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Autore: MelodramaticFool_    14/12/2012    2 recensioni
Una ragazza, alla ricerca della verità sul padre che non hai mai conosciuto, si ritrova catapultata in un'avventura, dove il pericolo è sempre dietro l'angolo, e dove il passato uccide, macchiando di sangue persino la sua stessa coscienza.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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All'uscita dall'aeroporto l'aria soffocante di New York mi colpì in pieno petto.
Il volo era durato più di dieci ore, ed era stato molto stressante per me, visto che non ero abituata a viaggi tanto lunghi.
In aereo avevo dormito quasi tutto il tempo. Avevo passato l'intera nottata a riflettere sull'entrata in scena di Conan, sulla morte di mia madre e sull'avventura in cui mi ero appena imbarcata.
Nelle ore di veglia, Conan mi aveva chiesto varie cose sulla mia vita.
-Sai che dopo questo viaggio probabilmente non vedrai più i tuoi amici, vero?-
-Lo immagino- dissi sospirando -Ma di amici non ne ho molti, in Italia. Nessuno si accorgerà della mia scomparsa.-
Io, dal canto mio, cercai di togliermi qualche piccola curiosità che mi era sorta nei miei trip mentali notturni.
-Come fai a parlare così bene l'italiano, se sei americano?-
-Sono figlio di un'inglese e di una svizzera, conosco italiano e inglese da quando sono nato. E, se vuoi lavorare per l'Interpol, qualche lingua la devi conoscere. Tu parli bene inglese, devo dire.- dopo una breve pausa di silenzio, aggiunse -Anche Zaroga se la cava bene con le lingue. Mi chiedo quali altre abilità tu abbia ereditato da lui. Hai mai sparato in vita tua?-
La domanda mi colse un po' di sorpresa.
-Non ho mai impugnato un'arma in vita mia.-
-Mi auguro che tu non abbia mai la necessità di farlo.-
 
Usciti dalla porta principale dell'aeroporto, Conan allungò gli occhi alla ricerca di qualcosa. 
Quel qualcosa era parcheggiato a pochi metri da noi. 
Si diresse verso il camioncino bianco con rapidità, io che lo seguivo, lo zaino in spalla e la testa piena di domande. 
Senza una parola, aprì la portiera ed entrò con decisione. 
Il mio ingresso fù accolto da mormorii indistinti e sorrisi a trentadue denti.
-Loro sono i miei collaboratori, Marina.- mi spiegò. Poi disse, rivolto all'autista del veicolo, -Doc, vai.- 
All'esterno il camioncino aveva un'aspetto comune, normale. Ma all'interno era un tutt'uno di monitor, pulsanti, cavi e lucine.
Due donne erano sedute sui sedili sistemati alla bell'e meglio lungo i lati.
Si presentarono rapidamente.
Jennifer Locchi, la più giovane, era un'agente operativo della Narcotici di New York. Bionda e di bassa statura, si era interessata alla "missione" di Conan dopo essersi imbattuta più volte nell'organizzazione di Zaroga. Adesso si divideva tra il lavoro nel suo distretto e quello con i ragazzi.
L'altra, Linda Bucket, era un'ex profiler dell'FBI. Aveva due grandi occhi color nocciola, seri e profondi, che incorniciavano un viso da bambola di porcellana in netto contrasto con il suo carattere forte e deciso. Si era licenziata dal suo precedente impiego dopo alcuni conflitti di interessi con il suo capo, secondo lei troppo impegnato nella sua scalata verso il potere per interessarsi a cose banali come la moralità e i più semplici principi umani.
Doc Grabble, alla guida, era invece un hacker senza scrupoli dall'acceleratore facile, come diceva lui scherzando. Conan lo aveva scoperto mentre curiosava nel database centrale della polizia di New York, e, al posto di denunciarlo, lo aveva assunto come esperto di informatica. Se uno è capace di infiltrarsi in un server così ben protetto, chissà cos'altro è in grado di fare.
Una cosa che mi incuriosì fin dal primo momento era la differenza tra i vari personaggi che componevano quella piccola squadra. Doc e Jen erano allegri, facili alla chiacchera, mentre Lin e Conan erano molto più riflessivi, posati. Le qualità dell'uno equilibravano quello dell'altro.
 
Passammo un mese o poco più a girovagare per tutto il paese alla ricerca di informazioni.
Non ci fermavamo mai in un posto per più di cinque giorni, e dovevamo spesso ricorrere a vari travestimenti per evitare di farci riconoscere. Un giorno mi toccò persino travestirmi da puttana per raccogliere testimonianze di alcune ragazzine coinvolte nei traffici dell'organizzazione di mio padre.
Mio padre.
In quel periodo mi soffermai spesso su quelle due parole così ricche di significato.
Quella semplice espressione indicava un legame affettivo che io non avevo mai avuto l'occasione di assaporare.
Quante notti avevo perso, immaginando di poter un giorno definire qualcuno come Mio Padre.
Adesso, quelle due brevi parole per me non volevano dire nulla.
Mio padre era un maledetto bastardo.
Punto.
 
