Tre
If the Russians love their children too
Se anche i Russi amano i loro
bambini
We
share the same biology
Regardless
of ideology
Believe
me when I say to you
I
hope the Russians love their children too
Noi condividiamo la stessa biologia
Indipendentemente dall’ideologia
Credimi quando ti dico
Spero
che anche i Russi amino i loro bambini
(Russians, Sting)
Carcere di Novosibirsk,
4 Settembre 2012
Sof’ja Igorevna
Gončarova, in famiglia Sonja o Sonjetshka, aveva tredici anni e
frequentava il penultimo anno della Scuola Secondaria Inferiore del Ginnasio
Emel’jan Pugačëv.
Era una bella ragazzina,
dall’aria incredibilmente dolce, nonostante la grande povertà.
Quel giorno indossava un
paio di jeans blu chiaro, una camicia azzurra a maniche lunghe che si fermava
appena sopra il ginocchio e un coprispalle di cotone bianco annodatole al volo
da Nikolaj prima di uscire.
Lei non si rendeva mai conto di quanto freddo
facesse, era come Lev.
Aveva infilato di fretta
gli stivali neri, quelli ancora buoni, con la suola un po’ consumata ma non
ancora sfondata, e aveva sciolto la treccia liberando i folti capelli biondi
lungo tutta la schiena, oltre la vita.
Lev l’ultima volta che
l’aveva vista l’aveva definita “carina da morire”, e Sonja aveva sorriso per
tutta la giornata.
Non aveva una cotta per
Lev, come molti avrebbero potuto pensare.
Lev era bello, ma era
troppo una testa calda per lei.
Però al suo parere ci teneva
maledettamente.
Probabilmente era solo il
suo migliore amico.
Una sorta di
padre-fratello adottivo che al contrario di Kolja non l’avrebbe mai costretta a
indossare anche il coprispalle.
In fondo c’erano solo tredici gradi e mezzo.
Fu lei la prima a vederlo.
-Levočka!- gridò, con
la voce tremante d’emozione.
Sotto lo sguardo glaciale
dei due poliziotti che l’avevano accompagnato fuori dalla sua cella, Lev alzò
gli occhi, che s’illuminarono all’istante, e corse ad abbracciarla.
-Sonjetshka! Nikolen’ka! Papà...-
Fëdor guardò la sigaretta
accesa che stringeva ancora tra le dita e gliela tese, con un sorriso.
-Vuoi?-
Lev ricambiò il sorriso e
annuì.
-Grazie, papà-
E non si riferiva solo alla sigaretta.
-Voglio lavorare alla bancarella della mamma. È un lavoro onesto, no?
Voglio vendere castagne davanti al Ginnasio. Come faceva lei-
Lev aveva un’aria sognante
e uno sguardo scintillante che ricordava terribilmente Anastasija, e Sof’ja lo
guardava incantata.
-Davvero?-
-Devo solo ottenere la
licenza per la bancarella... Ma me la
daranno.
Volevano che mi trovassi
un lavoro onesto... E io l’ho trovato-
Lev ormai era maggiorenne
da ben tre anni, e non potevano impedirgli di vivere con suo padre, poiché
questo era il desiderio che aveva manifestato.
Un sovversivo politico e terrorista
ex carcerato che finiva a vendere castagne davanti al Ginnasio.
Una soluzione forse da
film, ma in cui lui credeva tanto.
E quando credeva in
qualcosa era straordinario, Lev, perché non lasciava mai andare quella
speranza, quel dolce bagliore illusorio che gli s’era annidato nel cuore.
Era coraggioso, Lev, di un
coraggio di strada un po’ ammirevole un po’ incosciente.
Avrebbe avuto la sua bancarella di castagne,
avrebbe avuto ancora un sogno da sentir bruciare tra le dita, avrebbe avuto ancora
tanto.
Carcere di Novosibirsk,
4 Settembre 2006
There’s
no time to lose, I heard her say
Catch
your dreams before they slip away
Still I’m gonna miss you
Non c’è tempo da perdere, l’ho
sentita dire
Afferra i tuoi sogni prima che
scivolino via
Mi
manchi sempre
(Ruby
Tuesday, The Rolling Stones)
Le mani, quella stretta
tanto sospirata.
Le mani ghiacciate di
Anastasija e quelle tiepide del sole immaginario di fuori di Lev.
Malinconia sciolta negli
occhi, mancava davvero troppo tempo.
Altri quindici anni.
Ma Anastasija non si
pentiva e Lev la capiva.
Quando sarebbe uscita,
però, avrebbe avuto quarantacinque anni e Lev trenta.
Quel giorno ne avevano
trenta e quindici.
Quel giorno...
Qualcosa doveva cambiare.
-Ti voglio bene...- sussurrò Nasten'ka, con voce tremante.
-Sarebbe stato fantastico
crescere un figlio come te. Poterti
crescere davvero.
Ma anche Fëdor è
fantastico. Ci pensa lui a te-
Ed era vero.
