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Autore: Belle_    16/12/2012    14 recensioni
«Usagi...», ripeté con dolcezza.
Le stava accarezzando le guance piene di biancore, poi passò a toccarle i capelli dorati lasciati anonimi sulle spalle, ed infine sfiorò le sue labbra con entrambe le mani, con tutte e dieci le dita. La toccava come se fosse tutta roba sua, come se in qualche tempo tutta quella pelle, quelle palpitazioni e quelle ossa fossero state sue. Solo sue.
«Usagi...», sussurrò ancora.
Si chinò sul suo viso con gli occhi dischiusi, le labbra pronte ad improntarsi sulle sue, il respiro spezzato da un'emozione più grande.
Ma lei si scostò, spaventata, e iniziò a toccarsi le mani con morbosità.
Lui le fermò con la sua presa salda, sicura e spaventosa, consapevole di quel vizio immaturo, e la stava fissando con quegli occhi suoi, color cielo. Un cielo antico si stava stagliando su di lei, un cielo pieno di dolore. Ed era tremendo trovarsi sotto una volta così agghiacciante e morbida, meravigliosa e terribile.
* * *
...se perdessi la memoria, a chi crederesti?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inner Senshi, Mamoru/Marzio, Outer Senshi, Seiya, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi, Seiya/Usagi
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna serie
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8) Color Cielo
     Un po' vita, un po' morte





Quella nebbia sarebbe dovuta sparire dalla sua mente, eppure ancora c'era. Rimaneva lì a intossicarle il cuore, a spingere la sua ragione alla più appassionata follia.
Ora lei sapeva e questo la rincuorava. Sapeva chi era Usagi Tsukino, sapeva le sofferenze che si erano appianate sul suo cuore come una patina mentre era senza memoria, ne conosceva l'atrocità e la semplicità, ora sapeva chi erano le persone che le erano state vicino e chi le era stato lontano.
Ora era in grado di essere sé stessa, poteva toccare nuovamente quella luce pastello che vedeva in lontananza e riappropriarsi di tutti quei colori che rallegravano la sua identità. Ma quella Usagi, che era stata per un mese e che l'aveva messa in ombra, sembrava persistere su di lei, come l'ombra di un pino immenso e altissimo su un piccolo fiore.
Decise di riprendere aria e farsi dare il cambio dall'allenatore, aveva bisogno di una doccia calda e di rilassarsi sotto lo scroscio dell'acqua.
Mamoru era fuori il campo da calcio, imbottito nel suo cappotto e gli occhi in cerca di lei.
<< Stai bene? >>, chiese, avventandosi su di lei. Passò a revisionare la sua testa, toccandola con le dita e studiarla con occhio clinico.
Usagi si sentì morire, si sentì precipitare. Quella sensazione familiare la cullò nell'odore fresco di Mamoru, lasciandole chiudere gli occhi per assaporare quel momento. Aveva bisogno di viverlo con il cuore, quel momento, perché ora lei ricordava. Lui era Mamoru, non solo il suo tormento, il suo dolore, ma anche e solamente il suo grande amore che l'aveva investita a soli diciassette anni. Quell'amore che la lasciava in mille brividi di piacere e di dolore simultaneamente, quell'amore che la lanciava dalla montagna più alta e la lasciava precipitare lentamente e poi farla cadere sui morbidi cuscini pieni di piume e di foglie. Quell'amore che le stampava in testa il colore del cielo.
<< Usako... >>, mormorò al suo orecchio.
Usagi riaprì gli occhi e guardò il volto di Mamoru, felice di ricordare quanto fosse bella e magnificente la sua tristezza e la sua alta statura. Come brillassero i suoi capelli al pallido sole dicembrino, come fossero pieni di nuvole i suoi occhi color cielo. Come fosse interamente attratta da quest'uomo che la sovrastava e la riempiva, che la svuotava delle allegrie e la riempiva di sofferenze. Perché Usagi non era inciampata in quel tipo di amore, dove chiudeva un periodo triste e ne apriva uno bellissimo con il suo arrivo. Stava dentro quell'amore che l'aveva fatta precipitare in basso, sempre più sotto la terra, sempre più giù.
