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Autore: Ortensia_    14/12/2012    1 recensioni
Quattro differenti percorsi, e dieci gruppi destinati ad incontrarsi, a spezzarsi e perire, corrotti dall'odio che ogni anima riesce a far fiorire così rigoglioso nelle menti di ogni pedina.
Dopo Berkeley Square ed il Gioco, le Nazioni riusciranno finalmente a scoprire qualcosa sull'entità misteriosa e perversa che da mesi li perseguita?
Il dado è tratto.
[_Fra le storie più popolari dell'anno 2012/13 su Axis Powers Hetalia: più recensioni positive_]
Genere: Dark, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Axis Powers/Potenze dell'Asse, Danimarca, Nuovo personaggio, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Can you hear the World?'
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XVI – Affanni




«I dadi-»
Vladimir non poté che interrompere con un tono nervoso le lagne dell’ungherese, che ancora riempiva Roderich di domande, per assicurarsi che stesse bene.
«Romania! Non vedi che-»
«No, ha ragione. Dobbiamo sbrigarci.» fu l’austriaco ad interrompere immediatamente il litigio che, sicuramente, sarebbe scaturito di lì a qualche attimo.
L’ungherese gli rivolse un’occhiata confusa, poi sembrò convincerci a poco a poco, annuendo appena.
«Ok, allora tiriamo.»


«Aaalexej~?»
Il ceco alzò gli occhi al cielo, nel sentire per l’ennesima volta il fratello chiamarlo.
«Cosa c’è, Oliver?»
«Ho fame-»
Se il modo con cui l’aveva chiamato poteva sembrare piuttosto allegro, quello che aveva usato ora era molto più debole ed abbattuto.
«E mi annoio-»
«Mhn- anche io, che credi?
Però meglio annoiarsi che altro … ci è andata bene, visto che quella bigotta non ci ha trovati.»
Ovviamente si stava riferendo ad Esperanza, che forse, troppo distratta dalla sete di potere, troppo presa a massacrare Taiwan, si era completamente scordata di loro.
Avevano visto tutta la scena, e né lui, né Oliver, ne era sicuro, se la sarebbero più dimenticata.
Rimanendo seduto di fianco al fratello, il moro tese appena il viso, per osservare oltre lo strato di corteccia dell’albero cavo in cui si stavano riparando: pioveva ancora, e non accennava a smettere.
Presa una boccata d’aria afferrò la pistola, adagiata sul fogliame al suo fianco, e a fatica si sollevò, rivolgendo subito un’occhiata all’altro «se hai così fame, questa volta l’abbatti tu la preda, anche perché ti ricordo che le mie braccia sono ridotte a una merda.
V pořádku?»
Lo slovacco si morse il labbro inferiore, annuendo appena: dopotutto Alexej aveva ragione, e forse era meglio che evitasse gli sforzi, visto che l’ultima ferita era piuttosto recente.
«Mi accompagni, però?»
«Ovviamente. Altrimenti non sarei uscito dall’albero, no?» già inzuppato di pioggia e stufo di aspettare il biondo, ancora fermo, al riparo, non poté che farglielo notare con una frecciatina simile, e così, finalmente, lo slovacco si sollevò in piedi e lo raggiunse «S-sì! Andiamo! Scusa Alexej-!»


«Un’altra scatola.»
Avevano ormai superato da un po’ l’ottava casella, e finalmente erano giunti alla fine della nona, dove una terza scatola, ai piedi di un grosso cancello chiuso, li attendeva.
Questa volta il primo ad arrivare era stato il giapponese, ed era stato proprio colui che aveva flebilmente commentato la presenza della scatola: prima Italia, poi Germania. Ora toccava a lui, e ne era ben consapevole.
Dopo poco, il tedesco e l’italiano, si affiancarono a lui, ma fu soltanto Feliciano a parlare «v-vuoi che la apra io?»
Buffo tentativo da parte dell’italiano, che neppure per un momento riusciva a mantenere una voce ferma: molto probabilmente lo pensarono sia Ludwig che Kiku, che negò appena, chinandosi di fronte alla scatola.
Sollevato il coperchio, però, tutti e tre si sorpresero di non trovare armi, ma vedere un pezzo di carta.
«Was ist das?»
«Veh! Abbiamo vinto!»
«No.
Dice che possiamo cambiare percorso. Possiamo andare alla nostra destra, se vogliamo-» il giapponese rivolse un’occhiata confusa al tedesco, porgendogli il pezzetto di carta.
«Cosa proponete di fare?»
«Non so. Cambiare potrebbe essere avventato. Alla fine questo percorso sembra piuttosto tranquillo, no?»
«V-veh! Non voglio cambiare!
E … e se poi troviamo qualcosa di peggio?!»
Il tedesco scrutò solo per un attimo il viso già in lacrime di Feliciano, poi rivolse il proprio sguardo a Kiku, sperando di trovare una risposta meno patetica.
Lo vide annuire deciso, e nient’altro.
Nessuna lagna.
«Veh-! Vi prego!» … Nessuna supplica.
Il tedesco annuì appena, accartocciando il pezzo di carta nella mano «allora tiriamo i dadi e continuiamo su questo percorso.»

