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Autore: Blusshi    16/12/2012    2 recensioni
Estratto dal capitolo 1~
Kate- la fronte inondata di sudore- spingeva e gridava; percepiva i movimenti del bambino che si faceva strada nel canale del parto. Si augurò che andasse tutto bene e che finisse in fretta; si sentiva come una bambina spaventata anche se ormai, a venticinque anni e con due gemelli in arrivo più che imminente, una bambina non era più.
Sapeva che quella nascita stava presentando complicazioni: i dottori le stavano dicendo che il primo dei due bambini non riusciva a uscire e che di conseguenza l’altro stava soffrendo.
Ho fatto una scelta originale, narrando la storia dei due protagonisti a partire da un punto che in genere non viene scelto. Spero, davvero, di non doverla pagare troppo cara questa mia originalità :) ~ Blusshi
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: 17, 18, Altri, Dr. Gelo, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il vecchio dottore li teneva d’occhio da un paio d’anni.
Era successo così, per caso: aveva incontrato quei due giovani fuorilegge proprio mentre era in giro a cercare carne fresca per i suoi esperimenti.
Il dottore costruiva macchine. Macchine molto sofisticate, con un’intelligenza artificiale ad altissimi livelli.
Erano talmente sofisticate che il dottore era un criminale.
Il dottore era un folle e folli erano i suoi obiettivi; con le sue macchine mirava ad annientare i suoi nemici personali, le studiava in ogni minimo dettaglio e il risultato era sublime.
Non erano macchine qualsiasi; il dottore costruiva androidi.
 
Li aveva sempre creati da zero, e anche se avevano aspetto umano erano pur sempre dei robot, i cui poteri –per quanto ampli che fossero- restavano comunque  inferiori a quelli che un sistema organico poteva generare: le sue creazioni erano potenti e distruttive, ma non abbastanza. Ci voleva quel di più che li avrebbe resi invincibili.
Nelle sue ricerche, nel corso di anni e anni, era arrivato a comprendere come costruire androidi organici.
Era stato allora che si era imbattuto nei gemelli: giovani, belli, un maschio e una femmina, erano perfetti.
Il dottore aveva cominciato in modo molto discreto, tanto valeva la pena di aspettare che crescessero ancora di qualche anno: sarebbe stato ancora più vantaggioso, i guerrieri che avrebbe creato sarebbero stati ancora più forti.
La ragazza era stata facile da abbordare: gli era bastato fingersi un vecchiettino acciaccato che aveva bisogno di aiuto per attraversare la strada. Lei era molto carina e non gli negava mai il suo sostegno.
Col ragazzo invece non era stato così semplice: malfidente e dispotico, non si lasciava intenerire da un povero vecchio gentile.
Da quando aveva iniziato a tenere d’occhio anche lui, nemmeno la ragazza era più stata una preda facile: andavano sempre in giro insieme, è vero, ma ormai il più delle volte c’era qualche sgradevole intruso che li accompagnava. Sapeva, grazie al fatto che non li perdeva mai di vista, che si erano accorti di lui.
La madre? Non occorreva eliminarla, non era un ostacolo fondamentale: i gemelli manco le avevano detto di lui!
Che fare, nonostante questo? Non gli toccava che aspettare quieto nell’ombra, tessendo la sua tela al meglio delle sue possibilità e aspettando che prima o poi le sue giovani vittime ci cadessero.
Aveva aspettato nell’ombra per due anni, osservandoli in ogni minimo istante, compiacendosi sempre più per la scelta felice che aveva fatto e per la fortuna che gli era capitata. In quei due anni li aveva visti crescere proprio come lui sperava e diventare più sereni; lo stavano pian piano dimenticando.
L’occasione più propizia doveva solo arrivare e lui non aveva fretta: a chi sa attendere le cose migliori.
E l’occasione era capitata una sera brumosa di novembre. Era una notte deserta, le due prede erano sole, nessuno l’avrebbe intralciato.
Era bastato far sbandare il gemello maschio e farlo impiantare con l’auto in un campo, dopodiché li aveva addormentati con dell’anestetico e se li era portati via; più semplice di così!
Il difficile era arrivato man mano che aveva iniziato a convertirli: voleva dare loro una forza immensa, talmente grande che sarebbe stata infinita. I suoi stupendi, terribili androidi gemelli non sarebbero mai stati stanchi: niente avrebbe potuto arrestarli.
