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Autore: l o r e n z    13/12/2012    1 recensioni
Polvere, vento, e anime dannate. Ecco cosa erano. Me lo diceva sempre mio papà.
“Non ha nessun senso che tu voglia diventare come quelli Brad”, ripeteva in continuazione, “sono solo anime dannate”.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LA PRIMA STELLA
Come al solito trovai il mio aiutante che dormiva in un vecchio barile.
“Jake, idiota, vieni fuori di lì!...sono ormai le 11 e ancora stai dormendo?”.
Jake aprì gli occhi, che spuntarono come due biglie dal bordo del barile, rossi e gonfi.
“Scusi sceriffo… ieri sera devo aver alzato un po’ il gomito”.
“Avevo immaginato”, risposi, e mi passai la mano fra i capelli.
 
Arrivammo all’ufficio e ci sedemmo ognuno al proprio posto, assegnato ormai da tanti anni.
Avevo sentito in giro più di una voce che annunciava l’arrivo di Preston Coda: un banditello come tanti. Un po’ più incazzato degli altri, ma niente di terribile.
Attesi il suo arrivo fino alle 12, poi incominciai a innervosirmi.
 
“Quand’è che arriva quel farabutto?...ho voglia di sgranchirmi”.
“Non saprei sceriffo… lo avevano visto l’altro giorno nei dintorni appena fuori della città”.
 
Mi grattai il culo e decisi di passare un po’ di tempo andando a bere al saloon. Lì c’era Mary, che come al solito, mi attendeva per la ‘lezione di galoppo’ quotidiana, come ci piaceva definirla. Bisogna dire che non se la cavava male, magari doveva imparare a stringere un po’ meno le cosce e a non frustare… era una cosa che mi lasciava dei brutti segni…
 
“Salve Mary, qualche novità?”.
“No, niente di nuovo, sceriffo… a meno che non le interessi qualche pettegolezzo sulla vita del pastore”.
“Oh no, grazie. Sto bene così… anche perché le sue scappatelle sono di dominio pubblico ormai”.
Poi mi guardò ammiccante e con malizia disse: “E’ venuto per la ‘lezione’?”.
“Non saprei Mary. Oggi mi sento giù di corda”.
Mentre parlavo con la ragazza distolsi gli occhi da lei e li rivolsi sulla stella che avevo appuntata in bella mostra sul petto. Un pezzo di latta giallo e senza senso, pensai. Niente mi andava più di traverso del fatto che ora questo simbolo di giustizia non fosse diventato come un abbellimento: come un po’ di cipria sul volto di una puttana consumata dagli anni e dalle delusioni. Cazzo, in effetti era proprio così.
Cacciai quei pericolosi pensieri e dissi: “… hai visto qualche faccia nuova in giro?”.
“Se si riferisce a Coda, allora no… ma in compenso i suoi scagnozzi stanno entrando proprio in questo momento. Si giri, presto”.
 
“Hei vecchi bifolchi! Stiamo cercando lo sceriffo… ci hanno detto che assomiglia a un grosso cane con le pulci!”. Il ‘capo branco’ e i suoi fedeli segugi risero di gusto, pensando di ver detto una cosa estremamente divertente, oltre che intelligente.
Com’è che nessuno capisce, pensai fra me, che la stupidità non paga? Di solito io offro gratis.
“Allora? Il nostro capo, Preston Coda ci ha detto di far presto! E’ qui fuori che lo aspetta”.
Continuai a dar loro le spalle e a bere dal mio bicchiere, mentre Mary mi guardava insistentemente, come a dire: diavolo! Muoviti!
Povera Mary, non immaginava che era tutto calcolato, misurato. Non conosceva il mio ‘lato teatrale’. Mi ruotai col culo sullo sgabello e appoggiai i gomiti al bancone.
 
