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Autore: Hoel    17/12/2012    8 recensioni
Fiction liberamente ispirata a "La Bisbetica Domata" di W. Shakespeare.
Light Yagami è conosciuto all'interno della Yagami Corporation per il suo carattere scontroso, irascibile, lunatico e altamente intrattabile, facendo di lui un autentico bisbetico e guadagnandosi il soprannome di Kira da parte dei suoi dipendenti. Inoltre, una proposta suggeritagli dal padre onde migliorare le prestazioni dell'azienda e salvare "l'onore" della famiglia lo incastrerà in una situazione grottesca con un personaggio altrettanto fuori dagli schemi.
L'arena è pronta e tigre e domatore si affronteranno all'ultimo dispetto pur di prevalere l'uno su l'altro!
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: L/Light, Matt/Mello
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutti, rieccomi qui dopo una lunga assenza da questo fandom!

Chiedo venia per il ritardo abnorme di questo aggiornamento: siccome, però, questo capitolo, anzi, questi capitoli sono il nocciolo della storia, ecco ci ho messo un bel po’ ad elaborarli. Complice il mio militare in altri fandom, problemi tecnici, esami e traslochi, la faccenda l’ho tirata un per le lunghe! Ringrazio di conseguenza tutti i lettori che mi hanno attesa con pazienza e costanza!

Ma ora a noi.

Dunque, come detto prima, siamo nel cuore della storia. Ergo, ho pensato di dividere in due il capitolo concernente il matrimonio tra L. e Light, in modo da a) non rendere troppo lungo e pesante il capitolo stesso; b) presentarvi un matrimonio fatto bene! Scrivere cose divertenti non è facile, di conseguenza molte battute le vedo e le rivedo, finché non mi convincono!

La seconda parte del capitolo è già avviata; non aggiornerò fra altri otto mesi, statene certi!

Ci scusiamo in anticipo per eventuali OOC, momenti di demenzialità pura e per la boccuccia di rosa di Light. Coi tempi che corrono è sempre bello farsi una risata! Ah, e soprattutto ci scusiamo per il cambio di font! Per motivi oscuri, malgrado le ore di tortura, l’HTML non vuole più ridarmi il mio calibri! In attesa di postare la seconda parte del capitolo, provvederò a cambiare il font di scrittura di quelli precedenti.

Un enorme ringraziamento ai miei lettori e recensori! In particolare a: Sagitta72; Cyborg22; Suiren; Loryiloveyou; Titania76 e Cuppy Cake.

Ringrazio poi coloro che hanno messo questa storia tra le preferite, le seguite e le da ricordare! Grazie, grazie, grazie!

Bien, altro da dire non ho, se non buona lettura!

 

 

 

 

Vostra,

H.

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 Capitolo 7: Laddove, tra aspri duoli e grasse risate, viene celebrato l’imeneo più scioccante della storia.

Parte 1.

 

 

 







New York, 28 gennaio, ore 10:38 am.

È incontestabilmente vero, verissimo, dogmatico che almeno una volta nella propria vita un uomo debba vestirsi in maniera adeguatamente elegante. Vuoi che sia per il battesimo del proprio adorato pupetto (“Smettila di imitare la controfigura di uno stoccafisso! Più rilassato! E tienilo più vicino!” “Ma sembra volermi vomitare addosso!” “Non me ne può fregare di meno! Tienilo e non frignare come una femminuccia!”); per un colloquio di lavoro (“Verga! Maledette salse del McDonalds! Lo sapevo che dovevo fissare il colloquio prima di mezzogiorno! E adesso come faccio? Spero che l’HRM non abbia notato la macchiolina di senape dolce sul bordo dei pantaloni!”); per un meeting di vitale importanza (“Tzé, rosa e celeste, il burino si veste!” “Taci, razza di stilista del pannolone di un incontinente disinibito: se non avessi bisogno dei tuoi cartoni per la sfilata, a quest’ora avrei usato il tuo outfit a losanghe ubriache per pulire la moquette!”); per il funerale dello zio milionario (“Fuck, yeah! Era ora che si decidesse!”); per la laurea (“Anche tuo zio era vestito così alla sua laurea … ed è rimasto disoccupato a vita!”); per un matrimonio, ecco che nell’armadio deve assolutamente troneggiare fiero e altero  l’orgoglio dell’abito maschile, altresì noto col nome secolare di giacca e cravatta.

