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Autore: Falling_for_you    13/12/2012    2 recensioni
"La prima volta che lo vidi avevo sette anni ed ero troppo distante per poterne scrutare le linee, saggiare i sapori e distinguere le sfumature dei colori.
Pensai che era impossibile che quello fosse un bambino perché, mi dissi, i bambini sono colorati e non sono mai soli.
La seconda volta che lo vidi scoprii che aveva dodici anni, che non amava le lasagne e che odiava l'odore di cucina.
Scoprii quanto fosse bello osservarlo parlare a stento, corrugare le labbra ad ogni forchettata e arricciare il naso quando mia madre si apprestava ad aprire il forno.
La terza volta che lo vidi aveva diciannove anni e il viso sfregiato e pensai che al mondo non sarebbe esistito niente di più bello."
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Il ragazzo della finestra di fronte


DI STALKERAGGIO, FANGO E FISSE SQUINTERNATE

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T’amo senza sapere come,


né quando, né da dove...


Martina dice che sono diventata una stalker, io invece dico che sono soltanto innamorata.


Le finestre della sua casa sono chiuse anche oggi. Lo sono sempre alla mattina e lo rimangono per gran parte del giorno, barricate e murate da persiane di legno o da pesanti e spesse tende grigie impedendo alla luce di filtrare all'interno. Si aprono soltanto alla sera, quando è difficile essere rischiarati dall'illusorio sfavillio della luna, troppo debole ed evanescente per sperare di poter vedere chiaramente e troppo distante e delicato per poter sperare di esserne riscaldati.

In fondo credo di averlo sempre saputo che, la sua, fosse una casa senza luce e calore, un piccolo, soffocante buco nero di cemento armato, di alcool e urla rabbiose, botte vigliacche e dolore sepolto. Un bunker di kevlar apparentemente senza via d'uscita, la porta principale è stata asserragliata, lì si respira a fatica l'unico ossigeno a disposizione, lurido e tossico, che sembra non bastare mai.

Nessuna aria purificante a disintossicare i suoi luoghi, prima o poi si rantola a terra, miseri.


Ogni tanto è la sua di finestra a rimanere aperta, spalancata anche nelle notti invernali più fredde, alla ricerca di respiro, di luce e di vita, una falla beffarda in quel muro invalicabile, uno squarcio di calore, traditore della sua stessa sostanza e testimone di una ricreatrice guerra fredda in cui disumani fiotti di sangue nemici sgorgano da un'unica fonte assassina. E' quel microscopico, coraggioso spiraglio indocile a farmi credere che ci sia ancora speranza, per lui.

Riesco a vederne solo una parete della sua stanza, la fisso per ore dal balcone della mia camera o nascosta dietro la tenda di seta rossa quando lui è dall'altra parte, a pochi metri in linea d'aria da me, seduto a cavalcioni sul davanzale, con una sigaretta incastrata tra quelle labbra il cui sapore, scommetto, è impregnato di birra e con lo sguardo perso in chissà quale mondo, privo di qualsiasi traccia di paura o timore che quella gamba penzolante nel vuoto possa tirarci anche lui là sotto, giù, dove comunque sarebbe meglio di qui, dove si trova adesso.

La parete è bianca, spoglia, pulita come se anche quell'angolo d'inferno fosse stato disabitato, come unici interruttori di quella monotonia anomala un poster di Jeff Buckley regalatogli da mio fratello e due foto di cui non sono mai riuscita a distinguere le immagini ma che, sono sicura, siano uguali a quelle che Italo tiene in camera, entrambi appesi al muro con una meticolosità e precisione sovraumana, perfettamente dritti e allineati. Non c'è mai stato altro, non ci sono stati i ritagli di giornale che osannavano l'Italia campione del mondo, né poster raffiguranti Omer Simpson e la sua immancabile Duff o Valentino Rossi in pista con la sua moto; niente di tutto ciò si è mai impresso su quella parete, solitaria macchia bianca in un abisso torbido di menzogne, vigliaccheria e odio.


Per un po' ho anche pensato che il ragazzo della finestra di fronte fosse strano, vuoto, uno che non avesse nulla da dire perché chi è che a quindici anni non si diverte a far incazzare sua madre ricoprendo le pareti della sua camera con immagini di qualsiasi genere attaccandole con il nastro adesivo di cui rimarrà l'alone finché non si imbiancherà di nuovo, pensai che la sua stramberia avesse contagiato anche Italo perché la sua stanza era-e lo è ancora oggi-esattamente uguale, sempre con Jeff Buckley e quelle due fotografie, soltanto attaccati più storti e meno allineati. Italo non è mai stato tanto scrupoloso.


