Due
Sarà che giorno
dopo giorno avrò sognato troppo a lungo
Ho sognato una strada
Che si ferma su un ponte
E che di là da un muro alto
Corre l'orizzonte
Mi ci vorrebbe una scala
Mi ci vorrebbe una luce
Mi ci vorrebbe il coraggio
Di dare una voce
(Ho sognato una strada, Ivano
Fossati)
Anastasija, prima di
essere arrestata, vendeva castagne.
Aveva una bancarella
proprio davanti al Ginnasio Emel'jan Pugačëv, e vendeva cartocci al volo
agli studenti di fretta per evitare la bufera di neve.
Era buffa, Anastasija, con
quei lunghissimi capelli biondi che per il vento le andavano dappertutto e
cercava sempre di tenere a posto con mille forcine che si teneva perfino strette
tra i denti, nei momenti di più acuta disperazione.
Lei non cercava di evitare
la bufera di neve.
La aspettava, semmai,
seppur sapesse bene che quella furia di vento e neve le avrebbe spettinato i
capelli ancora di più.
Fëdor a volte smetteva di
scrivere le memorie di suo padre e si affacciava alla finestra con una
sigaretta tra le labbra e gli occhi in cerca di lei.
Gli strappava sempre un
sorriso, la sua Anastasija, con quegli occhi azzurri vivaci e luminosi da
ragazzina innamorata, limpidi di sogni e promesse, i cartocci di castagne
stretti al petto, i lunghi capelli d'oro al vento e le forcine tra i denti.
Poi, durante quella
manifestazione aveva perso la testa.
Non l'avrebbero ascoltata,
il governo russo non sarebbe mai cambiato, volevano zittirla a prescindere,
quei bastardi, e per la grande rabbia che le era bruciata nel cuore in quel momento
aveva preso la pistola di Fëdor e aveva sparato al poliziotto che dirigeva la
repressione dei manifestanti.
Fëdor aveva sgranato gli
occhi, Fëdor non ci credeva.
-Nasten'ka...- aveva mormorato, flebile, con una voce strozzata che per Anastasija
era stata una fitta al cuore, la prima presa di coscienza del terribile errore
che aveva fatto.
Fëdor non l'aveva superata
facilmente, la condanna a trent'anni di carcere di sua moglie.
Si era ritrovato a sedici
anni con la fede al dito e un bambino di pochi mesi, e sebbene ne fosse sempre
andato assolutamente fiero, quel giorno gli era crollato addosso anche il
cielo.
Era stato arrestato anche
lui, ma la prigione non era bastata.
I suoi erano autentici
deliri, crisi di pianto e scoppi di violenza inaudita.
Aveva pestato a sangue e
tentato di strangolare il suo compagno di cella, e la notte gridava il nome di
Anastasija tra le lacrime e batteva la testa contro il muro fino a perdere i
sensi.
Aveva avuto i primi
attacchi epilettici, violentissimi.
Problemi mentali Fëdor ne
aveva avuti sempre, fin dall'infanzia, ma mai così gravi.
Gli avevano mandato tanti
di quegli psichiatri, e alla fine la soluzione era stata una sola.
Sebbene fosse così
giovane, il Manicomio Criminale.
Ma Lev non erano riusciti
a strapparlo ai Rostov, i servizi sociali.
I genitori di Anastasija e Aleksandr Puškin, il padre di Fëdor, che all'epoca aveva quarantanove anni,
l'avevano impedito.
Adesso aveva trentasette
anni e stava molto meglio.
Ad Anastasija mancavano
solo nove anni -e non erano pochi, affatto, ma ne erano già passati ventuno-, e
Lev, quel figlio che aveva intrapreso la loro stessa strada con fin troppo
ardore, stava per essere scarcerato.
A patto che si trovasse un
lavoro, un lavoro onesto, e che non smettesse di vedere lo psichiatra del
carcere, Dmitrij Nikolaevič Zakharov, un tale che Lev avrebbe volentieri
messo sotto col motorino di sua madre, ma così sarebbe tornato al punto di
prima.
Lev, per carità, era convinto
che gli psichiatri fossero delle bravissime persone, ma quelli che aveva
incontrato lui erano tutti delle singolari eccezioni.
Ma, d'altra parte,
cos'avrebbe dovuto aspettarsi?
Quelli veramente bravi e competenti non li
mandavano mica a visitare i delinquenti, non li mandavano mica in carcere da
quelli come lui.
Uno psichiatra che cercasse
di ragionare con lui e non solo di farlo ragionare, Lev non l'aveva ancora
conosciuto.
Così aveva pensato di far
ragionare Zakharov investendolo con la moto di Anastasija.
Discutibile per discutibile,
era l'unica soluzione alternativa efficace che gli era venuta in mente.
Lui non
era esattamente pazzo.
Non quanto suo padre.
Lui non era malato.
Chiedeva solo la giustizia proletaria che Putin,
come a loro tempo i Romanov, aveva sempre negato.
