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Autore: Natalja_Aljona    17/12/2012    2 recensioni
Novosibirsk, 2013.
Aljona Sergeevna Dostoevskaja e Lev Fëdorovič Puškin, l’aspirante pattinatrice e l’ex terrorista.
Lei quindici anni di sogni, lui ventidue anni di illusioni.
Lei scandalosamente bionda, coraggiosa e incosciente come poche.
Lui troppo impulsivo e troppo innamorato.
Lei frequenta il penultimo anno del Ginnasio, lui ha passato sei anni in carcere per un attentato a Putin.
Perché lui davvero non ci riusciva, a non idealizzare quel Paese, quella Siberia feroce e opprimente, il cuore bianco e grigio della sua Russia sanguinaria e corrotta, a non cullare l'illusione di una Patria gloriosa sotto le macerie della violenza fine a se stessa e le sue stesse cicatrici di ragazzino che credeva ciecamente nel suo mondo immaginario, nei suoi miti bellissimi e impossibili, perché non c'era davvero quella gloria, non c'era davvero quella Patria.
Non c'era davvero quella luce, c'erano solo loro.
Lev con la pelle mangiata dalla prigione e il cuore rubato da Aljona e Aljona fatta di ghiaccio, musica, libri e capelli.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Cinque

Cinque

Father, if Jesus exist, then how come he never lived here?

Padre, se Gesù esiste, perché non è mai venuto a vivere qui?

 

Novosibirsk, 5 Dicembre 2012

Ностальгія, 7 Достоевский Проспект

Nostal’hiya, 7 Dostoevskij Prospekt

Nostal’hiya, 7 Prospettiva Dostoevskij

Casa Puškin

 

I looked out across
The river today
I saw a city in the fog
And an old church tower
Where the seagulls play

 

And all this time
The river flowed
Endlessly
To the sea

 

Oggi ho guardato fuori

Al di là del fiume

Ho visto una città avvolta nella nebbia

E un vecchio campanile

Dove giocano i gabbiani

 

E per tutto questo tempo

Il fiume ha scorso

Senza fine

Fino al mare

(All This Time, Sting)

 

-Левочка! Завтрак!- Levočka! Zavtrak! Levočka! La colazione!, gridò Fëdor alle otto e quaranta del mattino, apparendo in pigiama sulla soglia della camera del figlio.

-Я иду, папа, я иду...- Ya idù, papa, ya idù... Vengo, papà, vengo..., sussurrò Lev, affacciandosi da dietro la copertina di Война и Мир (Vojna i Mir, Guerra e Pace), che stava rileggendo almeno per la settima volta.

Molti non arrivavano nemmeno alla fine, ma lui...

Lui di Tolstoj aveva il nome, e adorava quel libro da quando aveva undici anni.

-Хорошо... Я иду одеться- Khorošò... Ya idù objét’sya. Va bene... Io vado a vestirmi, rispose Fëdor, guardandolo con un sorriso davvero dolcissimo, un sorriso che non aveva da sei anni.

Era così felice che suo figlio fosse tornato...

Che Lev ce l’avesse fatta, che Lev fosse più forte di lui.

E ringraziava Anastasija.

La ringraziava per avergli lasciato lui.

Parevano fratelli, a prima vista, i due Puškin.

Anche se Fëdor aveva i capelli nero ossidiana e Lev biondo grano, avevano gli stessi occhi azzurri, lo stesso sguardo che lasciava senza fiato e al contempo terribilmente confuso chiunque lo incontrasse.

Lev aveva ventun anni e Fëdor trentasette, davvero in pochi li avrebbero detti padre e figlio, davvero in pochi avrebbero indovinato.

Aveva un’aria così da ragazzino, Fedja, ma senza fare assolutamente niente per averla, un’aria smarrita da bambino e la mania di mordersi le labbra continuamente, tra una sigaretta e l’altra.

