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Autore: BlackColey    30/06/2007    3 recensioni
Ambientato dopo Dirge of Cerberus, ma ignorando ciò che è accaduto, la storia si concentra sulle nuove vite degli ex-membri Avalanche, con l'aggiunta di nuovi personaggi.
Genere: Dark, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3: mother and father

Yak yak yak… un altro capitolo! Buona lettura!

 

(solito) DISCLAIMER: Square-Enix, Final Fantasy VII e i Linkin Park non sono miei.. ovvio!

 

Capitolo 3:

 

When this began I had nothing to say
And I get lost in the nothingness inside of me
I was confused and I let it all out to find
That I’m not the only person with these things in mind
Inside of me but all the vacancy the words revealed
Is the only real thing that I’ve got left to feel
Nothing to lose just stuck/ hollow and alone
And the fault is my own, and the fault is my own
I wanna heal, I wanna feel what I thought was never real
I wanna let go of the pain I’ve held so long
Erase all the pain till it’s gone
I wanna heal, I wanna feel like I’m close to something real
I wanna find something I’ve wanted all along
Somewhere I belong

 

Somewhere I belong –Linkin Park-

 

Wutai, una delle città più antiche del pianeta. Un paese lontano, bloccato a metà strada tra il passato, fatto di tradizione e leggende, e il futuro, figlio di un’epoca di terrore e conflitti. Il sole del mezzogiorno splendeva alto nel cielo, la sua luce ricadeva come una cascata d’oro sulle case variopinte di rosso e di nero, i colori tipici di Wutai, illuminando le piccole strade ricoperte di ciottoli bianchi e le imponenti montagne rocciose di Da Chao, scolpite a raffigurare le antiche divinità protettrici del villaggio e ricoperte alla base da un fitto bosco.

Cid fece atterrare l’Highwind lontano dalle porte della città, diffidente dell’animo poco ospitale degli abitanti di Wutai. Era meglio evitare contrattempi inutili come sabotaggi o furti.

Tifa varcò le mura di Wutai al fianco di Cloud. Mentre tutti i suoi compagni non indugiarono sul panorama pittoresco che li circondava, Tifa non poté fare a meno di sostarsi per un attimo. I suoi occhi castani si fermarono ad osservare con meraviglia i ciliegi in fiore, che scossi dal vento lasciavano cadere a terra i loro petali rosa. Quei fiori così fragili danzavano a mezz’aria come minuscole ballerine, si facevano cullare dal vento prima di cadere sul terreno, dove la polvere e i passi incauti di molti viaggiatori li avrebbero distrutti per sempre.

 

Che peccato.

 

“Sono belli i ciliegi in fiore, ma quando arriva la stagione calda procurano solo fastidi..” una voce roca echeggiò alle spalle di Tifa. La donna si voltò lentamente e vide una vecchia signora, dai capelli argentati raccolti in una lunga treccia e vestita in un elegante kimono scuro che stava spazzando la strada dai fiori caduti. Il silenzio che regnava in quel momento fu interrotto dalla risata dell’anziana signora, che aveva notato lo stupore di Tifa; malgrado l’interesse per la straniera, la vecchia non smise mai il suo paziente lavoro.

“..Tifa?”

Tifa tornò a girarsi verso il centro del villaggio, e vide che Cloud si era fermato per aspettarla, mentre gli altri erano già andati oltre. La donna annuì e si diresse verso il marito, affrettando il passo per evitare di dare spazio alla sua voglia di osservare i dintorni. Dopotutto non erano venuti per una vacanza, a differenza della maggior parte della gente che decideva di solcare l’oceano per raggiungere Wutai. Dovevano avvertire Yuffie dell’accaduto e per suo rispetto bisognava agire in fretta. Nonostante questo flusso rapido di pensieri, Tifa, dopo aver percorso pochi passi dietro la figura di Cloud, tornò a girarsi dove aveva visto l’anziana. La donna dai capelli argentati se n’era andata, sparita nel nulla, lasciando la strada coperta da un soffice manto di petali rosa.

“Tifa.. cosa c’è?”

Tifa sobbalzò, non appena Cloud le rivolse la parola. Che strana sensazione. Quella visione era stata frutto della sua mente o c’era qualcosa di strano a Wutai?

“Nulla, perdonami.” Tifa si scusò e riprese il cammino passando oltre Cloud. L’uomo la fissò, sbigottito per questo suo strano comportamento, poi s’incamminò anch’esso verso il palazzo.

Wutai portava ancora i segni del lutto per la scomparsa della giovane erede della casata dell’Imperatrice. I pochi passanti che Tifa e Cloud avevano incontrato erano tutti vestiti di scuro, e le strade erano ancora costellate di pali di legno, sopra ai quali erano stati issati dei lunghi drappi neri e bianchi. Il vento scuoteva le insegne funebri con delicatezza e il candore della fioritura dei ciliegi contrastava fortemente con i colori morti del villaggio. Tifa non osservava nemmeno che strada stesse seguendo o dove stesse appoggiando i piedi. Era completamente assorta nel contemplare Wutai, così diversa dalla sua lontana Nibelhime.

 

Wutai è come un ragno: cattura chiunque caschi nella sua tela.

 

Tifa sorrise per il pensiero stupido e riprese a scrutare i luoghi circostanti. Le costruzioni erano molto eleganti e raffinate, realizzate in legno e dai tetti a punta. Dalla finestra semi aperta di una casa vicino a Tifa si affacciò un uomo, vestito di nero anch’esso, che dopo aver squadrato velocemente Cloud richiuse gli scuri, barricandosi all’interno. 

 

Di cosa hanno paura?

 

Anche Cloud notò l’aria di diffidenza che avvolgeva ogni angolo di Wutai. Le strade erano deserte, il silenzio regnava sovrano e il vento continuava a soffiare senza cedimenti, portando con sé uno strano profumo d’incenso e il lontano tintinnio degli scacciaspiriti appesi alle porte di ogni abitazione. Tifa e Cloud proseguirono, sollecitati dall’inquietudine che la calma di Wutai incuteva loro. Le abitazioni divennero sempre più rade fino a sparire, lasciando spazio alla fitta vegetazione del bosco, antecedente alla piazza. In lontananza spiccava già tra le fronde degli alberi, la cima della pagoda, ovvero la torre sede delle cinque divinità di Wutai. Tifa si rattristò sempre più, man mano che la distanza tra lei e Yuffie si accorciava, presagendo che cosa la stesse per attendere. E poi…si depresse perchè i suoi occhi non vedevano più nemmeno un ciliegio in fiore, l’unica cosa incantevolmente dolce in quel momento.