Non appena Feliciano si fu calmato, poterono tirare i dadi, ma i risultati furono piuttosto scadenti.
«Quindi avanzeremo di una sola casella?»
«Purtroppo sì.»
«Inizio a pensare che non arriveremo mai-»
Il giapponese fu sorpreso di sentir uscire quelle parole dalla bocca di Ludwig «Doitsu-san! Non può essere infinito-»
«Però non abbiamo ancora capito che cosa vuole da noi …»
Il giapponese fece per dire qualcosa, poi arrestò improvvisamente le proprie parole, rivolgendo un’occhiata intorno a loro, poi al tedesco «dov’è Italia?»
Anche Ludwig ispezionò l’ambiente circostante con gli occhi, e non appena notò l’italiano già oltre il cancello, preso chissà da quale strano spirito di avventura, non poté che urlargli un comando di arresto.
No. Non c’era neppure il tempo di essere pessimisti.


«Per lo meno siamo stati fortunati: la prossima volta avanzeremo di tre-»
«Sempre se ci sarà, una prossima volta-» il sibilo del rumeno succedette l’annotazione dell’ungherese.
Elisabeta seguì i suoi occhi, rivolti a quel piccolo laghetto freddo e profondo, e dovette riconoscergli mentalmente che, dopotutto, non aveva tutti i torti a dire così.
«Herr Österreich? Ce la fa? Con quel braccio …»
Roderich rimase in silenzio, e si limitò ad annuire appena.
Vladimir, intanto, si era già arreso all’evidente situazione: Roderich era ferito, anche se tutti, a quanto pare, parevano già aver dimenticato che anche lui aveva riportato ferite dalla colluttazione con Natalia, Elisabeta era una donna, anche se molte volte pareva più uomo di lui.
«Vado prima io, eh?»
«Ecco. Bravo.»
Evidentemente lo usavano come cavia: se si riduceva ad una scultura di ghiaccio, se ne sarebbero rimasti lì in attesa di chissà cosa, se riusciva ad arrivare al cancello, magari, ci avrebbero provato.
Il rumeno sbuffò infastidito, ricordando che proprio il freddo ed il ghiaccio erano stati ciò che lo avevano ucciso durante il Gioco.

«C-cosa stai facendo idiota?»
«Cosa c’è? Scusa tanto, non ci tengo a farmi un bagno gelido con gli unici vestiti che ho a disposizione.» il rumeno gli rivolse un’occhiata nervosa, ormai rimasto soltanto in biancheria intima di fronte al laghetto profondo; poi, senza dire altro, lanciò oltre il cancello il cappotto, la camicia ed i pantaloni.
Rabbrividì, per l’aria fredda che subito gli accarezzò la schiena nivea, ma non appena fece per immergersi nell’acqua dovette fermarsi.
«A-aspetta! Vado prima io!»
«Che fai idiota? Non è una gar-» non riuscì a completare la frase quando la vide sfilarsi il vestito proprio di fianco a lui, scoprendo i fianchi esili, le forme ben distribuite, e piuttosto abbondanti.
Vladimir deglutì a fatica, e senza neppure rendersene conto, lei aveva già provveduto a gettare il vestito al di là del cancello ed immergersi nell’acqua.
Era davvero più uomo di lui, a quanto pareva, ma la cosa che in quel momento sembrò ancor più sicura a Vladimir, era che fosse in pericolo.
«Che testa di cazzo! A-aspetta!»
Il classico: come farebbe un personaggio senza il proprio “miglior” nemico?
Entrambi si ritrovarono immersi nell’acqua scura fino al collo, e già i denti battevano rumorosamente «d-diciamo che è una gara … i-invece-»
Vladimir rispose solo con un cenno della testa: se l’ungherese aveva pronunciato quelle parole, era solo per darsi forza, per essere competitivi ancora una volta e quindi per dare il meglio di sé, determinati ad arrivare l’una prima dell’altro e viceversa. In questo modo quell’attraversamento nell’acqua gelida sarebbe risultato certamente meno faticoso e più breve.

