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Autore: Honodetsu    17/12/2012    4 recensioni
"...Le lacrime gli scesero bollenti dagli occhi e, al loro passaggio, la pelle sembrava corrodersi. Sentì una rabbia potentissima, una rabbia repressa da mesi, che lo stava mandando alla pazzia. Si alzò di scatto e con un urlo buttò a terra anche l'ultimo vaso di fiori intatto. Sbatté i pugni contro il muro con forza, facendosi male. Continuò e continuò, finché dalle nocche non sgorgò del sangue. Solo allora si buttò con le spalle contro il muro e guardò con rabbia la foto..."
Molto bene, lo dico subito: la trama inizia lenta. Protrà sembrare una normale storia sentimentale ma con il susseguirsi degli eventi vi posso promettere che ne rimarrete sorpresi. Non voglio anticipare nulla, se vi interessa leggete...
P.s Vi chiedo solo di avere pazienza, è la prima storia che scrivo su EFP ma vi assicuro che non ve ne pentirete. E con questo posso solo dire (a chi legge e chi leggerà):
Buona lettura e grazie :)
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Prese in tutta fretta la valigia vuota, che aveva tirato fuori già da dopo la telefonata di Feliciano. Già da prima aveva deciso di partire, appena sentito il nome del fratello uscire dalla bocca dell'italiano, aveva ordinato e pagato i biglietti per l'aereo.

Ma appena aveva finito la telefonata con Gilbert si era precipitato a preparare la valigia. Infilò l'ultimo paia di pantaloni e chiuse le cinghie. Si guardò in torno per vedere se servisse altro ma non trovò nulla. Ecco, finito. Ed adesso doveva solo aspettare le sei dell'indomani mattina.

Già, facile, aspettare. Rimase in piedi come un idiota, privo di emozione. Guardò il calendario appeso al muro, sopra la sua scrivania.

Si rese conto con sofferenza che, oggi, era un dannato sabato. Il giorno dopo Feliciano sarebbe tornato a casa, da lui.

Feliciano...

Sentì le lacrime salirgli agli occhi. Sentì all'improvviso il battito accelerato del cuore, facendogli intendere che era da parecchio che pompava sangue a raffica e che gli chiedeva una pausa.

Fino a quel momento non si era lasciato andare alle emozioni. Da dopo la telefonata del fratello non si era fermato un attimo e perciò si era distratto da quello che provava. Si rese conto, finalmente, di stare malissimo. Si sedette a terra, posando la schiena su un lato del letto.

Si sentì così in colpa. Aveva sbagliato tutto, non avrebbe dovuto lasciarlo andare in Germania e, tanto meno, non avrebbe dovuto parlargli in quel modo al telefono.

Se adesso lui era in pericolo era per colpa sua. Perché non lo aveva avvertito del pericolo, perché non gli aveva parlato del suo passato, di suo fratello.

E pensare a tutte le occasioni in cui avrebbe potuto dirglielo, tutte le volte che il ricordo di quella sera dannata lo faceva cedere, tutte le volte che lui; senza sapere niente, veniva lo stesso a consolarlo. La cosa che gli fece più male era che lui non pretendeva nemmeno di sapere.

Non pretendeva di sapere a tutti i costi cosa lo rendesse così triste, lo consolava e basata, poi, se lui avesse voluto dirglielo, lo avrebbe ascoltato. Gli fece male.

Gli fece male perché per l'ennesima volta si era reso conto di quanto Feliciano lo amasse e di quanto, invece, lui era stato egoista e sciocco. Sperò che stesse bene, sperò che non lo avesse toccato. L'angoscia lo stava divorando e, la paura di arrivare tardi, lo opprimeva. Tirò fuori dalla tasca il cellulare. Doveva sentire la sua voce, doveva parlargli. Certo, non che si aspettava che rispondesse, ma dentro si sé ci sperò davvero. Squillava a vuoto. Se l'era perso? Glie l'aveva sequestrato quel bastardo? L'unica cosa che riuscì a sentire e a capire fu il rumore della chiamata che si interrompeva. Rimase per qualche secondo a guardare il cellulare. Gli aveva attaccato in faccia. La paura lo invase ancora di più.

Sperò che non gli accadesse niente e che potesse resistere fino all'indomani. Gli dispiacque di non riuscire a parlargli, di certo in quel momento era spaventato e solo.

Chissà cosa gli aveva raccontato Gilbert, chissà se glie lo aveva già detto. Se gli aveva già parlato del suo omicidio. Chissà se lo aveva toccato. Se lo aveva fatto glie l'avrebbe fatta pagare. Si morse le labbra con disperazione.

Rannicchiò le gambe al petto e, per la prima volta dopo anni, pianse.



Continuava a starsene seduto sul letto, con le ginocchia tirate al petto, chiuso in sé stesso e confinato in quella stanza sporca e logora.

Gilbert lo aveva lasciato chiuso lì, mentre lui era andato via con il suo cellulare. Lo aveva sentito squillare all'aldilà del muro che lo separava dalla fuga. Aveva sperato fosse Ludwing ma dopo qualche secondo la suoneria era già persa nel vuoto di quell'enorme edificio abbandonato che quel mostro usava come casa. Ed ora se ne stava là, cupo e solo, ripensando a quello che gli era capitato; stringendo convulsamente le gambe e stringendosi tra le spalle al ricordo di quelle maledette mani che lo toccavano da per tutto. Serrò gli occhi cercando di cacciare via quelle sensazioni orribili, quei ricordi dolorosi, e per un attimo ci riuscì. Fu il dolore dei fianchi a fargli interrompere quell'attimo di pace. Aveva così tante domande per la testa, era tutto così follemente assurdo. Da un giorno all'altro si era ritrovato violentato e imprigionato.