Dopo un paio di mesi divvene evidente che i ragazzi mi tenevano nascoste molte cose.
Lo capivo dal modo in cui si zittivano quando io entravo in una stanza durante una discussione.
Questo mi turbava moltissimo. Mi sembrava di aver dimostrato loro più e più volte di meritare fiducia.
Presi l'abitudine di frugare nei loro documenti e origliare le loro conversazioni.
Fu' così che scoprii dell'esistenza di Liam.
Una sera, Jen tornò da una lunga missione con una notizia bomba. In quei giorni ci trovavamo in un residence alle porte della cittadina di Erskine. I ragazzi si misero a parlare delle nuove informazioni appena acquisite. Io mi ero nascosta dietro una porta, nell'ombra, e ascoltavo, in silenzio.
-Ho scoperto dove si trova Liam.- esordì Jen.
-Dove?- chiese Conan senza troppi giri di parole.
-Vive in una villa a pochi chilometri da qua, a Ringhood, al 107 di Bear Mountain Road.- 
La notizia doveva essere grossa, a giudicare dai volti dei quattro.
-Dobbiamo dire a Marina di Liam.- asserì Linn.
-Non ne sono sicuro, sai?- disse invece Conan, in disaccordo.
-Ragazzi, è suo fratello. Non sarà una bella cosa spiegarglielo, ma, cavoli, non potremo tenerlo nascosto per sempre.- fece Doc, trovando conferma della sua opinione negli sguardi delle due ragazze. Solo Conan sembrava non essere del tutto convinto.
Mi rifugiai silenziosamente in camera ad assimilare quello che avevo appena scoperto. 
Avevo un fratello.
Liam.
Feci rotolare quel nome tra le labbra.
Liam.
Non mi concessi a lunghe riflessioni.
Avevo già deciso cosa fare.
Dovevo andare là, subito.
Presi lo zaino, una ventina di dollari e la giacca.
Alle due di notte ero fuori dal residence.
Passeggiai lungo la via, il braccio disteso e il pollice verso l'alto.
 
-Da qui in poi la storia mi è più o meno chiara.- mi interrompe Liam -Apparvi una notte davanti alla mia villa. Non sapevi che ero un maledetto farabutto, vero?- ridacchia -Non credevo nemmeno che fossi veramente una mia sorellastra, all'inizio. Poi notai la somiglianza con quella puttana di tua madre, e tutto mi fù più chiaro.-
-Mia madre non era una puttana.- dico gelida. 
La durezza del mio tono di voce lo fa sogghignare ancora di più.
-Comunque, mi stupisco ancora del modo in cui tu sia riuscita a sfuggirmi, durante quel nostro primo incontro. I tuoi amici sono coraggiosi.- Questo commento mi fa infuriare ancora di più. Quella notte Liam era quasi riuscito a farmi ammazzare, ma i ragazzi sono riusciti ad intervenire in tempo, salvandomi la pelle. Mi brucia ancora, a pensarci. Lui continua.
-Quello che non capisco è cosa ti abbia spinta ad andare nella vecchia casa di nostro padre.-
-Eravamo all'aeroporto, stavo per partire. All'imbarco, ho sentito i ragazzi che discutevano a proposito di una perquisizione della casa, programmata per dopo la mia partenza. Sono fuggita e ho raggiunto l'appartamento, e lì ho capito che Zaroga era morto. Ho preso la sua pistola da un cassetto della scrivania e..-
-Sei andata nel cimitero dove era stato sepolto.- conclude Liam -La lapide, per la cronaca, l'ho scelta io.-
-Molto interessante.-
-Nostro padre mi ha dato tutto: ho fatto tesoro dei suoi racconti, della sua esperienza. E' grazie a lui che la nostra società ha fondamenta così solide. Ho pianto, al suo funerale.-
Mi confida queste cose con un'orgoglio che mi fà letteralmente infuriare.
E' pazzo, penso, pazzo fino al midollo.
Pensare che questo ragazzo dallo sguardo folle ha ordinato l'assassinio di mia madre accende la miccia dentro di me.
Esplodo.
-Matteo Zaroga era un figlio di puttana. Non è nostro padre. E' tuo padre. E tu sei pazzo.- dico con coraggio estremo, gli occhi piantati in quelli del mio fratellastro. Vedo la rabbia montare dentro di lui.
Con un movimento rapido e deciso estraggo la pistola da sotto il cuscino.
Lui fa appena in tempo ad accorgersene.
Lo sparo risuona nella notte.
Un unico colpo, preciso, in mezzo alla fronte.
Semplice semplice, eppure complicato.




Nota dell'autrice:
Eccomi.
Spero di aver messo a tacere molti degli interrogativi che erano sorti nei precedenti capitoli.
E, sicuramente, ne ho accesi altri, uno, in particolare.
Il prossimo capitolo sarà quello finale, l'epilogo.
A presto,

MelodramaticFool_
 
  
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