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Autore: Blusshi    14/12/2012    1 recensioni
Estratto dal capitolo 1~
Kate- la fronte inondata di sudore- spingeva e gridava; percepiva i movimenti del bambino che si faceva strada nel canale del parto. Si augurò che andasse tutto bene e che finisse in fretta; si sentiva come una bambina spaventata anche se ormai, a venticinque anni e con due gemelli in arrivo più che imminente, una bambina non era più.
Sapeva che quella nascita stava presentando complicazioni: i dottori le stavano dicendo che il primo dei due bambini non riusciva a uscire e che di conseguenza l’altro stava soffrendo.
Ho fatto una scelta originale, narrando la storia dei due protagonisti a partire da un punto che in genere non viene scelto. Spero, davvero, di non doverla pagare troppo cara questa mia originalità :) ~ Blusshi
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: 17, 18, Altri, Dr. Gelo, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Li aveva aspettati per tutta la notte.
Una notte intera passata a tendere l’orecchio ad ogni minimo rumore, passata a sperare che da un momento all’altro sarebbero entrati da quella porta e le avrebbero detto qualcosa.
Una notte passata sveglia, fra le lacrime, sul divano, mentre l’alba si avvicinava e la casa rimaneva vuota.
Kate non voleva nemmeno immaginarsi perché.
L’angoscia le impediva di fare qualsiasi cosa.
Erano le 7 e di Eric e Alice nemmeno l’ombra.
“Torniamo massimo alle 3” le avevano detto la sera prima. Avevano fatto un incidente con la macchina? Si erano fermati a casa di qualcuno senza avvertirla?
“Si, dev’essere andata così” si era detta Kate “hanno tutti i loro giri”.
Così per altri quattro giorni.
Alla quinta notte insonne, Kate prese in mano il telefono e compose il numero.
“Si, pronto?”
“Parlo con la polizia?”
“Sì, mi dica signora”.
“Devo denunciare una scomparsa. I miei figli”
 
 
 
Carly continuava a chiamare Eric sul suo cellulare, ma da quattro giorni non trovava che la segreteria.
Era avvilita e preoccupata: perché Eric non l’aveva più chiamata?
Non solo non l’aveva più visto da quando l’aveva accompagnata a casa la sera della festa, ma no le aveva nemmeno scritto un paio di righe.
“Mi sta scaricando?” pensava, sempre più frequentemente e sempre più afflitta “eppure non è da lui! Non lo farebbe mai…”
I suoi sospetti erano crollati quando aveva ricevuto a casa la telefonata di Kate. Erano crollati per fare spazio ad una paura indefinibile: nemmeno Kate lo vedeva più da quattro giorni, né lui né Alice.
Carly si struggeva, doveva essere successo qualcosa di grave: il suo Eric non si sarebbe mai nascosto da Kate, lei lo sapeva, lo conosceva.
Perché sentiva che il suo Eric era in pericolo? Perché sentiva che c’era in ballo qualcosa di importante che gliel’avrebbe portato via?
“Ah! I nostri terribili gemelli!” il poliziotto distese il faccione rubizzo in un sorriso “i nostri giovani gangster! Certo che li ho presenti”.
Kate non avrebbe saputo a chi altro rivolgersi, visto come stavano le cose.
Sapeva benissimo che i rapporti fra i gemelli e le forze dell’ordine non erano dei migliori, ma che fare? Non poteva certo mettersi a cercarli da sola.
“Da quanto sono spariti?”
“Oggi è il quinto giorno”.
Kate raccontò che la sera della presunta scomparsa erano usciti prendendo la sua auto ed erano andati ad una festa. Lei era rimasta alzata ad aspettarli ma non erano ritornati.
“Sicura che non le stiano giocando qualche scherzo? Quei due sono tremendi, sa?”
Eccome.
Un’altra poliziotta era entrata in quel momento: “Cosa succede?” chiese al collega, guardando preoccupata Kate.
“Ci sono spariti il capellone e la barbie! I teppisti gemelli”.
“Quelli del treno?” la donna spalancò gli occhi.
“Sicuramente loro” le rispose il poliziotto “non lo sa, signora?”
Kate lo guardò perplessa: “Il treno?”
“I suoi gentili fanciulli hanno dato fuoco a un treno poco tempo fa” tagliò corto la poliziotta.
“Un treno” mormorò Kate, prendendosi il viso fra le mani.
I poliziotti avevano iniziato le ricerche e avevano trovato l’auto di Kate in un campo, lungo la strada che portava a una cascina dove, effettivamente, gli adolescenti della zona organizzavano spesso le loro serate.
L’auto era lì, sbilanciata dentro il campo, la radio accesa, le portiere aperte.
Ma dei gemelli nemmeno l’ombra. Non avevano lasciato nemmeno un indizio, una traccia.
“L’incidente non era grave, l’auto è in ottime condizioni e non sono presenti tracce di sangue” sentenziò il detective “mi viene da pensare che si siano allontanati dall’auto e che siano stati rapiti”.
Con sollievo di Kate, le ricerche effettuate nell’area circostante non avevano scoperto cadaveri  né tracce di un omicidio.
Rapimento: era l’unica alternativa possibile.
“Guardate qui!”
Un agente si avvicinò a Kate e al gruppo di poliziotti, radunati vicino alla jeep. In mano teneva una specie di piccola bomba a mano. Era aperta esattamente a metà, la forma era quella di un pallone da rugby; era fatta di metallo ed era vuota all’interno: “Cos’è?”
“Non capisco, sembra l’involucro di qualcosa…detective, venga a  vedere un attimo”.
L’uomo mise l’oggetto sospetto sotto gli occhi del detective: “Sì, una specie di capsula”.
“Un bossolo?” Kate si accostò ai due e sbirciò fra le mani dell’agente.
“No, è troppo grande. E poi come si spiegherebbe l’apertura?” il detective lo prese e lo scrutò, lo soppesò con la mano, lo annusò.
“Sembra davvero un ordigno esplosivo: ma all’interno è completamente vuoto e l’apertura è troppo regolare per essere stata causata da un’esplosione”.
Nessuno si era accorto della minuscola telecamera che, posta appena sotto un lembo metallico della spaccatura, osservava dettagliatamente ogni loro movimento.
 
