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Autore: __Sayuri__    18/12/2012    2 recensioni
[Prima classificata al 'Worldwide contest' indetto da Yuki_, poi sostituita da sulfuslove, sul Forum di EFP]
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Due persone lontanissime ed estremamente diverse vivono intrappolate nelle loro stesse paure, immobili riflessi dei desideri di qualcun altro. Un imprevisto li farà incontrare, scontrare, confrontare e, forse, persino cambiare.
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[COMPLETA]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 - La caduta di un dio

Capitolo 1 – Il soldato



Dopo aver inutilmente girato la chiave per la quarta volta, Jake si arrese.

Quasi si stesse prendendo gioco di lui, il motore della jeep emise un altro borbottio sommesso, prima di spegnersi del tutto, senza più alcuna intenzione di rimettersi in moto.
Il ragazzo si abbandonò sul sedile, sbuffando, e si coprì il viso con le mani, frizionandolo energicamente.

Grandioso.

Rimanere a piedi, nel bel mezzo del deserto israeliano e sotto il sole cocente di mezzogiorno, era proprio quello che gli ci voleva. Si rivide davanti il volto accigliato del responsabile del suo reparto, e per un attimo venne preso dal panico. Non era certo un tipo amichevole, il maggiore Ray, e per di più aveva la sgradevole impressione che lo avesse preso in antipatia fin da subito. Da quando era arrivato alla base militare USA 'Red Eagle', arroccata tra gli aspri rilievi del Negheb, appena un mese prima, non aveva fatto altro che criticarlo e metterlo in ridicolo davanti a tutti. A dire la verità, non si era nemmeno ancora ambientato tra i suoi commilitoni, che anzi non perdevano occasione per prenderlo in giro e fargli stupidi scherzi. In confronto, il ricordo della vita all'Accademia Militare appena fuori New York che aveva frequentato, dietro spassionato consiglio di suo padre, gli sembrava quasi gradevole.

Per questo la 'missione' che gli era stata affidata quella mattina non gli dispiaceva per nulla: doveva portare della documentazione all'ambasciata americana a Gerusalemme, che distava un centinaio di chilometri dalla base. Un incarico piuttosto semplice e, se vogliamo, anche un po' noioso, ma che gli avrebbe permesso di allontanarsi per qualche ora dal quell'ambiente asfissiante e prendere una bella boccata d'aria. In teoria.

Peccato che la sua ormai proverbiale fortuna non si smentisse mai.

Sbuffò nuovamente, lasciando cadere rumorosamente le braccia sulle ginocchia e, dopo aver perso qualche istante a contemplare il cielo azzurro oltre il parabrezza, afferrò il telefono e aprì la portiera con slancio.

Un volta in piedi compose il numero della base e rimase in attesa, appoggiandosi lievemente alla fiancata della jeep, decorata con i tipici disegni mimetici dell'esercito.
Socchiuse gli occhi, per ripararli dalla sabbia e dal vento torrido del deserto, e ripeté meccanicamente i suoi numeri identificativi ogni volta che la voce registrata dall'altro capo del telefono glieli richiedeva. Finalmente gli rispose un soldato in carne ed ossa, al quale chiese di essere messo in comunicazione col suo superiore.

Mentre attendeva in linea non poté fare a meno di agitare nervosamente una gamba e si tolse il berretto, asciugandosi con l'avambraccio il lieve sudore che gli imperlava la fronte.
Certo che faceva proprio un caldo infernale...

"Sottotenente Stevenson, spero che abbia deciso di interrompere il mio pranzo per un buon motivo."

La voce seccata del maggiore Ray lo fece trasalire.

"S-sì, maggiore. I-io... si è verificato un problema piuttosto grave."

"Lo spero bene, figliolo."

"La jeep è in panne, il motore non ne vuole proprio sapere di ripartire e mancano ancora all'incirca cinquanta chilometri a Gerusalemme..."

Seguì un silenzio imbarazzato.

"E quindi?"

Notò che il tono del superiore era palesemente annoiato, sembrava non vedesse l'ora di riprendere il suo pranzo lasciato a metà e di chiudere quella conversazione così inutile e scocciante.

"Per portare a termine la missione ho bisogno di assistenza. Sono nel bel mezzo del deserto, potreste inviare un'altra auto a recuperarmi..."

