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Autore: Ortensia_    16/12/2012    1 recensioni
Quattro differenti percorsi, e dieci gruppi destinati ad incontrarsi, a spezzarsi e perire, corrotti dall'odio che ogni anima riesce a far fiorire così rigoglioso nelle menti di ogni pedina.
Dopo Berkeley Square ed il Gioco, le Nazioni riusciranno finalmente a scoprire qualcosa sull'entità misteriosa e perversa che da mesi li perseguita?
Il dado è tratto.
[_Fra le storie più popolari dell'anno 2012/13 su Axis Powers Hetalia: più recensioni positive_]
Genere: Dark, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Axis Powers/Potenze dell'Asse, Danimarca, Nuovo personaggio, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Can you hear the World?'
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XVII – Faida




Il polpastrello carezzò quasi ansiosamente il grilletto, pronto a premerlo.
Prima che il suono dello sparo potesse squarciare l’aria, però, fu un urlo a metterla in guardia e fermare momentaneamente le sue intenzioni.
«Abel!»
La portoghese sentì subito un peso sulle spalle e fu sospinta in avanti dal peso della lussemburghese, che ora le era completamente addosso, più infuriata che mai.
I denti di Esperanza si strinsero in un ringhio nervoso, gli occhi si sgranarono, iniettati d’odio: i suoi piani non sarebbero andati in fumo in quel modo.
Portate le mani all’indietro, riuscì ad afferrare con forza i polsi della lussemburghese, e incurvando la schiena a scaraventarla in avanti con un urlo di rabbia.
Era successo tutto in un attimo, e Abel riuscì soltanto ad afferrare la lussemburghese, risparmiandole una pesante caduta sul fogliame umidiccio.

«A-Alice-!»
La lussemburghese rimase in silenzio, raddrizzandosi subito, ma dovette ringraziare la prontezza dell’olandese, che subito, avvolgendole la vita con il braccio, riuscì a levarla dalla traiettoria del primo proiettile partito dalla portoghese.

«Abel! Mi sa proprio che la tua sorellina farà la fine di Taiwan!»
Quando la sentì ridere divertita, l’olandese assottigliò il proprio sguardo, estraendo la pistola, seguito dalla lussemburghese, che fece esattamente lo stesso.
«Due Van Halen in un colpo solo: è la mia giornata fortunata~
E sono contenta di vedere che, finalmente, reagisci, Olanda.» si fece subito più seria, e scrutò con attenzione entrambi i fratelli, con la pistola tesa fermamente in avanti, l’espressione piena di rabbia, fame di sangue.
«Se ci tieni a saperlo, ormai, io sono un’esperta a far fuori i Fernandez.»
«Alice-» Abel sibilò appena, rivolgendo un’occhiata di rimprovero al sorriso malizioso nato sulle labbra sottili della sorella: dovevano ucciderla, non provocarla e aumentare la sua rabbia e la sua voglia di massacro.
La portoghese rimase in silenzio, aggrottando appena la fronte: parlava di Spagna? O di Brasile? Perché la reazione per uno sarebbe stata completamente diversa da quella per l’altro.
«Mi auguro che tu stia parlando di mio fratello.»
Alice fu sorpresa di sentire quelle parole: davvero, dopo tanti anni, l’odio che Esperanza nutriva per Antonio non si era ancora spento?
«Dopotutto sono un po’ come te con tua sorella.»
Commentò la portoghese, notando lo sgomento sul viso della lussemburghese.
Alice deglutì appena, abbassando lo sguardo, sconfitta da quel rapido scontro di provocazioni: aveva ragione. Aveva completamente ragione.
Anche per lei e Belgio erano passati tanti anni, ma l’odio mai era sfiorito.
«Comunque sia, è ora di togliervi di mezzo!»
La portoghese scattò in avanti, premendo il grilletto, ricevendo subito in risposta lo sparo dell’olandese.
Il proiettile lanciato da Esperanza si schiantò fumante fra le foglie secche, mentre quello di Abel andò a colpire con un sonoro rumore la canna della pistola, facendogliela scivolare dalla mano.
«Merda!»
Vedendola disarmata, la lussemburghese reagì d’istinto.
Velocemente, si gettò nuovamente contro di lei, cercando di ferirla dove e come potesse.
«Alice!»
«Luxemburgo!»
L’olandese cercò di accorrere, ma prima che potesse muovere un passo, Esperanza era già riuscita a staccarsela di dosso con un gesto rabbioso.
Scaraventata in aria, Alice terminò la sua corsa in un breve attimo, sbattendo violentemente la spalla contro una grossa roccia.
«Ahn-!»
Sentendola gemere di dolore, l’olandese decise di reagire per davvero.
Sparò due volte, poi una terza con più precisione, vedendo che la portoghese era riuscita a scansare i primi proiettili.
Anche questa volta, però, Esperanza fu assistita da una sfortuna sfacciata e si chinò a terra per tornare finalmente ad afferrare la propria pistola.