Peccato, che per portarlo ci voglia il cuore e che soprattutto quest’ultimo sia possibilmente sobrio.

Ché infatti, il signor Lawliet Coil-Deneuve, in data 28 gennaio,  non pareva soddisfare nessuno di questi requisiti: fasciato peggio di una mummia nel suo impeccabile e costosissimo tuxedo, egli si rimirava assai perplesso dinanzi allo specchio, scompigliandosi la capigliatura corvina che un ineffabile Watari stava cercando di domare, mentre con l’altra mano giocherellava con la lattina di una Red Bull semivuota.

La quarta.

“Allora, my lucky man”, eruppe B.B. poco cerimoniosamente nella stanza, fermandosi all’uscio della porta. “Come ci si sente, big bro, a sposarsi, uh?”

“Perché non lo fai anche tu, così poi confrontiamo le nostre esperienze matrimoniali?”, ribatté flemmatico L., tentando invano di allungare il braccio verso il mini-bar così da acchiappare la sua quinta Red Bull, sennonché una zampata decisa di Watari glielo impedì, dirottandolo altrove. Piccato, l’uomo prese a mangiucchiarsi nervosamente l’unghia, pianificando nel frattempo un secondo subdolo piano d’attacco in modo da aggirare l’accorta e silenziosa sorveglianza del fondatore-prozio-maggiordomo-schiavosadomaso-tuttofare-geniodellalampada. La sua attenzione fu tuttavia distolta momentaneamente dai suoi perfidi propositi di conquista, quando le mani di Watari si levarono dalla sua persona, segno che aveva finito di vestirlo. Rimirandosi ancora più accigliato di prima, L. sospirò a lungo,  le bollicine dell’iper-zuccherosa bevanda che gli risalivano dispettose lungo il setto nasale.

“Tutto sbagliato, tutto sbagliato …”, asserì in un buffo miscuglio tra lo ieratico, sconsolato e scocciato.

“Cosa?”, gli chiese invece B.B., portandosi accanto a lui e osservando con occhio critico sì, ma al contempo soddisfatto per l’eccellente lavoro di Watari. “Stai benissimo!”

L., attraverso il riflesso dello specchio, gli lanciò un’occhiata assai scettica. “Fammi il piacere, Brigitte! Guarda qua! Io, in tuxedo? Ma è ridicolo!”, dichiarò convinto, eludendo quella barriera umana di Watari e aprendosi la sua agognata bevanda.

“No, non è ridicolo:  è il tuo matrimonio! Anche se, l’ammetto, la cosa si presenta alquanto grottesca visto e considerato il soggetto”, replicò secco il fratellastro minore, notando lievemente in ansia l’occhio sempre più lucido del maggiore, segno che la sbornia taurina stava pian pianino facendo il suo corso.  “Non vorrai mica andare con gli shorts e flip flop, spero?”, cercò di persuaderlo, conoscendo il rapporto conflittuale del fratello con la moda. Del resto, cosa ci si poteva aspettare da uno che aveva presenziato al funerale della madre con la tuta da vendemmia?

“Non esagerare, siamo a gennaio …”, liquidò Lawliet la faccenda annoiato, neanche a parlare fosse stata una mosca. “Tuttavia … No, non ce la faccio! È troppo anche per me!”, affermò con un tono disperato, coprendosi il viso con ambedue le mani e dondolandosi affranto in avanti e indietro. Preso da un inaspettato raptus d’amore fraterno, B.B. gli cinse le spalle, battendogli leggermente la schiena a mo’ di conforto.

“L., posso immaginare come ti senti, però … però sei tu che l’hai voluto e non … non puoi tirarti indietro all’ultimo!”, lo consolò, ignaro in realtà in quale situazione il suo fratellastro si fosse cacciato. Anzi, il signor Pierston ignorava perfino chi fosse esattamente la sposa, confermando così quanto i due fossero in stretta confidenza, raccontandosi ogni singolo dettaglio della loro vita, dalle multe non pagate alle rispettive coordinate bancarie. “So che sei un gran bello stronzo, big bro, ma abbandonare una fanciulla all’altare sarebbe una bastardata pazzesca persino per i tuoi standard!”, aggiunse, per una volta serio e pragmatico.