Con un ultimo sforzo, Cloud e Tifa accelerarono il passo e finalmente videro il sentiero allargarsi fino ad accompagnarli davanti la piazza, il centro di Wutai.

“Finalmente!” Cid sbottò con la sua solita sigaretta in bocca, mentre andava incontro ai compagni ritardatari. Anche Barrett lasciò il suo appostamento, ovvero la colonna sinistra che reggeva il gong dorato che scandiva il tempo di Wutai. Red era già davanti l’ingresso del palazzo Imperiale, pronto ad entrare senza tanti indugi.

“Ma dove eravate finiti?” Cid proseguì, trovandosi faccia a faccia con Cloud.

“Colpa mia Cid, mi sono distratta un attimo.” Tifa ammise, scostandosi i capelli dal viso.

Cid rivolse lo sguardo verso l’amica e distese le labbra in un sorriso.

“Andiamo? Sono stanco d’aspettare!” Barrett inveì, avendo già raggiunto Red davanti l’ingresso.

“D’accordo, d’accordo!” Cid rispose con foga mentre buttava a terra la sua sigaretta, pestandola per spegnere il mozzicone.

Fu Cloud a far strada a Cid e Tifa. Quando i cinque furono insieme davanti al palazzo, Cloud fece cenno agli amici di fermarsi e salì la scalinata da solo, percorrendo l’elegante porticato in cedro che conduceva alla porta del palazzo. Ad ogni passo di Cloud, il legno produceva un flebile scricchiolio, accompagnato dalla musica dei campanelli appesi al soffitto, scossi dal vento.

Due guardie, vestite di un’armatura più che splendente, erano appostate di fianco all’imponente portone, dove vi era stato inciso l’emblema intarsiato d’oro di un dragone, probabilmente Leviathan, la divinità protettrice e madre delle leggende di Wutai. Appena videro avvicinarsi l’estraneo, le due sentinelle brandirono le loro lance, incrociandole per sbarrare l’entrata al palazzo.

Cloud aveva già avuto esperienze passate a Wutai: sapeva che certi atteggiamenti o semplicemente certe parole potevano risultare offese enormi all’orecchie di questa gente, e il loro risentimento era capace di provocare conflitti mortali. Gli abitanti di Wutai erano famosi non solo per la loro proverbiale inospitalità ma anche per le loro conoscenze accurate di diverse e letali arti marziali. Perciò Cloud, essendo temporaneamente disarmato doveva calcolare molto bene le sue azioni. Inoltre era sicurissimo che altre guardie, molte guardie, fossero nascoste in luoghi ben protetti, pronte ad attaccare al minimo segno di pericolo.

Si fermò a circa due metri di distanza dai sorveglianti: intuendo la loro impassibilità, Cloud fece il primo tentativo di approccio.

“Sono Cloud Strife, membro del W.R.O. L’Imperatrice era stata avvertita del nostro arrivo e desidera incontrare me e i miei compagni.”  La guardia a sinistra dell’entrata aggrottò le sopracciglia.

“E dovremmo crederti?” la guardia a destra dell’entrata rispose sogghignando.

Cloud alzò gli occhi al cielo e si infilò una mano dentro la sua maglia blu scuro. La guardia a sinistra dell’ingresso strinse la presa sulla sua lancia e fece un passo avanti.

“Cosa fai?” urlò, temendo che Cloud potesse nascondere un’arma all’interno del suo abbigliamento.

Cloud sentì poi un leggero fruscio alle sue spalle: non si voltò perché aveva già capito che altre guardie erano arrivate, pronte a difendere il palazzo dalla sua presenza. In realtà voleva mostrare loro la splendida collana di sfere di materia che Yuffie gli aveva regalato e che portava sempre con : sarebbe stato il suo lasciapassare, la prova inconfutabile della sua amicizia con l’Imperatrice di Wutai. Cloud fu costretto a bloccare ogni movimento quando avvertì che qualcosa di appuntito gli era stato puntato contro la schiena. 

“Sono disarmato, non c’è motivo di agitarsi.” Cloud spiegò parlando lentamente e scandendo ogni parola.

“E’ a posto. Lasciatelo passare.” L’oggetto appuntito si ritirò dalla schiena di Cloud, mentre le guardie dell’ingresso si ritirarono, piegandosi in un profondo inchino.

Cloud si voltò e finalmente vide un volto familiare. Tutte le sentinelle si fecero da una parte, omaggiando il nuovo arrivato.

“Provvidenziale come al solito, Vincent…” Cloud affermò, dopo aver salutato l’amico con un cenno del capo. Vincent si fece di lato, mostrando a Cloud che Tifa e gli altri lo avevano seguito.

“Grazie per Cloud, Vincent” Tifa dichiarò, posando lo sguardo su Vincent.

 

Il tempo non passa per lui.

 

Ed era proprio vero. Vincent non mostrava alcun segno di invecchiamento, era rimasto semplicemente lo stesso. Forse era l’unico vantaggio che Hojo gli aveva procurato dopo tanti, innominabili esperimenti. Tifa lo osservò solo per qualche istante, anche perché sapeva quanto Vincent odiasse essere fissato. Fortunatamente aveva smesso di indossare quei vestiti cenciosi che chissà per quanto tempo aveva portato… nessun mantello, nessun collare, nessuna fascia sulla fronte… solo un’elegante giacca scura con delle rifiniture argentate dal taglio tipicamente orientale e dei lunghi pantaloni neri. Tifa notò che da sotto la manica sinistra pendeva qualcosa di dorato, senza alcun dubbio si trattava del suo guanto metallico.

 

Aveva smesso di indossarlo tanto tempo fa…

 

Tifa cessò la sua contemplazione non appena gli occhi scarlatti di Vincent la osservarono di sfuggita.

 

Impossibile reggere il suo sguardo.

 

“Possiamo entrare allora?” Cid chiese, incalzato da Barrett.

“Abbiamo parlato con Yuffie, c’è qualcosa che dovete sapere.” Cloud si intromise tenendo lo sguardo fisso su Cid. Il pilota mormorò qualcosa e si voltò verso l’apertura sotto il porticato per calmare la sua irrequietezza.