Avrebbero annientato tutti i suoi nemici.
Ma costruire cyborg era un’altra cosa rispetto alle relativamente semplici macchine a cui aveva dato origine fino a quel momento: se voleva che mantenessero la loro parte umana, non poteva privarli delle loro funzioni vitali.
Mentre operava su di loro doveva assicurarsi di nutrirli e di controllare che tutto andasse bene; e poi non gli era mai capitato di doversi mettere a manipolare secondo le sue volontà due menti già formate, due vite che già da diciotto anni facevano il loro corso.
Doveva fare in modo che per nessuna ragione si ricordassero chi erano, da dove venivano e perché si trovavano lì, sarebbe stato fatale per il suo progetto.
Ogni tanto si svegliavano mentre lui, armato di tutta la sua pazienza e del suo genio, li convertiva lentamente in organismi cibernetici; bastava addormentarli di nuovo, ma i lavori procedevano molto a rilento.
Quando il dottore finì il lavoro, poco più di un anno dopo il rapimento, provò ad attivarli: doveva ancora perfezionarli, perciò voleva testare le loro abilità.
“Ho fatto in modo che sappiano che devono uccidere il mio nemico numero uno…e tutti gli altri…spero di aver fatto un buon lavoro”.
Il dottore ripulì i gemelli dalle tracce dell’ultimo intervento, li dotò di nuovi abiti, scollegò i tubi e attese; passò quasi un’ora, ma non si ridestarono.
“Ecco…ho fallito: mi aspettavo di creare due cyborg e mi ritrovo due cadaveri…” il dottore strinse i pugni e rimase a guardare il maschio, il primo che aveva completato.
Alzò un attimo lo sguardo e vide che la femmina si stava muovendo, seguita quasi immediatamente dal fratello. Un lampo di vittoria gli accese lo sguardo stralunato: era fatta! Era fatta! Era riuscito a dare vita per la prima volta a due cyborg!
I due gemelli si svegliarono e rimasero seduti, a guardarsi.
“Buongiorno, miei cari” li salutò il dottore “come vi sentite? È tutto a posto?”.
I due ragazzi non risposero; si limitarono a studiarlo in maniera laconica.
“Mi presento: io sono il dottor Gelo e sono il vostro creatore. Penso che voi due già sappiate il vostro nome e il lavoro che vi ho affidato” spiegò, poi si avvicinò al ragazzo “come ti chiami?”
Il ragazzo alzò lo sguardo su di lui: “17”
“Molto bene. E il tuo compito è?...”
“Uccidere il suo nemico e seminare terrore fra gli umani”.
“Proprio così! E tu, qual è il tuo nome?”
“18. E insieme a 17 devo seminare morte e distruzione. Per questo sono stata creata” la ragazza rispose con un sorriso.
“Sembra proprio che stiate bene” disse il dottor Gelo, con soddisfazione “questo è il mio laboratorio, nonché la vostra casa: potete andare dove volete, ma attenzione a non guastarmi i macchinari”.
“Stia tranquillo dottore” annuì 17.
“Può fidarsi di noi” sorrise 18.
Il dottore tornò al computer a cui stava lavorando e lasciò 17 e 18 a esplorare il suo istituto di ricerca.
I due gemelli si sentivano un po’ intontiti, come se fossero stati sotto l’effetto di una droga che li faceva parlare totalmente a caso. Fisicamente si sentivano in forma, anzi, talmente pieni di energia che sembrava loro assurdo sedersi per riposarsi o addirittura mettersi a dormire. Non avevano nemmeno fame; insomma, quasi mai, e quando avevano bisogno ci pensava il dottore.
Il dottore era severo, ma si occupava di loro.
“Guarda, 17!” una volta 18 aveva  spalancato una porta e se l’era ritrovata in mano, il pomello della maniglia accartocciato come un foglio di carta “ho un casino di forza! Guarda!”
17 aveva scosso la testa ridendo: “Sciocchezze! Io so fare di meglio!”
Si era messo a volare per la stanza e all’improvviso aveva puntato una mano verso una parete: un raggio fotonico era scaturito dal suo palmo e aveva incenerito all’istante gli sfortunati computer che si trovavano lì.
“Wow, siamo fortissimi!”
“Per forza! Vi ho installato un reattore di forza infinita” li rimbeccava lo scorbutico dottore.