Era una persona felice, prima di Mamoru. Amava la sua vita, semplice, piena di amici, piena di serata al Crown e risate, piena di sua madre che la metteva in ombra, piena di quei temi che sfioravano il dieci, piena di insufficienze in matematica. Stava bene lì, dentro quella vita adolescenziale che non richiedeva troppo sforzo. Era felice.
Incontrando Mamoru, la sua vita è stata capovolta completamente, come una clessidra, e le persone che credeva essere sue amiche erano state le prime che l'avevano abbandonata. Completamente catapultata dentro un mondo che le aveva richiesto di crescere subito, per essere in grado di affrontare situazioni che una semplice ragazzina di diciassette anni non avrebbe potuto comprendere. Incontrando lui, poteva dire davvero di averlo amato con ogni forza, contro ogni giudizio, contro ogni cosa, perché aveva messo in discussione completamente la sua vita.
Perché incontrando lui, gli occhi di Usagi si erano aperti all'intimità di un amore, alla complicità di amare, alla semplicità di rinunciare. Perché incontrando Mamoru, il colpo di fulmine che l'aveva stecchita, l'aveva risvegliata e fatta entrare dentro il tunnel più profondo e buio. E non se ne era dispiaciuta.
Lei lo amava. Contro tutti, contro tutto. Contro sé stessa, contro lui.
Perché Mamoru era stato un po' vita e un po' morte.
Toccò le sue guance con le sue dita, passando sulla cornice delle labbra e saggiarne la morbidezza, andando a tastare la fronte alta, soffermarsi sulle sue palpebre e lasciare che le sue dita si precipitassero, come stava facendo il suo cuore, sui suoi capelli. Color ebano, color notte buia. Color Mamoru.
Mamoru sorrise con dolcezza e Usagi si sentì morire nuovamente sotto quel sorriso bucato.
Quante volte si poteva morire in un minuto?
<< Usako... >>, ripetè, rauco.
E quante volte si poteva rinascere in una vita soltanto?
<< Aspettami. >>, disse Usagi e andò nello spogliatoio in cerca di una doccia.

Spogliata dei suoi vestiti e delle sue paure, Usagi si gettò sotto la doccia e una doccia calda di ricordi le cadde addosso, dandole il sapore di cannella e sofferenze.
Il suo odore.
Mamoru.
Lui, il suo cielo.

Era successo tutto come in un banale romanzetto, era successo per caso che Usagi si era imbattuta in Mamoru e nel peggiore dei modi.
Dentro un nido, nell'ospedale di Tokyo. E lui era lì che contemplava i gemiti dei neonati, i volti innocenti e ignari, perso chissà in quale mondo, con le mani in tasca, strette in un pugno a loro volta, nel suo tipico modo da timido. Aveva la testa poggiata contro il vetro e i capelli corvini gli ricadevano sugli occhi come una cascata nera e imperdonabile, intenti a risucchiare il cielo dei suoi occhi.
Usagi, invece, era corsa al nido mentre rideva e quasi capitolava dalle scale, tanto da andare a finire perfettamente contro il vetro del nido con la punta delle dita e il naso. Con i capelli lucenti che le turbinavano attorno e che le ricadevano sulle spalle, gli occhi gioiosi e in cerca di quel bambino da paragonare ad uno dei suoi sogni. La tipica curiosità famelica di un'adolescente stampata sul sorriso, marcata negli occhi blu e sognanti.
La sua risata fresca destò immediatamente Mamoru dal suo stato pensieroso, voltandosi da lei che guardava affascinata il bambino appena nato della sua amica Setsuna.
Poi, si voltò anche lei, sentendosi osservata.