Da un giorno all'altro aveva scoperto che il suo ragazzo era un assassino, che aveva ucciso un uomo e che aveva un fratello completamente fuori di testa. Strinse la testa tra le mani mentre le lacrime tornavano, in un semplice giorno la sua intera esistenza era stata sconvolta.

Sarebbe mai riuscito a superare quello che era successo poco fa? Sarebbe riuscito a scordare il dolore, la frustrazione, il senso di impotenza, l'imbarazzo?

Sgranò gli occhi nel buio con la paura nell'anima e il dolore nel corpo. Sarebbe riuscito ad uscire di qui? Avrebbe mai rivisto Ludwing? Sarebbe riuscito a guardarlo in faccia?

Sentì la voglia di piangere e di strillare ancora potente ma il suo corpo era tutto un dolore, e non voleva muoversi. In quel momento gli sarebbe piaciuto essere forte come Romano. Lui di certo avrebbe saputo come fare, come gestire la situazione.

Romano, lui lo sapeva, era molto più coraggioso. Di certo non si sarebbe arreso, lasciandogli fare tutto quello che gli pareva con il suo corpo. Serrò gli occhi e strinse i denti. Come gli mancava suo fratello, chissà come stava ora, chissà che faceva. Di certo stava con Antonio, lamentandosi di tutto e di tutti e, di certo, lo spagnolo gli stava sorridendo, assecondandolo, pieno d'amore.

Gli venne da piangere. Gli venne da piangere anche perché nonostante tutto, nonostante fosse rimasto deluso dalla scoperta e ne fosse amareggiato, la persona che gli mancava più di tutte era Ludwing. Era il tedesco. Era il biondo dagli occhi di cielo. Quel ragazzo che aveva sempre creduto timido e dolce, quel ragazzo che aveva sempre creduto di conoscere alla perfezione.

E come dovrebbe reagire una persona se scoprisse all'improvviso che quel ragazzo tedesco, biondo dagli occhi di cielo, timido, dolce e che avrebbe detto di conoscere alla perfezione, aveva ucciso un uomo in passato?

La porta si aprì rumorosa davanti a lui e Feliciano alzò appena gli occhi verso la figura alla soglia, li riabbassò subito.

-”Credo proprio che stia per arrivare...”- sibilò l'altro nella penombra mentre mostrava, in una mano, il cellulare dell'italiano; con il messaggio di Ludwing. Feliciano serrò la mascella.

-”Cosa... Cosa dice?”- chiese timoroso, senza alzare lo sguardo.

Gilbert non rispose. Guardò di lato, c'erano delle candele un po' consumate in fondo alla stanza, si avvicinò in silenzio. L'italiano lo seguì con uno sguardo stanco e temerario.

Si piegò ed accese le candele con l'accendino che aveva in tasca. La stanza si illuminò di una tiepida luce, ciò trasmise un po' di calma al ramato. Il prussiano si sedette sul letto accanto a lui.

Rimase per qualche secondo a guardarlo, Feliciano si sentì a disagio, continuava a guardare di lato con rabbia per evitare di rispecchiarsi in quegli occhi rossi.

D'un tratto vide, con la coda dell'occhio, la mano di Gilbert avvicinarsi a lui. Si spostò di scatto e gli afferrò il polso con paura. Dannazione, di nuovo quegli occhi che lo guardavano. Lo vide sorridere appena, liberò il polso dalla presa.

-”Non volevo farti nulla.”- disse e per un attimo gli parve di intuire un qualcosa di diverso in quel suo solito tono di voce provocatorio.

-”Tieni.”- continuò porgendogli il cellulare-”Leggi tu stesso quello che ha scritto.”-

Veneziano rimase per un attimo indeciso. Si morse le labbra e lo guardò negli occhi timoroso. L'altro sospirò deluso ed infastidito.

-”E dannazione! Prendilo!”- alzò la voce prendendogli la mano con forza e sbattendogli sul palmo il cellulare. L'italiano ritirò immediatamente la mano spaventato mentre il prussiano si alzò dal letto. Rimase a guardarlo, cercando di capire che cosa gli fosse preso. Gli diede le spalle. Era arrabbiato, lo sapeva, ma non riusciva a capire per cosa. D'un tratto vide le sue spalle abbassarsi.

-”Tu...”-si fermò, probabilmente non sapendo come continuare-”Non ho nulla contro di te...”- disse dopo una pausa-”Rivoglio solo mio fratello, tutto qui.”- e mentre lo disse si voltò verso di lui. Gli puntò un dito contro-”Tu devi solo collaborare.”- fece.

Feliciano strinse i pugni.

-”Ripeto, non ho nulla contro di te. Non voglio farti del male ma se non collabori sarò costretto a farlo.”-riprese senza staccare gli occhi dal suo viso pallido e stanco.

Le sopracciglia di Feliciano si incurvarono e la sua bocca si aprì un poco. Gli uscì una rista nervosa che subito si soffocò nella rabbia e nell'odio.