Quando camminava per la strada dimostrava vent’anni, vent’anni e un sogno massacrato in fondo agli occhi, un amore graffiato via dal cuore da una legge forse non troppo sbagliata ma maledettamente ingiusta per lui, per lui che aveva perso sua moglie, per lui che tra le dita stringeva aria gelida e non i capelli dorati di Anastasija, per lui che sembrava la reincarnazione di Dostoevskij o di Raskòlnikov, per i mille tormenti e per le mille ferite.

Lev, invece, era sempre così sicuro...

Magari distrutto, ma sostanzialmente sicuro.

Fëdor a volte lo invidiava, gl’invidiava quell’aria spavalda che lui aveva perso a sedici anni, quando i poliziotti avevano messo le manette ad Anastasija e lui era crollato sul marciapiede in preda alle lacrime e agli spasmi dell’epilessia.

Era sempre stato troppo fragile, Fedja, in fondo.

Ma Lev aveva preso da Anastasija, Lev non avrebbe mai lasciato andare una sola stella, Lev era l’eroe di Fëdor, l’eroe di suo padre, e tutta la sua speranza.

Fëdor era il figlio di un Antistalinista, era il figlio di un proletario siberiano che aveva passato dieci anni ai lavori forzati ed era stato ucciso, poi, a cinquantanove anni, sul Lungoneva Dvorcovaja di San Pietroburgo da un uomo del quale era stata riconosciuta solo la divisa dell’Esercito Olandese.

Lo stesso uomo che gli aveva sparato nel 1982, quando Fëdor aveva sette anni e suo padre, allora quarantunenne, l’aveva accompagnato al Новосиби́рское Водохрани́лище a pattinare.

Fëdor non avrebbe mai dimenticato gli scintillanti occhi grigi di quell’uomo.

L’Olandese che aveva sparato a suo padre e poi l’aveva ucciso, diciannove anni dopo.

Fëdor aveva seri problemi mentali, era epilettico e aveva il cuore infranto, ma Lev gli bastava per combattere le sue crisi, gli sarebbe bastato, adesso ch’era libero.

Lev era il figlio di uno pseudo - eroe sedicenne che tutto il coraggio che aveva l’aveva bruciato nell’amore e di una ragazzina straordinaria, una madre incosciente che lui aveva perdonato subito, anche se forse non avrebbe dovuto, anche se forse un altro al suo posto non l’avrebbe fatto.

Lev era il figlio di Anastasija e Fëdor, ed era figlio della Siberia, della Giustizia proletaria e della Rivoluzione.

 

Quando Lev andò in cucina per la colazione, Fëdor, con un paio di jeans scuri, una camicia azzurra stropicciata fuori dai pantaloni e a piedi nudi, stava fissando un biscotto con il buco con aria persa e un sorriso distratto.

Levočka sorrise intenerito, sembrava proprio un bambino, suo padre.

Se non fosse stato per il pacchetto di sigarette mezzo vuoto accanto alla tazza del thé, se non fosse stato per il veleno che aveva dentro, se non fosse stato per quel destino infame.

-Привет!- Privjét! Ciao! esclamò Lev, allegro, e Fedja alzò lo sguardo.

Gli s’illuminarono gli occhi, quando lo vide.

-Присять- Prisját’, Siediti, gli sussurrò, indicandogli la sedia accanto a lui.

-Как тебя дела?- Kak tibjá dilá? Come stai?, gli domandò Lev, sedendosi.

Fëdor scrollò le spalle, evasivo.

-А тебя?-

A tibjá?

E tu?

-Спасибо, хорошо...- Spasibo, khorošo... Bene, grazie... brontolò Levočka, insoddisfatto dell’atteggiamento del padre.

-Что ты делаешь сегодня?-

Čto delayeš’ sivódnja?

Cosa fai oggi?

-Сегодня...- mormorò Lev, pensieroso -Я не знаю. Но...-

Sivódnja... Ya ne znaju. No...