“E’ importante e purtroppo non c’è molto tempo.” Red aggiunse, avanzando con il suo passo felpato verso Vincent.

Tifa tornò a guardare il volto pallido di Vincent, notando con un certo piacere che non vi era alcuna emozione che gli stesse modificando l’espressione, come al solito. La prerogativa di Vincent era la sua leggendaria inespressività.

“Così importante da venire sin qui senza un preavviso decente?” Vincent chiese con la sua voce profondamente calma e piatta.

“Lo sappiamo che Wutai non è incline ali imprevisti.. ma ti prego, portaci da Yuffie..” Tifa mormorò quasi inconsciamente.

Nessuno aprì bocca per qualche istante. Il rumore dei campanelli sotto il porticato interruppe casualmente il silenzio tra i compagni. Le sentinelle si prepararono ad aprire il portone.

“D’accordo..” Vincent rispose quasi bisbigliando. Si voltò velocemente, lasciando che i suoi lunghi capelli neri fossero scossi dal vento, così come la sua lunga giacca.

Tifa, Cloud, Cid, Barrett e Red seguirono in un silenzio quasi rituale Vincent, lasciandosi guidare sino all’interno del palazzo.

 

Un forte tuono scosse le vetrate delle finestre, facendo trasalire Eve da sopra il divano della sala. Gaia si era andata a coricare dopo pranzo, mentre Shelke si era seduta sul tavolo in cucina per lavorare col suo portatile. Il compito di Shelke era quello di intromettersi nel data bank della Shinra e trovare qualche informazione utile su Coley. Impresa impossibile ma comunque degna di un tentativo.

Lo schermo della piccola televisione nel salotto mostrava il notiziario del giorno, l’immagine disturbata dalla tempesta magnetica del temporale. Eve ascoltava senza molta attenzione le notizie, riguardanti gli sviluppi a Midgar e le ennesime promesse improbabili da realizzare da parte dei vertici Shinra.

“Bastardi.. siete solo dei bastardi..” Eve mugugnò dopo aver spento per l’esasperazione la televisione. Lo schermo dell’apparecchio, ora nero e lucido, rifletteva la sua immagine come uno specchio distorto. Eve si alzò dal divano e si diresse in cucina, per vedere i progressi di Shelke. Prima di accomodarsi di fianco alla donna, prese una mela dal portafrutta sul tavolo e la addentò con un grosso morso.

“Niente di nuovo?” Eve chiese, con la bocca piena.

“Cosa?” Shelke domandò, tenendo lo sguardo fissò sullo schermo del computer. Il suo viso era completamente illuminato dalla luce bluastra del monitor.

Eve ingoiò il boccone prima di ripetere la sua domanda.

“Hai scoperto qualcosa di nuovo?”

“Uhm.. no. Entrare negli archivi della Shinra è un vero problema.. troppe password da decifrare.. ci vorranno giorni prima di trovare uno straccio di informazione..”

“Che seccatura..” Eve aggiunse fissando lo schermo ed addentando un altro morso di mela.

“Tua sorella si è ritirata?”

“E’ andata a letto.. l’intera faccenda di Coley è capitata così all’improvviso.. è stato un colpo duro per lei..”  Eve rivelò, sedendosi di fianco a Shelke. Lo sguardo della giovane si posò senza volere sugli occhi velati da un riflesso innaturalmente arancione della ricercatrice. I suoi genitori conoscevano Shelke da molto tempo ormai, ma Eve non aveva mai estrapolato nulla riguardo quel curioso particolare.

“Si riprenderà, non temere..” Shelke affermò, voltandosi verso Eve. La ragazza distolse l’attenzione dal volto di Shelke, ma non abbastanza velocemente da non essere vista dalla donna. Shelke inarcò un sopracciglio, in attesa della fatidica domanda.

“Ma.. i tuoi occhi…” Eve iniziò la frase, bloccandosi all’improvviso.

Shelke sospirò.

“E’ una storia lunga.”

“Scusami, io non..”

“Non ti preoccupare.. sarebbe meglio se andassi a dare un’occhiata a tua sorella..”

Eve annuì e lasciò Shelke al suo lavoro. La ricercatrice si sgranchì le braccia e poi tornò con l’attenzione verso il computer.

 

E’ una storia lunga.

 

Vincent si fermò di fronte ad una porta scorrevole, ricoperta di una sottile carta di riso che raffigurava alcuni ciliegi in fiore adagiati al fianco un bellissimo lago. Tifa mentre attendeva che Vincent aprisse la porta guardò uno per uno i suoi compagni e gli fece capire con il suo sguardo di rimprovero di mantenere la calma più assoluta.

Un leggero fruscio annunciò alla donna che la porta era stata aperta e così entrò nella nuova stanza, seguita dai suoi amici. Vincent attese che tutti fossero entrati e richiuse la porta alle spalle. 

Cloud, il primo ad essere entrato nella stanza, fu di conseguenza il primo a notare la presenza di Yuffie. L’ambiente era privo di ogni arredo, solo una grande camera dove al centro vi era un tavolo molto basso, mentre la parete opposta all’entrata i realtà non c’era, era solamente un specie di colonnato che dava su di uno splendido giardinetto. Yuffie era seduta per terra a gambe piegate, tenendo le mani attorno una tazza di tè fumante appoggiata sul tavolo. La ragazzina solare e intrattenibile, maliziosa e dai modi di fare completamente privi di femminilità era totalmente svanita. Davanti agli occhi di Cloud si trovava una Yuffie diventata donna troppo velocemente ed inasprita dal destino che chissà perché le aveva riservato una vita estremamente difficile. Il vestito nero, in segno di lutto, di Yuffie era bellissimo e parte della gonna copriva tutto il pavimento intorno ad essa.

Cloud notò come Yuffie fosse dimagrita, ed in viso mostrasse evidenti segni di stanchezza fisica, nonostante i suoi lunghi capelli neri cercassero in qualche modo di coprire la sua sofferenza.

Il suono di chiusura della porta attirò l’attenzione di Yuffie che distolse lo sguardo assente dal tavolo verso Cloud e gli altri. I suoi occhi grigi si illuminarono per un attimo.

“Cloud.. così presto..?” le parole di Yuffie furono simili ad un fruscio impercettibile. La giovane Imperatrice si alzò a fatica da terra, facendo segno a Vincent di non preoccuparsi, dato che era già pronto a correre in suo aiuto. Dopo aver ripreso fiato, malgrado avesse compiuto un minimo sforzo, Yuffie si aggiustò il vestito e si avvicinò a Tifa. Un elegante fiocco bianco girava intorno alla vita di Yuffie, e parte di esso ricadeva sullo strascico nero. Tifa notò che praticamente non c’era differenza tra il colore di quel nastro e la carnagione dell’amica.

