comunque nelle mani sbagliate, sola e… sotto un certo punto di
vista indifesa. Barrett invece era rimasto silenzioso per quasi tutto il tempo,
evitando battute o frasi “colorite”. Il grande Barrett risentiva in questo modo
la grande angoscia che riguardava la sorte di Coley.
“Reeve ci ha
chiamato, ieri. Ha detto che si era incontrato con una donna del reparto
ricerche scientifiche della Shinra. La ricercatrice aveva dei risentimenti
riguardo un progetto che il presidente del conglomerato sta portando avanti.”
Tifa spiegò, avvicinandosi a Yuffie. La giovane Imperatrice alzò gli occhi
verso la figura rassicurante di Tifa.
“Ricerche
scientifiche? Cosa c’entra con Wutai?” Yuffie domandò.
“Ecco... che
“Rufus sta
lavorando con i Deepground Soldiers e lo Zvet, perché vogliono realizzare un
nuovo esercito composto da uomini indistruttibili o immortali chiamateli come
volete.. quelli sono pazzi” Cid prese la parola al posto di Tifa. Il pilota era
rimasto vicino all’entrata della stanza, al fianco di Vincent.
“Cosa c’entra
con Wutai..?” la voce di Yuffie tremò nel ripetere la domanda. Sapeva che Cloud
e tutti i suoi vecchi compagni dell’Avalanche non si sarebbero presi un così
grosso disturbo solamente per comunicare degli sviluppi di poco rilievo per il
suo interesse e quello della sua gente.
Barrett emise
una specie di grugnito e si avvicinò a Yuffie. La fissò dritto negli occhi
prima di parlare.
“Usano Coley per
gli esperimenti. Quei bastardi l’ hanno presa, l’hanno curata e ora la usano
come cavia per i loro dannati esperimenti…” la voce roca di Barrett urtò
l’udito di tutti i presenti. Tifa lo guardò, sbiancando per la poca
raffinatezza che il suo compagno aveva mostrato nel riferire una notizia così
delicata. Cloud non si mosse, mentre Red dopo uno sbuffo si acquattò a terra.
Yuffie fece
cadere la tazza che dopo aver rotolato sopra il tavolo riversando tutto il suo
contenuto, cadde a terra frantumandosi. Le sue mani rimasero così com’erano,
raccolte a sostenere la tazza, tremanti ed instabili. Le guance divennero rosse
e gli occhi fecero altrettanto. Ma la giovane Imperatrice non parlò e non si
alzò dal suo posto. Sembrava quasi che stesse attraversando una fase di
completa incoscienza dovuta allo shock. Cid non faceva altro che alternare il
suo sguardo da Yuffie a Vincent poi viceversa, fino a che non si fermò sull’immagine
imponente di quest’ultimo.
Accadde
all’improvviso, come era sempre stato d’altro canto. Vincent aveva udito con
fin troppa chiarezza la frase di Barrett. Coley era viva. La sua unica ragione di
vita era ancora viva. Respirò profondamente ed abbassò le palpebre, che gli
oscurarono la vista per pochi decimi di secondo. Ma quell’arco brevissimo di
tempo fu sufficiente al demone che dormiva assopito nella sua mente per
risvegliarsi, urtato dalle forti emozioni che avevano colpito Vincent. Chaos,
la sua parte nascosta non usava parole che gli umani potessero comprendere o
sentire. Perciò comunicava attraverso immagini ed emozioni.
Vincent chiuse
gli occhi e si trovò perso nell’abisso oscuro, dimora degli incubi grotteschi
di Chaos.
“Papà?” una voce infantile, estremamente
squillante raggiunse l’udito di Vincent. L’uomo aprì gli occhi e si ritrovò in
un luogo indefinito, senza pareti o soffitto, immerso in una fitta nebbia. La
voce era indubbiamente quella di Coley e Vincent, incapace di individuare da
dove lo stessero chiamando, provò un forte senso di panico.
“Papà?” la voce si faceva sempre più
impaurita, e Vincent scoprì di non potersi muovere. La volontà c’era ma il suo
corpo non rispondeva.
“Papa!” ora la voce si era ridotta ad un
urlo e Vincent ribolliva dalla rabbia e dall’angoscia per non potersi muoversi.