Erano di nuovo faccia a faccia, pistola contro pistola, occhi verdi in occhi verdi.
La lussemburghese cercò subito di rialzarsi, ma non riuscì ad appoggiarsi sul braccio sinistro e gemette di dolore, portando velocemente la mano alla spalla, terribilmente dolorante.

Intanto, Abel, premette un’altra volta il grilletto, più deciso che mai.

Lo scatto dell’arma lo fece sobbalzare, poi incrinare le labbra in una smorfia, mentre quelle della portoghese si erano subito contratte in un sorriso trionfante.
«Oh, hai finito le munizioni-»
La lussemburghese strinse fra le dita la propria pistola, sollevandola per puntarla alla testa della portoghese, ma una fitta fortissima alla spalla la tradì, facendola gemere un’altra volta e facendole scivolare l’arma di mano.
Avrebbe provato a sparare con la destra, anche se in quel momento, essendovi appoggiata sopra, le risultava scomodo e la traiettoria del proiettile sarebbe sicuramente stata compromessa dalla posizione.
Ormai, la portoghese, teneva la pistola salda nella mano, puntata senza dubbi e pietà alla testa dell’olandese.
«Mi spiace soltanto che morirai prima tu, e che quindi ti perderai la sofferenza della tua sorellina.»
Soltanto i loro occhi, pieni di rabbia, l’uno nei confronti dell’altro: Abel sapeva che ormai, quel dito, era sul grilletto, che Alice non sarebbe riuscita a salvarlo, e forse neppure a salvarsi.
Sapeva che di lì a poco, Esperanza, gli avrebbe inferto il colpo di grazia.

D’un tratto, uno sparo, squarcio l’aria, e la portoghese gemette, subito ritraendo il braccio per portare la mano in cui stringeva la pistola a premere sull’altro, ora insanguinato.
Sia gli occhi dell’olandese che quelli della lussemburghese, più attoniti che mai, si rivolsero speranzosi all’orizzonte, da dove era provenuto il proiettile.
Poi, la loro speranza, si spense non appena videro Spagna fermarsi poco più in là.
Nonostante lo avesse appena salvato, Abel assottigliò il proprio sguardo, pieno di rabbia, Alice, invece, strinse i denti in un sibilo, non avendo dimenticato che tutte le ferite che aveva sul corpo gliele aveva inferte proprio lui.
Esperanza rimase ad osservarlo con un’espressione che pareva quella di un cane selvatico: diffidente, ma vorace, voglioso di saltare alla gola, strappare la giugulare, pieno di rabbia, frustrazione, e allo stesso tempo offeso; con gli occhi spauriti gli chiedeva del perché le avesse appena sparato.
«Hermana~ lasciali a me, non ti riguardano~»
«Mi riguardano esattamente come riguardano te, idiota.»
«No, questa è una vicenda fra i Van Halen e me.»
Per una volta, l’unica, Esperanza si sentì male nel sentirsi esclusa dalla famiglia Fernandez, dallo stesso cognome che condivideva col fratello.
«No. La vicenda è appena diventata fra me e te.»
Sentendo il tono assunto dalla portoghese, lo spagnolo incrinò le labbra in un lieve sorriso, e sparò un altro colpo, che questa volta lei riuscì a scansare.
«Mi spiace Antonio, ma questa volta per te non finirà tanto bene!»
La portoghese sparò due colpi, avvicinandosi sempre di più, fino a raggiungerlo e colpirgli lo stomaco con una gomitata.
Lo spagnolo si ritrasse appena indietro, poi con un gesto rapido, riuscì a colpirle le gambe con la sua, facendola cadere a terra.
«Esperanza! Togliti di mezzo!»
Antonio non l’avrebbe uccisa. Voleva solo farglielo credere.
Ecco il perché del sorriso sornione sul viso della portoghese, anche ora che si ritrovava solo a qualche passo dalla morte.

