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Autore: Eneri_Mess    30/06/2007    4 recensioni
Con un gesto seccato si massaggia le tempie, chiudendo per un momento gli occhi. Non si è ancora riposato, non si è neanche seduto. Ed è già mattino. E presto calerà di nuovo la notte. E niente fermerà gli eventi. E’ intrappolato in un ballo di cui conosce a menadito i passi, ma la musica si è fatta improvvisamente troppo rapida e stridente.
[Dopo la fuga da Hogwarts, Severus si trova a pensare.]
Genere: Triste, Malinconico, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi presenti nella storia non sono – ahimé – miei, ma di mamma Rowling.




La morte sorride ai codardi e ghigna agli audaci.






Dancing with the Black Lady





Il silenzio è assordante.
Il desiderio che cominci a piovere diventa quasi supplica, in quel primo mattino rischiarato da un’alba assente, velata e senza calore. Le nubi sono compatte, ma silenti, si muovono lente, pigre, beffarde.
Noi abbiamo tempo… ma tu?
Con una smorfia, l’uomo si discosta dal vetro sporco della finestra, gioendo cupamente per lo scricchiolare delle assi sotto i propri passi cadenzati.
Troppo silenzio. Troppa quiete. Troppi ricordi.
Vecchi e nuovi.
Un’unica sensazione ad avvolgerli.
La sensazione di aver sbagliato.
Che non dovesse andare in quel modo.
Di essersi ormai irrimediabilmente tagliato col maledetto filo del rasoio.

Non si può rimanere sospesi in eterno.
Bisogna scegliere.
e affrontare le scelte.
E le conseguenze.
E le parole.
Gli sguardi.
Il rimorso.
Con un gesto seccato si massaggia le tempie, chiudendo per un momento gli occhi. Non si è ancora riposato, non si è neanche seduto. Ed è già mattino. E presto calerà di nuovo la notte. E niente fermerà gli eventi. E’ intrappolato in un ballo di cui conosce a menadito i passi, ma la musica si è fatta improvvisamente troppo rapida e stridente.
Un piano, un progetto.
Per qualcosa di grande. Di importante. Una macabra danza con una donna in nero.
In cui lui è fondamentale. In cui lui è il compagno dalla maschera a metà. In cui lui giostra abilmente burattini e pupazzi.
Ma lui ora, schifosamente, si sente una formica che presto sarà schiacciata. Il prossimo ad eseguire un casquè.
Un flebile sospiro interrompe il flusso di pensieri, riportando la sua attenzione al presente. Al reale.
Si volta, fiacco. Il ragazzo sta ancora dormendo sul divano, sopito in un sonno dal volto triste. I vestiti sono stropicciati, spiegazzati, disfatti. La bacchetta è sul tavolo, immobile, abbandonata. Il petto di alza di nuovo, in un risucchio d’aria desolato, indispensabile ma sofferto. L’umidità dell’ambiente, in poche ore, è riuscita a penetrare nelle ossa, indebolendole, nella pelle, ghiacciandola.
Distoglie lo sguardo, dimenticandosene, e punta di nuovo fuori dalla finestra, a cui si accosta, lentamente, il legno che si lamenta sotto di lui.
Fuori è giorno, da poco, ma tutto è grigiastro, smunto. La nebbia preme ovunque, avanza, ricopre e fagocita ciò che incontra. E’ impura, riflette a malapena i raggi dell’astro nascente e la luce del faro poco distante. E’ il velo che cela il volto sorridente della Donna in Nero.
Ai suoi occhi, tutto assume un’altra sfumatura. Una sfumatura di cui è pregno, che gli scorre dentro da tempo immemore, che ha marchiato il suo avambraccio sinistro. Ogni cosa è sempre uguale a se stessa.
Lui. Il nero. Il sentimento.
Il mare. La spiaggia. La nebbia.
La Signora.

