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Autore: Leyton_Nenny    15/12/2012    2 recensioni
Carol era nata per strada, il sole era tramontato da un pezzo quando le urla di sua madre avevano straziato il silenzio della piccola baracca in cui si trovava.
Ad esse si era ben presto unito il pianto di una bambina.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore:Leyton_Nenny
Titolo: Il folle volo di Carol
Paese scelto: Brasile
Fandom/Originale/RPF: Originale
Tipologia: One-shot
Rating: Verde
Genere: Drammatico
Avvertimenti: //
Introduzione: //
NdA: A fine composizione.

 

 

 

 

Il folle volo di Carol

 

Carol era nata per strada, il sole era tramontato da un pezzo quando le urla di sua madre avevano straziato il silenzio della piccola baracca in cui si trovava.
Ad esse si era ben presto unito il pianto di una bambina.
Sua madre non l'aveva guardata nemmeno – questo ovviamente lei non poteva ricordarlo, era solo ciò che qualcuno le aveva raccontato – e aveva spostato la testa all'indietro, respirando la fredda aria notturna.

E' una femmina” l'aveva informata la donna che aveva aiutato la madre durante il parto, guadagnandosi una semplice cenno in segno di assenso.
Sembra forte” aveva sussurrato un presente. La donna aveva chiuso gli occhi, reprimendo le lacrime.

A cinque anni Carol era stata mandata per strada, fermava ogni turista – gli zigomi affilati dall'astinenza dal cibo e gli occhi pieni di lacrime per la polvere.
Ma nessuno si fermava, nessuno la guardava negli occhi.

Una volta si era spinta fin dentro la città: era il luogo proibito, pieno di grandi case e cassonetti pieni di cibo – era disgustata dai ricchi che non sapevano cosa voleva dire l'odore della pioggia e il sapore del pane non lievitato cotto nei barili. Sapeva di bruciato, ma era meglio della fame.
In quel periodo vi era il Carnevale, la città era invasa da colori e suoni, musica ritmata e ballerine che muovevano i loro corpi perfetti quasi completamente nudi: erano corpi muscolosi e affinati, non magri e ridotti all'osso dalla fame come il suo.
Fu proprio quel giorno che conobbe Bruno, un ragazzino della sua età che le si era avvicinato e aveva sorriso.

Ciao” aveva esordito guardandola negli occhi.
Lei era rimasta in silenzio, così lui aveva ripreso: “Come ti chiami?”
Carol non aveva risposto nemmeno questa volta sostenendo lo sguardo del bambino “Non sai parlare? Io mi chiamo Bruno”
Lei era stata costretta ad abbassare lo sguardo. “Carol”
Il ragazzo odorava di biancheria appena lavata e stesa al sole e aveva un colorito rosato sulle guance – da questi segni si poteva asserire con certezza che non aveva mai patito la fame che a lei attanagliava lo stomaco ogni secondo.

Hai fame?” le aveva chiesto dopo un po'. Lei aveva annuito.
Non avevano più parlato, ma Carol l'aveva seguito fidandosi di quel ragazzino con i capelli corvini e gli occhi color mogano, proprio come i suoi.

Ti piace il Churrasco?”
Lei l'aveva guardato interrogativa, e lui aveva sorriso bonario.

E' buono” aveva provato a rassicurarla prima di prenderla per mano e portarla fino ad un grosso spiazzo, in cui la brace ardente scoppiettava per il grasso colato dai pezzi di carne sovrastanti, che erano infilzato in grossi spiedi.
Lui aveva comprato un po' di quello che sembrava essere maiale – non che potesse dirlo con certezza, ma il colore bruciacchiato e l'odore erano gli stessi che aveva già visto dentro quei cassonetti che costituivano la sua fonte di sostentamento primaria – a cui poi erano state aggiunte verdure e fagioli e le aveva portato il piatto, facendo attenzione a non versarne il contenuto, le aveva fatto cenno di sedersi e l'aveva osservata mangiare.
Carol gli aveva offerto di favorire, ma lui aveva scosso la testa, osservando il suo profilo.

Dove abiti?” le aveva chiesto lui non appena aveva finito il pasto.
Lei aveva indicato la parte bassa della città, senza dire una parola.

Sai, si vede il tramonto” aveva provato a infiocchettare la propria ubicazione.
Lui aveva sorriso, sdraiandosi sull'erba bruciata dal sole.

Dev'essere bello”
Dovresti venire”
Potrei”
Bruno non era più venuto.
Carol aveva spesso osservato la strada, in attesa di vedere il suo volto sorridente comparire oltre le altre abitazioni.

Aveva quindici anni quando udì uno sparo.
Col cuore che le tamburellava nel petto, si era affrettata, per quanto le esili gambe le permettessero, verso quella direzione, prima di veder comparire il volto di quel ragazzo. Subito si era gettata verso di lui, tamponando con le proprie mani la ferita che si trovava sul fianco destro – il liquido viscoso aveva presto impregnato le sue mani e i suoi capelli.

Si vede il tramonto, avevi ragione” aveva sussurrato Bruno al suo orecchio, prima di morire tra le sue braccia.
Fu il giorno dopo, che decise di fare come tutti gli altri della strada: la colla era la soluzione migliore, una strada facile, per fuggire ad ogni problema.
Ma non bastava.
Quindici giorni dopo Carol si era fumata ogni speranza: i sogni erano sbiaditi, come il sole che cedeva il passo all'incessante notte.
E fu proprio davanti al tramonto, che decise di volare.
Lentamente aprì le braccia, inspirò la luce del sole morente precipitando negli ultimi raggi dorati.

Non c'è speranza per chi nasce nelle favelas.

 

 

 

 

 

 

 

Appena ho scelto il Brasile, ho subito voluto scrivere qualcosa su questo argomento, qualcosa di estremamente deprimente e bla bla bla.
Lo ammetto, ho forzato tantissimo i prompt – l'immagine nella parte finale del suicidio, la canzone per il carnevale – ma boh, volevo fare una cosa del genere.
A dire la verità, all'inizio il protagonista – ebbene sì, doveva essere un ragazzo – doveva semplicemente essere dipendente dalla colla, e da qui veniva fuori una cosa in stile “Le porte della percezione” di Huxley, ma alla fine mi sono riadattata a questo. Sappiate che comunque il suicidio era già in mente, nell'altra versione mettevo proprio la tomba, ma in questa mi piace che finisca col semplice volo.
Comunque l'idea di scrivere una cosa così deprimente mi è stata data da Katia, una mia amica brasiliana che ringrazio, anche se non leggerà mai la dedica, perché mentre parlavamo dei problemi dei nostri paesi – e io ammetto di esserci andata giù pesante parlando dell'Italia – quando a toccato l'argomento favelas aveva gli occhi lucidi, sul punto di piangere. E io mi sono sentita piccina picciò, perché mi lamento per un sacco di cose inutili, e alle volte nemmeno me ne rendo conto.
Dio, mi sento ancora in colpa.
Ma lasciamo stare le mie seghe mentali.
Comunque, la frase che chiude la composizione, è stata proprio la frase che più mi ha colpito del suo discorso.

  
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