-”Ah, sì?”- gli chiese alzandosi dal letto-”Che ti avevo fatto prima per meritarmi quel trattamento? Mi sembra, invece, che a tu ce l'abbia con me per un qualche motivo malato creato da te stesso!”-

Gilbert scosse la testa e sorrise.

-”Meglio che ti rimetti comodo, dovrai aspettare ancora parecchio.”- fece per andarsene quando sentì qualcosa prenderlo per la maglia. Si voltò.

-”Non puoi lasciarmi ancora qui...”- riprese, stringendo la presa-”Io e Ludwing non ti abbiamo fatto nulla. Perché insisti a farci del male?”- gli chiese con le lacrime agli occhi. Gilbert passò lo sguardo dalle sue lacrime alla mano stretta sul suo maglione. L'italiano se ne accorse e lasciò subito la presa, si rimise seduto sul letto e si coprì la faccia. Odiava farsi vedere in quello stato da lui. Gilbert fece per avvicinarsi a lui ma si fermò. Strinse i pugni e si morse il labbro. Si voltò verso l'uscita.

-”Smettila di piangere”- gli disse-”e leggi quel dannato messaggio, ti farà star meglio...”-

Richiuse la porta dietro di sé. L'italiano sospirò tra le lacrime e si portò il cellulare alla vista.

Domani sarò da te Feliciano. Resisti... Ti amo.

Sorrise a quelle due ultime parole ma il dolore smorzò completamente la felicità, facendolo cadere in un oblio. Mentre piangeva disperatamente si chiese se era quella la sensazione che provava continuamente Ludwing nel ricordare il passato. Perché se era quella, allora, lo aveva finalmente capito e compatito.

 

Aveva raccolto delle coperte nelle varie stanze dell'edificio e le aveva sistemate, riuscendo a creare una sorta di cuccia. D'altronde Feliciano era chiuso nella sua stanza, perciò si dovette arrangiare con una cuccetta improvvisata. Ci si stese con rabbia.

Ma che gli era preso lì dentro? Cos'erano quelle sensazioni che aveva provato nel vederlo in quello stato? Possibile che avesse provato pena, compassione?

Aveva fatto del male a così tanta gente e non glie ne era mai fregato nulla, ed adesso? Certo, di solito lo faceva con gente della sua stessa razza, malviventi, non a gente comune. Forse era quello ad averlo messo in difficoltà. Forse. Ma forse no.

Quando gli si era seduto a canto, e lo aveva visto con la testa e lo sguardo basso, aveva sentito come il bisogno irrefrenabile di accarezzargli il capo, di dirgli di stare tranquillo. Quando lo aveva visto portarsi le mani al viso gli sarebbe piaciuto abbracciarlo, rassicurarlo, dirgli dolcemente di smettere di piangere. Non aveva mai provato cose simili, non si era mai sentito così. L'unica persona a cui fosse mai stato legato era suo fratello, possibile che si stesse affezionando anche a lui? Si rigirò nella sua cuccia con fastidio.

Tutte sciocchezze! E' da tanto che non stavo con una donna od un ragazzo, ecco spiegate quelle sensazioni. Sono solo attirato dal suo corpo, tutto qui.

Lo pensò con convinzione ma man mano che se lo ripeteva perdeva sempre più credibilità. Continuava a ripeterselo, aggrappandosi di peso alla maschera di menefreghista che si era creato, spingendola con disperata determinazione contro il viso. Sperando che a forza di spingere sarebbe entrata dentro di lui, facendocelo diventare davvero. Da anni indossava quella maschera senza nemmeno saperlo, da anni si era comportato in quel modo credendo di essere davvero lui quello che uccideva e non rimaneva ferito. Era da molto che credeva di essere intoccabile, di possedere il mondo tra le mani. Ma dopo quell'atto di poco fa, con Feliciano, si era reso conto che non era così. La sua perfetta maschera si era rotta, sfregiandogli il viso, le mani, l'anima; mostrandogli la realtà. Mostrandogli che, persino lui, provava delle emozioni; che le aveva sempre provate ma ignorate.

Facendogli capire che, no, non era attrazione per il suo corpo quello che provava per Feliciano, ma amore. Dannato, soffocante, doloroso amore. Ma, no, anche se ferito, continuava a spingersi contro il viso la maschera rotta. Continuava a spingerla ignorando la realtà, ignorando le ferite, i sentimenti che provava. Ignorando perfino i singhiozzi disperati e soffocati che provenivano dalla stanza in cui era rinchiuso l'italiano. L'ignorava con la confusione più totale nel cuore. L'unica cosa a cui prestava attenzione era la sua maschera, che si rompeva lentamente mentre veniva spinta sul viso.

Non è così! Mi rifiuto di crederlo!

 

 

Era da l'altro ieri che si comportava in modo strano. Era sfuggente, usciva spesso, con la scusa del lavoro. Da quando era guarito dalla febbre, Romano, aveva cominciato a essere meno presente nei suoi confronti. Guardò l'orologio, stava per scendere la sera ed ancora non era tornato a casa.

Antonio batté gli ultimi tasti, finendo completamente di tradurre quel dannato libro. Nel salvare il lavoro finito provò una sorta di soddisfazione. Spense il computer e si sdraiò sul letto.