“Smettila!” gridò, rivolto a Chaos, il
responsabile di questa temporanea immobilità. Ripeté alcune volte la sua
richiesta, sempre gridando per l’esasperazione, poi d’un tratto il demone
iniziò a ridere. Una risata agghiacciante che rimbombava nell’aria di quel
luogo infinito e si prendeva scherno della sofferenza di Vincent.
Quando anche l’ultimo degli eco della
risata di Chaos si fu assopito, la nebbia si dileguò rivelando agli occhi di
Vincent la figura di Coley, inginocchiata a terra mentre piangeva a dirotto.
Era più piccola, dimostrava all’incirca cinque anni. Perché Chaos aveva scelto
di fargli incontrare Coley da bambina, era un mistero che la mente di Vincent
non riuscì a comprendere. Ma poco importava, perché la gioia di riaverla
davanti a sé era troppo grande per lasciare spazio alla razionalità. Finalmente
i piedi si mossero e Vincent si precipitò verso la sua bambina. La prese in
braccio e la strinse a sé con forza, baciandola sul suo piccolo capo, ricoperto
da folti capelli scuri che profumavano di vaniglia.
Non appena Vincent aveva stretto Coley, la
bambina cessò di singhiozzare. Aveva allungato la sue piccole braccia lungo la
schiena del padre e si era raggomitolata in cerca di riparo dato che qualcosa
di apparentemente invisibile la stava spaventando a morte. La calma della
bambina tranquillizzò Vincent, fino a che il silenzio prolungato della piccola
non tornò ad impensierirlo. Infatti quell’attimo che era sembrato così reale,
si era dimostrato troppo bello per essere frutto della mente di Chaos. Vincent
allentò l’abbraccio su Coley e il suo minuscolo capo cadde a peso morto
all’indietro. Anche le braccia della piccola avevano rilasciato la presa sulla
schiena di Vincent.
Avrà perso conoscenza. Forse lo shock del
pianto l ’ha provata eccessivamente.
Poi gli occhi di Vincent videro che il
petto della bambina non si muoveva, che le sua labbra diventavano violastre e
che la pelle stava scolorendo fino diventare più bianca della neve. Coley era
morta. Ora il suo volto infantile riprese una sembianza più adulta, e Vincent
si trovò a stringere tra la braccia il corpo adolescente di Coley, lo stesso
freddato da un proiettile lanciato da un soldato a Nibelhime. La ferita sul
petto perdeva molto sangue e stava sporcando tutti i vestiti di Vincent: l’uomo
adagiò a terra il corpo della ragazzina, cercando di non urtarla.
Il dolore fu così forte che non c’erano
parole per descrivere la crudeltà di Chaos. Vedere morire una seconda volta
Coley, seppur in sogno, davanti ai propri occhi era una empietà che Vincent non
riuscì a tollerare. Sfiorò il volto freddo della figlia e si accasciò accanto a
lei, mentre la voce bestiale di Chaos gli sussurrava frasi atroci.
“La perderai di
nuovo.”
Vincent riaprì
gli occhi istintivamente, avvertendo che il suo cuore batteva così forte che
avrebbe potuto sfondargli il torace da un momento all’altro. Il suo respiro era
diventato affannoso, persino Cid se n’era reso conto. Nell’incubo di Vincent
sembrava essere passato molto tempo: in realtà il tutto era durato meno di un
battito di ciglio.
La sua mente
stanca e eccessivamente sovraccarica di emozioni fu attirata dall’immagine di
Yuffie. La giovane Imperatrice lasciò cadere lungo i suoi fianchi le mani,
abbassando la testa fino a che il mento non le toccò il petto. Tifa si riprese
dall’attimo di stasi che l’aveva colta dopo le parole di Barrett e si
inginocchiò di fianco a Yuffie, posandole una mano sulla spalla. Percepì che il
corpo dell’amica era un totale tremore.
“Credevo che la
morte di Coley fosse una punizione che mi era stata inflitta per non aver
sposato l’erede designato da mio padre…” Yuffie cercò di parlare tra un
singhiozzo e l’altro. Le grosse lacrime che le scendevano dalle guance cadevano
sul tavolo, mischiandosi alla pozzanghera di tè che si era formata dopo la
caduta della tazza.
“Oh almeno così
mio padre è riuscito a farmi credere per tutto questo tempo…”
“Yuffie..” Tifa
mormorò, sentendo che tra poco il pianto l’avrebbe vinta.