 
Una luce fortissima dritta negli occhi appena appena aperti. Freddo, odore di ospedale, una sagoma china e sfocata che osserva.
“Sono morta…abbiamo fatto un incidente…sto morendo…la polizia…mi ha maltrattata…”
Alice provò a muoversi, ma sentì il corpo pesante come pietra che non rispondeva ai suoi comandi, come se le avessero staccato la testa. Sentiva rumori acuti e stridii, voleva parlare ma dalla sua bocca uscivano solo suoni inarticolati. Spalancò un attimo gli occhi in un tentativo disperato, prima che la testa le girasse così forte da costringerla a rimettersi supina; e allora si addormentò di nuovo.
 
La prima cosa che Eric vide, non appena si svegliò, fu un tubo pieno di sangue che si immetteva nel suo collo e un altro, in cui scorreva vorticosamente un liquido trasparente, che gli bucava il torace finendogli dritto nello stomaco.
Quella visuale spazzò via i relitti di stordimento che ancora gli annebbiavano la vista e, sgomento,  puntò i gomiti e si alzò: sembrava una sala operatoria. Lui era completamente nudo, dolorante, disteso su un lettino. La stanza era piena di macchinari che sembravano grossi computer.
“Ma che diavolo…”
Guardò alla sua destra e alla sua sinistra e scorse recipienti di vetro e di ghisa, ognuno contrassegnato da una scritta stampata: H2O, O2, N3, H, Fe, HCl…
Uno era quello a cui era collegata l’altra estremità di uno dei due tubi, ma non seppe distinguere quale.
“Ma dove sono?” Eric fece per guardarsi alle spalle ma urlò e si premette forte il petto: quel tubo trasparente faceva terribilmente male.
“Alice?!” chiamò, lasciandosi cadere all’indietro. Sentì un rumore, come di gradini scesi, e si volse da quella parte.
 “Dormi, dormi che ti fa bene…”
Vide una specie di maschera calare dall’alto e cadergli sul viso: farfugliò qualcosa, poi si lasciò trasportare nell’oceano profondissimo di un sonno senza sogni.
 