Silenzio, attendeva. Attendeva che tornasse e che, per l'ennesima volta, si presentasse con la sua dannata faccia, chiedendo scusa e sfuggendo alle sue domande ed al suo sguardo. Cosa gli prendeva? Odiava essere trattato in quel modo. Sospirò e cercò di analizzare meglio il suo comportamento ma, più ci pensava, più si rendeva conto di non provare nulla.

Non sentiva rabbia o fastidio quando tardava, sentiva solo una specie di oppressione invadergli l'animo quando non gli era accanto mentre vedeva scendere la sera.

Sentì la porta di casa aprirsi con uno scatto rumoroso.

-”Sono a tornato.”-

Antonio sospirò e chiuse gli occhi cercando la forza per rispondergli normalmente, con allegria.

-”Ben tornato.”- fece incolore. Romano comparì sulla porta della stanza.

-”Ho fatto tardi, scusa.”-disse mentre entrava e posava la valigia da lavoro su una sedia-”Ma ho un sacco di lavoro arretrato in ufficio.”-continuò sperando che lo perdonasse.

Ancora quella faccia da falso. Sì, da falso, perché capiva benissimo che gli stava mentendo. Si alzò dalla sua posizione supina per mettersi seduto.

-”No, ti capisco, tranquillo...”- disse sospirando.

Lo vide muoversi per la stanza più allegro ed agitato del solito. Non poté fare a meno che sospirare di nuovo. Romano si allentò la cravatta un po' nervoso.

-”Stavo pensando...”- cominciò dandogli le spalle mentre posava la giacca nell'armadio. Sentì gli occhi verde scuro dello spagnolo, adosso-”Che questa sera potrei cucinare io.”-

Antonio aggrottò le sopracciglia ed allungò il collo per cercare di vedere la sua espressione. Romano,prima di girarsi verso di lui, chiuse gli occhi e si morse il labbro.

-”Insomma, è da tanto che non cucino io, no?”- continuava a dire mentre cercava di togliersi, con le mani nevrotiche, la cravatta dal collo.

Antonio rimase per un attimo a guardarlo sorpreso. Ed adesso che cavolo gli prendeva?

Forse vuole farsi perdonare per il comportamento strambo di questi giorni...

Lo spagnolo si alzò dal letto e gli si avvicinò.

-”Va bene.”- gli sorrise fermandogli le mani e cominciando a snodare la cravatta ormai stropicciata ed annodata-”Se proprio vuoi.”-

Romano inghiottì della saliva e sorrise appena.

-”Roma, tutto bene?”- gli chiese sistemando la cravatta nel cassetto.

L'italiano annuì rumoroso.

-”Certamente!”- disse quasi urlando-”Vado a preparare da mangiare.”- dicendo così si incamminò verso la cucina. Antonio, rimasto ormai solo nella stanza, sospirò confuso.

 

Romano entrò barcollante per l'emozione e l'ansia nella cucina. Afferrò la busta della spesa che aveva posato quando era arrivato, guardò dentro.

Nel vedere la sua cara amica pasta sorrise tranquillizzandosi un pochino, la tirò fuori insieme alla bottiglia di vino. Si passò il vetro freddo tra le mani, osservando il liquido rosso.

Aveva paura, paura di sbagliare, che se lo avesse fatto, dopo sarebbe cambiato tutto. Insomma, stava per fare la proposta più importante della sua vita.

Sospirò e posò la bottiglia sul tavolo. No, quella proposta non era importante solo per la sua di vita, ma anche per quella di Antonio.

Si portò la mano nella tasca alla ricerca dell'oggetto che lo aveva fatto penare tanto in quei giorni, appena lo sentì tra le dita sentì un capogiro. Scosse la testa e ritornò alla cena. Doveva essere perfetta. Tutto, quella sera, doveva essere perfetto.

Antonio comparì alla porta facendogli prendere un colpo.

-”Quelle... Quelle sono candele?”- chiese indicandole incredulo. Romano sentì l'imbarazzo invaderlo e la tensione ucciderlo.

-”Sì, perché non ti piacciono?”- chiese brontolando-”Sono profumate.”- fece guardando altrove.

Antonio sorrise cercando di capire che stesse combinando.

-”Vuoi darmi una mano con la pasta?”- parlò di nuovo l'italiano, sorridendo questa volta. Un grande sorriso si espanse sul volto dello spagnolo.

-”Posso?”- chiese contento e sorpreso. Romano rimase per un attimo stupito da quel suo lato infantile. Sorrise intenerito, annuì.

-”Certo che puoi...”- vide lo sguardo di Antonio passare dall'infantile, al sorpreso ed in fine all'imbarazzato. Si riscosse, cambiando subito tono di voce e distogliendo lo sguardo-”...Perché hai intenzione di farmi fare tutto il lavoro?”-

Antonio sorrise a quella forma di difesa che aveva messo su Romano. Gli si avvicinò e gli diede un lieve bacio sulla guancia per poi togliergli la pentola da sotto e portandosela via.

-”Metto l'acqua sul fuoco.”- disse sorridente. L'italiano rimase per un attimo imbambolato. Divenne rosso. Antonio posò la pentola piena d'acqua sul fornello.

Il silenzio scese pesante per il povero ramato.

Doveva farlo ora? No, no, ma che andava pensando, non ora. Dopo cena. O forse era meglio prima?