Il vecchio si arrabbiava quando 17 e 18 continuavano a devastare tutto in quel modo: “Se non la smettete vi disattiverò! Ricordatevi che siete ancora in prova…la vostra vita dipende da come vi comportate!”
Ma loro non l’ascoltavano e andavano avanti a giocare: del resto, cosa doveva aspettarsi? Teenager androidi o teenager umani, restavano sempre due teenager, per di più con un passato tutt’altro che tranquillo.
Ogni tanto si stancavano e il dottore li disattivava e li metteva a dormire in capsule speciali: funzionavano bene, anche se erano un po’ vivaci. Dopotutto, l’energia eterna dovevano pure consumarla!
Gli sembravano anche fin troppo svegli. L’importante, però, era che non si ricordassero nulla relativo alla loro vita da umani: la grande paura di Gelo era che i ricordi affettivi riaffiorassero alla loro mente. Gli altri erano di poco conto.
“Possibile che in questo posto non ci siano manco dei vestiti?!” diceva scocciata 18: di certo doveva essere un retaggio, esattamente come per 17 che si lamentava, dicendo che voleva guidare la sua auto;
Correggere nella mente: reminiscenze umane troppo vive si appuntava.
Un giorno capitò che il dottore non fosse al laboratorio. I gemelli restarono da soli, in compagnia di altre creazioni addormentate e del continuo brusio dei computer e dei macchinari.
Come d’abitudine, presero a ficcare il naso dappertutto. 17 trovò un pezzo di lamiera, lo appallottolò e iniziò a giocarci come se fosse stato un pallone: “Incredibile 18, prima non l’avrei mai potuto fare!”
Giocava come un bambino, calciando la palla di lamiera in alto e stoppandola col petto.
18 lo guardava distrattamente, ma ascoltandolo ebbe un piccolo sussulto: “Prima? Quando? In che senso?”
“Prima” il ragazzo alzò le spalle con noncuranza “non so: prima e basta”.
18 saltò in cima ad un gigantesco computer e lì si sedette, pensosa.
“Cosa c’è? Ho detto qualcosa?” 17 la raggiunse con un balzo e le si sedette accanto “sento che il cuore ti batte più forte di prima, fa un rumore infernale, tra un po’  mi si spacca il timpano”.
“Ah sì? Anche io sento il tuo!” disse lei, poi scosse la testa visibilmente turbata: “…è che c’è qualcosa che non quadra: me ne sono resa conto in questi giorni”.
“Ti senti male? Il dottore ti dà noia?” si allarmò lui.
“Ma va’!” rise 18 “non c’entra il dottore! È come se sia io che te fossimo in una specie di limbo. Mi spiego?”
“No” le rispose 17 “sii più chiara: cosa c’è che non va?”
“E’ come se ci fosse qualcosa che devo ricordarmi perché è vitale, però non so cos’è: è come un sogno” per la prima volta dacché si ricordasse, gli occhi di 18 erano tristi. Sembrava che avesse perso qualcosa di molto importante e lui intuiva che non riusciva a spiegarsi.
“Io so una cosa: siamo gemelli!” ridacchiò 17, abbracciandola.
“Beh, ma questo lo so anche io! Ma c’è dell’altro…mi sento così stordita” sconsolata, la ragazza si prese le ginocchia fra le braccia e vi appoggiò la fronte.
“Se mi viene in mente qualcosa te lo dirò” le assicurò lui, incoraggiante.
 
Col passare dei giorni, il dottor Gelo osservava attentamente i due cyborg, prendendo appunti su qualsiasi cosa nel caso in cui gli fosse toccata un’importante modifica. Preferiva evitarla, prendere di nuovo i ragazzi e aprirli sarebbe stato scomodo e rischioso: aveva sempre a che fare con due organismi viventi, non poteva modificarli a suo piacere come gli altri androidi totalmente meccanici.
Aveva potuto modificare loro la pelle, rendendola liscia e inscalfibile; aveva potuto modificare loro i denti e le ossa, ora milioni volte più resistenti del materiale che i semplici umani usavano per rivestire esternamente gli shuttle; aveva potuto cancellare loro la memoria e dotarli dei dati a lui necessari.
Ma non era onnipotente: non aveva potuto strappare loro gli organi, né tantomeno i ricordi che la parte più nascosta della loro mente celava…non poteva annientare la loro parte umana: ed era questo il rischio che si era preso.