Ma la
disperazione di Yuffie durò ben poco. Si alzò di scatto, rischiando di far
cadere Tifa. Parte della stanchezza sembrò dileguarsi e con diversi gesti di
stizza Yuffie si slacciò il suo fiocco bianco, lasciando che la veste superiore
del suo vestito, quella nera, ricadesse dalle sue spalle e finisse a terra con
un tonfo. Il suo abito nero, il suo modo di esprimere esteriormente il lutto
che l’aveva colpita per aver perso la sua unica figlia, giaceva ora a terra lontano
dal suo corpo, per la prima volta dopo cinque mesi. Yuffie diede un calcio al
vestito ed ignorò i vari giramenti di testa che la facevano barcollare.
L’equilibrio le venne meno ed emise un grido sommesso. Vincent non indugiò e
con la sua velocità quasi disumana anticipò i movimenti di ogni presente nella
stanza ed afferrò Yuffie.
“Dateci un
attimo, per favore.” Vincent chiese mentre poggiava la sua mano destra sul capo
di Yuffie, stringendola a sé. Cloud annuì e fece strada ai compagni che
lasciarono la stanza in un attimo.
Coley si
risvegliò a fatica. Tutto il suo corpo era indolenzito, specialmente nella
parte alta della schiena. Una stretta fasciatura lungo il petto le impediva di
respirare senza fatica. La luminosità della stanza era abbagliante o forse
erano i suoi occhi che a forza di essere stati al contatto col buio del
laboratorio S10, avevano perso il ricordo della luce. Con sua sorpresa Coley
notò che non c’erano cinghie o catene che la stessero legando al letto su cui
era stata adagiata. A dir la verità, da quel poco che poteva vedere stesa
com’era, l’ambiente sembrava diverso da quello in cui aveva passato gli ultimi
cinque mesi. Coley ricordava poco o nulla dei momenti precedenti al risveglio.
Si ricordava delle scosse, del volto sadico di Hojo mentre la osservava durante
l’esperimento e ricordava anche gli occhi impauriti di Lilian. Il resto erano
solo ricordi confusi, brandelli di sensazioni e suoni che aveva provato in
quegli attimi ambigui.
“Buongiorno..”
una voce femminile la salutò dal fondo della nuova stanza. Coley si alzò con
velocità, rimpiangendo la sua foga a causa del dolore che ne seguì.
L’abbigliamento era quello dei Deepground Soldiers, eccetto per uno strano
mantello rosso che partiva dalla vita della nuova arrivata ed altri
abbellimenti del medesimo colore. Sul petto della donna c’era una zeta,
circondata da una fiamma.
E’ un membro Zvet..
Coley si
rannicchiò sul letto contro la parete, intuendo l’ennesimo pericolo
rappresentato da quell’ufficiale.
“E’ un piacere incontrarti
di persona… il mio nome è Rosso.” La donna si presentò camminando verso Coley e
porgendole la mano.
Coley fissò con
i suoi occhi scarlatti la mano di Rosso, rifiutandosi di scambiare il saluto.
“Hai degli occhi
splendidi, ragazza mia, complimenti.” Rosso affermò ritirando la mano. Coley
continuò a fissare la donna, sforzandosi di capire se era veramente un soggetto
pericoloso o no. Passarono alcuni attimi di silenzio
e Rosso si voltò diverse volte verso uno strano specchio in fondo alla stanza.
“Dove sono? Hojo
se n’è andato?” Coley chiese con diffidenza.
La donna
distolse l’attenzione dallo specchio e fissò la ragazzina.
“Per ora, il
professore non c’è”
Coley sospirò e
si distese, acquistando una posizione più rilassata. Si spinse lentamente fuori
dal letto e posò i piedi nudi sul pavimento freddo. Sentiva dei crampi ovunque
e una volta in piedi notò che aveva lasciato due grosse scie rosse sul suo
giaciglio, proprio all’altezza dalla schiena, la parte del corpo che più le
doleva.
Tenendo sempre
le dovute distanza da Rosso, Coley percorse il perimetro della stanza quadrata,
realizzando che era fornita di un letto, una piccola scrivania, un lavandino
con sopra uno specchio appesa alla parete, un piccolo armadietto. Opposto al
letto vi era questa strana parete-specchio, inquietante e gigantesca. A
sinistra c’era la porta d’ingresso della stanza.