“Quale fanciulla?”, si voltò L. verso Beyond, corrugando disorientato la fronte: che il Brutto Bifolco si fosse dato ancora alle gioie della cannabis? Sospettoso, si mise ad annusarlo, per finire prontamente scaraventato sul divano da un B.B. altamente indignato. “Non è questo il punto, jam monster!”, proseguì senza badare allo sguardo semi-sconvolto del fratellastro minore, che stava iniziando a fiutare puzza di bruciato. “E’ che non posso … andare … conciato … così!”, sbrodolò il futuro sposo, la lingua impastata dall’ubriacatura di Red Bulls e le gote purpuree. “E’ questo quello che vuole … e deve imparare … che nella vita … non si può ottenere … tutto … perfetto …”

B.B. indietreggiò d’un colpo terrorizzato. “C-che intendi dire?”, balbettò, domandandosi se fosse o meno consigliabile chiamare Watari (sempre assente nei momenti di reale necessità) o gettare direttamente un secchio di acqua gelida ad un Lawliet in piena crisi mistica zuccherina. “Pensavo facessi sul serio con lei!”

Domandandosi intimamente a che cosa B.B. alludesse con quel pronome femminile, Lawliet lo fissò intensamente dritto negli occhi, affermando seriamente dolce: “Io sono serissimo: ma c’è qualcosa che deve sapere su di me …” e gli sorrise carnivoro, cosa strana per un panda antropomorfo come lui.

Unico problema, trovare un catino assai capiente …

 

 

New York, 28 gennaio, ore 11:26 am.

Nel frattempo che B.B. valutava come meglio annaffiare il suo adorato fratellastro maggiore, il signor Michael Keehl aveva buoni motivi di temere per la propria vita: dietro alla porta cui si era appoggiato per l’esasperazione – o per impedire a Toro Scatenato di uscire fuori e fare macelli -  si udivano distintamente le urla di un Light Yagami più inferocito di uno Shinigami in piena crisi di astinenza, perplessi ululati contenuti appena appena dalle dolci e comprensive spiegazioni della madre e quelle più sardoniche della sorella.

“Dove diavolo è finito quel … quel … coso?”, sbraitava e schiumava il giovane peggio di un sifone di Seltz, stritolando il cellulare bollente dalle innumerevoli chiamate senza risposta con cui aveva bombardato il desaparecido.

“Tesoro, non dobbiamo presagire il peggio!”, lo ricorreva la signora Sachiko per la stanza d’albergo dove risiedevano e dove si sarebbe dovuto – in teoria – celebrare anche il matrimonio (giusto per citare un atto civile a caso). Essendo i fondatori della Wammy’s House schifosamente ricchi e importanti, si potevano permettere di celebrare matrimoni a porte chiuse come i processi in hotel di lusso i quali - oh! ironia della sorte - li appartenevano pure. “Può essergli successo qualcosa durante il tragitto!”, tentò la povera donna di far ragionare il figlio, il quale era andato in oca sotto ogni senso, starnazzando ingiurie, minacce di morte e oscenità varie. Tutte giustificate: al suo posto o in circostanze comunque vagamente simili, chiunque avrebbe espresso i suoi dubbi spirituali tirando giù l’intera corte celeste.

“Meeeeeeeeerda!”, emise Light uno strano verso – un inquietante mix tra un guaito, un ruggito e il singhiozzo – sbattendo la fronte sul letto e pigliando il materasso a pugni. “Glielo avevo detto io di soggiornare qua! Perché è dovuto ritornare a casa sua, lo screanzato?”,si lagnava imbestialito, strappando le lenzuola di cotone d’Egitto con la sola forza dei denti. “Come ha potuto farmi questo? Come?!”

“Beh, io lo dicevo che quel Ryuzaki fosse parecchio strano …”, commentò Sayu sardonicamente fatalista, attirandosi un’occhiata velenosa da parte del castano che, peggio di una vipera cornuta (ma non dal marito), le sibilò contro una volta voltatosi di scatto e abbandonata la preparazione dei coriandoli:

“Osa ripetere, brutta mocciosa!”