E il mondo minacciò che fiondarsi addosso a lei, mentre quel cielo blu la spogliava delle sue risate e della sua ingenuità, mentre un tremito profondo colpì incapace e distratto il cuore. Mentre nella sua mente venivano ritratti quegli occhi, come unica fonte di vita.
Quel ragazzo con gli occhi gonfi e rossi, quello dai capelli in disordine e appiattiti contro il suo volto bianco e stanco, quello dai vestiti dimessi e stropicciati, sì, quel ragazzo distrutto era apparso agli occhi di Usagi l'uomo più bello di tutta la Terra.
Non guardarmi, ragazzina. Sto per sposarmi.
Le aveva detto con tutta la serietà che i suoi occhi potevano esprimere, tornando a guardare quei bambini piangenti e tranquilli che stavano dentro le cullette.
Usagi aveva fatto spallucce ed era tornata a guardare i bambini, in cerca del bambino col cappellino azzurro e la tutina dello stesso colore, in cerca del bambino col cognome Meio.
Oh, eccolo!, aveva esultato, accarezzando il vetro con un dito, in direzione di quel bambino paffuto e dai ricciolini verde smeraldo. Il sorriso di Usagi si era aperto di nuovo, mentre si alzava sulle punte per poterlo guardare meglio, quel frutto d'amore avuto troppo tempo prima della maturità della madre. Ma sapeva che Setsuna lo avrebbe amato come se avesse avuto trent'anni e non solo diciassette.
E Mamoru, forse incapace di non guardarla, si era avvicinato a lei e aveva sorriso al bambino ricciolino che piangeva a squarciagola nella sua culla blu. Aveva sorriso a ciò che il cuore di Usagi puntava, ad un bambino, all'innocenza.
Non stai per sposarti, tu?, gli aveva chiesto Usagi, canzonandolo.
Lui le sorrise, formando la fossetta agli angoli della bocca, e mostrando un segno di rinascita dentro quel dolore che pareva pendere su di lui con una grossa spada.
E Usagi, a quel sorriso fratturato dalla sofferenza, non aveva resistito e decise di innamorarsi perdutamente di lui, di cancellare quella tristezza e sostituirla con i sorrisi che solo un amore sincero sapeva dare.
Perché Mamoru sapeva essere anche un po' vita.
Sapeva saziarla e dissetarla con un solo sorriso, un sorriso che arrivava sin dentro gli occhi color cielo.
E tu non sei troppo giovane per stare qui?, aveva risposto Mamoru.
Potrei dire la stessa cosa, aveva mormorato Usagi.
Non sono troppo giovane per avere un figlio.
Ma sei troppo giovane per poter guardare altri bambini con tristezza
, aveva detto Usagi.
Mia figlia è morta, oggi, aveva risposto, tagliando a corto.
E Usagi sentì che la Terra si stava aprendo sotto i suoi piedi, incapace anche solo di immaginare un dolore come quello, incapace solo di pensare e paragonare le sue difficoltà a quelle che stavano finendo Mamoru. Così, ignara che ciò che stava per fare avrebbe complicato ogni azione della sua vita, non disse nulla e lo abbracciò, aggrappandosi al suo collo e stringendolo contro sé stessa. Perché non bisognavano parole, nessun cordoglio, c'era la necessità di curare un po' quella ferita che sgorgava di sangue al sale.
C'era bisogno di amore per tappare una ferita d'amore.
E non si era nemmeno domandata se era giusto abbracciare uno sconosciuto, dargli conforto, perché le sue braccia erano state guidate da qualcosa di esterno e si erano attorniate al collo di Mamoru come se fossero state addestrate solo a quel movimento. Già da quel momento, Usagi comprese che Mamoru aveva il sapore dell'ambrosia, sentendone il profumo, e che quel sapore divino e inimitabile era mescolato alle qualità più forti e catastrofiche che esistevano.
Mamoru sapeva un po' di morte.