La fragorosa risata proveniente dall'altro capo del telefono lo investì come una doccia gelida, bloccandogli le parole in gola.

"Hahaha! Non dire assurdità, novellino. Non sei in missione segreta sotto copertura, devi solo portare dei dannatissimi documenti all'ambasciata, non posso certo sprecare uomini per un'inezia simile. Metti a frutto l'allenamento e arrangiati a trovare una soluzione. O non riesci nemmeno e fare il postino?” chiese con ironia pungente. “Bene, ora ho faccende più urgenti da sbrigare che farti da balia. Richiamami quando avrai completato il tuo compito."

Detto questo, riattaccò senza dare a Jake la possibilità di replicare.

Il ragazzo rimase qualche secondo imbambolato, con il cellulare ancora stretto in mano e appiccicato all'orecchio, gli occhi sbarrati e la bocca semiaperta. Quando il suo cervello finalmente elaborò le ultime frasi del maggiore Ray, strinse le labbra con forza impedendosi di imprecare e lanciò con un gesto secco il telefono dentro l'abitacolo della jeep, che rimbalzò sgraziatamente sui sedili posteriori.

Non era possibile, come poteva trattarlo così? D'accordo che era l'ultimo arrivato alla base e che aveva solo ventidue anni, ma non era giusto approfittare della sua mancanza d'esperienza per umiliarlo costantemente.

Sbuffò per l'ennesima volta, passandosi lentamente una mano tra i capelli castani che portava tagliati cortissimi, e inspirò profondamente. Non era il caso di farsi anche prendere dal panico; secondo la mappa che aveva consultato poco prima c'era un villaggio a poche miglia, non gli restava altro da fare che rimboccarsi le maniche e avviarsi. Restare lì sotto il sole a strepitare come una ragazzina non sarebbe servito a nulla, non aveva certo bisogno di prendersi pure un'insolazione.

Bevve un lungo sorso d'acqua dalla borraccia che portava appesa in vita, per poi lanciare anche quella, ormai vuota, nella jeep. Il problema era che non poteva lasciare l'auto incustodita in mezzo alla strada. Doveva spingerla.
 
Roteò gli occhi, ringraziando il cielo del fatto che almeno quel sentiero fosse lievemente in discesa; quando all'improvviso udì un grido stridulo e penetrante venire da sopra di lui, e alzò la testa di scatto. Identificò subito chi aveva lanciato quel verso acuto e per un attimo dimenticò tutti i suoi problemi.

Sorridendo, estrasse rapidamente dal portaoggetti nella portiera una macchina fotografica e seguì con lo sguardo il volo dell'aquila che si librava alta in cielo, trasportata dal vento. Impostò al massimo lo zoom ed inquadrò un punto lontano tra le dune sabbiose, cercando di indovinare la traiettoria dell'uccello. Quando questo apparve nell'inquadratura scattò rapidamente la foto; riuscendo ad immortalare il momento in cui l'aquila, nitida e perfettamente a fuoco, si fondeva con l'orizzonte tremolante del deserto. Soddisfatto, ripose la sua fotocamera con delicatezza nella portiera, che poi richiuse con un colpo secco.

Portatosi dietro la jeep, inspirò profondamente e si tolse la giacchetta mimetica, allacciandosela in vita, e poggiò le mani con forza sul metallo bollente. Cercando di non far caso al bruciore, fece forza sulle gambe e iniziò a spingere, mugolando per lo sforzo. I muscoli delle braccia gli guizzavano sotto la pelle, causandogli un fastidioso prurito, e il sudore ricominciò a colargli sulla fronte, quando finalmente le ruote del mezzo girarono e la jeep iniziò a muoversi.

Jake si concentrò sul mantenere costante il ritmo del suo respiro, tentando il più possibile di regolarizzarlo e di sincronizzarlo ai suoi passi, per non sentire la fatica. Per fortuna la strada era battuta e libera da intralci, e dopo parecchi minuti di spinta le pareti rocciose alla sua destra cominciarono a lasciare il posto alle sponde rossastre del Mar Morto e l'aria si fece meno torrida. In lontananza intravide i contorni scuri del villaggio che aveva visto segnato sulla mappa, che tremolavano nella calura estiva, e sperò con tutto il cuore che non si trattasse di un miraggio.