Favore che Sayu concesse più che volentieri: non aspettava altro. “Insomma, Light: incontri questo tizio sbucato dal nulla, lo conosci appena, ti chiede di sposarlo e tu davvero non hai neanche per un secondo sospettato che si potesse trattare di un bluff? Suvvia, non fare quella faccia! Magari è meglio così: dovrai solamente rimanere confinato in casa dalla vergogna per i prossimi … uhm … dieci anni? Sedici?”

L’occhio sinistro di Light prese a contrarsi di isterici spasmi assassini. “Sayu … te lo dirò una sola volta … tu sei una grande, grossa, grassa, sulfurea, biliare, rancida forma di avanzo del rigurgito di una vacca in menopausa le cui cellulitiche cosce sono state servite col curry al pranzo di Natale alla mensa della prigione di Alcatraz ai suoi tempi di gloria!!!”, proferì egli tutto d’un fiato, le dita che si muovevano convulsamente dalla voglia matta di strangolare l’ineffabile sorella, che appunto replicò con olimpica indifferenza:

“Vabbé, tanto sei tu quello scaricato all’altare, mica io …”

Silenzio.

“CHE DIAVOLO NE SAI?! SEI SOLTANTO UNA DAMIGELLA!”

“Light! Metti giù quella piastra!”

“Osami rovinare l’acconciatura e ti uccido, mestruato!”

Udendo le sorde grida e inquietanti tonfi da dietro la porta che tremava, Mello ringraziò il cielo di esserne per una volta rimasto fuori, in tutti i sensi.

 

New York, 28 gennaio, ore 11:51 am.

Suonò il cellulare: Piripiripiripurupuuh!! E Mello vide finalmente le vie della salvezza, specie quando riconobbe il numero telefonico di Matt. Fu un po’ meno contento nel ritrovarsi accanto un Near sbucato dal nulla, in particolare non appena questi incominciò a fumare un sigaro cubano lungo quanto una siringa da anestesia totale, accendendoselo con uno zippo che assomigliava ad una micro-machine.

 “Finalmente, delinquenti!”, esclamò il manager tra il sollevato e l’esasperato.  “Ma vi paiono ore? Dove siete? Diavolo d’un bordello algerino, siete in ritardo di quasi un’ora! Ci sono gli ospiti che hanno incominciato a giocare a tombola pur di passare il tempo!”

“Cosa?!”, strillò il suo fidanzato, la voce acuta dalla sorpresa. Dopodiché, incominciò a farfugliare apprensivo, già figurandosi Light in versione inquisitore spagnolo che flagellava Mello sulla sedia di Giuda giusto per sfogare il suo malessere interiore. “Ma L. ci aveva detto che la cerimonia era a mezzogiorno e mezza!”

Strapparsi gli occhi col cucchiaino da caffè non avrebbe recato a Mello il medesimo carico di dolore, che invece gli procurò l’affermazione di Matt. “Cheee??!! No, era alle undici! E c’è qui Kira in pieno delirio omicida! Sua madre e Sayu sono state costrette a rinchiuderlo in camera sua o qui ci scappava il morto! Anzi, uccideva me per la sola colpa di essere amico di L.!”

“Beh, allora avete risolto!”, soffiò Matt si puro sollievo, provocando un’indignata sincope al biondo fidanzato.

“E suo padre è scomparso con Near!”, aggiunse poi Mello, lanciando un’occhiata obliqua ad un serafico signor Nate Rivers, il quale seguitava impassibile a fumarsi il sigaro nel frattempo che la sua mano sinistra vagabondava nell’emisfero sud dell’anatomia del biondo, cui si arricciarono i capelli.

“Ah, questa è tragica!”, commentò l’altro ragazzo, domandandosi a cosa corrispondesse quel bizzarro supersciaff-grugnito-ohpietàdimenonlofacciopiù-mettitiquellechelesullechiappesonogiàscazzatodimio dall’altra parte del telefono. E siccome il signor Mail Jeevas era un giovane molto curioso come un certo delfino, egli si apprestò ad inquisire sulla natura di quei suoni sospetti. Sennonché fu il signor Michael Keehl quello costretto ad esigere delucidazioni acustiche, quando udì l’urlo disperato di Beyond Birthday rimbombare peggio di un massiccio attacco aereo in pieno secondo conflitto mondiale. 