Poi ho compreso, finalmente, io che non sono mai stata brava quanto mio fratello, ho capito che sua madre era già abbastanza incazzata di suo e che se ciò che hai da dire è così insopportabilmente opprimente e doloroso, le parole,sempre se le trovi, non saranno mai abbastanza e una superficie bianca non riuscirà mai a contenerle tutte, se ciò che devi dire è talmente lurido e schifoso da sporcarti l'anima, vuoi solo che quella parete rimanga così com'è, cerea, candida, pulita, così come tu non ti sentirai mai.


-Sempre qui di fronte, eh?!- il braccio di Italo, scoperto nonostante sia novembre, mi avvolge la vita nel preludio di una stretta silenziosa, appoggia il mento sulla mia spalla e posso tranquillamente distinguere la cadenza dei suoi respiri che si scagliano sulla pelle del mio viso.

-Non è sceso per cena- dico senza distogliere lo sguardo. Ora lui è salito di nuovo sul quel davanzale.

-Sua madre non sa cucinare- no, infatti. Ma è diverso: sua madre non sa fare un cazzo.

-Lo so, magari potresti invitarlo a cena qualche volta-le mie dita, calde nelle tasche del maglione di lana, si muovono spontaneamente incrociandosi speranzose.

-Lo sai che non accetterebbe mai- afferma convinto Italo tendendomi più stretta a sé mentre le sue labbra sfiorano la mia tempia destra.

-So anche questo, ma tu non smettere di chiederglielo magari un giorno accetterà per non sentirti più rompergli le palle- adesso il suo sguardo è rivolto giù, nel vuoto, mi chiedo che ci veda lì in fondo. Ho paura che vi anneghi.

-Potrebbe cadere- ride e sbuffa Italo, elettrizzandomi i capelli.

-Non ti preoccupare, è così cagasotto che scommetto che con l'altra mano si tiene al termosifone sotto la finestra-

Non immaginavo che ci fosse un termosifone sotto la sua finestra, non ci ho mai pensato, almeno, ma avrei voluto saperlo. Vorrei poter guardare più da vicino, vedere se tutte le pareti della sua stanza siano ugualmente bianche e immacolate o se ci siano delle venature nerastre come in quelle di Italo, osservare il suo letto sfatto e tastare la morbidezza del cuscino e del piumone, sapere dove tiene quella maglietta verde smeraldo che indossa quasi sempre la domenica e vorrei odorarla, imprimere nelle mie narici il profumo della sua pelle.

-Dovresti smetterla-

-Di fare cosa?-

-Non fare la finta tonta, dovresti lasciarlo andare. Non è pronto per amare-

Che gran cazzata, Italo, lui ama già.

Me lo ricordo l'esatto istante in cui compresi di essermi innamorata di lui, ero immersa nel fango e credo che da quella pozza non ne sono più uscita. E' anche questo l'amore, una melma fossilizzante che ti imbriglia nelle sue catene appestandoti le viscere dello stomaco con il suo lezzo, tanto da privarti di quei pochi respiri che sono comunque intrisi di ossigeno miasmatico, si appiccica sulla tua pelle disidratandola e soffocando sul nascere ogni tua piccola libertà di movimento, ti si incrosta addosso e sai che dovrai sfregare, graffiare e raschiare con forza e coraggio per togliertelo via, fino a consumarti le dita.

E' così, amare, se sei innamorata di uno che forse ti odia e che l'unico amore che ha imparato a conoscere è quello per tuo fratello.



Ricordo le mie dita ghiacciate tra le foglie inaridite degli alberi, le muovevo impercettibilmente, leggere e circospette, con il battito del cuore in gola, per evitare di fare rumore; il terreno era umido sotto le ginocchia, in corrispondenza delle quali due ampie macchie marroni si stavano estendendo sempre di più sui miei jeans comprati esattamente il giorno prima. Mi barcamenai ad inventare una scusa plausibile per mia madre, per risparmiarmi i soliti improperi su quanto fosse stanca- o stufa come dice lei ancora adesso- di dover continuamente sfregare via il fango secco su ogni mio vestito sporco e di vedermi comportare come un maschiaccio scapestrato e non come una signorina per bene, ma fu solo un istante, fulmineo e sfuggente, subito dopo il quale mi concentrai a respirare piano, con la bocca chiusa nonostante le narici bruciassero.