«Alice? Stai bene?»
«S-sì.
Credo che la spalla sia rotta, però-»
Non appena Abel iniziò a fasciarla, stretta, Alice dovette stringere i denti e quasi trattenere il respiro per il dolore, ma l’olandese non riuscì neppure ad arrivare al terzo giro che uno sparo vicino fece scattare le teste di entrambi verso i due fratelli ispanici.
Ora era Antonio ad essere a terra, con una mano tremante e già insanguinata sul torace ferito, la sorella in piedi, ancora con quel sorriso, e il dito pronto a premere ancora una volta il grilletto.
«E-Esperanza-»
«Sei proprio un idiota!
Insomma, come pensi che io reagisca ad un affronto simile, eh? Facendoti i complimenti?
Muori, Antonio.»

«Perché?»
La portoghese si bloccò, sorpresa di sentire quella voce alle sue spalle.
Antonio lasciò andare un sospiro di sollievo, socchiudendo gli occhi con ancora la mano premuta contro il torace insanguinato.
Voltatasi, Esperanza rivolse un’occhiata confusa all’olandese.
«Cosa vuoi?»
«Sei sua sorella Esperanza, non sua nemica.»
«Sì, invece.»
«Tu dovresti proteggere tuo fratello, non odiarlo, non tentare di ucciderlo-»
Alice era ancora ferma a terra, con la schiena aderente alla roccia, Spagna riverso a terra, con il respiro ormai ridotto ad uno spasmo di dolore, Esperanza in piedi, a guardarlo dall’alto in basso con fare annoiato, eppure Abel decise di continuare.
«Devi sostenerlo nelle sconfitte, ed esaltarlo nelle vittorie.» si morse il labbro inferiore, nel vederla ancora immobile, con la pistola stretta fra le dita «se ha più successo di te, tu devi essere fiera di lui, e non invidiosa.
Quando tu avrai successo, lui sarà lì a farti i complimenti, e di certo non cercherà di ucciderti.
Come pensi si ci senta a dover scegliere tra i propri fratelli e tutto il resto, se avere tutto il resto significa essere odiati a morte da ogni membro della famiglia? Se significa essere emarginati?»
Esperanza strinse appena i denti, trattenendo una specie di lamento.
Alice rimase ad osservarlo, completamente catturata da quelle parole, e le capitò di pensare quante volte Belgio si fosse detta fiera di lei, quante volte le avesse fatto i complimenti per qualcosa, e quante volte, di conseguenza, lei l’avesse ignorata, o l’avesse addirittura disprezzata.
«Dovresti sapere quali gioie possono regalare i fratelli, a volte.»
E ancora, le parole di Abel provocarono in Alice una strana sensazione, quasi una contrazione delle viscere: quante volte Sophija le aveva “salvato la pelle” facendole un favore? E di conseguenza migliorando il suo umore? E lei che cosa aveva fatto? Aveva sempre sostenuto il fatto che da sola avrebbe fatto di meglio, che non aveva bisogno di aiuto. Non l’aveva mai ringraziata, e mai aveva ricambiato un aiuto o un complimento.
Forse, alla fine, quella che non era capace di essere una sorella, era proprio lei: Alice Van Halen.
Non era Sophija.
«Non mi importa di voi. Potete morire entrambi, non mi cambia niente, ma sappiate che siete patetici. Soprattutto tu, Esperanza.»
Consapevole del fatto che preso gli avrebbe sparato, Abel estrasse con calma la pipa dalla tasca, e si zittì, stringendola fra le labbra, mentre si preoccupata di accenderla.
La portoghese, con ancora la pistola tesa in avanti, deglutì.
La sua mano tremò, i denti si strinsero i una smorfia.
Abel si sorprese di vederla abbassare la pistola, fino a lasciarla cadere a terra, con il viso cupo, il capo chino, un’espressione forse ferita, umiliata, ora nascosta.
«Tu sei un bravo fratello.
Io non riesco ad essere come te … e … me ne pento.
Porta via tua sorella, prima che ci ripensi.»
Abel annuì appena, levandosi la pipa dalla bocca per spegnerla velocemente e buttare fuori l’ultimo grande sbuffo di fumo.
Senza dire nulla si avvicinò ad Alice e le offrì la mano, subito afferrata dalla lussemburghese, che a fatica si sollevò in piedi.
«Alice, hai altre ferite, vero?»
«Quella al braccio me la sono fatta per passare e-»
«No.» l’olandese premette un dito sul fianco della lussemburghese, che gemette appena.
«L’ho notato subito. Ti fa male da tutte le parti.»
«Adesso la cosa che mi fa più male è la spalla. Andiamo.»
«Alice-»
Già allontanatasi, la lussemburghese si fermò all’intonazione innervosita del fratello, per poi voltare la testa e rivolgere un’occhiata alla portoghese, ora china sul fratello.
«Andiamo Abel.
Chi me le ha fatte è già morto da un bel po’.»
Gli rivolse un’occhiata quasi supplichevole: ora che aveva trovato Abel non le interessava davvero più delle sue ferite, della sorte di chi gliele aveva procurate: Antonio poteva vivere, poteva morire, insomma, non sarebbe stata lei a decidere della sorte dello spagnolo, questa volta.