Nikolaj Igorevič Gončarov
era ucraino, di Kiev, e aveva quasi ventitré anni.
Per pagarsi la retta
dell'Accademia Militare alle quattro di ogni mattina lavava i vetri della Banca.
Quando i suoi genitori avevano
dovuto decidere se usare i miseri risparmi di suo padre, che aveva aperto una
modesta galleria d'arte con i suoi dipinti a San Pietroburgo, per lui o per gli
studi di filosofia di Sof'ja, la sua sorellina, non aveva avuto dubbi.
L'Accademia Militare se la
sarebbe pagato da solo, in qualche modo.
E anche se il modo che
aveva trovato faceva proprio schifo, perché lavare i vetri della Banca tutti i
giorni alle quattro di mattina faceva schifo, se ne fregava.
Sof'ja doveva studiare filosofia all'Università.
Nella sua famiglia non
l'aveva mai fatta nessuno, l'Università, ma Sonjetshka ce la poteva fare, se lo
sentiva.
E sentiva anche che
sarebbe stato un bel giorno, quel 4 Settembre 2012.
Il suo amico Lev sarebbe stato
scarcerato, finalmente, e lui sarebbe andato ad aspettarlo fuori dal carcere
con Sof'ja.
Era stato a trovarlo in
cella solo pochi giorni prima, ma vederlo libero era un'altra cosa.
Era passato così tanto
tempo da quando facevano il Ginnasio insieme...
Il Ginnasio Emel'jan Pugačëv,
il Ginnasio di Nostal'hiya.
Lev aveva undici anni e
lui tredici -era appena arrivato dall'Ucraina-, ma erano diventati amici lo stesso, perché Lev era sempre
stato guardato male dai suoi compagni di classe.
Quella solidarietà che si
creava di solito tra i figli di proletari, ragazzi della stessa estrazione
sociale e disastrosa situazione economica, tra di loro non c'era mai stata,
perché Lev era pur sempre il figlio di un'assassina e di un malato mentale, e
con uno del genere avevano ben poco in comune.
Lui non veniva da una famiglia
semplicemente povera, ma da una famiglia di delinquenti, ed era meglio averci a
che fare il meno possibile.
E dire che Lev era un bravissimo studente, che s'impegnava sempre e non faceva mai disperare i
professori.
Ma fumava da quando aveva
undici anni e aveva i genitori che aveva, pertanto nessuno osava definirlo
davvero “bravo”.
Era schivo e riservato e
stava quasi sempre sulle sue, non tanto per timidezza quanto per una muta e
orgogliosa resistenza ai pregiudizi dei suoi compagni.
Aveva un viso così bello
che talvolta qualche ragazzina se ne innamorava, ma guai a dirlo ad alta voce,
guai a guardarlo apertamente.
Lev Fëdorovič Puškin
era il figlio dell'assassina e del malato mentale e aveva il futuro già
scritto, un futuro troppo pericoloso.
E a quindici anni Lev se
l'era bruciato davvero, il futuro.
Nikolaj era figlio di un
pittore squattrinato e di una casalinga, aveva un angelo di sorella tredicenne
e altri due fratelli minori di undici e dodici anni, Sokrat e Ksenofont, che se
lui ch'era il primogenito non si fosse dato da fare avrebbero avuto un futuro molto
poco all'altezza dei loro illustri nomi, quindi non si sentiva assolutamente in
diritto di giudicare Lev, che, seppur figlio unico, aveva una vita molto più
dura della sua.
E poi gli era stato
simpatico da subito, quel ragazzino biondo quasi quanto lui che nell'intervallo
mangiava castagne e leggeva Dostoevskij appollaiato sul termosifone fuori dalla
sua classe e quando parlava incantava, qualsiasi cosa dicesse.
Aveva una personalità straordinaria,
Lev, e l'amicizia di Kolja se l'era proprio meritata.
Nikolaj, infatti, era
povero, indubbiamente uno dei ragazzi più poveri di Nostal'hiya, ma era anche
estremamente orgoglioso, e non era affatto gentile e angelico con tutti.
Solo con chi se lo meritava.
-Scusate!- gridò dalla sua
impalcatura a un passante particolarmente mattiniero, smettendo per un attimo
di lavare la finestra più alta della Banca.
Quello alzò lo sguardo, confuso.
-Prego?-
-Quanti gradi ci sono
oggi?-
-Quasi quattordici-
Kolja si guardò le dita
mezze congelate e sorrise, annuendo.
-Lo immaginavo. Grazie, e buona giornata!-
-A te...-
Lev sarebbe stato contento.
Lui adorava il freddo
della sua Siberia, esattamente come sua madre.
E anche a Kolja,
d'altronde, non dispiaceva.
Dita congelate a parte.
Ma a quelle, a lungo
andare, si faceva l'abitudine.
Alla galera no, mai.
Lev ormai era a un passo
dalla libertà.
