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Autore: AriiiC_    15/12/2012    10 recensioni
Finnick Odair aveva quattordici anni, un bel visetto e tanta paura.
Voleva solo tornare nel suo Distretto Quattro sano e salvo.
Non uccidere.
Finnick avrebbe voluto solo un altro giorno per giocare con Tess nella grande villa sul mare degli Odair. Avrebbe speso un po' del tempo per un'ultima nuotata o una notte sulla spiaggia. Avrebbe costruito una rete e portato a casa la cena come faceva di solito. Avrebbe solo voluto che uno di quegli armadi in prima fila gridasse "Mi offro volontario!", come ogni anno. Ma nessuno lo fece, e Finnick rimase in piedi su quel palco, calcolando quante probabilità avesse di tornare.
Poi, Finnick pianse.
Perchè Finnick era solo un bambino che aveva paura.
[Dal secondo capitolo]
Finnick non aveva scampo, non più.
Finnick aveva voglia di scappare, di correre.
Finnick aveva voglia di urlare al mondo che tutto ciò era ingiusto.
Finnick li voleva condannare.
Finnick voleva essere a casa; voleva morire per tornare vicino al mare in una cassa di legno sporca.
Ma Finnick non si mosse: semplicemente, tacque.
Assaporò ogni respiro preparandosi a quella che sarebbe potuta diventare la fine.
E che gli Hunger Games abbiano inizio, caro Finnick Odair.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Finnick Odair
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter seven:
Just a child.

 
 
 
 
 


 Delle risate lo svegliarono nel cuore della notte.
 Ascoltando meglio, sentì suppliche e lacrime. La voce implorante era indubbiamente femminile – riconoscibile dalle note fin troppo acute sulle vocali – e giovane. Troppo giovane. Sarebbe tranquillamente potuta appartenere a Tess. Così piccola, così ardente di voglia di vivere. Così pura, e innocente. Così spensierata ma colorata da un terrore che non dovrebbe esistere.
 Sentì risate fredde. Qualcuno – impossibile non capire chi – sussurrò: – Non preoccuparti: non sarò io ad ucciderti. –
 Un brivido percosse la schiena del quattordicenne. Chi, se non lui? Junior era l’assassino del gruppo, insieme ad Alliyah e Marylin. Ma, evidentemente, non parlava di loro, dato che stavano beatamente dormendo non troppo lontano dalla bocca della Cornucopia. Kae sedeva, impietrita e tremante col volto pallido, come se sapesse cosa stesse accadendo. Finnick sentì un vuoto all’altezza del petto. Perché era sveglia? Perché sembrava capire quello che il suo compagno stava facendo? Si conoscevano, certo, ma non era mai stata con lui quando aveva ammazzato un tributo. Perché cambiare. Mesto le si avvicinò, pronto a domandare. Ma i suoi occhi erano vuoti. Prima che chiedesse qualsiasi cosa, lei alzò un dito in direzione di un salice non troppo lontano. Il Rosso teneva per i capelli una bimba alta sì e no un metro e quaranta. Capelli neri come la pece legati in una coda alta. Occhi che si intravedevano da lontano nella notte, tanto erano verdi. Sembravano smeraldi incastonati nelle orbite di quel viso vitreo, fatto quasi in porcellana tanto era perfetto. Un urlo gli si fermò in gola, facendolo sentire come se stesse soffocando: Tess.
 
 – Finn, ti va di ballare? – chiese la piccola con occhi chiari e capelli scuri. Non aveva niente a che fare, il suo aspetto, con quello del fratello. Solo la bellezza quasi eterea della madre. L’aveva persa sposando un uomo come il marito, ma l’aveva lasciata in eredità ai suoi bimbi. Alla minore, in particolare. Tutti vedevano il ragazzo come quello perfetto, il più angelico. La sua era una bellezza virile, che non aveva niente a che fare con quella dell’undicenne. Era delicata, piccola, con le guance sempre rosse come se fosse emozionata. Non sapeva mai come definirla: alle volte avrebbe osato dire splendida, alle volte anche quello pareva riduttivo per lei. Theresa. Anche il suo nome era perfetto per una come lei. Theresa, colei che porta la buona stella. Ed è questo che era, lei: la sua piccola stella, che sorrideva sempre e non piangeva – quasi – mai, portando il sole quando tutto sembrava in balia della tempesta.
 
 Si lanciò contro il diciottenne, come in preda ad un lapsus.
  – Lascia mia sorella! –urlò. – Tessie, Tessie, arrivo! – e corse. Veloce, addosso alle sue spalle. La gracile figura che teneva in pugno cadde a terra sbattendo la testa mentre il ragazzino menava pugni a destra e a manca senza neppure sapere cosa stesse colpendo.
  –Che diamine stai facendo? –chiese l’altro, prima di imprecare in modo un po’ troppo colorito. L’albina li guardava stupita e addolorata. Sapeva che fine avrebbe fatto quella tributa tanto piccola e indifesa. Immaginava che idea avrebbe avuto il suo compagno, ma non osava definirla più che un’ipotesi non concreta. Il Figlio del Mare si prese un colpo dritto sul setto nasale prima di finire di nuovo steso sul prato, con le verdi foglie piangenti che stavano sopra il suo viso.
 
