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Autore: past_zonk    14/12/2012    3 recensioni
(Kakashi/Tenzou)
Ogni volta era sempre lo stesso.
Correre, correre, finché il cuore non ti batte disperato contro le costole, finché non lo senti pulsare sotto ogni più sottile strato di pelle, finché le dita dei piedi non bruciano.
Correre per lui.
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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Image and video hosting by TinyPic...Saluti a tutti  voi, in questa freddissima giornata di metà Dicembre. Brrr. Dovrei davvero studiare, ma l'ispirazione è venuta a bussare alla mia finestra sotto sembianze di vento e tutti i buoni presupposti sono andati a farsi fottere.
Bene. Questa è la mia prima fanfiction yaoi nel fandom di Naruto - ansia. Ho scelto questa coppia (Kakashi/Tenzou) perché li trovo davvero molto carini e ben assortiti. Il titolo (e la citazione) vengono da una scrittrice di una nota pagina Facebook, che purtroppo ha deciso di abbandonare il suo angolino sul web.
Che dire, spero siate sinceri nei vostri pareri!
PS. Consiglio di seguire la canzone posta a inizio capitolo :)
eveyzonk.

 











Rimani, resta, rimani.






Rimani,
come l'edera sul muro di pietra
che le crepe segnano e delimitano
come il confine fra la finestra
e il suo contorno

resta,
come le foglie dei sempreverdi
che non cambiano colore, né forma
che la luce attraversa ogni stagione
rimani,
come il filo invisibile che lega
una stella all'altra
e le ciglia a chiudere le palpebre
sottili, costellate di vene viola
rimani, resta, rimani  

» Packt like sardines in a crushd tin box. 

 

 

 



Ogni volta era sempre lo stesso.
Correre per le strade di Konoha con il cuore in gola, il vento fra i capelli, il volto sudato ed appiccicaticcio sotto la maschera dalle fattezze feline.
Guardare la strada con sufficienza e cercare di scansare ogni ostacolo.
Correre, correre, finché il cuore non ti batte disperato contro le costole, finché non lo senti pulsare sotto ogni più sottile strato di pelle, finché le dita dei piedi non bruciano.
Correre per lui.
Trattenere un pianto nervoso, cercare di rimanere un uomo, di sembrare comodo in quei ranghi che da sempre ti dannano. Quando si parlava di lui non esistevano ranghi, non esisteva vita, non esisteva strada che poteva fermare i suoi passi veloci, le sue zaffate affannate non potevano bloccargli il respiro.
Avrebbe continuato a correre, con o senza fiato, con o senza gambe, con o senza occhi o braccia o fianchi.
I passanti lo guardavano stupefatti, alcuni lo evitavano, altri si preoccupavano; un ANBU che corre disperato per il villaggio cercando di non rovesciare bancarelle e vecchie signore? Uno spettacolo insolito.
Una leggera sensazione di sollievo fiorì nel suo petto quando vide la torre dell’ospedale.
Entrò nel cortile interno; qualcuno urlò un hey, ma non si fermò.
Il rumore delle sue suole divenne più secco a contatto con la ceramica del pavimento dell’ospedale.
Gli occhi erano disperatamente sgranati quando s’avvicinò al bancone della segreteria.
“Dov’è?” ansimò, con tono più alto del necessario. Ogni respiro era doloroso, come se i muscoli del plesso solare si stendessero, sanguinassero, e si rilassarselo di nuovo. Non riusciva a parlare.
L’infermiera lì davanti era impaurita.  Gli uomini mascherati di Konoha impaurivano sempre tutti, eh…?
“Dov’è…lui…Hatake…”
“Hatake Kakashi?”
Strinse le nocche. Annuì, cercando di mantenere il respiro.
“Stanza 123…”
 Ogni volta era lo stesso.
Inginocchiarsi ai piedi del letto e piangere silenzioso.
Perché lo diceva lui stesso: cosa farei senza te?
Non sapeva perché si spingesse sempre così oltre. Perché in ogni missione, in ogni allenamento, in ogni pericoloso scontro, portasse se stesso davanti ai suoi limiti. Perché si facesse del male.
“Kakashi-senpai…Sempai…”
Tenergli la mano, e pensare: e se questa volta non se la cavasse?
Per questo odiava gli ospedali. Perché lui, in un modo o nell’altro, era sempre lì, a lottare da solo con i suoi fantasmi.
Una notte gli aveva detto che quando era incosciente, collegato a quei tubi, in un letto d’ospedale, tutte le sue paure si facevano vive.
Tenzo non voleva lasciarlo solo con le sue paure.
Il cuore ancora gli faceva male, mentre il sopracciglio dell’altro si mosse.
“Kakashi!”
“Mmh”
I suoi occhi si aprirono, annebbiati. Un piccolo sorriso gli increspò le labbra.
“…Ho…già visto questa scena” disse la sua voce roca, con ironia.
Fuori un tuono si fece strada tra il vociare del primo pomeriggio.
Tenzo trattenne le lacrime. Erano lacrime di irritazione. Di rabbia. Ogni volta sembrava perdere la propria dignità, quando si parlava dell’altro. Lo odiava…in qualche modo.
Lo odiava perché lui, invece, riusciva sempre ad apparire distaccato, intoccabile. Riusciva a vincere.
La pioggia scoppiò.
Con lei, le lacrime del ragazzo.
Kakashi ridacchiò, alzò con lentezza un braccio a toccare la fronte dell’altro. Le dita si fermarono all’attaccatura castana dei suoi capelli, li scompigliarono leggermente.
Fu allora che s’abbassò ad abbracciare il ragazzo dai capelli argentati.
Fu un abbraccio impacciato, come del resto lo era la loro relazione. Tenzo aveva paura di stringere troppo l’amico, aveva paura di fargli del male. Con Kakashi era sempre così; sembrava così forte che la maggior parte delle persone pensava che poteva farcela da solo, e seguivano il suo sguardo duro che sembrava scacciare chiunque. Ma lui sapeva che non voleva davvero essere lasciato solo. Anzi, forse ricercava il contrario.
Il moro morse leggermente la spalla dell’altro, fermando le proprie lacrime.
“Auch…”
“Ti odio”
Kakashi sospirò. Raccolse le sue ultime forze e, prima di addormentarsi, alzò leggermente il mento di quell’imbecille che si ritrovava sempre e comunque fra le braccia, e gli baciò le labbra, ad occhi aperti, godendosi la speciale sfumatura di rosso che avvolse le guancie del ragazzo. Poi tossicchiò d’ironia e si lasciò andare.
Fuori la pioggia batteva contro i vetri, e il vento spirava, ma c’era il corpo caldo di Tenzo seduto accanto a lui, e sentiva quella leggera pressione sul materasso che gli diceva che qualcun altro era sul letto, e mentre dormiva, la sua voce gli raccontava le più irrilevanti vicende della sua giornata.
Fu per questo che quella notte i fantasmi non vennero a fargli visita.
Fu per questo che dormì un sonno caldo ed avvolgente, fu per questo che pensò d’amarlo.
 






 
   
 
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