Il sole stava ormai abbandonando lo zenit, ma mancava ancora molta strada e il soldato temette di non farcela, sentiva le gambe pesanti come piombo e un fastidioso ronzio gli riempiva la testa, annebbiandogli la vista.

Accidenti.

Ebbe la certezza di avere le allucinazioni quando gli parve di sentire il belato di una pecora alle sue spalle. Poco dopo, quel verso si ripeté, più volte e sempre più vicino, come se fosse amplificato; accompagnato dallo scalpiccio frenetico di decine di passi sul selciato. Jake si fermò di botto, voltando la testa. No, non aveva le allucinazioni. Era proprio in mezzo ad un gregge di pecore. Di bene in meglio.

Aguzzò la vista, tentando di scorgere la fine di quella processione chiassosa di bestie lanuginose e spelacchiate, che avevano ormai sollevato un soffocante polverone. Dove ci sono delle pecore, ci sono anche dei pastori, si disse.
Quando finalmente intravide due figure umane avanzare nella sua direzione, agitò freneticamente un braccio, tentando di attirare l'attenzione:

"Heey!"

Non appena gli uomini lo videro, si fermarono e si fissarono per un attimo allibiti. Poi corsero nella sua direzione e gli porsero un otre con dell'acqua fresca e qualche tozzo di pane. Quando si fu ripreso, spiegò loro la situazione, dato che sembravano capire l'inglese, anche se si esprimevano a fatica. A gesti, si offrirono di aiutarlo a spingere la jeep fino al villaggio vicino, che a occhio e croce distava non più di un chilometro. Jake accettò di buon grado, in tre avrebbero fatto più in fretta, senza faticare eccessivamente.

Dopo una decina di minuti, raggiunsero quel paesino dal nome impronunciabile, accompagnati dagli sguardi curiosi e divertiti degli abitanti. Non era certo una cosa da tutti i giorni vedere una jeep dell'esercito americano scortata da un gregge di pecore. Riuscirono a spingere il mezzo fino ad un negozio di ferrame e cianfrusaglie varie di un vecchio artigiano calvo, che evidentemente all'occorrenza si trasformava anche in meccanico di fortuna; poi i pastori lo salutarono e ripresero il loro tragitto.

Il vecchio, che si chiamava Ibrahim e parlava un inglese basilare, dopo aver dato un'occhiata al motore sentenziò che si trattava di un problema al radiatore.

"Può ripararlo?" chiese Jake preoccupato.

"Credo di sì."

"Quanto ci vorrà?"

"Uno, forse due giorni."

Il soldato inclinò la testa all'indietro e socchiuse gli occhi, sollevato. Ci sarebbe voluto più tempo del previsto, ma avrebbe portato a termine la sua missione. Tanto, come aveva asserito il caro maggiore Ray, non era un compito urgente.

"Quanto le devo?"chiese quindi a Ibrahim.

Il vecchio scosse la testa.

"Niente soldi. Tu aiuta me."

Jake spalancò gli occhi.

"Come? Cosa devo fare?"

Ibrahim sfoggiò un sorriso incompleto e corroso dagli anni:

"Tu giovane e forte, io povero vecchio. Tu aiuta me a mettere in ordine il negozio."

Il ragazzo fissò preoccupato l'immensa catasta di ferrame e legno davanti a lui.

Sarebbe stata una lunga giornata.






  ***






Ho scritto questa storia appositamente per partecipare al "Worldwide Contest" indetto da Yuki_ sull Forum di EFP. È la prima volta che pubblico qualcosa nella sezione delle storie originali, quindi è stato un esperimento, e non so bene come/dove collocarlo. XD

In totale la storia si compone di sei capitoli, più un breve epilogo finale. In origine l'avevo pensata molto più lunga, almeno il doppio, ma per problemi di tempo l'ho dovuta accorciare, eliminando alcune scene e condensando i fatti nello stato attuale, ma magari un giorno deciderà di ampliarla e riportarla alla sua forma 'originale', chissà ^^. 

Per questi motivi, mi sembra giusto avvisare che non mi sono soffermata eccessivamente sulle descrizioni degli ambienti e della psicologia dei personaggi, ma spero comunque che la storia sia piacevole, o almeno leggibile! 

Appuntamento a lunedì prossimo con il secondo capitolo! 


Sayuri






   
 
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