“Che piacere vederti” Tifa affermò, abbracciando Yuffie.

“E’ lo stesso per me..” Yuffie rispose con un filo di voce.

Notando le difficoltà della giovane Imperatrice, Cid, Barrett e Red si avvicinarono di propria spontanea volontà verso Yuffie. Dopo un paio di abbracci e di saluti, il tempo di rivelare la scomoda verità era arrivato.

“La città porta ancora i segni del lutto…” Red finì la frase sedendosi vicino al porticato. Gli occhi dell’animale indugiarono sui drappi neri che spuntavano dal giardinetto, prima di tornare ad osservare i suoi compagni. Yuffie abbassò lo sguardo, scostandosi da Cid.

“.. già..” fu l’unica parola che uscì dalle sue piccole labbra dopo qualche attimo di esitazione.

“Credo sia tempo di rimuoverli, Yuffie” Cloud aggiunse, fissando lo sguardo sull’amica. Vincent sembrò molto urtato da quelle parole e suoi occhi si spalancarono per un istante, prima che il suo crescente rancore lo facesse sospirare.

“E’ una decisione che non ti riguarda.” Vincent non riuscì a controllare le sue parole. Era strano come l’argomento del lutto di Wutai lo innervosisse a tal punto. Quelle parole nascondevano una sottile minaccia, che fece letteralmente rabbrividire Tifa. La donna infatti guardò Cloud e gli lanciò uno dei suoi soliti sguardi di rimprovero.

 

Non dare ordini Cloud, non qui e non con Vincent.

 

Yuffie era rimasta immobile, le mani raccolte in un pugno e i suoi occhi persi a fissare il vuoto.

Cid avrebbe voluto urlare e mettere fine a quella straziante ansia, dire a chiare lettere e senza tanti giri di parole che Coley, l’unica erede della casata imperiale, era viva. Salva, ma comunque nelle mani sbagliate, sola e… sotto un certo punto di vista indifesa. Barrett invece era rimasto silenzioso per quasi tutto il tempo, evitando battute o frasi “colorite”. Il grande Barrett risentiva in questo modo la grande angoscia che riguardava la sorte di Coley.

“Reeve ci ha chiamato, ieri. Ha detto che si era incontrato con una donna del reparto ricerche scientifiche della Shinra. La ricercatrice aveva dei risentimenti riguardo un progetto che il presidente del conglomerato sta portando avanti.” Tifa spiegò, avvicinandosi a Yuffie. La giovane Imperatrice alzò gli occhi verso la figura rassicurante di Tifa.

“Ricerche scientifiche? Cosa c’entra con Wutai?” Yuffie domandò.

“Ecco... che la Shinra stesse sviluppando nuovi programmi non era una novità. Reeve ci ha contattato per un altro motivo.” Tifa spiegò ulteriormente. Yuffie ascoltò l’amica mentre tornava a sedersi con lentezza dove si era accomodata in precedenza. Red la osservò con attenzione mentre appoggiava le sue sottili dita ossute attorno la tazza da tè. Tifa non si preoccupò di accertarsi che Yuffie le stesse dando ascolto. Era certa che le sue parole sarebbero state udite al volo.

“Rufus sta lavorando con i Deepground Soldiers e lo Zvet, perché vogliono realizzare un nuovo esercito composto da uomini indistruttibili o immortali chiamateli come volete.. quelli sono pazzi” Cid prese la parola al posto di Tifa. Il pilota era rimasto vicino all’entrata della stanza, al fianco di Vincent.     

“Cosa c’entra con Wutai..?” la voce di Yuffie tremò nel ripetere la domanda. Sapeva che Cloud e tutti i suoi vecchi compagni dell’Avalanche non si sarebbero presi un così grosso disturbo solamente per comunicare degli sviluppi di poco rilievo per il suo interesse e quello della sua gente.

Barrett emise una specie di grugnito e si avvicinò a Yuffie. La fissò dritto negli occhi prima di parlare.

“Usano Coley per gli esperimenti. Quei bastardi l’ hanno presa, l’hanno curata e ora la usano come cavia per i loro dannati esperimenti…” la voce roca di Barrett urtò l’udito di tutti i presenti. Tifa lo guardò, sbiancando per la poca raffinatezza che il suo compagno aveva mostrato nel riferire una notizia così delicata. Cloud non si mosse, mentre Red dopo uno sbuffo si acquattò a terra.

Yuffie fece cadere la tazza che dopo aver rotolato sopra il tavolo riversando tutto il suo contenuto, cadde a terra frantumandosi. Le sue mani rimasero così com’erano, raccolte a sostenere la tazza, tremanti ed instabili. Le guance divennero rosse e gli occhi fecero altrettanto. Ma la giovane Imperatrice non parlò e non si alzò dal suo posto. Sembrava quasi che stesse attraversando una fase di completa incoscienza dovuta allo shock. Cid non faceva altro che alternare il suo sguardo da Yuffie a Vincent poi viceversa, fino a che non si fermò sull’immagine imponente di quest’ultimo.

Accadde all’improvviso, come era sempre stato d’altro canto. Vincent aveva udito con fin troppa chiarezza la frase di Barrett. Coley era viva. La sua unica ragione di vita era ancora viva. Respirò profondamente ed abbassò le palpebre, che gli oscurarono la vista per pochi decimi di secondo. Ma quell’arco brevissimo di tempo fu sufficiente al demone che dormiva assopito nella sua mente per risvegliarsi, urtato dalle forti emozioni che avevano colpito Vincent. Chaos, la sua parte nascosta non usava parole che gli umani potessero comprendere o sentire. Perciò comunicava attraverso immagini ed emozioni. 

Vincent chiuse gli occhi e si trovò perso nell’abisso oscuro, dimora degli incubi grotteschi di Chaos.

 

“Papà?” una voce infantile, estremamente squillante raggiunse l’udito di Vincent. L’uomo aprì gli occhi e si ritrovò in un luogo indefinito, senza pareti o soffitto, immerso in una fitta nebbia. La voce era indubbiamente quella di Coley e Vincent, incapace di individuare da dove lo stessero chiamando, provò un forte senso di panico.