 
 
 
 
 
 
Mi manchi. Torna da me.
Non so cosa ti sia successo, ma sappi che io sarò sempre l’appiglio a cui tu potrai aggrapparti.
Buonanotte amore mio.
Ti penso.
Ti amo.
Carly piangeva mentre scriveva il messaggio, sapeva che nessuno l’avrebbe mai letto.
 Premette invio e si appoggiò alla finestra della sua stanza. La neve era già caduta da un giorno, ormai era quasi Natale.
Seduta sul davanzale interno, raggomitolata sotto una copertina, beveva una tazza di cioccolata. La notte di metà dicembre le pareva insopportabile nella sua calma ovattata: era quasi un mese che Eric e Alice si erano dissolti nel nulla, quasi un mese che Kate accompagnava senza requie i detective nella loro ricerca, vivendo costantemente nell’ansia che un giorno li trovassero morti.
Anche lei stava iniziando a pensarci. E ogni notte piangeva.
Aveva sempre pensato che un ragazzo come Eric fosse stato un dono eccezionale, una grazia inaudita per una come lei.
Lei, Carly, la più timida fra il suo gruppo di amiche, la più inesperta, la meno popolare: era ancora così a diciassette anni, quando aveva incontrato Eric.
Si ricordava che quel giorno era molto triste e non aveva molta voglia di scendere in concessionaria ad aiutare suo padre: “Siamo a corto di personale perché alcuni si sono ammalati, quindi dovrai aiutarmi coi clienti fino a nuovo ordine” le aveva detto.
Si ricordava benissimo che stava ammazzando il tempo osservando qualche modello esposto nello showroom, quando suo padre le aveva lasciato in tutta fretta un cliente da servire: “Pensaci tu al ragazzo, fagli vedere un po’ di modelli da giovani, nuovi e usati. Trattalo bene, mi raccomando!”
Il ragazzo in questione era piombato sfacciatamente nella sua vita con uno sguardo acuto e convinto.
Uno sguardo che aveva bruciato il suo cuore in un colpo solo; una ghiacciata improvvisa.
Gli aveva mostrato con fatica immane tutti i modelli che avrebbero potuto interessargli, poi lui se ne era andato senza nemmeno ringraziarla.
I giorni erano trascorsi e, contrariamente alle sue aspettative, con la scusa della macchina il ragazzo era tornato sempre più spesso in negozio e avevano iniziato a parlare.
Si chiamava Eric e aveva sedici anni.
Carly non aveva mai visto due occhi così.
 
Così, ogni volta che in quei due anni aveva ripensato ai loro primi incontri, le erano riaffiorati alla mente tutti i sospiri, tutti i dubbi, tutti i pensieri: “E’ troppo bello per me…non mi vorrà mai.”
Eric era uno dei pochi ragazzi che parlavano e anche tanto; a volte era un po’ pieno di sé.
Parlava volentieri e le diceva spesso quanto fosse stato grato alla sorte per aver messo Carly sulla sua strada e lei pensava la stessa cosa. Con lui era cambiata, era cresciuta: sentendolo ripetere quanto trovasse belli i suoi capelli rossi, i suoi occhi verde giada e le lentiggini che le ricoprivano persino le palpebre aveva finito per convincersene anche lei e ormai non era più la ragazzina insicura di prima.
“Ma perché mi deve tornare tutto in mente?” si disse, guardando i lampioni che fendevano l’oscurità fuori dalla finestra.
Era stanca e voleva dormire, ma non riusciva.
Fece per entrare nel letto ma rimase lì bloccata, le braccia incrociate e gli occhi colmi di lacrime; soffriva di nostalgia, pensando a quante volte ci aveva fatto l’amore in quel letto.
Perché la vita era stata così crudele?
Le aveva fatto intravedere l’orlo del paradiso, per poi gettarla con forza nell’inferno.


Ohlalà! Ero un po' indecisa sul titolo da mettere a questo capitolo...vorrei precisare che 1) voglio ringraziarvi per essere arrivati fin qui / 2) questo capitolo lo dedico a Lady_Charme, che mi segue con tanta pazienza <3        fatemi sapere cosa ne pensate! Vi aspetto, saluti & baci *Blusshi*


   
 
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