  – Amore, se tu vuoi, io voglio. – diceva il fratello più grande di due anni a quella che era la sua piccola protetta o il suo angelo custode.
 E le sue mani cinsero i suoi fianchi, iniziando a vorticare insieme. Come un valzer, guardando il suo viso sorridente. Theresa, l’unica per cui valeva la pena di vivere. Tess, come la chiamava lui. Le piaceva quell’appellativo. Era un qualcosa di solo loro, intimo, come un rifugio sicuro. Un posto in cui rifugiarsi quando il mondo era buio e spento e voleva far loro del male. Una piccola caverna fatata in cui nessuno li avrebbe raggiunti mai.
 E lei rideva forte, a bocca aperta. Rideva sentendo la presa forte del ragazzo che non la voleva lasciar andare.
   – Tess, stai bene davvero? – chiese allora, con un pizzico di allegria di troppo nella voce. Non era la ragazza che amava ballare. Poi, era il giorno prima della sua prima mietitura, e non sarebbe dovuta essere così spensierata. Ma anche lui, in cuor suo, lo era. Nel Distretto 4 c’erano sempre volontari, ogni anno. Quello non avrebbe certo fatto eccezione.
 
 – Odair, che cazzo hai intenzione di fare? –domandò ancora.
 –Non toccare mia sorella… –  sibilò lui allora .
 – Tua sorella? –gli rise in faccia. – Che hai al posto del cervello? Lei non è tua sorella. Deve morire, se vuoi rivederla. – aggiunse.
 Il ragazzo restò allibito osservando la piccola ancora per terra. Portava una calzamaglia in stoffa sintetica esattamente identica alla sua, con mani e piedi palmati. Era bagnata come un pulcino, e il sangue sgorgava da una ferita che aveva sulla fronte - forse se l’era causata sbattendo. Non portava la frangetta come Tess, ma aveva quella stessa aria da principessina in viso. Finnick sbatté le palpebre un paio di volte, confrontando l’immagine che aveva davanti con il volto che ricordava. Theresa Odair non era mai salita sul palco alla sua prima mietitura, non era stata con lui nel Centro d’Addestramento o sul carro della sfilata. Non aveva preso un voto alle Sessioni Private. Non s’era mai bagnata nell’acqua di quel lago di  sangue.
 Stessi occhi verdi paragonabili a smeraldi incastonati nelle orbite, stessa chioma scura come il cielo in piena notte. Ma diversa sorte. Lei, sicuramente, sarebbe morta giovane. Non avrebbe mai permesso che lo stesso accadesse alla sorellina.
 Alliyah e Marylin avevano raggiunto i due ragazzi, nella speranza che uno di loro morisse senza il bisogno che fossero loro ad ucciderlo. E, invece, trovarono semplicemente Junior che metteva in mano al quattordicenne un pugnale dalla punta acuminata. Tirò un calcio alla dodicenne stesa per terra facendola sussultare, e disse: - Avanti. Ammazzala o io ammazzo te. –
 E il mondo gli cadde addosso.
 
 - Certo, perché non dovrei? – rispose la piccola con l’abito da regina.
 In effetti, era un po’ quello che tutte le sue coetanee sognavano: il principe che le andava a prendere, le portava al ballo e giurava loro amore eterno fino a che la morte non li avrebbe separati.
 - Oh, non lo so. – ribatté. – Forse, semplicemente, sei troppo allegra per stare bene. –
 
 - Io non sono allegra, Finnick. –rispose una voce che non era quella della sorellina. Nella sua mente, tutto era confuso.
 - Sì, lo sei. – sussurrò risoluto, con l’orrore dipinto nell’espressione.
 - No, Finnick. Mi stai uccidendo. Non posso essere allegra. –
 - Tessie… sai che non potrei mai farti male, vero? –
 - Finnick, svegliati, io non sono Tess. –
 Tutto vorticava rapido nella sua mente.
 Piano s’avvicinò a quel corpicino che lo guardava sconfortato.
 
 - Non puoi uccidermi, ragazzo: lo so.– sembrava dire. – Ti ricordo troppo Tessa. –
 
 Ma non poteva conoscerla: non avevano avuto occasione di contatto. Erano due universi paralleli, costretti a inseguirsi per sempre senza riuscire a raggiungersi.
 - E’ strano, -pensò Finn – come il destino a volte cucia addosso a innocenti così simili destini così differenti. –
 