Oggi... Non lo so. Ma...

-Вчера... Одна девушка. Так красивая... Белокурой, невероятный волосы. Я...

Учился в Гимназии, она-

Včerá... Odná djévuška. Tak krasívaya... Belokuroy, neveroyatnyy volosy. Ya...

Učilsya v Gimnazii, ona.

Ieri... Una ragazza. Così bella... Bionda, dei capelli incredibili/favolosi. Io...

Studia al Ginnasio, lei.

-И...?- I...? E...? chiese Fëdor, con gli occhi luminosi, curioso di conoscere le intenzioni del figlio.

Lev gli rivolse un sorriso enigmatico e uno sguardo sognante.

-Я ещё не знаю-

Ya ješčó ne znaju.

Ancora non lo so.

 

Lascia che sia
Tutto così
E il vento
Volava
Sul tuo foulard
Avevi già
Preso con te
Le mani
Le sere
La tua allegria
Non tagliare i tuoi capelli, mai
Mangia un po' di più, che sei tutt'ossa
E sul tavolo, fra il thé e lo scontrino
Ingoiavo pure questo addio...
Lascia che sia
Tutto così
E il cielo
Sbiadiva
Dietro le gru
No, non cambiare mai
E abbi cura di te
Della tua vita
Del mondo
Che troverai
Cerca di non metterti nei guai
Abbottonati il paltò per bene
E fra i clacson delle auto e le campane
Ripetevo: “Non ce l'ho con te”

E non darti pena, sai, per me

Mentre il fiato si faceva fumo

Mi sembrava di crollare piano piano

E tu piano piano andavi via...

(Solo, Claudio Baglioni)

 

[...]

 

La vita è un sogno senza senso

Eppure ne ho un bisogno immenso

E penso a lei, e penso a lei

È tutto quanto, è tutto quello che vorrei

(Ancora No, Claudio Baglioni)

 

Ностальгія, 9 Достоевский Проспект

Nostal’hiya, 9 Dostoevskij Prospekt

Nostal’hiya, 9 Prospettiva Dostoevskij

Casa Dostoevskij

 

Sette e quarantacinque.

E quarantacinque!

Aljona si maledisse per l'ennesima volta.

Il ritardo, la sua eterna condanna.

Ma perché non riusciva mai a svegliarsi in tempo?

Nemmeno mettere Ты моей никогда не будешь (Ty moyey nikogda ne budesh', Tu non sarai mai mia) di Dmitrij Malikov come sveglia sul cellulare era servito.

Quando suonava s'incantava ad ascoltare la canzone, e quando finiva, puntualmente, si riaddormentava.

O fantasticava.

Chissà se lei avrebbe mai incontrato un ragazzo che non sarebbe mai stato suo.

Si vestì velocemente, tenendo d'occhio l'orologio con il cuore in gola.

Jeans grigi, camicia lunga a fantasie bianche e blu, golfino attillato nero e stivali neri.

Poi si sfilò dal polso l'elastico per capelli azzurro, il suo preferito, e, dopo un discreto numero di spazzolate e un’accurata distribuzione di olio d’Argan sulla parte lunga, si raccolse quell'invidiabile folta massa di soffici boccoli dorati in una coda alta, che nonostante l'altezza, e nonostante anche Aljona fosse alta, all'incirca un metro e settantatré, le sfiorava l'inizio delle cosce, ondeggiando ad ogni suo movimento.

Sarà stata anche in abbondante ritardo, ma i capelli non li poteva trascurare per nulla al mondo.
Gettò un'ultima occhiata critica allo specchio, dunque, abbastanza soddisfatta, prese lo zaino che aveva appoggiato sul letto per ultimarlo con i libri di quella mattina, acchiappò al volo il cellulare dal comodino e si affrettò a scendere in cucina.

-Добрий день!- Dóbrij djén’! Buongiorno!, esclamò allegramente sulla soglia, vedendo Katja sorseggiare il suo thé con aria estremamente seria, troppo seria.