“Oddio, L. no!!! Non così!!! Ti sei ammattito?! Levati quello scempio di dosso!!! Insomma, ti sposi con una donna, non devi fare tu la … Che dirà Lucy?!”

“Ma che diavolo …?”, aggrottò la fronte Mello, spingendosi a momenti il cellulare su per l’orecchio come un cotton fioc pur di reperire maggior informazioni su quel grido di guerra alla Laurence d’Arabia. 

“Stai zitto, B.B.!!!”, berciò Matt anche lui riscopertosi improvvisamente beduino. “Quale donna e donna d’Egitto! L. si sposa con … OH MIO DIO!!!”, ruggì traumatizzato.

A Mello parvero aprirsi le porte del Paradiso. Per lui. “Cosa sta succedendo lì?!”, lavò egli lo schermo del cellulare con la sua saliva. “Matt! Matt!! Rispondi, maledizione! MATT!!!”

“Non puoi fare questo!! Tu non devi fare questo!! Soprattutto a lui! Quello là sarebbe capacissimo di ammazzarti, semmai dovessi presentarti così conciato!”, stava supplicando il ragazzo lo sposo, del tutto dimentico del fidanzato sull’orlo di un esaurimento nervoso.

“Matt!!! Dimmi che sta succedendo!!”

“Se mi ama, mi accetterà così come sono!”

“Neppure un santo lo farebbe! E quello là è il figlio illegittimo di belzebù, figurarsi!”

“Lui? Lui, chi?”, sentì Mello la voce confusa di B.B.  “Ma non si doveva sposare con tale Lucy?”

“Lucy?! Sei finalmente divenuto scemo, B.B.? L. oggi si sposa con Light Yagami!”

“Light … chi?!”

“Yagami!”

L’informazione sta attualmente raggiungendo il cervello, la preghiamo di restare in attesa.

“IO TI AMMAZZO, BRUTTO *censurato*!!!!!”

Pernacchia.

“AH!!! Provaci, you wanker! Na na nère!”

Doppia pernacchia, seguita da tonfi sospetti.

“MAAAAATTTTT!!!”

Ma la linea era già caduta.

 

 

***

 

 

Fu in quel momento, quando ogni speranza era svanita, che Isildur, figlio del re …

Ah-ehm!

… che il signor Lawliet Coil-Deneuve alias Ryuzaki arrivò all’hotel all’una meno un quarto. Ad avvistarlo era stata la signora Sachiko Yagami, la quale, dopo aver legato e imbavagliato il figlio sul letto, s’era appostata alla finestra col binocolo, scrutando avida l’orizzonte come il protagonista de Il deserto dei tartari. “E’ arrivato lo sposo! È arrivato lo sposo!”, prese ella a saltare istericamente gioiosa, battendo le mani. “Su, Sayu, libera tuo fratello e trascinalo giù alla sala delle carpe!”

Sayu esibì in una lunga occhiata scettica. “Io lì dentro non entro!”, fu la sua sentenza, non garbandole i sinistri grugniti provenienti dalla stanza di Light. Tuttavia, ella si vide costretta a venire a più miti consigli, quando sua madre si voltò di scatto, lavandole la faccia e rivelandole quanto biforcuta fosse la sua lingua:

“HO DETTO ORA, FRINGUELLA!!”

Mater semper certa est, pater numquam e finalmente si capì da chi Light Yagami avesse ereditato il suo carattere dolce e remissivo.