***

La notte non è mai stata così tenebrosa ai suoi occhi. Né stelle, né luna. Né brezza, né sagome distinguibili. Una fitta nebbia scura, avvinghiante.
E’ come camminare in una stretta grotta buia.
C’è solo odore e rumore.
Salsedine e onde.
Il mare. Anche se non lo vede, lo avverte vicino.
Prosegue, un piede davanti all’altro, svelto ma calcolato, affondando di poco ad ogni passo nella sabbia che assorbe ogni suo fruscio. Il mantello lo copre, il cappuccio gli grava sul capo, la maschera è già sparita nelle pieghe dell’abito.
Le mani sono rigide, chiuse.
Per il freddo. Per evitare che tremino. Perché fa freddo.
Solo che non intende appurare se fuori o… dentro.
Certe sottigliezze sono da reprimere, da sotterrare, si ripete. Perché c’è stata vittoria. Il piano è riuscito. Tutto è filato liscio, senza intoppi. Come da previsione. Non può certo fermarsi a riflettere sul perché senta freddo. E’ fuori luogo, non ha importanza.
Avanza, avanza e avanza. La notte è ancora cupa, il cielo sembra più vicino del solito, sebbene le nuvole oscurino il firmamento.
Adesso nota una luce, piccola, che balugina distante, e man mano che si avvicina, quella piccola fonte definisce una finestra sudicia, e poi delle assi e infine una catapecchia. Minuscola, decisamente modesta, sorretta da quattro grossi pali piantati nella sabbia. Una palafitta, in riva al mare.
Inconsciamente aumenta il passo, rapido, gli occhi rapiti da quella lucina. Sale la scala dai gradini piccoli e appiattiti e si arresta di fronte all’entrata. Non fissa altro, può quasi intravedere le vene del legno in via di degradazione anche in quel fitto buio.
La porta si apre, cigolante, su un ambiente dalle tonalità calde e miti. Un sorriso compiaciuto, su un volto latteo, sotto occhi di ghiaccio lo accoglie. Ma lui ha la sensazione migliore del mondo a pervaderlo, indipendentemente dal gelo che legge su quel viso.
Lui ha vinto!
« Severus » lo saluta l’uomo, pacato e cortese, facendosi di lato e invitandolo ad entrare. Lui si accomoda, un’espressione indifferente a nascondere le emozioni. Giubilo. Orgoglio. Fiducia.
E freddo.
« Hai rispettato i tempi stabiliti. Presumo che tutto sia andato bene ».
Ci deve essere un reale complimento nascosto in quelle parole, anche se il tono è disinteressato e ponderato. L’uomo si è accostato a un tavolo su cui troneggia una bottiglia di vino rosso e due calici. Non aveva dubbi.
« La missione ha avuto il suo giusto successo » risponde pigramente lui, cadenzando il tono su ogni parola e quasi accarezzando l’ultima, sentendola vibrare dentro. Si slaccia il mantello pesante, abbandonandolo sul divano logoro, e accetta con un cenno il liquido vermiglio offertogli.
« A te e alla vittoria, allora. E al Signore Oscuro, ovviamente » aggiunge l’uomo, amabile, con un sorriso crudele e scintillante di gelida gioia, levando il calice in direzione dell’altro.
Brindano e il tintinnio si diffonde nell’ambiente silenzioso.
L’atmosfera è strana, si accorge lui con disappunto, arricciando appena le labbra contro il bordo del cristallo. Si sente osservato, come se più di una presenza sia nascosta negli angoli in penombra, a fissarlo, a respirare l’aria destinata a lui.
L’emozione che gli riempie il petto inizia a smorzarsi, a scivolare via e lui tenta di trattenerla, roteando lento il calice con apparente aria meditabonda, ma concentrata su ciò che doveva provare.
Dov’è il brivido della riuscita?
La consapevolezza di aver portato a termine il piano da lui stesso ideato?
Perché la soddisfazione non continua ad abbracciarlo?

« Il Signore Oscuro sarà molto contento. Sei il più giovane tra noi e ti sei già distinto tanto ».
L’uomo interrompe con modulate lodi i suoi pensieri e lui alza il viso olivastro, esibendo un sorriso compiaciuto ma al contempo ossequioso. Il più giovane. Nella sua mente balena per un attimo l’immagine di Hogwarts, dell’imponente castello che è stata la sua casa per sette anni. Estenuanti. Tormentati. Da dimenticare.
Avrebbe chiuso quei ricordi in fondo all’anima, tentando di sopprimerli definitivamente. Aveva un’altra vita davanti. Una vita diversa. Quella che gli apparteneva per diritto.
Fama. Gloria. Riconoscenza.
Non sarebbe più stato il bambino impaurito che si nascondeva per non vedere litigare i propri genitori. Non sarebbe più stato il ragazzino vittima preferita degli scherzi di quattro Grifondoro idioti.
D’ora in avanti, ci sarebbero stati solo calici levati in suo onore, come in quel momento. Niente più timori. Niente sgradevoli sensazioni prima di voltare gli angoli. Niente sorrisi di scherno, niente insulti. Niente di tutto ciò che era stato.
E che era finito quella notte.
Finito con le sue mani sporcate di sangue, metaforicamente parlando.
Un taglio netto col passato.