“Salve ragazzi. Finita presto oggi la scuola?”
Il gruppo rimase un attimo perplesso, come sospeso.
“Avete sentito?”, disse il capo, “deve essere lui lo sceriffo… in effetti si sente la puzza di cane bagnato fino a qui!”. Solite risate, soliti denti marci, e solita puzza di fiato.
“Simpatici”, sospirai tra me. “Allora? Dov’è quel poppante di Coda?”.
“E’ qui fuori che ti aspetta… non vede l’ora di farti la festa”.
Mi alzai, molto lentamente, toccandomi il cappello col dito. Nessuno resisteva a questa sceneggiata, neanche il più cattivo fra i cattivi. Il risultato infatti mi diede ragione. Mi guardarono come un alunno guarda il professore, mentre sfilavo tra loro, dirigendomi fuori.
 
 
LA SECONDA STELLA
Polvere, vento, e anime dannate. Ecco cosa erano. Me lo diceva sempre mio papà.
“Non ha nessun senso che tu voglia diventare come quelli Brad”, ripeteva in continuazione, “sono solo anime dannate; metter mano alle pistole non serve a niente, piuttosto mettile su qualcosa che dà frutto, come la nostra terra”.
I soliti discorsi da vecchio saggio. Non che non mi volesse bene, mio padre, ma aveva una visione troppo ‘religiosa’ per i miei gusti. Avevo capito bene, io, come andava il mondo. A 16 anni la vita è già dura e c’è chi la subisce e chi la sfida. Io nel primo gruppo non ci volevo stare.
“Sì papà. Hai ragione”, ripetei come se fosse un motivetto, detto e ridetto fino a perder di senso.
 
Quando lo sceriffo uscì da saloon (non mi era permesso entrarci), io ero già lì fuori che aspettavo. Avevo gli occhi sgranati, perché era la prima volta che assistevo a un duello.
Mi aveva accompagnato Sam, il mio migliore amico dall’infanzia. Il cuore andava come un treno, e quello che stavo vedendo era come carbone: lo faceva accelerare sempre di più.
Chissà cosa succederà, pensai.
Mi immaginai nei panni dello sceriffo. “Cosa pensi di fare?”, gli avrei detto, “sei già polvere e non lo sai”. E il cattivo avrebbe risposto per le rime, sfidandomi e offendendomi. Allora sarei sceso in strada, sotto gli occhi ammirati di tutti, e ci saremmo sfidati. Ci saremmo allontanati contando i passi e facendo scandire il tempo dai tocchi della campana. Fino a che l’ultimo rintocco avrebbe suonato, e solo allora avremmo estratto le pistole. Lui mi avrebbe mancato mentre io gettandomi a terra gli avrei sparato. Lo avrei beccato dritto al cuore e il cattivo sarebbe morto. La folla mi avrebbe preso e lanciato in aria come si fa per ogni eroe. Avrei terminato la giornata con la più bella del paese, Beth, fra le mie braccia.
Il sogno ad occhi aperti svanì in un istante, non appena Sam mi diede una spinta. Per poco non caddi in avanti. Ritornai in me, e vidi che era ancora tutto come prima: lo sceriffo che si avvicinava, da una parte, e il cattivo dall’altra.
Solo allora notai le dita dello sceriffo, totalmente immobili, senza un fremito: come dieci radici salde nella terra ai piedi di una placida sequoia. Il vento continuava a sferzare il volto di tutta la gente, che come me era venuta per assistere alla morte di qualcuno. La polvere si era alzata fin sopra alle baracche e mulinava come impazzita tutt’attorno e dentro alla città. A 16 anni la vita è davvero dura, e c’è chi la subisce e chi la vuole sfidare. Io non sarei mai voluto diventare come il mio papà. Alzai gli occhi e li fissai in quelli dello sceriffo e poi sulla stella che aveva sul petto, scintillante come una cassetta piena d’oro, simbolo di giustizia, potere, autorità. Il cuore mi si gonfiò in petto e sospirai. Allora non so cosa avrei dato perché fosse lui mio padre.
 