-Добрий день- rispose la sorella, con un fil di voce.

-Ehi...-

-Non perdere tempo, Aljonka. Sei già in ritardo-

-Ma...-

-Ti ho scaldato un cornetto al burro. È ancora nel microonde, prendilo-

-Va bene... Grazie-

-Stai attenta-

Aljona inarcò un sopracciglio biondo, perplessa.

-Al cornetto?-

-Ma no... Quando esci... Stai attenta-

-Sto sempre attenta, Katja-

-In questo periodo... Di più-

-Oggi esci con Aleksandr?-

-Да, почему?-

Da, počemù?

Sì, perché?

-Lui lo sa che non lo ami?-

-Aljona...-

-Buona giornata, Ekaterina!-

Aljona bevve un sorso di thé, prese il cornetto dal microonde, lo avvolse velocemente in un tovagliolo di carta e poi corse fuori di casa.

Aveva un tremendo nodo in gola.

Perché Ekaterina si comportava così?

Lei davvero non capiva...

Ma Ekaterina non voleva che lei capisse.

Non voleva farle capire.

-Aljona...-

Ekaterina si morse nervosamente le labbra, guardandola uscire di fretta, offesa, arrabbiata e triste per la sua assurda apatia.

Allontanò la tazza di thé con un gesto di stizza e si alzò da tavola, confusa.

Dieci minuti dopo era in camera sua, la testa affondata nel cuscino.

I suoi lunghi capelli neri sconvolti, arruffati da far spavento, il trucco colato sui suoi occhi azzurri.

Le scarpette da ballo di raso bianco lanciate contro il muro, una canzone interrotta sull’ipod che stringeva tra le dita, guardandosi le unghie dallo smalto graffiato e cercando di non pensare al titolo.

Ты моей никогда не будешь, Дмитрий Маликов.

Ty moyey nikogda ne budesh’, Dmitrij Malikov.

Tu non sarai mai mio.

E un sorriso terribilmente consapevole che le nasceva sulle labbra screpolate, morsicate a sangue per la rabbia e l’impotenza, il dispiacere per la reazione di Aljona e la paura.

Aveva ragione, la sua sorellina.

Ma lei non voleva darle ragione.

Non voleva che lei sapesse.

Non voleva che lei incontrasse...

Lev.

Il suo Lev.

Ad Aljona lei invidiava l’innocenza.

La dolcezza e la fortuna di essere così tanto diversa da lei.

 

Sono più grande, ho dormito più di lei
E del suo cuore
Chiuso in cantina
Delle sue guance
Pane caldo della mattina
Di quel suo viso
Diamante puro
Di quella schiena che le tiene l'anima stretta al sicuro

(Signora delle ore scure, Claudio Baglioni)

 

Aljona si guardò intorno, cercando Khaadija tra gli studenti affollati davanti al Ginnasio.

Non vedendola, diede un morso al cornetto al burro.

Sebbene fare colazione per strada non fosse nei suoi programmi, così aveva risparmiato tempo, quindi ora era in orario, più o meno.

La sua amica uzbeka, però, non era ancora arrivata, e Aljona rammentò con un certo disappunto di aver dimenticato la merenda.

Di tornare a casa non se ne parlava, quindi avrebbe dovuto arrangiarsi a comprare qualcosa al bar.

Doveva avere qualche rublo nello zaino, per fortuna.

-Aljona!-

La biondina si voltò, stupita.

Sulle prime non aveva riconosciuto la voce, ma quando, voltandosi, incontrò i lucenti occhi verdi, color acquamarina, di Aleksandr Hennadievič Tolstoj, sorrise sinceramente.

-Привет, Алек!-

Privjét, Alek!

Ciao, Alek!

-Привет, Алёнка...-

Privjét, Aljonka...

Ciao, Aljonka...

Aveva un’aria malinconica, Alek.