Quando furono abbastanza lontani, Alice sentì la mano dell’olandese posarsi sulla sua spalla, e così arrestò i propri passi, rispondendo al suo sguardo.
«Io sono fiero di te, Alice.»
E senza darle il tempo di dirle niente, le prese il mento fra le dita, sollevandole il viso per baciarla.
Dal canto suo, Alice, senza esitare troppo, gli portò la mano alla nuca, sospingendolo verso di lei per approfondire il bacio.


«Ho … ho fatto tanti sbagli- scusami-»
«No, non parlare-» non sapeva davvero come muoversi, ma comprendeva benissimo, dal respiro penoso e dal torace insanguinato dello spagnolo, che sarebbe stato meglio se questo avesse risparmiato qualsiasi energia gli fosse rimasta in corpo.
Dopotutto, quell’energia, non doveva essere molta.
«Esperanza-»
«Ti ho detto di stare zitto-!»
«No.
Escúchame-»
Le mani della portoghese rimasero sospese sul petto dello spagnolo, le labbra incrinate in una smorfia.
Gli occhi balzarono dalla ferita insanguinata del torace a quella infetta sul braccio dello spagnolo, poi al suo viso, ormai stanco, sudato, per la febbre che evidentemente gli causava la seconda ferita.
Gli occhi rimanevano socchiusi, mostruosamente cerei.
«Mi dispiace-»
«… Di cosa?»
«Se non sono … s-se non sono mai riuscito a renderti … fiera di me.»
Esperanza sgranò gli occhi, rimanendo ad osservarlo attonita: non riusciva a dire nulla.
Come poteva? Era stata mostruosa.
Non aveva pensato alla felicità del fratello, bensì al desiderio di essere sempre un gradino sopra di lui.
Eppure, in un certo senso, gli voleva bene. In un certo senso non le dispiaceva essere sua sorella.
Eppure le sue labbra tremarono soltanto, gli occhi guizzarono via, tornando sulla ferita, così come le mani.

Sentiva il torace di Antonio sollevarsi a fatica sotto la sua mano, e ad ogni respiro un fiotto di sangue zampillare dalla ferita.
Doveva dire qualcosa.
Strinse i denti, mentre cercava di procurarsi un lembo di stoffa abbastanza lungo e resistente.
«I-io-»
Le scocciava ammetterlo, ma Abel aveva ragione.
Fece per continuare, poi sentì il torace dell’altro arrestarsi.
Niente si sollevava più, sotto la sua mano, il sangue aveva smesso di bagnarla.
«E-Espanha?»
Lentamente, rivolse il proprio sguardo al viso del fratello: le palpebre abbassate, la pelle ormai esangue.

Non era riuscita a dirgli nulla.
Come sempre.
Come Esperanza Díaz Fernandez faceva ogni volta.
Ebbe schifo del suo nome, in quel momento.

Portatasi la mano insanguinata allo sterno, tastò, fino a trovare la croce cristiana che, strappata con un gesto energico, adagiò sul petto del fratello.
Spagna era morto, lei, Portogallo, era la sopravvissuta.
Eppure non c’era niente di cui essere fieri.
Non c’era nulla di cui gioire.

Lei era la sopravvissuta, e allo stesso tempo la vinta.
   
 
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