“Papà?” la voce si faceva sempre più impaurita, e Vincent scoprì di non potersi muovere. La volontà c’era ma il suo corpo non rispondeva.

“Papa!” ora la voce si era ridotta ad un urlo e Vincent ribolliva dalla rabbia e dall’angoscia per non potersi muoversi.

“Smettila!” gridò, rivolto a Chaos, il responsabile di questa temporanea immobilità. Ripeté alcune volte la sua richiesta, sempre gridando per l’esasperazione, poi d’un tratto il demone iniziò a ridere. Una risata agghiacciante che rimbombava nell’aria di quel luogo infinito e si prendeva scherno della sofferenza di Vincent.

Quando anche l’ultimo degli eco della risata di Chaos si fu assopito, la nebbia si dileguò rivelando agli occhi di Vincent la figura di Coley, inginocchiata a terra mentre piangeva a dirotto. Era più piccola, dimostrava all’incirca cinque anni. Perché Chaos aveva scelto di fargli incontrare Coley da bambina, era un mistero che la mente di Vincent non riuscì a comprendere. Ma poco importava, perché la gioia di riaverla davanti a sé era troppo grande per lasciare spazio alla razionalità. Finalmente i piedi si mossero e Vincent si precipitò verso la sua bambina. La prese in braccio e la strinse a sé con forza, baciandola sul suo piccolo capo, ricoperto da folti capelli scuri che profumavano di vaniglia.

Non appena Vincent aveva stretto Coley, la bambina cessò di singhiozzare. Aveva allungato la sue piccole braccia lungo la schiena del padre e si era raggomitolata in cerca di riparo dato che qualcosa di apparentemente invisibile la stava spaventando a morte. La calma della bambina tranquillizzò Vincent, fino a che il silenzio prolungato della piccola non tornò ad impensierirlo. Infatti quell’attimo che era sembrato così reale, si era dimostrato troppo bello per essere frutto della mente di Chaos. Vincent allentò l’abbraccio su Coley e il suo minuscolo capo cadde a peso morto all’indietro. Anche le braccia della piccola avevano rilasciato la presa sulla schiena di Vincent.

Avrà perso conoscenza. Forse lo shock del pianto l ’ha provata eccessivamente.

Poi gli occhi di Vincent videro che il petto della bambina non si muoveva, che le sua labbra diventavano violastre e che la pelle stava scolorendo fino diventare più bianca della neve. Coley era morta. Ora il suo volto infantile riprese una sembianza più adulta, e Vincent si trovò a stringere tra la braccia il corpo adolescente di Coley, lo stesso freddato da un proiettile lanciato da un soldato a Nibelhime. La ferita sul petto perdeva molto sangue e stava sporcando tutti i vestiti di Vincent: l’uomo adagiò a terra il corpo della ragazzina, cercando di non urtarla.

Il dolore fu così forte che non c’erano parole per descrivere la crudeltà di Chaos. Vedere morire una seconda volta Coley, seppur in sogno, davanti ai propri occhi era una empietà che Vincent non riuscì a tollerare. Sfiorò il volto freddo della figlia e si accasciò accanto a lei, mentre la voce bestiale di Chaos gli sussurrava frasi atroci.

“La perderai di nuovo.”

 

Vincent riaprì gli occhi istintivamente, avvertendo che il suo cuore batteva così forte che avrebbe potuto sfondargli il torace da un momento all’altro. Il suo respiro era diventato affannoso, persino Cid se n’era reso conto. Nell’incubo di Vincent sembrava essere passato molto tempo: in realtà il tutto era durato meno di un battito di ciglio.

La sua mente stanca e eccessivamente sovraccarica di emozioni fu attirata dall’immagine di Yuffie. La giovane Imperatrice lasciò cadere lungo i suoi fianchi le mani, abbassando la testa fino a che il mento non le toccò il petto. Tifa si riprese dall’attimo di stasi che l’aveva colta dopo le parole di Barrett e si inginocchiò di fianco a Yuffie, posandole una mano sulla spalla. Percepì che il corpo dell’amica era un totale tremore.

“Credevo che la morte di Coley fosse una punizione che mi era stata inflitta per non aver sposato l’erede designato da mio padre…” Yuffie cercò di parlare tra un singhiozzo e l’altro. Le grosse lacrime che le scendevano dalle guance cadevano sul tavolo, mischiandosi alla pozzanghera di tè che si era formata dopo la caduta della tazza.

“Oh almeno così mio padre è riuscito a farmi credere per tutto questo tempo…”

“Yuffie..” Tifa mormorò, sentendo che tra poco il pianto l’avrebbe vinta.

Ma la disperazione di Yuffie durò ben poco. Si alzò di scatto, rischiando di far cadere Tifa. Parte della stanchezza sembrò dileguarsi e con diversi gesti di stizza Yuffie si slacciò il suo fiocco bianco, lasciando che la veste superiore del suo vestito, quella nera, ricadesse dalle sue spalle e finisse a terra con un tonfo. Il suo abito nero, il suo modo di esprimere esteriormente il lutto che l’aveva colpita per aver perso la sua unica figlia, giaceva ora a terra lontano dal suo corpo, per la prima volta dopo cinque mesi. Yuffie diede un calcio al vestito ed ignorò i vari giramenti di testa che la facevano barcollare. L’equilibrio le venne meno ed emise un grido sommesso. Vincent non indugiò e con la sua velocità quasi disumana anticipò i movimenti di ogni presente nella stanza ed afferrò Yuffie.

“Dateci un attimo, per favore.” Vincent chiese mentre poggiava la sua mano destra sul capo di Yuffie, stringendola a sé. Cloud annuì e fece strada ai compagni che lasciarono la stanza in un attimo.

 

 

Coley si risvegliò a fatica. Tutto il suo corpo era indolenzito, specialmente nella parte alta della schiena. Una stretta fasciatura lungo il petto le impediva di respirare senza fatica. La luminosità della stanza era abbagliante o forse erano i suoi occhi che a forza di essere stati al contatto col buio del laboratorio S10, avevano perso il ricordo della luce. Con sua sorpresa Coley notò che non c’erano cinghie o catene che la stessero legando al letto su cui era stata adagiata. A dir la verità, da quel poco che poteva vedere stesa com’era, l’ambiente sembrava diverso da quello in cui aveva passato gli ultimi cinque mesi. Coley ricordava poco o nulla dei momenti precedenti al risveglio. Si ricordava delle scosse, del volto sadico di Hojo mentre la osservava durante l’esperimento e ricordava anche gli occhi impauriti di Lilian. Il resto erano solo ricordi confusi, brandelli di sensazioni e suoni che aveva provato in quegli attimi ambigui.