Ritornando a propos ai nostri tartari – di nome e di fatto – ritardatari, essi fecero la loro spettacolare entrata sotto gli occhi attoniti di quei coraggiosi – Mello in testa – che avevano osato uscire dall’albergo per dare loro il benvenuto-ramanzina: la macchina assolutamente sgangherata di Matt zigzagava impazzita tra la ghiaia del vialetto d’ingresso e il giardino sul fronte, fregandosene altamente  del cartello Per favore non camminare sull’erba, fatto che comportò la totale demolizione delle aiuole e delle statue. Una brusca frenata - che bruciò sicuramente il motore - segnò il definitivo arrivo del corteo dello sposo tra le varie urla degli astanti, specie quando videro la vettura a qualche centimetro dai loro nasi, avendo infatti il conducente pigiato i freni bollenti praticamente sui gradini dell’entrata principale dell’hotel.

Il primo ad uscire fu Watari, il quale si infilò flemmatico come suo solito il cappotto e mantello, bofonchiando: “Ulà, che freddo!” e procedendo incurante verso una piccola folla sull’orlo dello svenimento (tranne forse per lo staff dell’albergo, che pareva sospettosamente impassibile a quanto stava accadendo).

Dopodiché fu il turno di B.B. a scendere, o meglio, a catapultarsi fuori dall’auto e ad atterrare a carponi, vomitando perfino l’anima sul sentiero. Rimessosi infine in piedi, il giovane barcollò assai incerto sulle sue gambe, cercando un punto fisso in quel vortice mentale che lo portava a sbandare di qua e di là. Il suo appiglio lo trovò in una scioccata Sayu, la quale, dopo aver liberato la Belva, era venuta anch’ella a curiosare, intrigata dal silenzio cimiteriale presente tra gli invitati al matrimonio dopo l’urlo pressoché apocalittico di chi stava per essere investito.

“Beyond! Tu qui? Che ci fai?”, si strangolò per poco la ragazza con la sua medesima saliva, sorreggendo un verdognolo B.B., il quale si nascose le mani al volto, singhiozzando disperato:

“Perdonami, Sayu! Perdonami! Te lo supplico! Io non volevo! Io non sapevo!”

“Beyond … ma che diavolo …?”, si inserì Mello, i cui occhi si ingigantirono traumatizzati a vita non appena il suo fidanzato e lo sposo fuoriuscirono – forse tuffarsi fuori sarebbe il verbo più adeguato – dalla macchina, procedendo a braccetto simil granchi e cantando a squarciagola oscenità da osteria. “Oh mio Dio …”, farfugliò il manager, le ginocchia ridotte ad una pappetta di semolino.

“Matt! Che ti ha fatto? Che ti ha fatto quel … mostro!”, si strappò a momenti il manager i capelli – rinunciandovi però all’ultimo – alla vista del suo povero, innocente e completamente fumato fidanzato procedere caracollante sorretto da un L. altrettanto su di giri, leggasi ubriaco marcio.

“Tipico …”, scosse il capo Near, aspirando impassibile il suo sigaro e lanciando un’occhiata maligna ad una Sayu sull’orlo dello sconcerto. Capendo ormai di essere con le spalle al muro, B.B. era stato costretto a raccontargli brevemente la cruda verità in un angolino appartato, lontano da orecchie indiscrete.

“Gueh? Quel panda antropomorfo è il tuo fratellastro maggiore?”, squittì incredula l’attrice, la pressione a mille. “Quello squilibrato?”

“Ora capisci perché non te lo volevo presentare?”

“Ma non mi hai neanche detto di averne uno!”, obiettò lei.

“E ti pare che sia un soggetto di cui andare fiero?”

Il lungo silenzio di Sayu fu assai eloquente.

“A proposito di soggetti”, cogitò il manager albino ad alta voce, risvegliando Mello dal suo torpore post-trauma. “Qualcuno sa che fine abbia fatto …?”

“Sh! Zitto! Non nominarlo!”, lo chetarono gli invitati in coro, terrorizzati alla mera idea che, parlando del diavolo, gli spuntassero le corna. Siccome però questo matrimonio s’aveva da fare, ecco che Colui-che-non-doveva-essere-invocato fece il suo ingresso, chiedendo a gran voce (irritata):

“Dov’è? Dov’è lui?”

Tutti cessarono di respirare in perfetta sincronia. Perfino i grilli – sempre che ce ne fossero stati a gennaio – cessarono il loro stridulo frinire.