Quando improvvisamente lo sceriffo si fermò, esattamente all’inizio degli scalini e guardò davanti a lui. L’avversario era dall’altra parte della strada, fermo come un albero. Serio come un beccamorto. Pensavo che la testa mi si sarebbe svitata a forza di girarla di qua e di là. Improvvisamente il cattivo, di cui non conoscevo il nome, parlò.


LA TERZA STELLA
“Hei vecchio!... non penso che ci sia bisogno di spiegazioni vero? Lo sai perché sono qui… lo faccio per mio padre”.
“Immaginavo”, mi rispose lo sceriffo, “Solo, non pensavo che saresti venuto… sai, a tuo padre non è andata bene”.
“Vecchio figlio di puttana, me la pagherai, o non mi chiamo Preston Coda”.
Mentre dicevo queste cose, mi ritornarono alla mente gli ultimi momenti in cui vidi mio padre vivo. Ero accanto a lui, quasi dieci anni fa, quando si beccò una pallottola dall’uomo che in quel momento mi stava davanti: lo sceriffo McGillan, il più disonesto figlio di puttana di tutto lo stato.
 
Mio padre non era uno stinco di santo, questo lo devo ammettere. Qualche furtarello qua e là lo avevano messo in una cattiva luce in città. Ma essere ucciso per aver rubato il cavallo dello sceriffo questo proprio non lo capii mai. Lo sceriffo mi stava davanti, ben fermo, come se non avesse mai fatto nulla di male, e come se io fossi lì solo per un mio capriccio. Dalla rabbia strinsi i pugni, fino a sentire nei palmi il battere del mio stesso cuore.
 
“Ragazzo”, riprese lo sceriffo, “sai che non posso rifiutare una sfida, ma sei sempre in tempo per ripensarci”. Mentre diceva queste parole, gli sorrideva anche il deretano.
“McGillan!”, urali, “Non me ne andrò da qui finché non ti vedrò steso per terra”.
 
Non avevamo più niente da dirci. Ormai la mia mossa era stata fatta e non si poteva tornare indietro. Ci disponemmo al centro della strada, con a fianco il corteo composto dalla gente del paese. Una folla spettinata dal vento e dalla polvere. La maggior parte di loro non sapeva neanche il mio nome. Era venuta solo per divertirsi. Per me invece la questione era seria, era dolorosa. E’ più vecchio di me di parecchi anni… ce la farò, pensai. La torre campanaria segnava quasi l’una. Tornarono a galla tutti i miei rancori.
Per qualche minuto rimanemmo fermi, a studiarci, a percepire qualunque fremito, a cercare di capire tutto di noi anche dal solo alzarsi e abbassarsi ritmico del petto. Ogni segno veniva analizzato e registrato da entrambe le parti. E senza che ci fosse un attimo per ripensarci la sparatoria iniziò.
Vidi lo sceriffo piegarsi leggermente sulle ginocchia, sfoderare la pistola, caricare il colpo, mirare e sparare. BANG.
Il tutto in una frazione di secondo. Una leggera nuvola di polvere grigiastra si alzò dalle nostre pistole, coprendoci l’uno all’altro per pochi secondi, fino a che, passandoci sul volto, si dileguò.
Tutto a un tratto era calato il silenzio e troppo tardi mi accorsi del sorriso che era spuntato sulla bocca dello sceriffo. Sentii uno strano formicolio allo stomaco, e come un tepore che mi invadeva. Abbassando gli occhi mi accorsi che la mia camicia era intrisa di sangue. Il dolore arrivò improvvisamente, e mi colpì come un tuono in un cielo sereno. Mi piegai sulle ginocchia, perché non riuscivo a stare dritto, in piedi. Mi sentivo spezzato.
Alzando gli occhi vidi qualcosa che luccicava, sul panciotto di McGillan: la stella. Quella maledetta stella, simbolo solo di potere e arroganza. Un pezzo di latta dietro al quale nascondere le proprie vigliaccherie, e gesti infami. Quella maledetta stella che aveva ucciso mio padre. E che aveva ucciso anche me.
 
  
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