Il giorno del suo
matrimonio
Quello era il giorno
del suo matrimonio, e invece di stare davanti a uno specchio per acconciarsi i
capelli, camminava a passo svelto per i corridoi impolverati di quella vecchia
villa.
Ricordava bene i
muri coperti da vecchia carta da parati verde –che una volta, a suo tempo
doveva aver donato a quel posto uno splendore regale- e da quadri da elaborate
cornici, storti quasi senza eccezioni.
Ricordava il tappeto
lungo e stretto al centro dello stretto corridoio e le porte chiuse
–un’infinità di porte chiuse- che si aprivano su entrambe i lati del corridoio.
Erano tutte uguali,
di legno scuro con una maniglia dorata.
Ma lei sapeva bene, qual’era la stanza che stava cercando.
Quello era il giorno
del suo matrimonio, e invece di ricevere le damigelle mostrando in ogni sorriso
come quello fosse il momento più felice della sua vita, se ne stava ferma
davanti ad una porta.
L’elaborato
lampadario proprio sopra la sua testa pendeva a mezz’aria, i cristalli
oscillanti e sporchi, altro ricordo dello splendore di tempi ormai lontani.
Prese un profondo
respiro, si tirò un ricciolo ribelle –sfuggito dall’elaborato chignon sulla
nuca- dietro l’orecchio e fissò la porta.
Un altro respiro, e
poi bussò, piano, dolcemente, con le nocche bianche che pian piano si
arrossavano.
*
“Avanti” disse Narcissa
Black, alzando gli occhi dal libro.
La porta del dormitorio si aprì leggermente e
il viso dagli zigomi alti di Rodolphus Lestrange si introdusse dentro, i capelli sottili e scuri
che gli pendevano davanti.
Aveva l’espressione vispa di quando entrava
per comunicarle qualche nuova divertente idea, ma qualcosa nei suoi occhi era
diverso.
“Ciao” disse lui e dopo aver appurato che
fosse sola, entrò nel Dormitorio, gettando la scopa che aveva usato per
raggiungerlo sul primo letto che trovò lungo il suo cammino.
Narcissa
sedeva sull’ultimo letto infondo, come un diamante nella sua custodia verde
scuro.
Aveva i capelli biondi raccolti in uno chignon, con qualche ciocca ribelle che le coronava il
viso da bambina. Teneva un libro sulle ginocchia e il nasino alla francese era
arrossato.
Lo guardò avvicinarsi con la sua solita
andatura dinoccolata, le gambe avvolte in jeans babbani
e le maniche della camicia nera rimboccate. Era oggettivamente un bel ragazzo,
e non c’era da stupirsi che Narcissa fosse stata
rapita dai suoi occhi blu fin dalla prima volta che si erano posati su di lei.
Era la sua prima sera ad
Hogwarts, sedeva in Sala Comune, silenziosa e
leggermente imbarazzata.
Intorno a lei la baraonda più totale.
Lucius Malfoy,
grande amico di famiglia –ma purtroppo, non ancora, non suo- seduto di fronte a
lei le parlava gentile, cercando di coinvolgerla e
metterla a suo agio, ottenendo però –con tutta quella formalità- solo l’effetto
contrario.
Quando lui aveva fatto una pausa, Narcissa aveva alzato su di lui gli occhi, per rivolgergli
un sorriso e invitarlo a proseguire, e allora l’aveva notato. Seduto proprio
accanto a Lucius, Rodolphus
Lestrange la guardava da sotto i capelli lisci,
portati davanti al viso, con guardo malizioso ed irriverente –uno sguardo che
il rampollo dei Malfoy mai si sarebbe permesso di
posare su una rispettabile ragazza-
Da allora non aveva desiderato altro che
essere desiderata da lui e si era sentita in paradiso ogni volta che quegli
occhi si erano posati su di lei per un tempo più lungo del normale secondo di
passaggio di sguardo-alla-ricerca-di-qualcuno-o-qualcosa.
Lui si fermò proprio davanti al suo letto e
la guardò, i capelli che gli ciondolavano davanti al viso –forse un po’ troppo-
pallido
“Tutto bene?” chiese Narcissa,
tenendo un sorriso caldo sulle labbra rosse. Lui aveva qualcosa di strano e non
sfoggiava il suo solito sorriso coinvolgente e misterioso.
“Mi sto per fidanzare” le disse, usando
quello che probabilmente era lo stesso tono che riservava per le risposte alle
domande della McGranitt. Non c’era calore nella sua
voce.
Narcissa
distolse gli occhi, puntandoli sulle proprie ginocchia e sul libro poggiato su
di esse. Annuì piano.
“Grazie di avermelo detto” disse; fin da
quando aprì la bocca le sembrò una cosa immensamente stupida da dire, ma non
diede segno di essersi pentita di aver parlato e mantenne l’espressone seria
che con cura si era appena dipinta addosso, maschera dei suoi veri sentimenti.
Rodolphus
abbassò gli occhi sul pavimento di legno, in un gesto che lui –nobile principe
Purosangue e adolescente popolare e ribelle- non compiva mai. Annuì a sua
volta, con gravità.
“Domani chiederò a Bellatrix
di diventare la mia fidanzata” spiegò senza guardarla “Ufficialmente, intendo.
Volevo fossi la prima a saperlo”.
Bellatrix e Rodolphus uscivano insieme già da un po’, e lui non ne
aveva mai fatto mistero a Narcissa.