“Ebbene?”, inquisiva Light tra lo snervato e il perplesso, facendosi strada tra gli invitati, i quali si erano compattati in tacito accordo nel disperato tentativo di impedire al Bisbetico di assistere a siffatto spettacolo. Invano: sgomitando impaziente, il giovane si portò in prima fila domandandosi tra sé e sé il motivo per il quale se ne stavano tutti imbambolati con la bocca più spalancata di un frequentatore seriale di YouPorn.

Light Yagami venne, vide e vinse un semi-svenimento tra le braccia di Mello, che ebbe i riflessi abbastanza pronti da acchiapparlo in tempo.

Naomi Misora, cogliendo la balla al balzo, gli scattò una foto col cellulare. “Con questa ho la pensione assicurata”, pensò con perfida soddisfazione.

Stringendo gli occhi affatto contento di vedere il suo futuro consorte nelle braccia (a sua detta) polipose di Mello, Lawliet lo raggiunse in un nanosecondo, sempre trascinandosi seco un Matt in pieno trip psichedelico ma non troppo.

“Ah, ecco la mia donna!”, esclamò gioviale il moro, barcollandogli presso e abbracciandolo possessivamente. Gli astanti diedero nuovamente prova di essersi iscritti alle competizioni di apnea trattenendo il fiato, quando L. baciò in un ardito (per la sua colonna vertebrale) casché un Light dalla bocca piuttosto aperta per lo choc visivo causatogli dall’abbigliamento del suo futuro marito. A guardarlo da vicino, cogli occhi spalancati e che fissavano il vuoto, il Bisbetico sarebbe tranquillamente passato per un cadavere dell’obitorio in lista per il funerale.

Donna? Donna?! Quel panda antropomorfo zuccheroinamane aveva il coraggio di appellare il castano donna? Proprio lui che aveva avuto l’ardire, macché la follia di presentarsi con un abito in stile Via col Vento? E di certo, il signor Coil-Deneuve non si era ispirato a Rhett Butler!

Gonna di seta a campana bella vaporosa con nastri e chiffon e merletti e perline ricamate; strascico lungo due metri; scollatura rivelatrice; lunghi guanti bianchi; parure di diamanti e tiara kitsch da zarina di tutte le Russie e soprattutto – perfidia pura – scarpine con gli strass e tacchi a spillo: in quella mise L. poteva competere in quanto a grottesca opulenza ad una capo-maÎtresse di un bordello ispiratosi alle principesse disneyane.

“Scusa per il ritardo, Lucy”, fu il mea culpa del moro, che barcollava instabile da un piede all’altro.  “So che mi vuoi uccidere, però sul serio non è stata colpa mia!  … Te lo giuro sulla testa di mio fratello Brutto Bifolco! … Guarda, non ti racconto i casini che lui e Watari mi hanno piantato su per questo vestito … Io lo trovo così figo! … Lo visto da Kleinefeld e … mi è piaciuto un sacco … allora mi sono detto: Ma sì, lo compro, al massimo Lucy si farà una bella risata (o si metterà a piangere) …  Però non sono una checca, eh? Sia ben chiaro! … Okay, ogni tanto mi piace fare un po’ di cosplay – ma solo quando sono o particolarmente nervoso o ubriaco marcio ( adesso sono entrambi) - spero che per te non sia un problema … anche perché per me non lo è! … Perché mi fissi così, neanche ti avessero costretto ad ingoiare un manico di scopa rosolato al burro? … Giusto, ti stavo spiegando il mio ritardo …  Perché ero in ritardo? Ah, il traffico! Oh porca put-ops!”, si coprì L. spudoratamente vergognoso la bocca, sia per non imprecare sia per trattenere un sonoro rutto provocatogli dal suo tallone d’Achillo, a.k.a. la Red Bull. “Volevo dire … oh, porca paletta! … che traffico! Che traffico! Siamo rimasti bloccati per seeeecoli e questo cretino” e sollevò Matt, schiaffandolo quasi sotto il naso di un Light livido e tremante (ma non dal freddo), “non voleva accelerare! Si è messo a piangere istericamente, affermando che lo stavo conducendo al patibolo! … Meno male che gli avevo alterato le sue sigarette … dopodiché è diventato più docile e simpatico … abbiamo perfino fatto un po’ di karaoke, mentre tentavano di investire la vecchia col labrador …  Dai, Matt, digli quanto traffico c’era!”