Si chiuse in sé stesso, in compagnia della sua ansia, e circondato dall'emozione. Posò l'ultima posata che aveva in mano sul tovagliolo bianco.

Guardò, impaurito di essere scoperto, Antonio. Gli dava le spalle, mentre preparava la pasta. Rimase perso in quelle spalle larghe e forti. Ora che ci pensava le sue spalle erano sempre state grandi, erano sempre state casa per lui. Nel vederlo muoversi sciolto e spensierato intuì che l'amaro, che si era andato a crearsi in quei giorni a causa della sua poca presenza, si era addolcito.

Già, in quel momento avrebbe giurato che stesse persino sorridendo contento. Contento di poter cucinare con la sua compagnia. Romano sorrise un po' rassegnato ed intenerito.

Gli procurava tanta gioia, allo spagnolo, cucinare con lui a canto?

-”E' successo qualcosa di importante a lavoro?”- chiese Antonio. L'italiano alzò un sopracciglio senza riuscire a capire.

-”Sì, insomma, come mai questa cena? Come mai stai cucinando con me?”-continuò.

Romano sospirò ed arrossì.

-”Non è successo nulla...”- sbuffò-”Mi andava di cucinare con te.”- si voltò verso di lui piccato -”Che c'è? Pensi che non mi piaccia cucinare con te? Che lo farei solo se fosse successo qualcosa di bello a lavoro?”-chiese offeso mentre lo guardava.

Lo spagnolo rimase a guardarlo sorpreso per quello scatto d'ira. Romano se ne accorse, abbassò lo sguardo con imbarazzo. Ma che cavolo faceva? Ci voleva litigare? Proprio oggi?

-”Scusa...”-borbottò.

-”Non si direbbe...”-disse l'altro. Il ramato alzò lo sguardo interrogativo, rimase sorpreso dal volto triste di Antonio. Fece un passo avanti, cercando di capire che gli prendesse.

-”Antonio... Cosa...?”-

-”...Non si direbbe che ti piaccia cucinare con me, visto che non lo fai mai.”-guardò di lato, sempre quello sguardo triste-”Non si direbbe, nemmeno, che ti piaccia stare con me, da quanto deduco da questi giorni.”-

Romano scosse la testa e cercò di prendergli una mano ma lui la retrasse.

Antonio scosse la testa con gli occhi fissi sul pavimento. Non sapeva nemmeno lui cos'era quell'improvvisa voglia di urlare e piangere, quell'improvvisa voglia di lasciarsi andare per una volta. Non sapeva perché provasse tutto ciò, l'unica cosa che sapeva era che voleva delle risposte.

-”Non sembra nemmeno che viviamo nello stesso tetto, non ci vediamo mai. Non ci sei mai.”-ora gli occhi disperati dello spagnolo erano sui suoi-”Ma, Romano, noi siamo ancora fidanzati?”- chiese confuso. Ecco le lacrime, sospirò.

Romano scosse la testa.

-”No...”- sussurrò incredulo nel guardarlo trattenere a stento le lacrime-”No!”- gli afferrò le mani e le portò al suo petto. Antonio a quel punto abbassò lo sguardo appannato.

-”No! Questa sera nessuno deve piangere! Questa sera non nessuno deve avere dubbi!”- disse sentendo la paura e la sofferenza nel cuore.

Lo spagnolo sorrise appena tra le lacrime che scorrevano.

-”In questi giorni non ci sei stato mai...”- sussurrò-”Ed ora questa cena... Che c'è, stai cercando di addolcirmi la pillola? Che devi dirmi di tanto brutto?”-disse alzando la voce. D'un tratto si zittì, per poi parlare ancora-“...V...Vuoi lasciami?”- quelle due parole gli uscirono soffocate e dolorose. Quelle parole colpirono il cuore di Romano.

No!

Si portò la mano alla tasca e strinse il pugno intorno alla scatolina. I singhiozzi di Antonio stonavano così tanto con la sua figura. Quelle lacrime, quegli occhi rossi, non era da lui.

Antonio era quello sempre sorridente e spontaneo, quello sempre disposto a prenderlo in giro e a dargli una mano. Quello dagli occhi verde scuro e dalle labbra perennemente stirate in un sorriso stupendo. Un sorriso speciale. Un sorriso alla Antonio.

La paura svanì all'improvviso, così come l'indecisione, l'ansia. Rimase solo il senso di colpa. Per l'ennesima volta lo aveva fatto sentire male, anche se stava facendo qualcosa per lui. Gli prese delicatamente il viso tra le mani, lo portò alla sua altezza. Gli sorrise.

-”No.”- disse-”Non voglio. Non lo vorrò mai.”-

Le lacrime sgorgarono ancora più prepotenti dagli occhi verdi, tanto che Romano lo trovò tenero. Si alzò sulle punte e gli baciò la fronte. Si portò una mano in tasca, mentre posava un ginocchio a terra, senza distogliere lo sguardo dal viso dell'altro.

Ebbene sì, è con lui che voglio passare tutto il resto della mia vita...

La scatoletta si aprì, così come gli occhi lacrimosi di Antonio, così come la sua bocca. Ci portò una mano davanti, ma un gemito ne uscì lo stesso.

Dall'anello semplice e modesto passò al suo viso, al viso di Romano. Serio, teso, imbarazzato ma dolce. Terribilmente dolce.