Nonostante le quotidiane
crisi epilettiche, la vodka e le mille sigarette.
Casa loro era un disastro
e uno squarcio di sconvolgente nostalgia.
Le bottiglie vuote e i
mozziconi sul pavimento, le foto di Anastasija e Fëdor sulle pareti.
Delitto e Castigo sempre aperto sul comodino di Fëdor, i compiti di
russo fatti a mezzanotte con la luce fioca della lampada della scrivania di
Lev.
I ricordi, i racconti.
Anastasija...
Che coraggio, e che dolore.
-Tra quindici anni...
Tu sarai così grande,
eppure solo allora avrai dei veri genitori.
Ti voglio bene,
Levočka. Da morire, da morire! Ti prego, aspettami ancora-
-Mamma...-
Le lacrime agli occhi.
-L'orario delle visite è finito-
-Non è possibile, mamma...
Oggi è il tuo compleanno, compi trent'anni, ed io...
Come può essere già finito
il tempo?
Mai nessuna eccezione, mai
nessuna Giustizia, e alla nostra non ci crede nessuno.
Va bene, sei un'assassina.
Ma sei mia madre, e io ti aspetterò.
Ti voglio bene anch'io. Da
morire, anch'io. Buon compleanno, a presto.
Tu sei così forte, mamma-
Poi, la notizia.
Putin a Novosibirsk,
proprio quel giorno.
Era venuto a fare un
discorso nella
Центральная
Площадь (Tsentral’naya Ploščad’, Piazza Centrale), in seguito alle
varie manifestazioni contro di lui che si erano tenute negli ultimi mesi nella
Capitale della Siberia.
La speranza negli occhi di
Fëdor, la manifestazione.
La vendetta, la rivincita.
La pistola di suo padre
nelle mani di Lev, quindicenne distrutto dall'assenza forzata di sua madre,
eppure ancora così ardente d'ideali, di coraggio, di speranze di riaverla prima
di quei restanti quindici anni che ancora dovevano passare.
Chissà cosa si aspettava,
poi.
Se avesse ucciso Putin,
cosa sarebbe cambiato?
Ce n’erano tanti, in
Russia, di uomini come lui e anche peggio di lui pronti a prendere il suo posto
al governo.
Ma Lev...
No, non ci pensava.
Pensava a sua madre, ad
Anastasija ch'era stata sbattuta in galera alla sua età, a quel governo tanto
ingiusto e al suo dolore da placare.
A suo padre, alle crisi
epilettiche, alla pazzia.
Era colpa di Putin, era
colpa del governo.
Suo padre era una persona
meravigliosa.
Suo padre...
Un cuore così grande, una
follia così violenta.
La Russia doveva cambiare, e doveva cambiarla lui,
per i suoi genitori.
Lev aveva pensato, in
realtà, anche a un'altra persona.
Una persona che non
l'avrebbe mai perdonato, ma se avesse dovuto scegliere...
E doveva...
Avrebbe scelto sempre sua
madre, e l'illusione.
Aveva scelto.
Corri, corri, che fai?
Corri, uomo, lo sai che puoi star da
solo
Corri via da lei
Dai pensieri tuoi
Forza, forza, che fai?
Ma non dirmi che vuoi rinunciare al
cielo
Di una certa lei
Cosa te ne fai?
Ma se ripenso a certe sere
Mi vien la voglia di fuggire...
(Ci fosse lei, Claudio Baglioni)
Era corso nella
Центральная
Площадь con la pistola, il cuore in gola e gli occhi scintillanti.
Era corso nella Центральная
Площадь per fare giustizia e per riavere sua madre.
Non lo sapeva ancora, lui.
Non lo sapeva ancora, che non sarebbe servito a niente.
-Lev!-
L'urlo di suo padre.
L'ultimo sguardo.
La folla nel panico, suo padre e l'epilessia.
Ma stavolta era stata colpa sua.
Colpa di Lev, suo figlio.
Colpa di Lev, che s'era
giocato il futuro.
Che se l'era bruciato davvero, il futuro.
Buon compleanno, mamma, e perdonami.
E tu, papà...
Papà...
Ti ho rubato la pistola e ti ho spezzato il cuore.
Papà...
Non piangere per me.
Ti giuro che tornerò presto a casa.
Ti giuro che guarirai.
Ti giuro che andrà tutto bene anche per noi, un
giorno.
Forse non potremo mai cambiare la Russia...
Cambiarla davvero...
Ma possiamo ancora essere felici.
Sono solo un pazzo terrorista senza futuro, è così?
Sono solo uno stupido ragazzino che credeva di
avere in mano il mondo.
Almeno il mio mondo.
Non lo so se riuscirò a cambiare.
Я не знаю
(Ya ne znaju, io non lo so), ma non ho paura.
Noi possiamo farcela, papà.
Possiamo farcela anche stavolta.
