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Autore: Iburninyourheart    18/12/2012    6 recensioni
Il suo viso era colmato da più rughe del solito, gli occhi erano sfiniti, forse per il troppo pianto. Forse quella notte, non ero stata solo io ad urlare.
Genere: Drammatico, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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You know I am no good.
 
Sei ottobre.
Mi svegliai, ansimante. Un goppo in gola mi impediva quasi di respirare.
Il campanello suonava insistentemente, così io mi alzai ed andai ad aprire quella dannata porta.
“Lei è la signorina Wilson?” un signore sulla cinquantina, vestito tutto in tiro, mi domandò. L’espressione non era delle migliori.
“Si, mi dica. Cerca mia madre?” domandai curiosa, ancora con la voce rauca.
“No, cerco proprio lei. Mi dispiace, suo padre…è stato un grande eroe per noi” disse. Ero immobile, il signore continuava a parlare, ma ormai ogni cosa che lui avesse detto, non mi sarebbe importato.
Le lacrime scesero lungo le mie guance, dove fino a poco tempo prima si distinguevano delle fossette. Rientrai dentro casa, chiudendo la porta alle mie spalle. Gli occhi pieni di lacrime e le parole che quell’uomo mi aveva detto avevano offuscato ogni mia certezza.
Mio padre? Mio padre era stato un eroe, aveva combattuto per la guerra in Iraq per così tanti anni che non riesco nemmeno a rammentarmene. Non ricordavo quasi più nulla di lui, a parte le sue bellissime lettere, che mi inviava ad ogni festività.
Camminavo per quel corridoio infinito, aspettando che finisse presto, le foto mie e di mio padre appese al muro facevano male quanto un coltello. Proprio alla fine di quel corridoio c’era la mia foto preferita: mio padre con l’uniforme ed io, in braccio a lui. Stranamente ricordavo ancora quel momento, forse perché fu l’ultimo che vissi insieme a lui. Stava per partire, ed io e mamma andammo insieme a lui all’aeroporto. Mancava ancora un’ora alla sua partenza, quindi mia madre decise di fare delle foto a me ed a lui. Lui si sedette sulle sedie davanti al check-in e mi mise in braccio a lui. Poggiò dolcemente il suo cappello sulla mia testolina, però il cappello era troppo grande, mi copriva gli occhi. Lui sorrideva guardandomi.
Urlai di rabbia davanti a quella foto per poi buttarla a terra e guardarla frantumarsi insieme al mio cuore. Mia madre arrivò di corsa e mi abbracciò con tutta la forza che aveva dentro di lei. Scrollai le spalle per liberarmi dalla sua presa e corsi in camera mia.
Piansi tutta la giornata, senza uscire dalla mia camera, senza mangiare, senza parlare. Urlavo disperata, ma nessuno mi sentiva.
 
Sette ottobre.
Mia madre mi venne a svegliare, sperai che tutto quello che era successo il giorno prima era solo un brutto incubo, ma poi realizzai che i vetri a terra e la gola che faceva male per il troppo urlare erano reali.
Il suo viso era colmato da più rughe del solito, gli occhi erano sfiniti, forse per il troppo pianto. Forse quella notte, non ero stata solo io ad urlare. Mi preparò un vestitino nero e delle ballerine, poi mi sorrise, i suoi occhi, di solito verdi e pieni di emozioni, quella volta erano anonimi.
Arrivammo davanti alla chiesa e la sua stretta attorno alla mia mano si fece ancora più stretta, così tanto da farmi male.
 
“Cenere alla cenere, polvere alla polvere, che la pace discenda su di lui”disse il parroco, la sua voce mi sembrava così lontana.
Era quello il momento, era il momento di dire addio al mio papà. Mi avvicinai alla tomba, titubante. Poi crollai letteralmente davanti ad essa, con le gambe sbucciate. Piansi, non ero pronta a dirgli addio, non ero pronta a dimenticare così facilmente.
Tornai a casa, con un vuoto dentro l’anima.
 
Quindici ottobre.
 
“Mamma, dove sei stata fino ad ora? Sono le cinque del mattino, è da ieri a pranzo che non ti vedo” dissi a mia madre, in lacrime.
“Sono andata al cimitero, volevo vederlo. Mi manca, sai?” mi disse, stringendomi nella sua morsa.
 
Caro papà,
mi manchi, mi mancano le tue lettere. Pochi giorni fa è stato il mio compleanno e mi ha fatto male non aver letto una delle tue lettere. Ma non preoccuparti, me ne scriverai quante vorrai, quando arriverò da te, non manca molto. Te lo prometto.
Sempre tua,
Zoe.
 
Ventidue ottobre.
 