Rosso non si
mosse dal centro della stanza ed osservò i movimenti accorti della ragazzina.
Coley scrutava ogni cosa con maniacale attenzione, ignorando che fosse
osservata non solo dall’ufficiale Zvet che aveva conosciuto qualche attimo
prima, ma anche da altri estranei.
“E’ curiosa, si
muove con circospezione, senza impeto o panico. È un’ottima peculiarità.”
Lilian osservò, seduta nella sua postazione dietro lo specchio a due vie che
dava sulla stanza. Hojo mormorò qualcosa, accomodato al fianco della sua
assistente mentre Scarlet si limitava ad osservare con curiosità la scena alle
spalle dei due.
“Sarà perché
ormai è avvezza a questi posti così tristi e sterili.” Scarlet sbottò,
provocando una strana reazione da parte dei due scienziati. Sia Hojo che Lilian
si voltarono verso la donna, mostrando un viso più che irritato.
“Ok, ok… non
parlerò più..” Scarlet rispose con altrettanta scocciatura.
Coley in quell’istante
si fermò davanti alla parete specchio, incuriosita dal riflesso della sua
immagine.
“Riesce a
vederci? Ci ha visto?” Scarlet chiese un po’ agitata.
“No.” Risposero
all’unisono i suoi due colleghi.
Coley guardò lo
specchio e notò che in questi cinque mesi era dimagrita molto, ed aveva assunto
un’aria più matura. Tra l’altro le sue iridi avevano acquistato entrambe il
medesimo, spaventoso colore scarlatto: nessun ciuffo ora avrebbe potuto
nascondere quella maledizione. Ciò comunque non le diminuì la curiosità di
sapere come mai ci fosse un arredo così particolare all’interno della stanza.
“Che cos’è?”
Coley chiese, voltando il viso verso Rosso.
La donna fece
spallucce e si portò una mano all’orecchio.
Hojo allungò la
sua mano viscida sulla console davanti a sé e premette un pulsante, avvicinando
la sua bocca verso un microfono.
“Rosso, dille
che si tratta di uno specchio per allenarsi.” Hojo terminò la frase rilasciando
il pulsante.
A quel punto,
Rosso tolse la mano dall’orecchio, quello in cui nascondeva con una ciocca di
capelli fulvi l’auricolare grazie al quale si teneva in contatto con l’altra
parte dello specchio.
“Serve per
esercitarsi, così potrai notare tu stessa i progressi dei tuoi allenamenti.”
“Progressi?
Allenamenti? Nessuno me ne ha mai parlato..” Coley domandò voltandosi
completamente verso Rosso.
“Presto entrerai
a far parte di un gruppo speciale ed unico, ma solo se dimostrerai di esserne
all’altezza.” Rosso spiegò portandosi verso la porta d’uscita della stanzetta.
“E cosa succede
se mi rifiutassi?” Coley chiese, corrucciando la fronte.
“Morirai.” Rosso
sorrise, salutando con la mano la ragazza e lasciando la stanza.
Coley rimase
sola, meravigliata da ciò che le era stato detto. Lanciò un calcio contro la parete,
procurandosi un brutto taglio sulle dita dei piedi. Avrebbe voluto continuare a
sfogarsi in quel modo, soffocando la sua rabbia nel dolore fisico ma le luci si
spensero all’improvviso, obbligandola a fermarsi. Tornò, con molta difficoltà,
verso il letto dove si sdraiò cercando di dimenticare la realtà con il sonno.
La stanza era
avvolta dal silenzio, interrotto di tanto in tanto dai gemiti di Yuffie.
Vincent la teneva stretta a sé con un abbraccio, cercando di tranquillizzarla
con alcune parole di conforto.
La sottoveste
bianca di Yuffie mostrava ora la magrezza del suo fisico, che era deperito
sempre di più dopo la presunta morte di Coley.
“Aveva detto che
era colpa mia, invece di rassicurarmi.. ha detto che me lo meritavo per averti
dato una figlia invece che sposarmi con l’erede designato da lui stesso…”
Yuffie continuava a mormorare con il volto sprofondato contro il petto di
Vincent.