E l’inizio di un lento con la morte.

***

Il tempo non accenna a mutare.
La nebbia è così pressante che ormai non si vede più nulla. L’aria è ferma, pare stagnarsi senza fretta, diventando sempre più sgradevole e irrespirabile.
Muove un po’ le spalle, indolenzite dall’inattività e dalla mancanza di sonno. Il viso è tirato e pallido, ma l’espressione arcigna non cede di un millimetro. Non permetterebbe mai a ciò che prova di riflettersi negli occhi stanchi e nelle labbra serrate. Non ci sarebbero più state forti emozioni nel suo profilo.
Non c’era il tempo per quelle.
La danza prosegue irrefrenabile, senza aspettarlo.
Anche in quel momento di calma. Si domanda vagamente se dovrebbe assaporarlo. La quiete prima della tempesta. Ma scaccia il pensiero, infastidito.
Fermarsi sarebbe equivalso a scorgere di nuovo quel volto.
Quegli occhi buoni che l’hanno supplicato. Quelli che un tempo l’hanno salvato. E che adesso non vedranno più niente e nessuno, se non le fosche vesti della donna con cui lui, costantemente, si accompagna.
Non smette di sorridergli, la Signora, e lui si sente stanco, indolenzito, pronto ad abbassare il capo e a porgerglielo.
Perché quel qualcosa per cui sopravvive non riesce più a distinguerlo chiaramente, ora che gli si è di nuovo seduto accanto il tradimento.
Che non è tradimento, gli sussurra la mente, logica e razionale.
E’ un piano. Così ora sei al sicuro, hai la piena fiducia del Signore Oscuro. Non devi più dimostrare niente a nessuno di loro. Hai le spalle coperte.
Sì, è logico e razionale. Nessuna pecca. Come da copione.
Ma la pesantezza all’altezza dello sterno non vacilla, non si scioglie. Non se ne va via. Fatica un po’, duramente, a ignorarla e a ridimensionarla, così da poterla sopportare.
Si scosta di nuovo dalla finestra, riportando l’attenzione all’interno della stanza sempre uguale. Stessa atmosfera. Stessa vecchia e ammuffita mobilia. Stessa aria risucchiata negli angoli.
Perfino adesso c’è un Malfoy con lui, anche se non ha né occhi né sorriso gelido. Né bottiglia d’annata per festeggiare.
Il ragazzo ha lo sguardo indurito, ma quel velo è sottile, e lui può scorgervi chiara la paura. Gli angoli della bocca sono statici, le labbra secche, screpolate, piegate rigidamente per trattenere il tremito. E non c’è alcun vino pregiato, ma soltanto una bacchetta lasciata nella polvere.
Ha gridato, prima, con ira e rancore, sentenze e frasi arroganti contro il suo ex insegnante. Si è sfogato ed è anche riuscito a fermarsi in tempo per non permettere alle lacrime di scivolargli sul viso pallido, non facendo affiorare i sentimenti infantili sottostanti.
E lui l’ha lasciato fare, dandogli a intendere che lo stesse ignorando. Ma lui stava solo cercando di reprimere le sue, di parole. I suoi, di sentimenti. La sua, di paura.
Lui continua a tenere il ritmo.