Ricordo che quel giorno era freddo, ma di un gelo che si conficcava nelle ossa, fino in fondo, sembrava assiderarti e raschiarti via la linfa vitale; si insinuava subdolo tra i tessuti della pelle, pietrificandoli. Avevo il giacchetto pesante, il cappello, i guanti e la sciarpa di lana, tremavo e i denti battevano gli uni sugli altri freneticamente addormentando la mia mandibola che mi sforzavo di tenere serrata per paura di essere scoperta.

Non ho mai amato l'inverno, sono sempre stata freddolosa e mi sono sempre ammalata facilmente, tuttavia rimasi lì, accucciata a terra, sul terreno umidiccio di fango, con il cuore martellante nel petto, ad ascoltarli.


-Che cazzo ci facciamo qui?-

-Non fare lo stronzo 'Na...-

-A quest'ora avremmo potuto spassarcela con due biondine scopabili-

-Ma se non ti piacciono le bionde...-

-E' questo il punto, una ripassata in bagno non si nega a nessuno-

-Nel bagno Leonà? Davvero?-

-A me non dà fastidio la puzza di piscio-

-Sei proprio uno stronzo-

-Tale padre, tale figlio-

-Non hai mai avuto voglia di avere una ragazza 'Na?-

-Mi dispiace per te, Italo, ma io di ragazze ne ho quante ne voglio-

-Dai che hai capito... non una qualsiasi. Non hai voglia di trovarla, Lei, una speciale, una da amare?-

-L'amore è roba da femmine, Italo-

-Non vuoi innamorarti 'Na?-

-Non c'è e non ci sarà una lei, Italo. Ci sei tu, ci siamo solo io e te-



Martina dice che la mia è solo una fissa perché di lui non conosco nulla, io invece dico che di lui conosco quanto basta.

Non t’amo come se fossi rosa di sale, topazio
o freccia di garofani che propagano il fuoco:
t’amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, tra l’ombra e l’anima.



So che non gli piacciono le lasagne e non sopporta l'odore di cucina, che fuma troppo, un pacchetto da venti di MS al giorno; il tardo pomeriggio, quando ormai non c'è più nessuno, lo trovi costantemente al parco sotto casa, quello dietro al palazzo di Martina e vicino alla scuola elementare, accomodato sempre sulla solita panchina, il didietro sul filo dello schienale, i piedi sul piano della seduta e i gomiti poggiati sulle ginocchia, tra le dita la sua immancabile dose quotidiana di nicotina. E' strano, perché quelle sigarette non le tiene mai incastrate tra l'indice e il medio, ma le avvolge con le dita, quasi potessero sfuggirgli.

So che è diffidente e che è un ottimo bugiardo, potrebbe farti credere di aver visto Napoleone resuscitato al galoppo del suo cavallo bianco se solo lo volesse, se solo desiderasse nasconderti ciò che realmente lui stia pensando; non saluta mai, neanche se ci hai preso una sbornia appena la sera prima, e parla a stento con tutti al di fuori di mio fratello, perché, come direbbe, lui è uno che si fa i cazzi propri. Tuttavia quando lo fa, quando la sua bocca si muove per parlare seriamente, ciò che dice è quasi sempre così reale da farti male, ti blocca il respiro in gola costringendoti a tapparti le orecchie per non strozzarti.

Non gli piacciono i colori, veste sempre di nero, bianco o grigio concedendosi qualche volta quella maglietta verde smeraldo alla domenica e, puntualmente ogni anno, il 25 di Luglio, per il compleanno di Italo, quella rosso fuoco. Per festeggiare se ne vanno sempre in campagna, in mezzo ai prati e ai boschi, vicino al fiume, stanno lì fino a sera, non ho mai capito bene cosa facciano ma vorrei tanto scoprirlo.


Sono conscia che sia un grandissimo fottutissimo bastardo, uno stronzo con i contro fiocchi a cui non importa un cazzo di te e di ciò che sei; almeno due volte a settimana torna a casa a notte fonda, ubriaco e con il viso pieno di lividi, gli altri giorni se li risparmia perché c'è già la codardia di suo padre a farlo nero. Prova gusto a ferire, picchiare, menare duro, fino a quando non ti vede rantolare a terra e le braccia di mio fratello non lo afferrano per trascinarlo via. Gli piace perché è incazzato con te che non ti fai i cazzi tuoi e rompi i coglioni, con te che provi compassione e pietà per lui soltanto guardandogli il viso, con la vita che è senza Dio e senza giustizia, con se stesso, perché fa schifo e si disprezza.