Mamoru, all'inizio era rimasto rigido nell'abbraccio di Usagi, poi forse ascoltando qualcosa nei messaggi muti di Usagi, ricambiò l'abbraccio, affondando la testa nell'incavo della spalla. Perché non c'era niente di più naturale in tutto quello, era semplice e non c'era imbarazzo tra loro. C'era solo l'inizio di ciò che sarebbero stati in futuro.
Sto per sposarmi, aveva mormorato, staccandosi.
E più di un rifiuto per Usagi, era un promemoria al suo cuore.
Sto per sposarmi, lo aveva ripetuto anche mentre tornava da Galaxia con in testa solo quell'abbraccio.
Sto per sposarmi, lo aveva ripetuto un secondo dopo che aveva chiesto informazioni all'infermeria di dove si trovava la madre del bambino Meio.
Sto per sposarmi, lo aveva detto anche a Setsuna, a cui aveva chiesto l'indirizzo di casa di Usagi.
Sto per sposarmi, lo aveva detto un secondo dopo che aveva visto Usagi che si affacciava alla finestra, dopo che era stato ore ad aspettarla fuori casa.
Sto per sposarmi, lo aveva sussurrato anche un secondo prima di baciare per la prima volta Usagi, sotto l'abete del cortile della sua università.
E aveva smesso di mormorarlo solo qualche mese dopo, quando aveva lasciato finalmente Galaxia per potersi godere Usagi in tutto. Aveva smesso di mormorarlo solo dopo aver affrontato i pregiudizi degli altri solo per stare con Usagi, solo dopo aver sofferto nel vedere Galaxia completamente distrutta, solo dopo essersi accorto che non c'era niente di più giusto che stare tra le braccia di Usagi. Aveva smesso di dirlo solo dopo essersi presentato al padre di Usagi come suo futuro marito, perché l'intenzione di Mamoru era di far diventare Usagi sua moglie. S
tavano insieme tutti i pomeriggi al Crown, dove lui lavorava, e qualche volta la sera a casa sua e, solo quando c'era Usagi, Mamoru riusciva a dormire, dimentico dei suoi incubi. Uscivano spesso per la città, insieme a Motoki e Makoto, e si godevano la loro relazione al meglio che potevano.
Dandosi più baci che potevano, stringendosi più tempo che potevano. Cosciente che prima o poi tutto quello sarebbe finito.
E poi tutto era finito, per via di Nehellenia che aveva baciato a tradimento Mamoru.
Tutto aveva cominciato a rotolare verso il basso di una discesa pericolosa, lasciandosi con Mamoru e vedendolo tornare con Galaxia, litigando atrocemente con Nehellenia, allontanandosi dalla sua famiglia che l'aveva sempre lasciata in un angolo, poiché solo Chibiusa era in grado di poter fare qualsiasi cosa in maniera perfetta.
Rotolava tutto giù dalla discesa, ma Usagi fortunatamente aveva trovato il suo appiglio alla sopravvivenza, il suo miracolo, ed era stato Seiya, con il quale aveva costruito un ottimo rapporto e del quale era molto attratta. Erano entrambi attratti l'uno dell'altra, ma c'era una sorta di limite che non si poteva varcare, e questo Mamoru lo aveva capito.
Lo aveva capito in quelle sere in cui andava al Crown con Galaxia e vedeva entrare Usagi con Seiya, senza tenersi la mano, ma comunque si vedeva che erano uniti. Lo aveva visto chiaramente che, dentro quello spazio che li teneva a distanza, c'era il loro futuro e che le loro risate e i loro discorsi formavano un arco perfetto tra le loro teste, come un ponte in costruzione. Un ponte da un cuore all'altro.
Per questo motivo Mamoru dava di matto nei messaggi con Usagi, geloso di ciò che sarebbero potuti essere loro due. Geloso che a Usagi era stata offerta una seconda possibilità, come era stata offerta a lui, ma che lei aveva tutte le probabilità di afferrarla e goderne. Perché Usagi non era stupida come lui.