Ha dovuto aprire la finestra, forzandola, perché l’ossigeno lì dentro è diventato tossina. Niente è però migliorato.
Il cielo è invisibile, ma nella clessidra cadono gli ultimi granelli. La sera incalza e lui si prepara ad accompagnare la Signora in un volteggio.
« Sistemati » ordina, in direzione del ragazzo. Non si è mosso, sembra quasi aver messo un fermo al respiro e lui si chiede come faccia. E si domanda anche come possa permetterglielo. Ma lui sta ballando. L’attenzione è tutta per la sua Dama.
Le assi gridano sotto i loro piedi, mentre, in silenzio, si preparano. Non si guardano, perché ora anche il ragazzo ha quasi acquisito del tutto la consapevolezza di ciò che avverrà. Ciò che l’aspetta. I suoi gesti risultano comunque rigidi, meccanici.
E’ inciampato durante la sua danza, capisce lui. Non c’è modo di rialzarsi quando succede. O meglio, lui ipotizza così. Non è ancora caduto, lui. E dentro, spera non accada.
Apre la porta senza fretta e da il benvenuto alla nebbia.
Vede Lei sorridergli oltre il velo.
« Stammi dietro » sussurra, senza voltarsi. Il ragazzo non risponde. Per un attimo gli pare di essere solo, ma si incammina, e la bruma li inghiotte.
Tutto è grigio, opaco. La sabbia attutisce la loro marcia serrata, l’aria densa pesa ed è difficile da incanalare nella trachea. Comincia a credere di non essere più in grado di inspirare, ma prosegue.
Sa dove sta andando, dove sta portando quel fantasma che ha alle spalle. Ma si chiede dove si stia recando lui ancora una volta. Cosa lo attenda.
Fama. Gloria. Riconoscenza.
Calici traboccanti per colui che ha ucciso la reale minaccia.
Fama al traditore.
Gloria alla spia.
Riconoscenza all’assassino.
E lui, per un secondo, prega che la danza si arresti.
Ma lei sorride.
Sorride.
Sorride.
Sorride.

Lui vuole chinare la testa, offrirgliela.
Desidera di nuovo vedere quegli occhi buoni. Che bruciano, bruciano dentro.
Agogna a ricominciare a respirare.
Ma lo spettacolo deve continuare. Anche perché non vuole provare ad immaginare cosa accadrebbe se il sipario calasse prima del tempo.
Cammina, senza interruzioni, nessuna emozione sul viso, sulla pelle, negli occhi. Lui ha smesso di mostrare sentimenti. Li nasconde, con cura, premura, attenzione.
Nessuno può scrutarli. Nessuno deve sfiorarli. Niente può o deve distrarlo.
La sua è una strada a senso unico, senza svolte o inversioni di marcia. Senza vicoli, incroci, dossi. Concede solo parallele, destinate a non intersecarsi con lui. Perché lui viaggia con una compagna unica.

Lui ha il privilegio di danzare con la Morte.
Lui non può permettersi di cedere il posto a qualcun altro.
Lui non deve perdere il ritmo.

Non ci sono cartelli d’uscita sulla sua strada.
Perché l’ultimo passo spetta alla sua Dama che, per un attimo, sogghigna.




THE END





E’ tanto che non pubblico qualcosa che realmente mi piace. L’ho scritta per partecipare a una sfida lanciata su un forum nato da poco, La Scatola Magica, ma anche perché, appena letta la traccia, le idee mi sono scoppiate nella testa e l’ho subito buttata giù.
Ho avuto un po’ di problemi a scriverla al presente, essendo abituata al passato remoto, e quindi mi auguro non ci siano errori troppo gravi in giro, anche se l’ho riletta tre volte. Mi è piaciuto adottare questo tempo perché mi sembra come se sia narrata nell’immediatezza, ed era proprio questo l’effetto che volevo.
Inoltre, ho preferito il “lui” a Severus perché mi pareva in qualche modo più coinvolgente e diretto. Il ragazzo è Draco, l’uomo è Lucius e gli occhi buoni appartengono a Silente. Il pezzo tra *** è invece un ricordo, la prima volta che Severus ha ucciso (anche se mi viene il dubbio che l’abbia mai fatto, sinceramente) e tutti i sentimenti connessi. E’ un Piton giovane, fresco di studi che vuole tagliare i ponti col passato.
Per concludere tutta questa tediosa spiegazione, spero che le similitudini sul ballo vi siano piaciute.
Ringrazio tantissimo Haro per il solito sostegno che mi da sempre, leggendo tutto quello che sforno! E anche Azumi, che ha letto in anteprima trovando gli errori infingardi!

Un bacione a tutti,
Ene

   
 
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