Era sempre stato un bel ragazzo, con quei capelli castano chiaro sempre scompigliati e gli occhi cristallini, l’aria tormentata da eroe romantico e quel sorriso allegro e fanciullesco così spontaneo e contagioso.

Aveva ventitré anni ed era di Akademgorodok, a circa venti verste da Novosibirsk, dove frequentava l’ultimo anno della Новосибирский Государственный Университет (Novosibirskij Gosudarstvennyy Universitet, Università Statale di Novosibirsk), alla facoltà di fisica nucleare.

Aljona lo trovava “un ragazzo incantevole” e anche molto simpatico.

Era il fidanzato di Ekaterina, e questo lasciava sempre a tutti qualche perplessità.

Katja non sembrava poi così tanto innamorata, anzi.

Lui sì, però.

Lui troppo.

-Твоя сестра?- Tvoya sistrá? Tua sorella?, le chiese, e Aljona capì tutto.

-Мне жаль...- Mne žal’... Mi dispiace..., mormorò Aljonka, e Aleksandr si accigliò.

-È in casa, ti aspetta, ma è di pessimo umore-

-Come al solito- cercò di sorridere Alek, vagamente rassicurato.

-Già. Come al solito-

-Beh. Я иду, allora-

Ya idù.

Io vado.

-Идешь...-

Idesh’...

Vai...

-Пока!-

-Пока!-

Poká!

Ciao!

(Saluto di congedo)

 

Aljona si morse le labbra, guardandolo andare verso casa sua.

Sperava solo che Ekaterina non gli facesse troppo male.
Sperava.

 

Quando tu l’hai visto

Sei cambiata

Ti sei illuminata

“È simpatia”

Non era vero

“Io sono tua”

Non era vero

(La spada nel cuore, Patty Pravo)

 

In quel momento le venne un’idea.

Ecco cosa poteva comprare per l’intervallo.

Un cartoccio di castagne.

Un cartoccio di castagne alla bancarella del ragazzo da cui Katja l’aveva messa in guardia la sera prima.

Perché, diceva, lui era Lev Fëdorovič Puškin, e sei anni prima aveva fatto un attentato a Putin.

Lev Fëdorovič Puškin.

Il ragazzo biondo del 4 Settembre 2006.

Il ragazzo con la pistola.

Il figlio di Anastasija Nikolaevna Rostova, l’assassina, e di Fëdor Aleksandrovič Puškin, l’epilettico.

Questo era quello che sapeva, tutto quello che sapeva.

Ma lei doveva solo comprare un cartoccio di castagne, e non le sembrava poi così pericoloso.

Del resto, se gli avevano concesso la licenza adesso doveva essere un po’ più innocuo.

E poi...

Lei non aveva paura.

Non di lui.

 

Con il portafoglio in mano, si avviò a passo svelto verso la bancarella.

Doveva fare in fretta.

Forse aveva risparmiato il tempo della colazione, ma poi si era fermata a parlare con Aleksandr...

Sì, doveva proprio sbrigarsi.

Quando fu davanti alla bancarella, alzò lo sguardo sul famoso Lev.

Prima ancora che lei cominciasse a parlare, il ragazzo sgranò gli occhi.

Occhi stupendi, di un celeste che pareva avere tutte le sfumature del lago ghiacciato su cui Aljonka amava pattinare.

Le mancò un po’ il respiro, e fece un passo indietro.

E poi, perché la guardava così?

Brillavano, gli occhi azzurri di Lev.

Per lei?

-Привет...- mormorò per primo il giovane Puškin, cercando di controllarsi.

-При... Привет- rispose Aljona, un po’ turbata.

-Cosa... Desideri?-

Una domanda incredibilmente cretina, dato che lui vendeva castagne, solo castagne, ma in quel momento il dettaglio non gli sovvenne proprio.

-Я... Allora... Uno... Un cartoccio, sì- sussurrò a voce bassissima, tanto che Lev fece molta fatica a sentirla.