Ma tutto rotolava giù, velocemente e portandosi dietro amare ferite, fino ad arrivare a toccare il fondo del precipizio.
Fino al giorno dell'incidente.
L'episodio dell'incidente scosse Usagi, che tornò alla realtà, dopo aver ricordato ogni cosa.
Chiuse l'acqua.
Si asciugò.
Si vestì.
E capì benissimo cosa doveva fare.
Loro non potevano stare insieme.

Una volta fuori, Usagi individuò Mamoru e, senza timore, si fiondò su di lui, arpionandolo.
Aveva voglia di lui, aveva una voglia pazzesca di stringerlo e sapere finalmente chi stava abbracciando. Aveva la voglia disumana di stritolarlo, per recuperare alla lontananza vissuta per via di Galaxia e della sua amnesia. Usagi sapeva che non potevano stare insieme, completamente spiazzata dal suo profumo di ambrosia che sapeva un po' di morte e un po' di vita e dai suoi meravigliosi occhi di cielo.
Spiazzata, come lo era stata un momento prima dell'incidente. Perduta, come si era sentita lontana dalle sue braccia ,un momento prima di perdere i sensi e la memoria. Viva, come si era sentita durante lo schianto. Morta, come si era sentita per il resto della sua vita, dopo il coma. <
< Mamoru! Mamochan! >>, disse, annaspando contro il suo torace. Respirando l'odore di ambrosia del suo Mamoru. << Hai ventiquattro anni, studiavi medicina generale, non hai la mamma e il papà perché sono morti quando eri bambino, la tua motocicletta è color luna perché per te gli occhi di Chibichibi erano lucenti come la luna. >>.
Mamoru si allontanò appena per poterla guardare in volto, inghiottendola con i suoi occhi color cielo e fissarla con un interrogativo sul viso.
<< Ho ricordato tutto, Mamochan! Non ho più l'amnesia! >>, rispose alla domanda silenziosa, sorridendo giuliva e felice.
Un rivolo della vecchia Usagi tornò a colorare l'aura che aveva attorno e sentì nel cuore sbocciare una di quelle emozioni esplosive e audaci che solo quando era semplicemente Usagi aveva dentro. Era stata per un millesimo di secondo felice.
<< La luce negli occhi! >>, mormorò elettrizzato, toccandole gli zigomi del viso. Accarezzando i capelli, toccando il volto, baciando a fior di labbra i suoi occhi. << Hai negli occhi la luce color pastello, Usako! >>.
<< Sì! Sì! Sì! >>, urlò, stringendolo ancora più forte.
Mamoru la strinse più che poteva, le baciò la linea del collo, succhiandone un po' il sapore alla cannella, e le annusò i capelli. << La mia Usako è tornata... >>.
Usagi chiuse gli occhi, beandosi al tocco di Mamoru.
Proprio come era stata qualche minuto prima dell'incidente.
Perché Mamoru aveva quel sapore agro e dolciastro insieme, era l'unico uomo che sapeva un po' di vita e un po' morte, perché era l'unico uomo che era in grado di farla sentire viva in un secondo e morta in un altro secondo successivo.
Quante volte si poteva morire in un'ora?
Adorava quel sapore di morte che la spingeva giù nel precipizio e adorava quel sapore di vita che la portava a scontrarsi contro cuscini morbidi, lasciandole guardare, dal profondo in cui si trovava, il cielo blu.
<< Devo dirti una cosa. >>, iniziò a dire Mamoru con un tono molto triste.
Usagi alzò la testa e lo guardo negli occhi blu, in attesa del sapore di morte che già sentiva nell'aria, in attesa di morire ancora.
<< Vado in America. >>.
Sgranò gli occhi, fissandosi nei suoi che l'avevano pugnalata, sentendosi fratturata, spogliata, uccisa come si era sentita sull'asfalto, un secondo dopo l'incidente.
Li fissò.
Quegli occhi color cielo, quegli occhi che sapevano un po' di vita e un po' di morte.



   
 
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