E poi non erano calmi e obbedienti, tutt’altro. Lo interrompevano sempre, facendo irruzione mentre lui stava lavorando e mettendo il laboratorio a soqquadro.
“Voglio ascoltare la musica! Mi sto annoiando”
“Non è meglio che tu vada a dormire, 17?” gli rispose una volta, seccato.
“Non ho sonno! Io e 18 vogliamo la musica!”
“Va bene, va bene! Avrete la musica!” il dottore si spostò in un’altra sezione del laboratorio e accese un computer.
“Sei contento adesso?”
Il ragazzo sogghignò: “Sì. Ma posso dirle una cosa, dottor Gelo? Lei è una rottura di scatole”.
 “E tu sei un ragazzino disobbediente, 17” grugnì il vecchio “tu e tua sorella dovreste portarmi più rispetto”.
17 rivolse lo sguardo al cielo e sospirò, battendo nervosamente un piede a terra: “Allora, la nostra musica?”
 
 
“Ancora un po’ e si metteva a urlare!”
Appena il dottore ritornò ai suoi esperimenti, 18 non riuscì più a trattenere una risata.
“Ti ho fatto mettere la musica” sottolineò lui.
“Si si, grazie fratellino, grazie” fra le risa, 18 gli schioccò un bacio sulla guancia: era proprio uno spasso! Tirare fuori dai gangheri il dottore…prima o poi dovevano riuscirci.
“Io rimango sempre della mia idea: se ci dà fastidio, lo sopprimo”.
17 lo disse come se fosse la cosa più normale del mondo. 18 stava ballando, ma si arresto e corse da lui: “17!! Cos’hai detto?! Ripetilo, ti prego!”
17 sgranò gli occhi e ripeté: “Lo sopprimo, lo ammazzo, lo elimino. Gli farò qualcosa!”
Lei tremò, prendendogli i polsi: “Mi ricordo, mi ricordo!”
I suoi occhi luccicavano di ansia e di frenesia: “Mi ricordo! Lo dicevi anche prima! Non mi ricordo perché, ma le tue parole eccome!”
“Davvero?”
“Eh sì! Mi avevi detto –se ti tocca, è morto- ma non mi ricordo di chi parlassi. E mi avevi anche fatto comprare uno spray al peperoncino! E tu avevi una pistola! Dio! Mi sembra un secolo fa…”
Lo sguardo di 17 si accese: “La mia pistola! È vero!” si girò sul fianco destro e non la trovò nella tasca dei pantaloni, bensì in una fondina “eccola qui! Dici questa?”
La mostrò a 18, che la scrutò con attenzione: “Non mi ricordo esattamente…ma so il perché la possiedi”.
“E io me ne ero completamente dimenticato!” 17 allargò le braccia e si mise una mano sulla fronte “grazie Alice, per avermelo ricordato”.
Questa volta la ragazza tremò visibilmente: “Alice?”
17 si morse il labbro: “Oh scusa. 18, volevo dire”
18 sentiva una tempesta infuriarle dentro. Qualcosa stava per esplodere, qualcosa che era stato nascosto e che non avrebbe dovuto esserlo: “Mi hai chiamata Alice…”
Si volse verso il fratello, lentamente, senza la forza di parlare: “Eric…”
Si sentiva le labbra secche e una stretta al cuore: “Eric…sei proprio tu! Mi sto ricordando…”
Affinità inaccessibili agli altri li univano da sempre.
Affinità che li rendevano partecipi ognuno del mondo interiore dell’altro.
Dovettero ringraziare questo, quando all’improvviso si videro passare davanti agli occhi una sequenza di scene già viste, solo dimenticate.
La musica suonava e suonava e in quel momento una canzone da discoteca fece esplodere la polveriera.
“Questa canzone, Eric! Questa canzone era alla festa dell’altra sera! Mentre io ero fuori a fumare e aspettavo te che eri andata via…”
“Sshh!! Parla piano!” l’avvertì lui “è vero…mi sta tornando tutto in mente! Ti ricordi Alice di quando abbiamo fatto il patto di sangue? Il rito tribale! A te non piaceva…”
“Sì, sì!” 18 si sforzò di mantenere un tono di voce basso “mi ricordo! E ti ricordi di quando non mettevi mai il casco perché dicevi che ti schiacciava la cresta? Eravamo piccoli!”
17 annuì e la guardò serio: “Qualche anno fa c’era uno che ci pedinava…te lo ricordi? Per quello ho comprato la pistola!”
