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Autore: CloAfrodite    15/12/2012    2 recensioni
è iniziato tutto con un sogno .. ed io che sono una romanticona, ho pensato bene di ricamarci su ^.^ La storia ha come protagonista una giovane donna alle prese con un principe .. il Principe Harry (si si, lo so, la gente normale sogna William, io sogno Harry) ! Spero vi piaccia!! Buona Lettura!
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over, Movieverse, OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Ritrovarci seduti insieme allo stesso tavolo era, come dire, strano. Come se fosse surreale, come se vivessi un sogno, ma non uno di quelli che vorresti  si realizzasse, piuttosto uno di quei sogni in cui già sai che finiranno.

Ordinammo due cioccolate calde. O meglio ordinò lui. Io ero ferma a guardarlo. No, forse il termine giusto è osservarlo. Era così cambiato.. i capelli più corti, ma sempre sbarazzini. Gli zigomi sempre rossi e gli occhi ancor più belli di come che ricordavo.

-A che pensi?- mi colse di sorpresa e non sapendo che dire, dissi la bugia più comune dell’essere umano.     
-Niente!-  presi la mia tazza fumante e l’avvicinai al viso. Lui mi guardava attentamente, poi appoggiò la tazza sul tavolo e si lasciò cadere sullo schienale della sedia. Sospirò abbassando lo sguardo. Era concentrato sul bordo del tavolo. Continuava a girarsi e rigirarsi tra le dita un pezzo di carta, e mentre faceva ciò, mi accorsi che dalla manica del maglione azzurro, spuntava un cordoncino abbastanza famigliare. Guardai più attentamente e dopo mezzo secondo riconobbi il bracciale che comprammo insieme da Roma. Era un semplice braccialetto delle bancarelle della domenica. Sottile e nero, decorato da una treccia rossa e bianca. Il mio era esattamente l’opposto: rosso con una treccia nera e bianca. Entrambi i braccialetti avevano un ciondolino nel mezzo: una barca.

Perché la prima volta in cui ci siamo incontrati era appunto su una barca: lui come militare, io come invitata. Diciamo che in un certo senso, lui mi ha salvata. Perché, grazie alla mia infinita goffataggine,  ero sul punto di un atterraggio immediato sul pavimento, ma lui fu abile a prendermi, e successivamente a  ridermi in faccia. Io ero rossa in volto e abbastanza irritata. Lui mi guardò e tra le risate disse:”Mi avevano avvertito che le italiane sono imbranate”. Arrabbiata gli risposi:”A me invece che i militari sono proprio stronzi”.

-Che università frequenti?- chiese all’improvviso, forse per rompere quel silenzio imbarazzante.                 
-Psicologia, al King’s College- finì la sua cioccolata. Io ero ancora a metà.                                                                 
-E come va?-                                                                                                                                                                                                
-Bhè, non è da molto che frequento, ma mi trovo abbastanza bene. Sono tutti gentili, più o meno-. Sorridemmo di gusto entrambi. –E a te come va?- chiesi, cercando di essere vaga.         -Non mi posso lamentare. Vorrei fare altro, ma purtroppo..- si interruppe, pensando forse alla sua famiglia. –Hai presente la frase, “ogniuno è artefice del proprio destino”?- feci cenno di si –Bhè, nel mio caso non vale- ridemmo insieme. Il mio telefono squillò. Uno squillo: messaggio. Due squilli: Sara. Più di due squilli:    -Scusa devo rispondere!- fece cenno con la mano, come se volesse dire “non ti preoccupare”. –    
“pronto?”                                                                                                                                                                                  
“Giorgia?”                                                                                                                                                                                 
“Si?”                                                                                                                                                                                                    
“Ma dove sei?”                                                                                                                                                                                      
“Scusi, ma chi è?”                                                                                                                                                                       
“Come chi sono? Rob? Quello che hai conosciuto a lezione di psicologia? Quello che ti ha aiutato a non perderti e a ritornare a casa sana e salva?”                                                           “Ahahahah! Scusa, non ho salvato il tuo numero. Mmm.. Perché mi hai chiamata?”                                 
“Come perché??? Hai presente la tua promessa: -non ti preoccupare ti aiuto io a studiare matematica, ci vediamo domani pomeriggio- ??”                                                                                 “O mio dio! Scusami! L’avevo proprio scordato!”                                                                                                          
“Ho notato!”                                                                                                                                                                             
“Sono tanto in ritardo?”                                                                                                                                                             
“Bhè, quasi un’ora. Non avrei tanto insistito di solito, ma l’esame di matematica è fra due giorni, e io sono proprio messo male.”    
“No, non ti preoccupare. Hai pienamente ragione. Se mi dai un quarto d’ora sono li da te, ok?”                 
“Ok, ci vediamo dopo. Ciao”.

Chiuse il telefono. Che nervi. Avrei voluto rimanere in quella caffetteria e parlare ancora con Henry.           
-Scusami, io ..-                                                                                                                                                                                                     
-.. devi andare.- completò lui la mia frase. – Non ti preoccupare.- disse sorridendo – Ora che sei a Londra sarà più facile incontrarci ancora.- sorride.

Uscimmo dal bar. Mi chiese se volevo un passaggio in macchina, ma gli spiegai che la mia casa era vicinissima appena dietro il parco. All’improvviso mi abbracciò e mi diede un bacio sulla guancia. Per quanto fosse  un gesto normale, arrossii violentemente.                                                           
                                            
-Ciao Giorgia.- disse e si allontanò. Io ero ancora ferma sul marciapiede.
Ad un certo punto si girò e mi disse: - la prossima volta stai attenta quando cammini, non vorrei che distruggi tutte le panchine di Londra!-
  
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