Dite a mia madre che non tornerò
(Sally, Fabrizio De André)
Aljona si scostò una
ciocca di capelli biondissimi dal viso, con il cuore che le batteva forte.
Cosa stava succedendo?
Cosa sarebbe successo?
Poi sentì lo sparo, e
spalancò i lucenti occhioni turchesi.
-Quel ragazzo è un eroe?- chiese a sua madre, Lyudmila Vasil’evna
Zanevs’ka-Dostoevskaja, allegra ventottenne ucraina dai lunghi capelli neri e
ondulati raccolti in una coda alta, gli occhi incredibilmente azzurri come
quelli delle figlie e il fisico slanciato.
Lyuda sorrise, guardando
il ragazzino biondo che aveva sparato al Presidente a metà tra lo stupore, la
curiosità e l’ammirazione.
-Forse sì-
Ekaterina sgranò gli
occhi, alla domanda inopportuna della sorella e soprattutto alla risposta della
madre.
-Smettila, Aljonka. Smettila. E tu, mamma, perché le dai
retta?
Quel ragazzo ha cercato di
uccidere un uomo. Come può essere un eroe?-
Aljona scrollò le spalle.
-A me lui sta simpatico. Putin no-
Ekaterina si morse le
labbra, quando Lev Fëdorovič Puškin le passò accanto.
Lo sguardo gli scivolò
sulle manette che gli stringevano i polsi, sull’ardore e la sfida che gli
lampeggiavano negli occhi e con cui fronteggiava i poliziotti che lo stavano
portando via.
Una parola, un nome morì
sulle labbra del giovane criminale.
Solo per un istante il suo
sguardo cambiò, sembrò più dolce e più triste, meno maledettamente sicuro e fiero del suo tentato omicidio, ma
Ekaterina non lo stava già più guardando, o
forse non gli credette.
Мне жаль,
не могу.
Mne žal’, ne mogù.
Mi dispiace, non posso.
Adesso basta, Lev.
Немного
жаль моей
любви
Немного
жаль твоей
надежды
Немного
жаль что
потеряли
Друг
друга мы в
последний
раз
Nemnogo žal’ moyey lyubvi
Nemnogo žal’ tvoyey nadeždy
Nemnogo žal’ čto poteryali
Drug druga my
v posledniy raz
È un po’ un peccato per il mio amore
È un po’ un peccato per la tua
speranza
È un po’ un peccato che abbiamo perso
Ogni altra ultima volta
(Немного
Жаль, Филипп
Киркоров
Nemnogo Žal’, È un po’ un peccato,
Philipp Kirkorov)
Tu lo sai perché l’ho fatto?
Lo sai?
E allora non guardarmi così, Katja.
Non distogliere lo sguardo, non voltarti.
Senza rancore, Katja.
Lo sapevi che un giorno l’avrei fatto.
Lo sapevi.
Lo capisci che non mi pentirò?
Lo capisci che lo rifarei?
Lo capisci che dovevo?
Sei stata coraggiosa a sorridermi, quel giorno.
Sei stata coraggiosa a stringermi la mano.
Cosa c’è, Katja?
Non vuoi più?
Sei stata coraggiosa fino ad oggi...
Però in fondo non è colpa tua.
Tu mi volevi bene davvero.
Scusa se ti
chiedo scusa
Se non sono lo stesso
Come quei
giorni che amavo i sogni tuoi
Tu però te
lo ricordi
Te l'avevo detto
Com’eri
bella quella sera nel mio cuore
L'ultima sera che finisce il primo amore
Forse
tutta la mia mente è diventata sabbia
Eravamo noi, ricordi, quelli della rabbia
(Algeri,
Roberto Vecchioni)
Note
If the Russians love their
children too - Se anche i Russi amano i loro bambini: Russians, Sting.
Riferito a Lev, Anastasija
e Fëdor ;)
Inizio col dire che non è
assolutamente vero che il 4 Settembre 2006 Putin è andato a Novosibirsk, ce
l’ho mandato io a forza per la storia ;)
Questo è un capitolo molto
importante, perché cominciamo a conoscere le sorelle Dostoevskij, Aljona ed
Ekaterina, Aljonka e Katja.
In una situazione un po’
particolare, il giorno dell’attentato di Lev, quando Aljona ha nove anni ed
Ekaterina tredici.
Per quanto riguarda Katja
e Lev...
La loro storia è un po’
complicata, ma non fatevi troppe fantasie.
Non erano fidanzati, non
esattamente.
Ekaterina... La dovete
conoscere, è impossibile descriverla qui nelle note.
E la conoscerete presto ;)
Mentre Aljona...
Beh, Aljona qui era ancora
molto piccola, ma non è che sia cambiata poi molto, con gli anni.
Nel prossimo capitolo,
finalmente, la vedremo nel 2012 ;)
Quanto alla bancarella di
castagne di Lev... Ecco, anche questa sarà molto importante per la storia, poi
capirete perché ;)
A presto!
Marty