 Kae s’avvicinò piano e gli toccò una spalla.
 Non si capiva se stesse cercando di incutergli timore, incoraggiarlo ad ucciderla o a non farlo oppure dirgli che, qualsiasi cosa farebbe, lei sarebbe con lui. Mise le labbra accanto al suo orecchio e le mosse in modo quasi impercettibile: - Se non vuoi, non sei obbligato. –
 - Invece sì che lo è! –sbraitò il Rosso facendosi sempre più rapido nell’andare verso di loro. – E’ un debole, così come lo sei anche tu! Pensi che non vi abbia visto, quando vi siete nascosti nella Cornucopia? Ora è il suo turno, ma sta pur certa che arriverà anche il tuo! – fu la rabbia a farlo urlare. Non avrebbe voluto essere così cruento con lei, ma era obbligato. Il fine giustifica il mezzo., e anche sta volta sarebbe stato così. Un leader non può far crepare la sua armatura, neppure quando in ballo c’è una ragazza. O una morte. O un dolore passato che non dovrebbe mai tornare a galla ma si ripresenta sempre, puntuale come la notte. Distretto 6 – lo sapeva dal numero sulla divisa – gli ricordava maledettamente Sam. E lui non la avrebbe mai uccisa. Era un test per il ragazzo del 4, e un modo per non vedersi costretto a farla fuori.
 - Avanti, Odair, -lo sfidò. – è solo una bambina.
 E l’ultima parola colpì entrambi. Anche se affondò solo chi l’aveva pronunciata.
 Voleva fargli male, certo, ma non pensava che avrebbe avuto un effetto ancora peggiore su di sé. Chi sa se i favoriti che avevano pugnalato Sam l’avevano presa come una sfida, come stava facendo lui. Si sentì colpevole, per la seconda volta in tutta la sua vita. Non riuscì a crederci, ma tutto si scatenò in un solo attimo. Il ragazzo prese il coltello e si avvicinò alla piccola che era come pietrificata. Kae urlò forte, e piante correndo verso Finnick. Ma Junior le cinse la vita con le braccia tenendola lontana da tutto ciò. Alliyah e Mar guardavano tutto con ammirazione. Sapevano che quella non era la loro battaglia: inutile combattere.
 Il Figlio del Mare si avvicinò a quello scricciolo che lo guardava terrorizzato. Sentiva di dover dire qualcosa, ma non sapeva cosa. Nei suoi occhi, vedeva Tess. Le sue labbra, erano perfettamente identiche a quelle di Tess. Inoltre, i suoi capelli lisci avevano le punte leggermente arricciate all’insù esattamente come i suoi. Ma lei non era Tessa, non poteva. Si costrinse a non pensarci, ma il ricordo affiorava sempre, come una persona che cerca di annegare ma non si dà per vinta e continua a salire a galla per prendere un po’ d’aria. E lui la tenne giù, affogò il ricordo di sua sorella morendo con lui. Stava vendendo la sua integrità. Stava uccidendo ciò che era. Sentì il dovere morale di capire che lei non era Theresa. Non poteva essere Theresa.
 Quando era ormai chino su di lei, chiese piano: - Come ti chiami? –
  Tra le lacrime, sentì solo una parola affiorare: - Calypso. –
 Calypso, non Tess.
 Sembrò incredibile, ma con quell’unica parola biascicata in mezzo al pianto si accorse che non era lei, che sua sorella non sarebbe morta con quella bimba che tanto le somigliava. Che il suo terrore sarebbe sparito, che sarebbe morta comunque e, l’unica cosa che poteva fare per aiutarla, era risparmiarle l’agonia che avrebbe usato qualcun altro.
 Non la conosceva, certo, ma sentì il bisogno di aggiungere qualcosa: - Calypso, è un bel nome, sai? – annuì rapida, come se pensava che stesse prendendo in considerazione l’ipotesi di risparmiarla. Ma lui era un favorito, non poteva farsi colpire così facilmente. – Bèh, Calypso, mi dispiace. Mi spiace davvero. Tieni un posto all’inferno per me, Okay? –
 Detto ciò, il coltello si conficcò nel petto della ragazzina. Uscì solo un rivolo di sangue, mentre l’espressione dei suoi occhi era indecifrabile: lui la vide trarre l’ultimo respiro, abbandonare la vita mentre tutto le scivolava tra le mani. Aveva una famiglia, qualcuno lo stava maledicendo per non aver avuto pietà. Le sue dita si strinsero attorno al braccio di Finnick, mentre lui si costrinse a non pensarle. Scrollò il polso, e s’allontanò.
 Kae lo guardò attonita.
 Junior pareva non poterci credere.
 Marylin e Alliy erano sinceramente colpite.
 - Avanti, Odair, è solo una bambina. –
 Ma il Finnick Odair che era esistito fino a quel momento, era morto con lei.
















 My (little) spacee:
 Se vi chiedete il perchè del mio aggiornamento lampo, è perchè avevo il capitolo in ballo già da un po'.
 Queen, ti ricordi che t'avevo detto che avresti odiato Junior?
 Bèh, ecco il perchè.
 Ma io continuo ad amarlo :3
 Nel prossimo capitolo ci sarà un altro evento sconvolgente, ma non dirò cosa ùù
 Bèh, presto paherò tutti i miei debiti con voi, lo giuro!
 Un bascio♥
 Ariii, Jared, Shannon, Tomo e Marshall♥




 ps. cosa vi piacerebbe leggere in un capitolo che uscisse dall'arena? Datemi i vostri pareri :3
  
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