Lui è uno che, se ne ha voglia, potrebbe essere generoso e sbattersi una femmina a sera; nonostante abbia il volto sfigurato, è bello da far male alla vista con i suoi occhi di ghiaccio di cui vorresti tanto scoprire la profondità, i riccioli neri che sono una tentazione per i polpastrelli delle tue dita e con quei lineamenti costantemente duri e spigolosi che vorresti vedere, almeno per una volta, distesi e sorridenti.

Non sorride mai, lui; forse, raramente, con Italo.

Non sceglie mai la fortunata donzella con cui se la spasserà per un po', è lei a desiderarlo, cercarlo e seguirlo. La porta nei vicoli bui dietro al bar quando si è stancato di farsi inculare a biliardo da mio fratello, o in un bagno qualsiasi di una discoteca, non importa se puzza di piscio, se la porta non si chiude e la musica house ti tampina il cervello imbecillendoti. Non si lascia sfiorare, toccare ma è sempre lui a condurre quel gioco distruttivo accontentandosi di una scopata qualunque, per rilassare i nervi, per non pensare.

Odia la polvere bianca e i deboli che a lei si arrendono, tuttavia capita che a volte, quando il vuoto fa troppa paura per poterlo guardare e il cervello sembra voler esplodere nel cranio, è lui il primo a non saperle dire di no, a cadere nella perfida e velenosa rete di leggerezza, finta euforia e trip allucinogeni, perennemente attento, però, che non sia Italo a fare il cazzone, perché deve essere lui a riportarlo a casa, con un braccio a sorreggergli la vita, quando anche quell'idilliaco benessere non è più in grado di sotterrare la merda che lo circonda.

Non festeggia mai il suo compleanno, so che vorrebbe morire e rinascere di nuovo, magari sotto le sembianze di un animale, in quel caso sarebbe sicuramente un felino.

La sua mente è come un registratore: osserva, appunta, cataloga. Incide, marchiando a sangue le cellule del suo cervello, qualsiasi immagine. Disegni, numeri, grafemi, nomi, le persone e i loro colori.

Non tralascia nulla visto che probabilmente è in cerca di quelli giusti per lui.

So che non si è dimenticato della ragazzina dalle dita impertinenti, so che non mi sopporta, mi odia magari, ma forse il suo è solo un fiacco tentativo di rilegare nei meandri della sua testa il fattaccio di essersi innamorato di me, quella notte, o forse sono solo io che ci spero ingenuamente.


So che ciò che ho pensato finora è solo una gran cazzata, so che lui ama, che darebbe la vita per Italo, che è un cagasotto e che potrebbe agonizzare a terra alla sola svolazzata di un moscerino fastidioso.


So quanto basta.



Io ti chiesi perché i tuoi occhi
si soffermano nei miei
come una casta stella del cielo
in un oscuro flutto.
Mi hai guardato a lungo
come si saggia un bimbo con lo sguardo,
mi hai detto poi, con gentilezza:
ti voglio bene, perché sei tanto triste.


C'era una bambina con le trecce alla Pippi Calzelunghe, si dondolava seduta su di un'altalena le cui corde erano state legate ben strette attorno al ramo di un mandorlo in fiore, voleva arrivare sempre più in alto, fino all'azzurro del cielo rischiarato, quel giorno, dai tiepidi raggi di un sole primaverile, desiderava afferrare quella nuvola birichina, che di lì a poco avrebbe reso tutto meno lucente e più buio, per abbracciarla e scoprire l'effetto della sua consistenza tra le dita delle mani, sui polpastrelli, sulla pelle del viso, non le importava di rischiare di rimanere delusa dalla sua inconsistenza ed evanescenza. Allora si faceva forza con il busto, perché con i piedi non riusciva a toccare terra, e spingeva, avanti e indietro, su e giù, di continuo, sempre più veloce per raggiungere il cielo e guardarlo da lì quel bambino, che già voleva fare il grande, seduto sullo scalino della sua veranda.