“Buongiorno..” una voce femminile la salutò dal fondo della nuova stanza. Coley si alzò con velocità, rimpiangendo la sua foga a causa del dolore che ne seguì. L’abbigliamento era quello dei Deepground Soldiers, eccetto per uno strano mantello rosso che partiva dalla vita della nuova arrivata ed altri abbellimenti del medesimo colore. Sul petto della donna c’era una zeta, circondata da una fiamma.

 

E’ un membro Zvet..

 

Coley si rannicchiò sul letto contro la parete, intuendo l’ennesimo pericolo rappresentato da quell’ufficiale.

“E’ un piacere incontrarti di persona… il mio nome è Rosso.” La donna si presentò camminando verso Coley e porgendole la mano.

Coley fissò con i suoi occhi scarlatti la mano di Rosso, rifiutandosi di scambiare il saluto.

“Hai degli occhi splendidi, ragazza mia, complimenti.” Rosso affermò ritirando la mano. Coley continuò a fissare la donna, sforzandosi di capire se era veramente un soggetto pericoloso o no. Passarono alcuni attimi di silenzio e Rosso si voltò diverse volte verso uno strano specchio in fondo alla stanza.

“Dove sono? Hojo se n’è andato?” Coley chiese con diffidenza.

La donna distolse l’attenzione dallo specchio e fissò la ragazzina.

“Per ora, il professore non c’è”

Coley sospirò e si distese, acquistando una posizione più rilassata. Si spinse lentamente fuori dal letto e posò i piedi nudi sul pavimento freddo. Sentiva dei crampi ovunque e una volta in piedi notò che aveva lasciato due grosse scie rosse sul suo giaciglio, proprio all’altezza dalla schiena, la parte del corpo che più le doleva.

Tenendo sempre le dovute distanza da Rosso, Coley percorse il perimetro della stanza quadrata, realizzando che era fornita di un letto, una piccola scrivania, un lavandino con sopra uno specchio appesa alla parete, un piccolo armadietto. Opposto al letto vi era questa strana parete-specchio, inquietante e gigantesca. A sinistra c’era la porta d’ingresso della stanza.

Rosso non si mosse dal centro della stanza ed osservò i movimenti accorti della ragazzina. Coley scrutava ogni cosa con maniacale attenzione, ignorando che fosse osservata non solo dall’ufficiale Zvet che aveva conosciuto qualche attimo prima, ma anche da altri estranei.

 

“E’ curiosa, si muove con circospezione, senza impeto o panico. È un’ottima peculiarità.” Lilian osservò, seduta nella sua postazione dietro lo specchio a due vie che dava sulla stanza. Hojo mormorò qualcosa, accomodato al fianco della sua assistente mentre Scarlet si limitava ad osservare con curiosità la scena alle spalle dei due.

“Sarà perché ormai è avvezza a questi posti così tristi e sterili.” Scarlet sbottò, provocando una strana reazione da parte dei due scienziati. Sia Hojo che Lilian si voltarono verso la donna, mostrando un viso più che irritato.

“Ok, ok… non parlerò più..” Scarlet rispose con altrettanta scocciatura.

Coley in quell’istante si fermò davanti alla parete specchio, incuriosita dal riflesso della sua immagine.

“Riesce a vederci? Ci ha visto?” Scarlet chiese un po’ agitata.

“No.” Risposero all’unisono i suoi due colleghi.

 

Coley guardò lo specchio e notò che in questi cinque mesi era dimagrita molto, ed aveva assunto un’aria più matura. Tra l’altro le sue iridi avevano acquistato entrambe il medesimo, spaventoso colore scarlatto: nessun ciuffo ora avrebbe potuto nascondere quella maledizione. Ciò comunque non le diminuì la curiosità di sapere come mai ci fosse un arredo così particolare all’interno della stanza.

“Che cos’è?” Coley chiese, voltando il viso verso Rosso.

La donna fece spallucce e si portò una mano all’orecchio.

 

Hojo allungò la sua mano viscida sulla console davanti a sé e premette un pulsante, avvicinando la sua bocca verso un microfono.

“Rosso, dille che si tratta di uno specchio per allenarsi.” Hojo terminò la frase rilasciando il pulsante.

 

A quel punto, Rosso tolse la mano dall’orecchio, quello in cui nascondeva con una ciocca di capelli fulvi l’auricolare grazie al quale si teneva in contatto con l’altra parte dello specchio.

“Serve per esercitarsi, così potrai notare tu stessa i progressi dei tuoi allenamenti.”

“Progressi? Allenamenti? Nessuno me ne ha mai parlato..” Coley domandò voltandosi completamente verso Rosso.

“Presto entrerai a far parte di un gruppo speciale ed unico, ma solo se dimostrerai di esserne all’altezza.” Rosso spiegò portandosi verso la porta d’uscita della stanzetta.

“E cosa succede se mi rifiutassi?” Coley chiese, corrucciando la fronte.

“Morirai.” Rosso sorrise, salutando con la mano la ragazza e lasciando la stanza.

Coley rimase sola, meravigliata da ciò che le era stato detto. Lanciò un calcio contro la parete, procurandosi un brutto taglio sulle dita dei piedi. Avrebbe voluto continuare a sfogarsi in quel modo, soffocando la sua rabbia nel dolore fisico ma le luci si spensero all’improvviso, obbligandola a fermarsi. Tornò, con molta difficoltà, verso il letto dove si sdraiò cercando di dimenticare la realtà con il sonno.

 

 

La stanza era avvolta dal silenzio, interrotto di tanto in tanto dai gemiti di Yuffie. Vincent la teneva stretta a sé con un abbraccio, cercando di tranquillizzarla con alcune parole di conforto.

La sottoveste bianca di Yuffie mostrava ora la magrezza del suo fisico, che era deperito sempre di più dopo la presunta morte di Coley.

“Aveva detto che era colpa mia, invece di rassicurarmi.. ha detto che me lo meritavo per averti dato una figlia invece che sposarmi con l’erede designato da lui stesso…” Yuffie continuava a mormorare con il volto sprofondato contro il petto di Vincent.