“Moltissimo!”, fece il ragazzo pollice in su, staccandosi ad un tratto dalla stretta di L. e dichiarando solenne: “E adesso scusatemi, piccioncini miei, devo andare a vomitare sul tuxedo del mio crucco!” e cadde per terra in un pesante tonfo.

“Matt! Contegno! E non sul mio tuxedo, merda!”, berciò irato Mello – il crucco in questione - rimettendolo in piedi e scuotendolo energicamente, sordo alle proteste dell’altro che urlava alla violenza domestica.

Intanto, reprimendo il malsano desiderio di strangolare l’orrida visione paratagli innanzi e personificatasi nella figura di L. (non c’era bisogno di dar ulteriore spettacolo), Light gli si avvicinò, gli occhi nocciola più infuocati dell’inferno stesso. “Hai bevuto, stronzerrimo!”, constatò in un gelido sibilo, il labbro inferiore che gli tremava istericamente e l’occhio sinistro con esso. “Mi fai schifo, vacca bastarda!”

Aveva voglia di piangere, uccidere, mutilare, mordere, suicidarsi, abbuffarsi di patatine fritte, prendere a calci nel sedere L., urlare, strapparsi i capelli, etc. etc. Tutto pur di sfogare l’opprimente sensazione degli sguardi dei presenti, il cui peso lo schiacciava ad ogni istante che trascorreva, facendolo sentire simile al titano Atlante.

Mai in vita sua si era sentito così umiliato. Così ridicolizzato davanti a tutti, che di sicuro o lo stavano compatendo o stavano mettendo alla prova l’elasticità delle rispettive casse toraciche, trattenendosi dallo sganasciare allegramente. Con che faccia si sarebbe presentato di nuovo nell’azienda? Anzi, con che faccia avrebbe affrontato il mondo! Come aveva fatto ad essere stato così deficiente a lasciarsi irretire da quella scimmia fuggita dal circo di Moira Orfei?

Tzé! Ignorava, Kira, che quello era solo l’antipasto di quell’osceno vaudeville preparatogli e offertogli dal suo solerte sposo!

 Il quale, giusto per non smentirsi … “Solo una lattina di Red Bull, Lucy”, gli confessò serio. “Da tre litri.”

Light si vide costretto a trattenersi dal sputargli su ambedue gli occhi. Che diavolo di risposta era quella?

“Tuttavia”, riprese ieratico L., estraendo dal suo bouquet un inquietante oggetto metallico. “Basta parlare di me, Lucy!” e un sinistro clic! confermò i sospetti del castano riguardo la sanità mentale del moro.

“Che significa questo? Mi ammanetti, pervertito?!”, ringhiò egli la sua protesta, guadagnandosi una risata dolcemente malevola da parte di Lawliet, che, tirandolo a sé tramite la catena, gli sussurrò all’orecchio:

“E non hai visto ancora niente, Light!” Risata gutturale. “C’mon, baby! Andiamo a sposarci!”

Prima che il Bisbetico avesse modo di tempestarlo di pugni in faccia, L. si alzò le sottane e prese a correre indiavolato all’interno dell’hotel, trascinando seco un recalcitrante Light, che s’aggrappava a qualsiasi cosa e/o persona pur di non seguirlo, operazione pressoché impossibile visto che gli ospiti lo spingevano da dietro, neanche si fossero risvegliati in una squadra di rugby.

Si creò di conseguenza una certa congestione di gente all’entrata.

“Che bello! Che bello! Si sposano! Si sposano!”, esclamava in quella ressa una voce insospettabile. Quindi no, non si trattava della signora Sachiko.

“Hai drogato il padre di Kira?”, inquisì indignato Mello, intanto che cercava a) di salvare l’occhio da una gomitata e b) di evitare che Matt, preda a strani fumi, scalcasse gli astanti camminandogli in testa.

Impunito, Near annuì.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

To be continued …

Nel prossimo capitolo: Laddove, tra aspri duoli e grasse risate, viene celebrato l’imeneo più scioccante della storia, Parte 2.

 

 

  
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