I bordi del vestito a fiori rossi erano incrostati di fango, una patina marrone lentamente si era estesa verso l'alto e le sue scarpe, quelle delle feste e della domenica, che prima, forse, erano state vagamente bianche, erano un misto di colori, dalle sfumature del verde a quelle del giallo ocra. Poco male se sua madre si sarebbe arrabbiata e le avrebbe impedito di guardare il nuovo episodio di Sailor Moon quella sera, non le sarebbe importato neanche se Bunny fosse finalmente riuscita a capire l'identità del suo amato Milord, in quel preciso istante voleva soltanto starsene lì a fissare quel bambino dagli occhi tristi.


Le piaceva. Le piacevano i suoi occhi grigi, che l'avevano osservata per tutto il pranzo, e i suoi non colori, le piaceva il suono della sua voce, non era mai prepotente o cacofonico, ma sempre leggero e sussurrato, adorava i ricci sbarazzini, scapigliati come avrebbe desiderato portarli sempre lei, ma più di tutto le piaceva il fatto che, a differenza degli altri amici di suo fratello, ancora non si era divertito a tirarle i capelli o a pizzicarle la pelle delle braccia lasciandole lividi viola, non era stato dispettoso o fastidioso, ma si era limitato soltanto a fissarla, a guardare tutt'intorno, quasi volesse rubarle la casa, la vita, e forse gliela avrebbe anche ceduta se solo lo avesse visto fare un sorriso sincero.


Il ragazzino aveva disteso le gambe intorpidite sbuffando e stiracchiandosi, era tanto che aspettava ed era nervoso e ansioso, pensava al modo in cui avrebbe potuto dire a quel suo nuovo amico dal nome strano che lui non ci aveva mai giocato a Monopoli, che non sapeva neanche cosa fosse e che gli unici giochi che aveva mai avuto erano quattro pezzi di legno regalategli da suo nonno prima che morisse. Sperava che Italo non si arrabbiasse, che non lo prendesse in giro e lo volesse ancora come amico, che continuasse a passare a casa sua ogni mattina per andare a scuola insieme. Di tutti quelli che aveva conosciuto da quando si era trasferito, Italo era stato il solo di cui sentisse la certezza di potersi fidare completamente, l'unico che gli fosse piaciuto davvero; lo trovava buffo, infagottato nelle sue camicie della domenica, sempre con quella sua aria sbarazzina, perennemente tra le nuvole ma attenta alle sue parole, gli piaceva perché con lui non doveva avere paura di non avere le parole giuste, non chiedeva e non pretendeva niente di più di ciò che lui decideva di dargli, si limitava ad ascoltare, vigile, senza farsi sfuggire nulla.

Gli piaceva il modo in cui era continuamente avanti rispetto a tutti, proiettato con la testa già al mese successivo di cui ormai aveva programmato tutto.


Riusciva in ciò che lui non sarebbe mai stato in grado di fare: pensare al futuro, allungare l'occhio e guardare oltre il limite di una notte. Lo invidiava un po', perché lui si poteva limitare a sperare solo di svegliarsi e iniziare un nuovo giorno.


Gli piacevano tante cose di italo, ma di certo non sua sorella.

L'aveva osservata per tutto il pranzo, aveva catalogato, registrato, inciso sulla propria memoria ogni piccolo dettaglio o particolare, il modo in cui teneva la forchetta, tra l'indice e il pollice, e tagliava la lasagna, la cadenza ritmata dei suoi piedi che zampettavano sotto il tavolo, ogni tanto fino a colpirlo sullo stinco con un calcio, le dita con le unghie mangiucchiate lerce e nere come l'onice, tamburellavano sopra la tovaglia in attesa di agguantare di soppiatto una patata al forno direttamente dal vassoio, le piccole labbra imbrattate di pomodoro, gli occhi verdi, o quasi, vispi, curiosi, instancabili, le trecce ormai sfatte e scapigliate che oscillavano a ogni suo movimento; si era divertita a fare palline con le molliche di pane incurante dei bisbigliati ammonimenti di sua madre, diceva che raffiguravano una principessa al galoppo di un unicorno ma in realtà sembravano solo un ammasso informe e schifoso.

Non si era fermata un istante, si era alzata ad ogni portata, aveva corso per la cucina e intorno al tavolo per poi rallentare passando accanto a lui.


Non le piaceva perché sorrideva troppo, sempre, di continuo, per ogni suo sguardo rivoltole, non le piaceva perché non appena aveva sollevato gli occhi dal piatto, aveva trovato i suoi ad aspettarlo e accoglierlo.