“Il dolore che
ci ha colpiti deve aver accecato anche la sua ragione…” Yuffie ascoltò le
parole di Vincent e si scostò dal suo abbraccio. Fissò i suoi occhi scarlatti,
profondi, velati di rammarico e d’un tratto si sentì più forte. Yuffie voleva
essere altrettanto coraggiosa come Vincent, voleva imparare a controllare le
emozioni come lui. La giovane Imperatrice si asciugò le lacrime e si piegò per
raccogliere la veste nera che aveva buttato a terra.
“Ciò non
giustifica le parole di mio padre.”
Vincent inspirò
profondamente, realizzando che Chaos non si era ancora assopito del tutto. Con
il passare degli anni e la realizzazione di una vita più tranquilla e serena,
Vincent aveva imparato a controllare parte dei demoni che costituivano una
porzione nascosta della sua personalità. Solo Chaos continuava a persistere,
risvegliando le sue abilità nei momenti più difficili, come quelli che avevano
seguito la scomparsa di Coley.
Vincent sentì
ancora una volta uno strano senso di stanchezza e socchiuse gli occhi.
Yuffie era sparita, davanti a lui nella
stessa stanza in cui si trovava apparve Coley, vestita in un bellissimo abito
rosso. La ragazza fece alcuni passi verso il padre, sorridendo come poche volte
aveva fatto. Quando i due furono a pochi centimetri di distanza, Coley si portò
le mani al volto, iniziando ad urlare. Vincent alzò lo sguardo e vide con
orrore che la stanza si stava riempiendo di sangue, sgorgato all’improvviso
dalle pareti.
“Vincent?”
Yuffie domandò, vedendo che il suo compagno si era distratto.
Vincent si portò
una mano sulla fronte, scostandosi parte dei capelli. Chaos stava tornando
insidioso come in passato e per Vincent voleva dire guai in vista. Guai grossi.
“Stai bene?”
Yuffie chiese, avvicinandosi all’uomo con aria preoccupata.
Vincent cercò di
deviare immediatamente il discorso perché non voleva mettere in apprensione
ulteriormente la compagna. Annuì e si scusò per essersi distratto.
“Stavo dicendo…
sarà una notizia affidabile?” Yuffie chiese.
“Conosco molto
bene Reeve e non fornirebbe informazioni di nessun tipo senza averne provato la
fondatezza.” Yuffie si sentì sollevata dalle parole di Vincent e si lasciò
accarezzare il volto dal suo compagno.
“Possiamo starne
certi.”
La giovane annuì
e portò la sua mano sopra quella di Vincent.
“Ti senti meglio
ora?” le domandò giocando con i capelli.
Yuffie tornò ad
annuire.
Vincent lasciò
il volto della compagna e si diresse verso la porta. Yuffie sospirò, e fissò la
figura imponente di Vincent lasciare la stanza.
“Barrett devi
controllarti! Siamo stati fortunati se le cose sono andate così…” Tifa
rimproverò il suo amico puntandogli contro l’indice della mano.
Barrett sbuffò e
si allontanò dal resto gruppo, camminando verso la fine del corridoio in cui
erano usciti. Cid si accese una sigaretta e dopo aver inspirato una boccata di
fumo si sentì subito meglio. Cloud aveva osservato con indifferenza il rimprovero
che la moglie aveva lanciato verso Barrett, anche se era pienamente d’accordo
con lei. In qualche modo Cloud sembrava il più tranquillo, perché aveva
compreso i sentimenti di Yuffie e Vincent. Così come loro stavano soffrendo per
la perdita di Coley anche Cloud aveva portato per molto tempo nel cuore una
simile angoscia dovuta alla perdita di Aeris.
Red non lasciò
che Tifa terminasse la sua frase rivolta a Barrett ma si intromise nel
discorso, dopo che si era ricordato di un particolare.
“Non abbiamo
detto loro che di mezzo c’è sempre Hojo…” l’animale affermò, posando il suo
sguardo prima sulla donna poi su Cloud.
Cid mormorò
qualcosa e ne seguì un rumore leggero.
Vincent era
riapparso sulla porta, a braccia conserte, mostrando un’espressione rilassata.
Pareva che non avesse udito l’ultima affermazione di Red.
“Sta bene
Yuffie?” Cid domandò per dare tempo agli amici di riprendersi dallo spavento.
Se Vincent avesse udito le parole di Red…
Vincent annuì e
fece cenno di rientrare. Aspettò sulla soglia che ognuno entrasse e quando al
suo fianco passò Cid, Vincent allungò un braccio, sbarrando la strada al
pilota.