18 aggrottò la fronte e si mise a pensare: si…un vecchio che la seguiva…che seguiva anche lui…un vecchio con lo sguardo da pazzo: “…un vecchio con la barba e i baffi?”
Poi trattenne il fiato, quando finalmente i pezzi del puzzle si ricomposero: “E’ LUI! E’ IL DOTTOR GELO!” afferrò violentemente 17 e lo scosse stringendo la sua maglia “senza la barba adesso, è lui che ci seguiva! È lui che ci ha portati qui…e ci ha chiamati 17 e 18!”
17 aveva la testa bassa e i pugni stretti.
Respirava ansimando e quando alzò la testa mostrò i denti, battendo il pugno così forte su una scrivania che questa si distrusse in mille pezzi: “Cane! Si si si…”
Calpestò i resti della scrivania, ridendo nervosamente: “Cane maledetto! E’ stato lui a cambiarci! Ecco perché non ci ricordiamo più niente! Ecco perché adesso siamo…così forti: ce l’ha detto lui! Siamo due cyborg!”
18 annuì: “Lo so! E dobbiamo eliminare il suo nemico. È per questo che ci ha creati”.
“LUI non ci ha CREATI!” sibilò lui alterato, sforzandosi con tutto se stesso di non alzare la voce, nonostante stesse per eruttare come un vulcano “noi esistevamo già! Lui ci ha cambiati…diamine…se solo penso a cosa ci ha fatto mi viene il vomito”.
18 assentì; adesso era lei a sentire chiaramente il battito accelerato di lui: “ E adesso dobbiamo fare quello che vuole lui! Ho ben capito…”
Dunque era così: li aveva strappati alla loro vita, si era impossessato di loro per farli a pezzi e poi ricostruirli e non solo! Aveva persino cercato di fare loro il lavaggio del cervello, in modo che lo riconoscessero come padre e gli obbedissero.
Un po’ ci era anche riuscito; 18 sentiva la sua energia eterna che ribolliva, improvvisamente era diventata ansiosa di uccidere: “Io non posso perdonarlo: dobbiamo fare qualcosa,17, assolutamente”.
Il ragazzo accennò un sì: “Lo so, sorellina; ogni cosa a suo tempo”.
“Già. Dobbiamo essere cauti, lui ci può disattivare come gli pare e piace”.
Gli occhi di 17 si oscurarono: “Ci ha portato via le nostre memorie…io mi ricordo tutto su di lui e quasi niente del resto, ma se non ci ha creati lui vuol dire che siamo nati”.
18 sospirò costernata: “Non è a lui che dobbiamo la vita, è certo, ma nemmeno io riesco a ricordarmi a chi dovremmo essere grati per davvero”.
“Una donna” sparò lui “nostra madre. E nostro padre”.
18 si sentì montare la rabbia di nuovo: “Ma noi ce li abbiamo? È tutto confuso”.
“Eric e Alice…sono questi i nostri nomi, non è vero?” 17 diventò ansioso all’improvviso.
“Sì…ma come hai fatto a ricordartene?”
17 la sguardò e scosse la testa: non avrebbe saputo risponderle, gli era venuto così naturale.
Almeno una cosa non gliel’aveva portata via, quel vecchio folle.
Dovevano difendere almeno i pochi ricordi che restavano loro: difenderli a qualsiasi costo.
Dovevano aspettare il loro momento, i n cui si sarebbero fatti giustizia: “Con questa forza che abbiamo adesso sarà una cosa da niente”.
17 diede una pacca amorevole alla sorella e le sorrise per sollevarle il morale: “Quella notte…siamo finiti in un campo con la macchina…e volevamo tirarla fuori ma non ce l’abbiamo fatta: adesso la potremmo sollevare con una sola mano”.
“Ma quindi noi non siamo morti, no? E siamo sempre umani: non siamo diventati dei robot”  chiese lei.
“No che non siamo morti! E siamo umani ma con poteri grandissimi!”
“Sai una cosa che mi ricordo?” disse lei con tenerezza “che noi due ci chiamavamo sempre “il mio essere speciale””.
Lui assentì: “E’ così, tu sei il mio essere speciale”.
Lei lo abbracciò, stringendolo forte: “E tu il mio: avrò cura di te per sempre”.
 
 
 
Al dottor Gelo stava venendo il dubbio che 17 e 18 serbassero qualche ricordo: lui aveva detto una volta che gli sarebbe piaciuto poter rivedere la sua auto –la sua auto! Si ricordava!