-”Ok.”- fece sorridendo l'italiano-”Probabilmente questa sarà la proposta più stramba tra tutte.”- sorrise ed un sorriso nervoso sfuggì anche all'altro.

-”Vuoi dire che...”- fece con la voce che gli si bloccava in gola per l'emozione. Romano annuì e Antonio prese fiato-”Madre de Dios!”- si guardò intorno completamente sconvolto-”Sì!”-

-”Ehi, aspetta!”- fece borbottando l'italiano inginocchiato. Antonio cercò di frenare un attimo la sua confusione -”Non è ancora il momento del “sì”, diamine! Devo fare la mia proposta prima, senno che ci faccio in ginocchiato qui, secondo te?”-fece nevrotico e rosso in viso.

Antonio alzò le sopracciglia e le mani.

-”Oh...!G... Giusto, scusa!”- fece emozionato ed ancora incredulo-”Co... Continua...”-

Romano sbuffò imbarazzato. Chiuse gli occhi e sospirò.

-”Ti amo.”- fece e lo spagnolo ebbe un fremito-”Ti ho sempre amato... Sì, detto così può sembrare un cliché, ma, dannazione,”- fece sorridendo-”è vero!”-

Prese un pausa, dove entrambi si guardarono negli occhi.

-”So che non sono stato presente in questi giorni, cavolo, chissà cosa avrai pensato che facessi per arrivare così tardi a casa, eh?”- fece sentendo ancora il senso di colpa-”Ma vedi... Non sono bravo con i gioielli, quindi sono andato in parecchie gioiellerie e mi sono fatto consigliare da più commesse...”- Antonio rimase stupito a quella spiegazione. D'un tratto sembrava tutto così perfettamente liscio, così perfettamente logico che gli parve strano che non ci fosse arrivato da solo.

-”Volevo scegliere un anello bellissimo, che potesse piacere ad entrambi... Ma non troppo appariscente...”-sorrise-”Spero ti piaccia, anche perché a me è piaciuto molto...”-

Antonio annuì cercando di asciugarsi gli occhi.

-”E' perfetto...”- disse sorridendo.

Romano trovò quel sorriso bellissimo, anche se tra le lacrime.

Bravo, così va meglio... Sorridi!

-”Io voglio che tu sia mio marito.”- disse con il cuore in gola.

Mio marito, cavolo!

-”Voglio che tu possa restare al mio fianco per sempre... E... E spero che anche tu lo voglia...”- fece un attimo di silenzio in cui sorrise nel vedere la faccia spaesata dell'altro.

-”Bhè,”- fece sorridendo-”penso che questo sia il momento del “sì”...”- gli fece arrossendo.

Antonio si riscosse e scoppiò a ridere nervoso.

-”Mio Dio...”-sussurrò posando un fianco contro il frigo-”Me lo hai detto in cucina, Romano!”- disse ridacchiando mentre asciugava completamente le lacrime.

Romano alzò le sopracciglia e le spalle.

-”Hai ragione, scusa, era meglio il bagno.”- disse facendogli la linguaccia. Antonio rise seguito dall'altro-”Allora? Sì o no?”- chiese di nuovo in una tensione tremenda.

Antonio si mise in ginocchio davanti a lui.

-”Hai già avuto il mio “sì”...”- disse sorridendo-”Lo hai avuto quel giorno all'aeroporto, ed il giorno dopo e quello dopo ancora.”-chiuse gli occhi cercando di non piangere ancora-”Dannazione, lo avevi persino in questi giorni che non c'eri mai!”-

Romano sorrise imbarazzato.

-”A me bastava un semplice “sì”...”- disse stuzzicandolo. Antonio ignorò quel tentativo di fuga dalla situazione imbarazzante, da parte del compagno.

-”A me non bastava. Così come non mi basti tu...”- lo afferrò per i baveri della camicia e lo baciò.

Era da giorni che non baciava le sue labbra ed ora era lui quello che mordeva. Era lui quello che desiderava di più fra i due.

 

Non si era reso conto di aver sofferto così tanto. In quei giorni passati da solo, in quella villa silenziosa, non aveva provato nulla. Si era sentito vuoto, privo d'emozione, e la cosa lo aveva spaventato. Si era chiesto più volte, mentre aspettava il suo ritorno a casa, del perché non fosse preoccupato, ansioso od altro. Si era chiesto altrettante volte del perché non si arrabbiasse quando lo vedeva tornare e sfuggire alle sue domande.

L'unica cosa che provava era solitudine. Una solitudine pesante e sorda, che aveva reso ovattati e lontani i veri sentimenti che provava: paura, angoscia, rabbia e dolore.

E ora mentre lo baciava e si spogliavano a vicenda, si rese d'un tratto conto di aver sofferto troppo in quei giorni. Aveva sofferto senza nemmeno accorgersene realmente.

Sentì li leggero tocco di Romano stenderlo sul letto. Continuarono a baciarsi, sentì il rumore dei propri pantaloni aprirsi e le labbra andare in fiamme per i suoi baci.

Scoprì con stupore straziante che adorava sentire quelle mani sul suo corpo, che adorava sentirsi accarezzare. Chiuse gli occhi mentre l'altro aveva preso a baciargli delicatamente il collo.