Ingenuamente, lei aveva però sempre pensato
che la loro fosse una semplice storia che presto sarebbe finita.
Erano entrambe due bei ragazzi, Serpeverde e Purosangue e sarebbe stato strano piuttosto il
contrario, cioè se non fossero mai usciti insieme. Ma che arrivasse un
fidanzamento non l’aveva mai pensato.
“Perché?” chiese Narcissa,
riferendosi a tutti e a niente, gli occhi sempre persi nelle pieghe della lunga
gonna blu che indossava.
Con la coda dell’occhio vide Rodolphus mordersi il labbro ed esitare.
*
“Avanti” disse una
voce maschile dall’interno della stanza “Narcissa”
aggiunse ancora prima che la porta si fosse del tutto aperta.
Forse aveva
riconosciuto i suoi passi lungo il corridoio, o magari il profumo della sua
pelle.
Mentre lei entrava,
lui alzò gli occhi dal romanzo polveroso che stava leggendo e la guardò.
“Ciao” disse Narcissa, avanzando a passo lento nella piccola biblioteca,
sentendosi stretta tra quelle pareti di libri e storie.
Lui sedeva alla
scrivania, immerso nella penombra, una camicia scura con le maniche rimboccate
come segno distintivo di quel Purosangue
un po’ ribelle che non aveva mai smesso di essere.
Portava al collo
quella stessa catenina che aveva sempre avuto –per quanto Narcissa
potesse ricordare- e che non aveva tolto nemmeno nei momenti più intimi.
Nemmeno quando dormiva.
Gli occhi blu
sembravano più scuri, ma erano belli e misteriosi come quelli dell’adolescente
che l’aveva guardata –tanti anni prima- nella Sala Comune del Serpeverde.
Lei raggiunse la
scrivania e lo guardò, seduto dall’altra parte del tavolo, con un sorriso
vagamente accennato.
“Sei fredda”
commentò lui con quel tono atono che aveva sempre caratterizzato la sua voce.
Constatazioni neutre come questa, erano sempre state nel suo stile.
Narcissa si lisciò l’abito lungo e stretto che
indossava e si portò nuovamente la ciocca ribelle dietro l’orecchio. Accennò a
un sorriso tirato, che rimase impigliato da qualche parte e non si liberò
appieno sulle sue labbra dipinte di rosso.
“Sto per sposarmi”
disse, senza preamboli, guardandolo diritto negli occhi.
Quello era il giorno
del suo matrimonio, e invece di essere a fare le foto con le damigelle e a
farsi aiutare ad indossare l’abito elaborato, se ne stava in una buia e
polverosa biblioteca, in compagnia di un uomo che non era il suo fidanzato –e
volendo guardare non ci assomigliava quasi per niente.
Rodolphus distolse lo sguardo. Con movimenti lenti
chiuse il libro che teneva in mano e lo poggiò sulla scrivania, dove la pesante
copertina di pelle si sottrasse anche alla poca luce che filtrava dalle
pesantissime tende sulla finestra alle spalle dell’uomo e fu quindi impossibile
per Narcissa leggerne il titolo.
Con espressione
seria e vagamente triste, fissò a lungo le sue stesse gambe incrociate una
sull’altra.
Narcissa rimase in piedi all’altro lato della
scrivania, algida ed elegante nel suo abito panna, lungo e stretto.
Lo guardava senza
distogliere lo sguardo –quasi senza sbattere ciglio- per cogliere ogni
espressione del ragazzo, che silenzioso come soleva essere, spesso si esprimeva
tramite smorfie o ombre nello sguardo.
Con stupore vide un
sorriso beffardo dipingersi sulle sue labbra sottili. Sempre guardando nel
vuoto, parlò con voce seria, Rodolphus Lestrange
“Grazie di avermelo
detto”
Narcissa ne fu stupita e aprì la bocca, che rimase
aperta in una piccola O prima che lei se ne accorgesse e tornasse a serrare le
labbra. Una semplice frase, l’aveva riportata indietro, a quasi 3 anni prima, ad Hogwarts.
“Fra poco vedrò Lucius e senza esitare, davanti a quell’altare,
gli dirò di sì. Volevo che fossi il primo a saperlo” aggiunse con lo stesso
tono, senza che la maschera impassibile che indossava lasciasse trapelare
alcunché.
Il sorriso beffardo
di Rodolphus invece guadagnò più spazio sulle sue
labbra.
“Perché?” chiese,
alzando gli occhi su di lei, come se improvvisamente volesse incolparla.
Con quella domanda
intendeva tutto e niente.
Narcissa si morse il labbro a lungo, arrossandolo più
di quanto non facesse già il suo rossetto, poi esitò. Ma solo per un attimo.
Del resto, conosceva già la risposta a quella domanda.
“Perché è questo che
tutti si aspettano da me. Da noi”
*
Dopo una breve esitazione, il ragazzo alzò
gli occhi su Narcissa, che ora lo guardava come in un
lampo di rabbia accusatoria.
Fece uno strano mezzo sorriso e annuì
impercettibilmente con la testa, come se avesse appena afferrato una grande
verità.
“Perché è questo che tutti si aspettano da
me. Da noi”
Uscì dal dormitorio chiudendosi piano la
porta alle spalle e lasciando Narcissa più sola che
mai su quel letto
*
Narcissa riattraversò la vecchia casa, senza
salutarlo, sapendo che al matrimonio lui non si sarebbe presentato.