“Il dolore che ci ha colpiti deve aver accecato anche la sua ragione…” Yuffie ascoltò le parole di Vincent e si scostò dal suo abbraccio. Fissò i suoi occhi scarlatti, profondi, velati di rammarico e d’un tratto si sentì più forte. Yuffie voleva essere altrettanto coraggiosa come Vincent, voleva imparare a controllare le emozioni come lui. La giovane Imperatrice si asciugò le lacrime e si piegò per raccogliere la veste nera che aveva buttato a terra.

“Ciò non giustifica le parole di mio padre.”

Vincent inspirò profondamente, realizzando che Chaos non si era ancora assopito del tutto. Con il passare degli anni e la realizzazione di una vita più tranquilla e serena, Vincent aveva imparato a controllare parte dei demoni che costituivano una porzione nascosta della sua personalità. Solo Chaos continuava a persistere, risvegliando le sue abilità nei momenti più difficili, come quelli che avevano seguito la scomparsa di Coley.

Vincent sentì ancora una volta uno strano senso di stanchezza e socchiuse gli occhi.

 

Yuffie era sparita, davanti a lui nella stessa stanza in cui si trovava apparve Coley, vestita in un bellissimo abito rosso. La ragazza fece alcuni passi verso il padre, sorridendo come poche volte aveva fatto. Quando i due furono a pochi centimetri di distanza, Coley si portò le mani al volto, iniziando ad urlare. Vincent alzò lo sguardo e vide con orrore che la stanza si stava riempiendo di sangue, sgorgato all’improvviso dalle pareti.

 

“Vincent?” Yuffie domandò, vedendo che il suo compagno si era distratto.

Vincent si portò una mano sulla fronte, scostandosi parte dei capelli. Chaos stava tornando insidioso come in passato e per Vincent voleva dire guai in vista. Guai grossi.

“Stai bene?” Yuffie chiese, avvicinandosi all’uomo con aria preoccupata.

Vincent cercò di deviare immediatamente il discorso perché non voleva mettere in apprensione ulteriormente la compagna. Annuì e si scusò per essersi distratto.

“Stavo dicendo… sarà una notizia affidabile?” Yuffie chiese.

“Conosco molto bene Reeve e non fornirebbe informazioni di nessun tipo senza averne provato la fondatezza.” Yuffie si sentì sollevata dalle parole di Vincent e si lasciò accarezzare il volto dal suo compagno.

“Possiamo starne certi.”

La giovane annuì e portò la sua mano sopra quella di Vincent.

“Ti senti meglio ora?” le domandò giocando con i capelli.

Yuffie tornò ad annuire.

Vincent lasciò il volto della compagna e si diresse verso la porta. Yuffie sospirò, e fissò la figura imponente di Vincent lasciare la stanza. 

 

“Barrett devi controllarti! Siamo stati fortunati se le cose sono andate così…” Tifa rimproverò il suo amico puntandogli contro l’indice della mano.

Barrett sbuffò e si allontanò dal resto gruppo, camminando verso la fine del corridoio in cui erano usciti. Cid si accese una sigaretta e dopo aver inspirato una boccata di fumo si sentì subito meglio. Cloud aveva osservato con indifferenza il rimprovero che la moglie aveva lanciato verso Barrett, anche se era pienamente d’accordo con lei. In qualche modo Cloud sembrava il più tranquillo, perché aveva compreso i sentimenti di Yuffie e Vincent. Così come loro stavano soffrendo per la perdita di Coley anche Cloud aveva portato per molto tempo nel cuore una simile angoscia dovuta alla perdita di Aeris.

Red non lasciò che Tifa terminasse la sua frase rivolta a Barrett ma si intromise nel discorso, dopo che si era ricordato di un particolare.

“Non abbiamo detto loro che di mezzo c’è sempre Hojo…” l’animale affermò, posando il suo sguardo prima sulla donna poi su Cloud.

Cid mormorò qualcosa e ne seguì un rumore leggero.

Vincent era riapparso sulla porta, a braccia conserte, mostrando un’espressione rilassata. Pareva che non avesse udito l’ultima affermazione di Red.

“Sta bene Yuffie?” Cid domandò per dare tempo agli amici di riprendersi dallo spavento. Se Vincent avesse udito le parole di Red…

Vincent annuì e fece cenno di rientrare. Aspettò sulla soglia che ognuno entrasse e quando al suo fianco passò Cid, Vincent allungò un braccio, sbarrando la strada al pilota.

“Che cosa ho fatto adesso?” Cid chiese esasperato.

Vincent fece una smorfia di disapprovazione ed afferrò la sigaretta del compagno. La buttò a terra e gli indicò di spegnerla. Cid sbuffò ma notando l’irremovibilità del braccio di Vincent fu costretto ad obbedire.

“Contento ora?”

“Entra.”

Cid poté finalmente procedere all’interno della stanza, mugugnando frasi di irritazione tra sé e sé.

 

Yuffie era rivolta verso il giardinetto, tenendo fra le mani il vestito nero che avevo ripiegato. Lasciò che il vento le scompigliasse i capelli e poi si voltò verso gli amici.

“Vi ringrazio, per quello che avete fatto.”

Tifa sorrise, contenta nel vedere che l’espressione di Yuffie si era rilassata.

“Vi aiuteremo a recuperare Coley, ma prima bisogna stabilire come agire.” Red affermò, avvicinandosi alla giovane Imperatrice. L’animale aveva ragione. Non si poteva pretendere di salvare la ragazza se prima non ci si era organizzati a dovere: le difese di Midgar erano preparate a difendere alla perfezione il conglomerato dagli intrusi.“C’è qualcosa però che dovreste sapere, prima di terminare questo colloquio..” Cloud si intromise.

 

« A dirigere l’orchestra è Hojo » Cid sbottò.

 

 

Hojo uscì dalla sala controllo nascosta dietro lo specchio, accompagnato da Lilian e Scarlet, che lo lasciarono subito ai suoi impegni. Lo scienziato si era assicurato che Coley si fosse calmata e dopo aver compilato la cartellina dove annotava i progressi dalla sua JEP3-3, decise di fare una visita al presidente. Hojo percorse diversi corridoi, tutti illuminati dalla medesima luce viola e tutti maleodoranti di cloro. Si portò verso gli ascensori e si accomodò dentro al numero uno, digitando l’ultimo piano, ovvero l’ufficio del presidente.