“Che cosa ho
fatto adesso?” Cid chiese esasperato.
Vincent fece una
smorfia di disapprovazione ed afferrò la sigaretta del compagno. La buttò a
terra e gli indicò di spegnerla. Cid sbuffò ma notando l’irremovibilità del
braccio di Vincent fu costretto ad obbedire.
“Contento ora?”
“Entra.”
Cid poté
finalmente procedere all’interno della stanza, mugugnando frasi di irritazione
tra sé e sé.
Yuffie era
rivolta verso il giardinetto, tenendo fra le mani il vestito nero che avevo
ripiegato. Lasciò che il vento le scompigliasse i capelli e poi si voltò verso
gli amici.
“Vi ringrazio,
per quello che avete fatto.”
Tifa sorrise,
contenta nel vedere che l’espressione di Yuffie si era rilassata.
“Vi aiuteremo a
recuperare Coley, ma prima bisogna stabilire come agire.” Red affermò,
avvicinandosi alla giovane Imperatrice. L’animale aveva ragione. Non si poteva
pretendere di salvare la ragazza se prima non ci si era organizzati a dovere:
le difese di Midgar erano preparate a difendere alla perfezione il conglomerato
dagli intrusi.“C’è qualcosa però che dovreste sapere, prima di terminare questo
colloquio..” Cloud si intromise.
« A
dirigere l’orchestra è Hojo » Cid sbottò.
Hojo uscì dalla
sala controllo nascosta dietro lo specchio, accompagnato da Lilian e Scarlet,
che lo lasciarono subito ai suoi impegni. Lo scienziato si era assicurato che
Coley si fosse calmata e dopo aver compilato la cartellina dove annotava i
progressi dalla sua JEP3-3, decise di fare una visita al presidente. Hojo
percorse diversi corridoi, tutti illuminati dalla medesima luce viola e tutti
maleodoranti di cloro. Si portò verso gli ascensori e si accomodò dentro al
numero uno, digitando l’ultimo piano, ovvero l’ufficio del presidente.
Lo scienziato
osservò dalla vetrata dell’ascensore il panorama di Midgar, che si
rimpiccioliva man mano che saliva di piano.
Un giorno sarà tutto mio.
Un tintinnio
elegante segnalò all’uomo che era arrivato a destinazione, poi le porte si
aprirono lentamente. Hojo entrò nell’ufficio senza bussare, aprendo con impeto
le porte che sbatterono per la spinta ricevuta.
Rufus alzò lo
sguardo dalla scrivania, disturbato dall’improvviso rumore. Una sagoma scura,
dall’andatura zoppicante si avvicinò, schiarendo i propri lineamenti ad ogni
passo verso la luce che filtrava dai vetri alle spalle del presidente.
Capelli scuri,
lunghi e raccolti; fronte larga e spaziosa; occhiali da vista dalle lenti
spesse e un camice bianco che recava un cartellino d’identificazione per i
dipendenti della Shinra. Indubbiamente si trattava Hojo. Era curioso poterlo
vedere a quell’ora del giorno fuori dai suoi laboratori.
Rufus posò la
biro con cui stava firmando un foglio, appoggiò i gomiti sulla scrivania,
incrociò le mani e pose il viso contro esse. La sua espressione, calma e
severa, indicò a Hojo che era pronto all’ascolto.
“Ho bisogno di
una cosa per proseguire con sicurezza il progetto JEP3-
“Cosa?”
“Materia.”
Rufus sogghignò
e si appoggiò contro lo schienale della sua sedia, accavallando le gambe.
“Te n’abbiamo
fornito a sufficienza prima di iniziare gli interventi sulla ragazza.”
“Non ho bisogno di
materia ordinaria.” Hojo rispose sbattendo una mano sulla scrivania. Tutti gli
oggetti sopra di essa sobbalzarono e Rufus osservò indignato la reazione
dell’uomo.
“Di che materia
hai bisogno allora?”
Hojo si
riaggiustò gli occhiali e fissò il presidente.
“Materia di
restrizione.”
Rufus sembrò
sbalordito da quella richiesta. Materia di restrizione? Non esisteva alcun tipo
di quella materia. Che il professore stesse delirando con le sue eccessive mire
di conoscenza?