-Di castagne?-

-Да...-

Un filo di voce, un sorriso tremante.

Il batticuore di Lev assomigliava allo sfrigolio delle castagne sul fuoco, l’imbarazzo di Aljona la obbligava a tenere lo sguardo turchino incollato alle punte dei suoi stivali.

Non li aveva mai guardati così a lungo, né con così tanta attenzione.

Era...

Era un bel ragazzo, Lev.

Era stato in prigione, ed era anche tanto più grande di lei.

Aljonka era terribilmente a disagio, e lui, altrettanto emozionato, si concentrò sulle castagne per non combinare disastri, non con lei.

-Eccole- sorrise, quando il cartoccio fu pronto.

Aljona aveva letto il prezzo di un cartoccio medio sul cartello e aveva già disposto i kopeki necessari sulla bancarella.

Prima di allungarglielo, però, Lev trovò il coraggio di dirle quello che pensava da quando l’aveva vista il giorno prima.

-У тебя очень красивые волосы-

U tibjá óčin’ krasívyje vólosy.

Hai dei capelli bellissimi.

Aljona arrossì furiosamente, ma nonostante il grande imbarazzo e la grande emozione cercò ugualmente di alzare lo sguardo e di accennare un sorriso.

Aveva così tanta voglia di sorridergli, se solo fosse riuscita a smettere di mordersi le labbra...

-Спасибо...-

Spasibo...

Grazie...

-Le tue castagne-

Lev gliele tese con un sorriso abbagliante.

-Спасибо- ripeté Aljona, prendendole.

-Когда мы снова увидмся?-

Kogdá my snóva uvídimsja?

Quando ci rivediamo?

La biondina sgranò gli occhi.

-In... In che senso?-

-Oh... Я не знаю... Здесь?-

Ya ne znaju... Zdjés’?

Non lo so... Qui?

-До... До скорово-

Do... Do skórovo.

A... A presto.

-Ждать... Как тебя зовут?-

Ždat’... Kak tibjá zovut?

Aspetta... Come ti chiami?

-Алёна...-

Aljona...

-E poi?-

-Алёна Сергеевна Достоевская-

Aljona Sergeevna Dostoevskaja.

Lev sbarrò gli occhi, a sentire quel patronimico e quel cognome.

Era lei...

Era lei la sorella di Ekaterina.

 

Mamma mia, here I go again

My, my, how can I resist you?

 

Mamma mia, mi succede di nuovo

Mia cara, come posso resisterti?

(Mamma Mia, Abba)

 

 

 

 

Note

 

Father, if Jesus exist, then how come he never lived here? - Padre, se Gesù esiste, perché non è mai venuto a vivere qui? - All This Time, Sting.

 

Ed ecco il primo incontro tra Lev e Aljona, e qualche notizia in più su Fëdor e Katja ;)

Fëdor, ormai penso si sarà capito, è il mio personaggio preferito, è un po’ a metà tra Dostoevskij e Ròdja Raskòlnikov, e al tempo stesso è solo il mio Fëdor ;)

Ekaterina è ancora piuttosto enigmatica, ma penso si sia capito il suo legame con Lev...

Più tra lei e Lev o tra Lev e lei?

Chi dei due ci teneva di più?

Abbiamo conosciuto il fidanzato di Katja, Aleksandr Tolstoj, personaggio che a me piace molto, e poi...basta, credo, il capitolo è lunghissimo e tra poco devo andare mangiare, dopo pranzo ho lezione di russo, appunto, e dopo la lezione di russo ho una versione di greco di compito per domani...

Se mi dilungo anche nelle note sono finita ;)

Sono aumentati i discorsi in russo e spero che non vi dispiaccia, mi viene troppo naturale, tutte le cose che so dire in russo le scrivo, anche perché i nostri protagonisti sono russi, quindi non ho freni ;)

Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto!

 

A presto,

Marty

 

 

 

 

  
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