Lo scienziato osservò dalla vetrata dell’ascensore il panorama di Midgar, che si rimpiccioliva man mano che saliva di piano.

 

Un giorno sarà tutto mio.

 

Un tintinnio elegante segnalò all’uomo che era arrivato a destinazione, poi le porte si aprirono lentamente. Hojo entrò nell’ufficio senza bussare, aprendo con impeto le porte che sbatterono per la spinta ricevuta.

Rufus alzò lo sguardo dalla scrivania, disturbato dall’improvviso rumore. Una sagoma scura, dall’andatura zoppicante si avvicinò, schiarendo i propri lineamenti ad ogni passo verso la luce che filtrava dai vetri alle spalle del presidente.

Capelli scuri, lunghi e raccolti; fronte larga e spaziosa; occhiali da vista dalle lenti spesse e un camice bianco che recava un cartellino d’identificazione per i dipendenti della Shinra. Indubbiamente si trattava Hojo. Era curioso poterlo vedere a quell’ora del giorno fuori dai suoi laboratori.

Rufus posò la biro con cui stava firmando un foglio, appoggiò i gomiti sulla scrivania, incrociò le mani e pose il viso contro esse. La sua espressione, calma e severa, indicò a Hojo che era pronto all’ascolto.

“Ho bisogno di una cosa per proseguire con sicurezza il progetto JEP3-3” il professore dichiarò, sibilando come un serpente.

“Cosa?”

“Materia.”

Rufus sogghignò e si appoggiò contro lo schienale della sua sedia, accavallando le gambe.

“Te n’abbiamo fornito a sufficienza prima di iniziare gli interventi sulla ragazza.”

“Non ho bisogno di materia ordinaria.” Hojo rispose sbattendo una mano sulla scrivania. Tutti gli oggetti sopra di essa sobbalzarono e Rufus osservò indignato la reazione dell’uomo.

“Di che materia hai bisogno allora?”

Hojo si riaggiustò gli occhiali e fissò il presidente.

“Materia di restrizione.”

Rufus sembrò sbalordito da quella richiesta. Materia di restrizione? Non esisteva alcun tipo di quella materia. Che il professore stesse delirando con le sue eccessive mire di conoscenza?

“E’ la prima volta che ne sento parlare”

Hojo emise una specie di grugnito, forse si aspettava una simile risposta. Dopotutto Rufus era un uomo troppo stolto rispetto a lui, ignorante e privo d’ogni senso d’intuizione. O almeno era quello che pensava il professore.

“Si trova a Nibelhime, in un posto di mia conoscenza. Ho bisogno di partire per recuperarla.”

“Non puoi partire lasciando sola JEP3-3. Manderò qualcuno a prenderla al tuo posto.” Rufus rispose allungando una mano sul telefono. Hojo lo anticipò e prima che il presidente potesse sollevare la cornetta, lo scienziato aveva già posto una mano per fermare i movimenti di Rufus.

“SOLO io, so dove e come recuperarla.”

Il presidente tenne lo sguardo sulla mano fredda di Hojo, irritato dalla sua mania di comandare anche i suoi superiori.

“Non ci andrai da solo. Non mi fido.” Rufus rispose, togliendo la propria mano dalla stretta di Hojo. Compose un numero sulla tastiera del telefono e si portò la cornetta all’orecchio. Nonostante lo scienziato avesse ottenuto ciò che chiedeva, lasciò la stanza adirato, poiché avrebbe desiderato compiere i suoi lavori da solo, senza essere disturbato da scienziati o soldati.

I suoi passi pesanti trascinarono il suo corpo verso i laboratori, dove Hojo avrebbe potuto sfogare la sua rabbia su qualche sfortunato soggetto vittima delle sue strane ricerche. Lilian, che era tornata a sedersi nella sua postazione davanti l’entrata del laboratorio era al telefono con qualcuno. Non appena vide la figura di Hojo piombarsi con insolita velocità verso di lei, riattaccò la cornetta.

“E’ successo qualcosa, professore?” domandò con stupore verso il suo superiore.

“Informami quando il caro presidente chiamerà per il mio trasporto a Nibelhime.” Hojo affermò con grinta. Lilian annuì, ma lo scienziato non si fermò nemmeno per assicurarsi che l’assistente avesse capito: estratta la carta che teneva nel camice, aprì la porta del laboratorio ed entrò.

Lilian fece spallucce e tornò a concentrarsi sul telefono.

 

 

“Vincent aspetta!” Cloud tuonò nel vedere il suo amico precipitarsi all’esterno della stanza, pericolosamente adirato.

“Cloud no!” Yuffie gridò correndo verso il suo amico, che era già pronto a rincorrere Vincent.

“Lascialo stare.. dagli del tempo per calmarsi.. te ne prego..” Yuffie supplicò Cloud, appoggiando le sue esili mani sul petto del guerriero. Cloud, che aveva fissato per tutto il tempo la porta distrutta dall’impeto di Vincent, abbassò gli occhi sulla figura dell’Imperatrice. Tifa, Cid e Red sapevano che una reazione del genere avrebbe infervorato l’animo di Vincent, dopotutto aveva ragione per essere adirato. Anche Barrett se l’era aspettato, sperando che però si potesse evitare. E invece non fu così. Ognuno si concentrò su se stesso, lasciando che le loro menti vagassero tra il flusso di eventi che si erano susseguiti con velocità.

Delle guardie arrivarono davanti la porta distrutta, senza entrare nella stanza dove Yuffie e gli ex membri Avalanche si erano fermati.

“Altezza.. vuole che lo seguiamo?” una delle guardie si rivolse a Yuffie, puntando un dito verso il corridoio in cui si era sostato. Le altre guardie si erano perse nel fissare gli effetti dell’ira di Vincent.

Yuffie sospirò e scosse la testa.

“Fate solo attenzione che nessuno si faccia del male.”

Le guardie salutarono l’Imperatrice con un inchino e lasciarono il corridoio. 

“Forse è meglio se vi mostro dove potete riposarvi. Io andrò a parlare con mio padre intanto.” Yuffie si scostò da Cloud, che si era ripreso dall’urto. L’Imperatrice, tenendo sempre tra le mani la veste nera, accompagnò i suoi amici in un’altra ala del palazzo, dove vi erano le stanze per gli ospiti. Una volta salutati, Yuffie si precipitò verso la Pagoda, dove sapeva per certo di trovare il padre, ancora ignaro della notizia portata da Tifa e gli altri.

 

  
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