“E’ la prima
volta che ne sento parlare”
Hojo emise una
specie di grugnito, forse si aspettava una simile risposta. Dopotutto Rufus era
un uomo troppo stolto rispetto a lui, ignorante e privo d’ogni senso
d’intuizione. O almeno era quello che pensava il professore.
“Si trova a
Nibelhime, in un posto di mia conoscenza. Ho bisogno di partire per
recuperarla.”
“Non puoi
partire lasciando sola JEP3-3. Manderò qualcuno a prenderla al tuo posto.”
Rufus rispose allungando una mano sul telefono. Hojo lo anticipò e prima che il
presidente potesse sollevare la cornetta, lo scienziato aveva già posto una
mano per fermare i movimenti di Rufus.
“SOLO io, so
dove e come recuperarla.”
Il presidente
tenne lo sguardo sulla mano fredda di Hojo, irritato dalla sua mania di
comandare anche i suoi superiori.
“Non ci andrai
da solo. Non mi fido.” Rufus rispose, togliendo la propria mano dalla stretta
di Hojo. Compose un numero sulla tastiera del telefono e si portò la cornetta
all’orecchio. Nonostante lo scienziato avesse ottenuto ciò che chiedeva, lasciò
la stanza adirato, poiché avrebbe desiderato compiere i suoi lavori da solo,
senza essere disturbato da scienziati o soldati.
I suoi passi
pesanti trascinarono il suo corpo verso i laboratori, dove Hojo avrebbe potuto
sfogare la sua rabbia su qualche sfortunato soggetto vittima delle sue strane
ricerche. Lilian, che era tornata a sedersi nella sua postazione davanti
l’entrata del laboratorio era al telefono con qualcuno. Non appena vide la
figura di Hojo piombarsi con insolita velocità verso di lei, riattaccò la cornetta.
“E’ successo
qualcosa, professore?” domandò con stupore verso il suo superiore.
“Informami
quando il caro presidente chiamerà per il mio trasporto a Nibelhime.” Hojo
affermò con grinta. Lilian annuì, ma lo scienziato non si fermò nemmeno per
assicurarsi che l’assistente avesse capito: estratta la carta che teneva nel
camice, aprì la porta del laboratorio ed entrò.
Lilian fece
spallucce e tornò a concentrarsi sul telefono.
“Vincent
aspetta!” Cloud tuonò nel vedere il suo amico precipitarsi all’esterno della
stanza, pericolosamente adirato.
“Cloud no!”
Yuffie gridò correndo verso il suo amico, che era già pronto a rincorrere
Vincent.
“Lascialo
stare.. dagli del tempo per calmarsi.. te ne prego..” Yuffie supplicò Cloud,
appoggiando le sue esili mani sul petto del guerriero. Cloud, che aveva fissato
per tutto il tempo la porta distrutta dall’impeto di Vincent, abbassò gli occhi
sulla figura dell’Imperatrice. Tifa, Cid e Red sapevano che una reazione del
genere avrebbe infervorato l’animo di Vincent, dopotutto aveva ragione per
essere adirato. Anche Barrett se l’era aspettato, sperando che però si potesse
evitare. E invece non fu così. Ognuno si concentrò su se stesso, lasciando che
le loro menti vagassero tra il flusso di eventi che si erano susseguiti con
velocità.
Delle guardie
arrivarono davanti la porta distrutta, senza entrare nella stanza dove Yuffie e
gli ex membri Avalanche si erano fermati.
“Altezza.. vuole
che lo seguiamo?” una delle guardie si rivolse a Yuffie, puntando un dito verso
il corridoio in cui si era sostato. Le altre guardie si erano perse nel fissare
gli effetti dell’ira di Vincent.
Yuffie sospirò e
scosse la testa.
“Fate solo
attenzione che nessuno si faccia del male.”
Le guardie salutarono
l’Imperatrice con un inchino e lasciarono il corridoio.
“Forse è meglio
se vi mostro dove potete riposarvi. Io andrò a parlare con mio padre intanto.”
Yuffie si scostò da Cloud, che si era ripreso dall’urto. L’Imperatrice, tenendo
sempre tra le mani la veste nera, accompagnò i suoi amici in un’altra ala del
palazzo, dove vi erano le stanze per gli ospiti. Una volta salutati, Yuffie si
precipitò verso