Josh, mio fratello, stava preparando i bagagli con furia. I pugni a volte si chiudevano e le lacrime continuavano a scendere.
“Josh, dove stai andando?” gli chiesi, mentre lui con il bagaglio in spalla superava l’uscio di quella dannata porta.
Mi indicò una lettera sul tavolo, l’avrei letta dopo, avevo bisogno di informazioni, dovevo sapere.
“Dov’è mamma, Josh?” un espressione di disgusto si fece spazio sul suo viso angelico.
“Mamma non torna a casa da quasi due giorni, non credo che si farà rivedere molto spesso, sai? E’ diventata alcolizzata, la morte di papà l’ha fatta uscire fuori di testa” le parole che stava dicendo persero il disgusto sulle parole morte e papà.
“Non puoi lasciarmi ora, tu sai che non sto bene” gli dissi, stringendolo a me.
“Scusami, ma devo andare, io sto male in questa casa” disse scrollandosi dal mio abbraccio violentemente.
Chiuse la porta alle sue spalle e appena uscito fuori diede un urlo di dolore. Ero rimasta sola.
Andai a leggere la lettera:
 
Cara mamma, cara Zoe o chiunque tu sia,
la mia vita in questa casa non è più vita, dopo la morte di papà tutti sono impazziti, si, anche Zoe.
Era così piena di vita, prima di quel sei di ottobre, ora a stento esce dalla stanza, ed io, al piano superiore, riesco perfino a sentire le sue urla di dolore. Zoe non dorme più, io non dormo più, non sappiamo più se rivedremo nostra madre, non sappiamo se è viva.
Vado in Arizona, da nonna, lì starò meglio.
Addio,
Josh.
 
Ero completamente sola. Non avevo più nessuno, a parte me stessa.
 
Caro papà,
ho fissato la data, il venticinque Gennaio ci rivedremo, dopo tutto questo tempo. Non c’è più nulla che mi lega alla terra. Mamma è diventata un alcolizzata, Josh si è trasferito in Arizona e tu non ci sei più. Se vuoi che viva, mandami una ragione per vivere.
Sempre tua,
Zoe.
 
Ventidue dicembre.
 
Mamma non è più tornata, i genitori di una mia compagna di classe vengono regolarmente a vedere se sto bene, e no, non sto bene. Non posso urlare all’esterno, ma continuo a farlo all’interno, e credetemi, le mie urla mi stanno assordando, tanto che sono forti.
 
Caro papà,
l’inverno è arrivato, e tu sapevi che non c’era altra cosa che aspettavo così con insistenza in tutto l’anno. Non ci sono regali sotto l’albero, e a me non interessa, tu non ci sei.
Sai, a volte spero che tutto questo sia una candid camera, spero che tu salti fuori da qualche parte e che mi abbracci. Non ho bisogno di nient’altro, se non posso avere te, per un ultimo abbraccio, vorrei avere qualcuno che mi abbracci e che mi dica “Va tutto bene”. Chiedo troppo?
Mi manchi sempre di più. Sempre tua,
Zoe.
 
Tredici gennaio.
 
Mamma è tornata a casa, sta sempre peggio. Non è mai sobria, mi picchia, le poche volte che esco dalla mia camera.
 
Caro papà,
manca poco e sarò lì, accanto a te. Non vedo l’ora di vederti sorridere ed abbracciarmi forte.
Ah, il mio regalo di Natale non è arrivato, ormai non ci spero più, l’ultima cosa da fare è seguirti, ovunque tu sia.
Sempre tua,
Zoe.
 
 
Sedici gennaio.
“Mamma, perché sei diventata così? Perché ti sei ridotta a questo?” chiesi con rabbia a mia madre indicandola.
“Stai zitta, puttana!” mi tirò un forte schiaffo. Mi chiusi in camera mia per poi non uscirne più.
 
Venticinque gennaio.
Uscii di casa, i genitori della mia compagna di classe erano quasi arrivati, quindi dovevo correre verso il mio infinito, lui. Portai con me un pezzo di carta ed una penna, mi serviva solo quello.
Salii sul grattacielo dove mi portò mio padre, quando ero piccola, per vedere il panorama ed iniziai a scrivere:
Caro papà,
questa è la mia ultima lettera, lo so, le mie lettere non sono state belle come le tue, ma ne avevo bisogno. Avevo bisogno dell’illusione che tu fossi ancora qui.
Ora vado, tra qualche ora sarò lì, te lo prometto.
Sempre tua,
Zoe.
 
Un flashback di ricordi mi assalì alle spalle, tutto quello faceva male.
“Non guardarti indietro, non hai più nulla sulla terra. Amici? Non ne hai mai avuti. Mamma? Ormai non ti vuole più, neanche lei. Josh? Lui ormai ha una sua vita, non conti più nulla. Parenti? Ormai ci hanno esiliato, siamo la famiglia con i “problemi”.” Dissi tra me e me, piangendo ancora.
 
Guardai verso il vuoto oltre i miei occhi. Alzai gli occhi al cielo, portandomi le mani al petto.
“Ciao, papà” dissi, mentre le lacrime sgorgavano sulla mia maglietta.
“Sto arrivando, te l’avevo promesso” chiusi gli occhi una volta per tutte e mi tuffai, verso la mia eternità, verso un futuro che mi avrebbe reso felice, forse.
 
Papà, tu facevi illuminare i miei occhi come lampioni nell’oscurità più buia, mi facevi volare con il pensiero, ed ora, sto davvero volando, verso te. Pensai, prima che il mio corpo si schiantasse sul suolo.
  
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