Kolja non si svegliava
sempre di buonumore, ma quel mattino sì, più del solito.
Prima di riprendere a
lavorare, dedicò uno sguardo dall'alto alla sua città d'adozione.
Era bella, Novosibirsk,
con i tetti e i marciapiedi innevati, le macchine con i finestrini e gli specchietti
ghiacciati e il cielo azzurrissimo.
Era bella, Novosibirsk, con
i suoi tredici gradi e mezzo a fine estate.
Con i vetri della Banca da
lavare e i passanti mattinieri che ti guardano come se fossi un matto o un
deficiente, o forse entrambe le cose, perché urli dalla tua impalcatura di
lavavetri dal quarto piano quanti gradi ci sono, e quando te lo dicono sorridi e
ringrazi con aria sognante.
Era bella, Novosibirsk,
era bella e basta.
Anche se era tanto diversa
dalla sua Kiev, anche se ne doveva ancora lavare, di vetri, per avere un futuro
decente e prima di poter magari tornare in Ucraina.
Erano le quattro e venti
del mattino del 4 Settembre 2012, c'erano tredici gradi e mezzo, ormai quasi
quattordici, e Nikolaj Igorevič Gončarov era più allegro di quanto
avrebbe potuto permettersi.
Del resto, era davvero una
bella giornata.
Era quasi autunno e Lev
era quasi libero.
Quel pomeriggio avrebbero
preso insieme cioccolata calda e
пончики (pončiki, frittelle) al bar del Ginnasio, poi avrebbe
riaccompagnato Sonja a casa e sarebbe andato con Lev davanti all’Accademia
Militare, come tutte le sere.
Un giorno sarebbe entrato
anche lui.
Un giorno come quello.
Se i
grandi ottusi della Terra
Ci trascinano a fondo
Sarà che giorno dopo giorno
Avrò sognato troppo a lungo
Ah, se passasse questo buio
Come si ammaina una bandiera
Come si ammaina l'orgoglio
Alla stessa maniera
(Ho sognato una strada, Ivano
Fossati)
Note
Sarà che giorno dopo
giorno avrò sognato troppo a lungo: Ho sognato una strada, Ivano Fossati.
Ed ecco il secondo
capitolo, un po’ sul passato di Anastasija e Fëdor e un po’ su Nikolaj, il
migliore amico di Lev.
Per quanto riguarda i nomi
nuovi di questo capitolo, ci sono Natal’ja e Aleksandr, i genitori di Fëdor e i
nonni paterni di Lev: su Aleksandr Puškin non credo ci siano dubbi, Puškin si
chiamava proprio Aleksandr, e sua moglie Natal’ja, la bellissima Natal’ja
Nikolaevna Gončarova, causa del duello in cui Puškin (lo scrittore) è
stato ucciso.
Queste coincidenze
tenetele presente, perché saranno abbastanza importanti per capire la morte del
mio Aleksandr Puškin, il nonno di Lev.
Per quanto riguarda
Nikolaj di citazione c’è solo il cognome: Ivan Aleksandrovič
Gončarov, l’autore di Oblomov, e Nikolaj Gončarov il padre di
Natal’ja, la moglie di Puškin, appunto.
Però il mio Kolja non
c’entra niente con nessuno dei due ;)
Nikolaj è il mio nome
maschile russo preferito, così come Natal’ja è quello femminile, anche se in
questo momento c’entra poco o niente ;)
Parlando invece di Sof’ja,
la sorella di Kolja, a volte la chiamo Sonja o Sonjetshka perché sono i
vezzeggiativi russi del nome Sof’ja.
Lo specifico perché con
Kolja o Nasten’ka si capisce, ma Sonja sembra proprio un altro nome, mentre
invece in Russia si usa così.
Passando ai personaggi
nuovi, Kolja un po’ ve l’ho presentato, e spero davvero che vi abbia fatto una
buona impressione, perché a me lui piace tanto...
Non è sempre il bravo
ragazzo che sembra, però ha un gran cuore.
Sof’ja, invece, la
conosceremo meglio nel prossimo.
Per quanto riguarda il
Sistema Scolastico Russo, in Russia i ragazzi che vogliono studiare frequentano
il Ginnasio, che va dai 6 ai 17 anni e comprende la Scuola Primaria (dai 6 ai
10 anni), la Scuola Secondaria Inferiore (dai 10 ai 15, scuola dell’obbligo) e
per chi intende continuare per poi andare all’Università la Scuola Secondaria
Superiore (dai 15 ai 17 anni).
Altrimenti si può
frequentare la Scuola Tecnica o Professionale (dai 15 ai 20 anni).
Lev e Nikolaj hanno fatto
solo la scuola dell’obbligo, fino a quindici anni.
Poi Lev è stato arrestato
e Kolja ha iniziato a lavorare.
Spero davvero che
questo capitolo vi sia piaciuto! ;)
A presto,
Marty