Il dottore li osservava con molta più attenzione da quando si era accorto che chiacchieravano a bassa voce; in più, negli ultimi tempi, si divertivano a fargli sempre più dispetti.
“Ma secondo te se mangio del cibo normale mi succede qualcosa?” chiese una volta 17 alla sorella.
“Secondo me no. Se non ci stiamo sbagliando, siamo cyborg e non robot”.
Lui aggrottò le sopracciglia: “Allora perché quella vecchia capra ci dà sempre da bere quelle cose nauseanti? Non ci ha mai dato da mangiare!”
“Non ho idea, 17. Magari perché se mangiamo ci roviniamo la parte cibernetica”.
“Proviamo a vedere cosa succede!”
Così venne loro in mente uno dei tanti scherzi che presero a giocare al dottor Gelo.
Lui era solito dar loro da bere solo una miscela di sali, oligoelementi e tutte le altre sostanze essenziali per l’organismo, visto che secondo i suoi calcoli i due ragazzi non avrebbero avuto bisogno di nutrirsi.
Ad un certo punto i gemelli si rifiutarono categoricamente di berla: “Mi fa venire il mal di testa” diceva lui; “Mi fa sentire stanca” piagnucolava lei.
Allora il dottore inventava soluzioni diverse, ma ognuna aveva qualcosa che non andava; si azzardavano pure a chiedere cibo umano!
Il dottore doveva scendere nella città più vicina e comprarlo, cosa molto rischiosa per lui.
Tornava al laboratorio e pensava di accontentare 17 e 18, che puntualmente rigettavano tutto e davano la colpa a lui, accusandolo di volerli rovinare; naturalmente non era vero, anzi erano contenti; stavano fingendo con l’unico scopo di far ammattire il dottore.
Correggere sistema digestivo: non tollerano più le miscele apposite che preparo per loro, devo aver sbagliato qualcosa  scriveva il dottore.
Oltre a questo, si divertivano a spegnere e accendere tutti i macchinari a loro piacere e a rompergli le attrezzature.
A volte lui li faceva combattere per capire fin dove sarebbero potuti arrivare i poteri di cui li aveva dotati; e loro distruggevano spesso oggetti innocenti e molto importanti per lui.
Spesso protestavano dicendo che non avevano voglia e che avrebbero preferito dormire, ma quando era il momento si riprendevano e stavano talmente bene che ricominciavano a tormentarlo con la musica, i giochi o altre stupidaggini.
Correggere nella mente: troppo poco coinvolti nella missione, dispettosi, ribelli.
Ormai era fermamente convinto di disattivarli per apportare le modifiche necessarie: aveva raccolto abbastanza dati nella sessione di prova, ora era meglio metterli in ibernazione nelle loro capsule: il momento di uccidere il suo nemico non era ancora arrivato.
“Non stiamo dando un po’ troppo dell’occhio? Se continuiamo così, si arrabbierà e ci farà rimanere inerti!” disse una volta 18 preoccupata.
“Ma è così divertente!” rideva 17 “lo stiamo tirando scemo!”
La cosa importante era però che non si dimenticassero di quanto erano appena riusciti a ricordare: erano convinti che se l’avesse saputo, il dottore avrebbe fatto di tutto pur di spazzare via quell’ultimo frammento di memoria autentica.
Successe un giorno, mentre erano seduti a chiacchierare, a sfogliare di nascosto gli appunti del dottore e a parlare mangiando caramelle.
“I nostri nomi, ricordi sparsi di quando eravamo più piccoli…non dobbiamo dimenticarceli per nulla al mondo, Alice”
“Per nulla al mondo”.
“Fosse l’ultima cosa che faccio, dovesse anche farmi dormire per un secolo…lo uccideremo, gliela faremo pagare, ricordatelo” disse tagliente lui.
Giusto il tempo di sentire i passi del dottore e di scorgerlo sulla porta.
Lo videro protendere il braccio -il controller in mano- prima che le tenebre si richiudessero di nuovo su di loro.





Salve a tutti! J
Forse si incomincia un po’ a intuire che i protagonisti sono 17&18…vi ho fatti aspettare, eh? :P
Come il precedente, il capitolo è per la mia carissima Lady_Charme <3
Vi aspetto con le vostre recensioni
Blusshi*
   
 
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