Ora, nudo ed accaldato, si sentì terribilmente fragile.

Sentì il fiato caldo di Romano sulle labbra, poi il lento e dolce bacio.

Già, si sentiva fragile.

Le sue mani che lo toccavano.

Era fragile e non gli dispiaceva.

Prese a baciargli il petto ed Antonio strinse con delicatezza le braccia in torno alla sua schiena.

Era bello per una volta essere fragili in una vita in cui si era destinati ad essere duri.

Arrivò a baciarlo fino agli addominali, si fermò e tornò al suo viso.

Era dannatamente e sconvolgentemente bello sentirsi così.

-”Ti amo...”- quella voce lo costrinse ad aprire gli occhi. Davanti a lui, Romano, che lo osservava con uno sguardo che non gli aveva mai visto. Sembrava triste ma allo stesso tempo felice. Antonio cercò di far tornare il respiro regolare. Lo fece sdraiare di schiena, questa volta era lui ad essere su di Romano. Posò il petto contro il suo e la testa tra l'incavo del suo collo e della spalla.

Capì all'improvviso che il suo momento di fragilità doveva finire. Sorrise.

-”Perché sei triste allora?”- gli sussurrò.

La stanza era buia e dalla tenda filtrava la luce della luna. Sentì le mani di lui sulla propria schiena.

-”Io...”- la voce era incrinata-”Ti ho ignorato in questi giorni e ti sei sentito solo, me ne sono reso conto solo adesso... Ed io...”-

Antonio posò le labbra sulle sue, interrompendolo.

-”Adesso sei qui con me.”- lo baciò ancora-”Siamo nel nostra casa, nel nostro letto, insieme.”- Romano gli accarezzò una guancia.

-”Scusa...”-

-”Smettila di dirlo.”- sorrise-”Mi hai chiesto di sposarmi, Romano!”- fece ridendo-”Pensavo che sarei dovuto essere io quello a fare la proposta...”- lo baciò ancora-”Mi hai reso incredibilmente felice... Sono io che ti chiedo scusa, invece. Mi sono comportato in modo stupido prima, è che in questi giorni mi sono sentito fragile...”-

Romano scosse la testa con imbarazzo.

-”Alle volte è bello essere fragili...”- quelle parole sorpresero lo spagnolo-”Ed è bello avere qualcuno che, invece, lo è di meno.”- gli sorrise un po' timido-”Insomma, ti consola averne una affianco. O almeno lo è per me. Tu mi fai star bene nei momenti in cui mi sento fragile.”-

Antonio sorrise nonostante avrebbe voluto chiudere quel discorso.

-”E sai,”- continuò Romano-”alle volte mi chiedo se è lo stesso per te...”- Antonio aggrottò le sopracciglia, si allontanò da lui coprendosi l'inguine nudo con la coperta. L'italiano si alzò e, sorpreso da quel suo gesto, posò una mano sulla sua spalla.

-”Mi chiedo se, quando ti senti triste, io ti sono d'aiuto come tu lo sei per me...”-

Lo spagnolo gli mostrava la schiena nuda, taceva. Romano rimase in silenzio ad aspettare una risposta, guardandolo. Non sentendo nulla si lasciò scappare un sospiro.

-”Ecco, vedi? A questo mi riferivo prima.”- vide la schiena di Antonio irrigidirsi-”Tu fai tutto per me e lo fai anche bene, mentre io...”- abbassò lo sguardo sulla coperta-”Mentre io, le poche volte che faccio qualcosa per te, combino guai...”- si portò le mani alla testa.

Il riccio si voltò a guardarlo. Era di nuovo triste, se ne era accorto, avrebbe voluto dirgli qualcosa; consolarlo, ma non ci riuscì. Rimase a guardarlo perso, anche lui sentiva il bisogno di essere consolato. Sospirò e, senza riuscire ad aprire bocca, gli voltò di nuovo le spalle.

Romano alzò finalmente lo sguardo su di lui. Sorrise a pena.

-”Ma adesso sono stufo di combinare casini...”- fece passandosi una mano sugli occhi-”Mi sono promesso che oggi sarebbe stata una serata perfetta, una serata solo per te...”- lo prese delicatamente per le spalle e lo voltò verso di lui. Antonio guardò con gli occhi stupiti i suoi.

-”Ed in questa serata, di certo, quello a dover essere consolato non sono io. Anche perché io non ho nulla per cui debba essere consolato. Il solo fatto di vederti sorridere mi consola. Se il mio dannato spagnolo si sente fragile, allora eccomi.”-sorrise abbracciandolo-”Pronto a farlo sentire meglio.”-

Lo strinse a sé baciandolo dolcemente. Antonio rimase per qualche secondo sperduto, rigido ed incredulo. Quelle parole erano davvero uscite dalla sua bocca?

-”Ehi...”- gli sussurrò ad un orecchio mentre lo sdraiava-”Rilassati, non essere così teso...”-

Lo spagnolo lo lasciò fare e man mano che le sue mani gli sfioravano il corpo, i suoi muscoli si rilassavano. Sentì l'abbraccio caldo dell'italiano, per la prima volta, si lasciò completamente andare alle sensazioni.

Chiuse gli occhi e lo lasciò fare. A tutte quelle carezze, ad ogni singola parola, ad ogni singolo tocco si sentiva morire. Si lasciò baciare ed un mugolio gli sfuggì. Romano sorrise nel vederlo così docile ed imbarazzato. Lo abbracciò stringendolo a sé.