Attraversato il cancello, con le ante spalancate immerse nell’acqua, raggiunsero la riva, e fu il rumeno, questa volta, a trovare per primo la forza di sollevarsi e tornare sulla terra ferma.
Non appena tese la mano all’ungherese, ricevette l’occhiata scontrosa di questa, evidentemente contraria ad accettare il suo aiuto.
Eppure la vide tremare ancora una volta, e poi sentì quella mano esile e fredda afferrare la sua.
«Stai bene-?»
«S-sì-»
«Asciugati-» il rumeno le porse il cappotto, per poi rivolgere un’occhiata rapida al di là del laghetto, dove ancora rimaneva l’austriaco.
«E … e tu?»
«Asciugati. Tu hai solo il vestito, io ho la camicia e i pantaloni.»
Elisabeta si asciugò rapidamente e lasciò una parte di cappotto asciutta, in modo che anche Vladimir potesse asciugarsi alla bene e meglio, ma in tutto quel tempo non scostò gli occhi dall’austriaco.

Roderich si era deciso.
Ungheria non era innamorata di lui, bensì affascinata dall’idea di esserlo, dall’idea di loro due insieme.
Ungheria aveva decisamente un debole per Romania, forse appena sbocciato, forse no, ma poco importava: il fatto che si fosse appena immersa prima di lui, in modo da testare prima l’acqua, e ciò che poteva dormire oltre la superficie, dimostrava alla perfezione la sua teoria.
Lui, dal canto suo, aveva sempre apprezzato Elisabeta, ma mai aveva provato altro se non l’affetto che un padre può provare verso una figlia.
Rimase a guardarli per qualche attimo, poi accennò un lieve sorriso, sicuro di fare la cosa giusta: meglio per lui, no? In futuro avrebbe evitato di sentire i suoi vicini strepitare come ogni santo giorno.
Levò la mano in alto, e fece un semplice cenno.

«Cosa?»
«Vuole che andiamo avanti senza di lui …»
Romania sembrò piuttosto sorpreso della decisione dell’austriaco, ma non ebbe tempo di razionalizzare, perché subito dovette trattenere la castana.
«A-Austria!»


Abel fece un rapido conto mentale: era la nona casella.
Avevano appena superato il cancello, e sicuramente, molto presto, oltre le fronte verde chiaro, avrebbero avvistato quello chiuso, con ai piedi una scatola contenente chissà quale arma.
Alzò lo sguardo, osservano le fronde degli alberi che si aprivano appena, lasciando spazio ad un cielo ricoperto di nuvole grigiastre: per fortuna aveva smesso di piovere, e solo qualche goccia d’acqua rimasta sulle foglie, ogni tanto, si abbatteva sulle loro teste, dando l’illusione che un’altro capriccio del tempo si stesse per scatenare.

Tutto troppo calmo.
L’olandese sentì il bisogno di arrestare improvvisamente i propri passi.


Il fogliame veniva scalciato quasi ansiosamente dagli anfibi della lussemburghese, il respiro si era fatto affannoso: doveva andare da lui, doveva trovare Abel, ora più che mai, prima che fosse proprio tardi.


Con ancora il braccio pulsante, lo spagnolo si stava dirigendo a passo rapido verso una meta imprecisa: eppure sentiva la vicinanza di qualcuno, sentiva la tensione accendersi nell’aria.


Come una scintilla.
L’olandese si voltò rapidamente, e sgranò gli occhi, non avendo tempo di fare altro.


Alice si arrestò di colpo.


Antonio quasi correva.


Esperanza teneva la pistola puntata contro Abel.
Esperanza teneva la sua vita appesa a un filo.
   
 
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