Il ragazzo sbuffò ancora dimenandosi sugli scalini, aveva le iridi puntate a terra, sulle proprie mani intente a ridurre in piccoli pezzi una foglia secca, si costringeva a tenere il volto basso, a non alzarlo per evitare di incontrare nuovamente il quasi-verde del suo sguardo, ma c'era lo stridore delle corde su quel ramo ad essere un richiamo troppo invitante.


-'Cazzo hai da guardare?- come si aspettava i suoi occhi erano esattamente dove se li era immaginati, lì, puntati addosso a lui.


-Non si dicono le parolacce- disse la bambina con tono saputo. Pensava che così sarebbe parsa più grande anche lei, ma se solo l'avesse sentita sua madre avrebbe riso, o si sarebbe arrabbiata, perché per l'età che aveva, lei diceva già le parolacce, un mucchio, le conosceva quasi tutte, Italo gliele aveva insegnate.


-Che cazzo di frignona- una smorfia si dipinse sul viso del ragazzo, era certo che quella marmocchia fosse una gran rompipalle, non sopportava la sua aria da chi la sa lunga, il modo in cui si guardava intorno, come se fosse sempre un passo avanti a tutti.

Non smise un solo momento di osservarla dondolare su quell'altalena: il vestito svolazzante e le trecce sempre più disordinate.

-L'hai detta di nuovo- insistette lei, adesso con un sorriso birichino stampato sulle labbra.

-Smettila di fissarmi- lo disse serio ed incredibilmente severo, un ordine perentorio, il suo; tuttavia non riuscì a non rimanere fisso sulla sua bocca radiosa: era ancora sporca di sugo e i denti erano da latte.


-Non ce la faccio- il sorriso scomparì e un sussurro si diffuse nell'aria.

Avrebbe voluto farlo, smettere e correre in bagno, riempire la vasca e tuffarcisi dentro, almeno così avrebbe tolto via il fango dai suoi vestiti e sua madre non l'avrebbe sgridata, ma non ne fu capace, c'era una calamita a tenerla impossibilitata lì.


-Se non la finisci, te li chiudo io, quegli occhi- si alzò, il ragazzo, lanciò via la foglia secca ridotta in mille pezzi che tentò di calciare in aria, voleva andarsene e scappare nel parco dietro l'angolo ma temeva che il giorno seguente Italo non gli avrebbe più parlato.


-Non sorridi mai, neanche quando sei con Ito. Tu sei triste- la guardò terrorizzato, aveva paura di lei, una stupida mocciosa, di quegli occhi infantili che avevano appena cominciato a vedere il mondo e che di lui avevano già compreso tutto. Si sedette di nuovo passandosi una mano tra i ricci corvini che divennero così ancora più indisciplinati e pensò, frugò nei cassetti della sua memoria, nei cataloghi registrati della sua mente a un dettaglio che potesse distrarlo e farlo respirare ancora.

Si disse che forse Ito era ancora peggio di Italo.


-Chiacchieri troppo, non mi piaci- lo affermò quasi per ripicca, con cattiveria, speranzoso di tapparle la bocca e magari farla anche mettere a frignare, non credeva, però, che sarebbe stato lui quello a doversene andare da lì a poco.

-Tu a me si, ti voglio bene-



Just one second, please...

Volevo soltanto salutarvi e farvi qualche precisazione mentre fuori piove e fa freddo e io faccio la fancazzista sopra il letto con una cioccolata calda in mano... ogni tanto un bel pomeriggio di relax fa bene al cervello (nel mio caso no, ma questa è tutt'altra storia). Comunque, siamo solo all'inizio, deve tutto arrivare e primi due capitoli solo soltanto un po' introduttivi, già dal prossimo le cose cominceranno a smuoversi e per questo vi chiedo di portare pazienza; ci sono vari salti temporali nel capitolo, li ho messi in corsivo, e vi chiedo di prestare attenzione sia alle citazioni che alle parti finali perché se le redini dell'intero capitolo, e dei capitoli a venire, le tiene Lei, lì c'è un po' di Lui, invece.

Mi scuso se il capitolo precedente era poco leggibile, font sbagliato tra tutti quelli che potevo scegliere... l'ho ripostato sperando che ora si veda qualcosa altrimenti... mi arrabbio?!

Credo sia tutto, ringrazio coloro che hanno recensito, chi mi ha inserita tra le preferite, seguite e ricordate, chi legge soltanto, fa dannatamente piacere.

Un bacio, Falling

  
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