L'altro lo baciò stringendolo desideroso.
-"Romano..."-sussurrò.

-”Non... Parlare...”- gli sussurrò con il fiato corto mentre continuava a baciarlo.

Antonio strinse la presa sulla sua nuca, posando la fronte sulla sua. Arrossì per la vergogna.

-”Sei tutto rosso...”- gli sussurrò sorridendo ammicante-”...E' la prima volta che ti vedo così...”-

Ecco rossore da parte dello spagnolo. Arrossì per la vergogna e per il caldo. Tornarono a baciarsi. Si fermarono per un attimo, i loro respiri affannati facevano da sottofondo.

-”Ro... Romano...Ho...Ho caldo...”-sussurrò con piacere e dolore, tenendo gli occhi chiusi per la stanchezza. Fuori intanto aveva cominciato a nevicare.

-”Shhh...”-gli disse prendendo fiato mentre gli faceva stendere di nuovo la schiena sul materasso morbido. Antonio schiuse un poco gli occhi, ancora le gote rosse, il corpo bollente ed il fiato corto.

-”Ti senti meglio ora?”- gli sussurrò l'italiano con il fiatone, sdraiandosi sul suo petto caldo. Antonio chiuse di nuovo gli occhi, cercando di interrompere il desiderio.

-”...”- non riuscì a rispondere. Era stato così diverso dal solito, le parti si erano completamente invertite. Sentì il suo tocco leggero sull'inguine. Rabbrividì dal piacere. Era vero, era bello sentirsi fragile, ma non faceva parte del suo carattere. Per oggi poteva anche smettere di farsi consolare. Gli fermò la mano, stringendola con amore. No, decisamente non faceva parte del suo carattere essere fragile.

-”Grazie...”- sussurrò schiudendo gli occhi. Finalmente il fiatone stava scomparendo. Romano gli sfiorò le labbra con le sue.

-”Te l'ho detto, questa serata è speciale...”- gli rispose sorridendo.

Antonio alzò un poco le sopracciglia e sorrise malizioso. Romano arrossì per la prima volta da quando avevano iniziato.

-”Già... A letto senza cena...”-

Romano divenne paonazzo per la vergogna, si girò dall'altro lato, mostrandogli la schiena imbarazzato. Sentì la risata dello spagnolo e pensò con imbarazzo che la stessa persona che ora lo stava deridendo, poco fa, stava mugolando dal piacere sotto le sue mani.

-”Eh, dai, Romano!”-fece continuando a ridere mentre cercava di girarlo.

-”Zitto, scemo!”-brontolò comprendo con le coperte il viso rosso.

Solo in quel momento si rese conto di aver fatto una delle cose più imbarazzanti della sua vita. Sprofondò sotto le coperte accompagnato ancora dalla risata solare di Antonio.

-”Non ti sto prendendo in giro! Mi è piaciuto, ti giuro!”-Lo spagnolo continuò a ridere-”E' che è strano vederti così! Sei così buffo!”-

-”Ah! Sono buffo! Fantastico, bene!”- il corpo dell'italiano si irrigidì, si immerse completamente sotto le coperte-”Dannato bastardo! Giuro che non ti farò mai più un favore del genere!”-

Antonio infilò la testa tra le coperte ancora ridacchiando. Si avvicinò a lui, sentendo il profumo del suo corpo caldo. Gli baciò una guancia.

-”Vorrà dire che riadotteremo la vecchia maniera...”- sussurrò al suo orecchio.

A quelle parole Romano si sciolse. Chiuse gli occhi, sentendosi il viso in fiamme. Sentì il calore del petto di Antonio sulla schiena e le sue braccia stringerlo.

L'imbarazzo era tanto ma nonostante questo non voleva che smettesse di abbracciarlo. Rilassò i muscoli, lasciandosi andare completamente al torpore.

-”Sì... Forse è meglio...”- rispose dopo un po'.

Antonio sorrise.

-”Comunque sei stato davvero carino prima, davvero. Eri così serio!”-disse sorridendo per poi assumere un'espressione dolce-”Eri davvero bellissimo.”- ridacchiò malizioso. Romano si irrigidì infastidito.

-”Devi proprio continuare a parlarne?”- chiese irritato ed imbarazzato.

Lo spagnolo riprese a ridere.

Ecco, le cose dovevano andare così: lui, lo spagnolo che consola, e lui, l'italiano che veniva consolato. Solo così riusciva a sentirsi davvero a suo agio.

Lo strinse più forte a sé mente continuava a ridere. Da dietro poteva vedere solo la sua nuca ma avrebbe giurato che fosse tremendamente arrabbiato ed imbarazzato il suo viso. Al pensiero non poté fare a meno di continuare a ridere. Romano sbuffò irato a quelle risate di sfregio.

Dannato! Dannatissimo spagnolo! Perché alla fine sono sempre io quello che si imbarazza?

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Note

Sì lo so, dovrei continuare con Ludwing e Feliciano, ma volevo mettere anche questa parte di spamano (XD sono diabolica, vi sto facendo aspettare come dei pazzi, eh?).
Comunque dal prossimo capitolo mi concentrerò di più sul povero Feli.
Un salutone,

Honodetsu:D

  
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